Capitolo VI
È una follia. Tutto ciò non ha senso, è una fottutissima pazzia.
Pensò James confuso, e soprattutto terrorizzato, distogliendo per un attimo lo sguardo dalla strada, e perdendo momentaneamente il controllo del veicolo, sbandando accidentalmente a causa della fitta pioggia e del forte vento che si gettava rombando sulla vecchia Joy. Dopotutto Chicago era anche conosciuta come la città del vento.
Spero che Nathan se la cavi
Rifletté James ripensando all'espressione turbata dell'amico e ai suoi occhi opachi, che guardavano nel vuoto; l'aveva lasciato così, seduto sul marciapiede davanti al minimarket, con a fianco le buste della spesa e pochi soldi in tasca
Non potevo portarlo con me. Ho fatto la scelta giusta.
Cercò di convincersi ancora una volta, ripetendo queste parole assiduamente, come un mantra.
L'aveva trovato sul ciglio della strada, con i sacchetti di plastica stracolmi in mano, mentre imprecava per il peso eccessivo di questi (dovuto principalmente alle birre) e si accingeva a incamminarsi verso casa. James non aveva potuto abbandonarlo da solo in quella casa, ma era anche consapevole che non era in grado di reggere il peso di quella verità agghiacciante che lui si portava dietro da ormai 5 anni. Si era accostato quindi al marciapiede, calmo e nervoso allo stesso tempo, tristemente conscio di ciò che stava per fare, e gli aveva fatto cenno di salire in macchina
"Ehi coglione! Ci siamo appena visti, ti sono già mancato? Mi dispiace dirtelo, sei un amico, ma io non sono gay"
Aveva detto ridendo da solo per la sua battuta idiota, che tra l'altro reputava tra le più spassose mai dette, ed era salito in macchina, entusiasta di non dover trascinare faticosamente le buste per quei pochi metri che lo separavano dalla villa. A James era venuto un colpo al cuore sentendolo ridere come aveva sempre fatto, inconsapevole di ciò che era successo. E doveva rimanere così.
"hai una faccia da funerale. Hai trovato il cadavere del tuo vecchio e dimenticato gatto?"
Aveva scherzato ancora vedendo l'espressione nostalgica di James. Questo in risposta aveva sorriso amareggiato, guardandolo negli occhi, cercando di imprimere nella mente l'immagine del suo migliore amico, allegro e solare, con la battuta pronta e da sempre il suo primo sostenitore, in tutto. Si conoscevano da quando avevano 5 anni e non si erano mai separati, neanche al college, e nonostante ciò, Nathan non poteva sapere. Non poteva capire.
"mi mancherai, fratello"
Aveva detto all'improvviso, causando uno sguardo sconcertato e confuso negli occhi dell'amico, che aveva cercato subito di rispondere a tono, ma fu fermato dalla mano di James, che, veloce, si era posata sulla sua fronte. Anche da lontano si era visto chiaramente il bagliore dorato che aveva illuminato maestosamente l'interno della prius, come se il sole avesse deciso di sorgere in quella macchina, mentre un rilassante profumo di cacao si era sparso intorno.
Il lampo di luce si spense e Nathan era lì, sul ciglio della strada, da solo, come se non fosse successo nulla, come se James non fosse mai esistito.
Intanto una vecchia prius rombava sfrecciando sulla strada verso il lago Michigan con una leggera pioggia come compagnia.
Non potevo portarlo con me. Ho fatto la scelta giusta.
Ripeté ancora una volta, ma era difficile convincersi di ciò.
Con questi pensieri giunse velocemente sulla sponda del lago, ormai a notte inoltrata e si fermò in un piccolo parcheggio isolato, conosciuto da pochi, a causa delle stradine strette che bisognava superare per raggiungerlo. La luna si rifletteva sul lago calmo, quasi troppo surreale, come se stessero girando una romantica scena di un film d'amore.
James scese con calma dalla macchina, respirando profondamente, consapevole di trovarsi nell'unico luogo a lui conosciuto in cui poteva sentirsi davvero al sicuro, e si avvicinò all'acqua, aspettando.
Dopo pochi istanti il lago si agitò, senza l'aiuto del vento, formando onde e gorghi vicino al ragazzo, per nulla impaurito dall'improvviso cambiamento, e dal vortice più profondo, situato al centro della piccola tempesta appena creatasi, uscì una donna, dai lunghi capelli blu e occhi antichi, saggi, in contrasto con la sua pelle liscia, senza alcun segno del passare del tempo, era vestita con una leggera armatura verde, che le fasciava il corpo rendendola, inaspettatamente, ancora più sensuale. La figura si avvicinò, sorridendo dolcemente, al ragazzo seduto sulla riva, camminando sulle acque di nuovo calme:
"James, sono due anni che non ti fai vedere."
Disse squadrando il giovane dalla testa ai piedi, osservando la corta barba sul suo viso e l'incredibile altezza. Iniziava a sembrare un uomo agli occhi della donna che l'aveva visto crescere.
"esuberante come sempre, Anfitrite. Lo sappiamo entrambi che puoi semplicemente apparire sulla spiaggia, senza creare tutti quei gorghi scenografici"
Le rispose lui sorridendo avvicinandosi per abbracciarla
"mi sei mancata"
Continuò avvolgendo il suo esile corpo tra le sue braccia
"anche tu"
Disse lei accettando il caloroso abbraccio, sorridendo maternamente, per poi guardarlo con aria decisa e fiduciosa, staccandosi da lui:
"so perché sei venuto, qui sei al sicuro, ma non puoi restare, devi trovare i tuoi compagni"
"ma non so dove siano! Non ho un radar incorporato o cose del genere, e potrebbero essere in qualsiasi parte del mondo! Non posso fare tutto da solo, non sono un dio!" rispose James, andando momentaneamente in panico, prendendo poi un respiro profondo e costringendosi a pensare lucidamente. Forse era ancora troppo scosso da quello che aveva fatto a Nathan.
"calmati, io posso aiutarti in questo. Dovrai trovare prima una giovane ragazza di Toronto di nome Evangeline Tremblay, non so dirti chi è dei quattro, dovrai scoprirlo da solo e aiutarla a trovare qualcuno che la risvegli in modo sicuro. Vola poi in Islanda, a Reykjavík, là troverai Argento, è appena stato risvegliato perciò sarà facile da trovare, sembra anche abbastanza inquieto, sono sicura che lo riconoscerai subito, ma non so dirti altro"
"è più di quanto sperassi, grazie. Spero di poterti vedere di nuovo, magari in circostanze più felici" affermò lui mestamente, abbracciandola per l'ultima volta
"lo spero anch'io" sorrise Anfitrite tornando verso l'acqua e sprofondando nel lago dopo aver gettato un ultimo sguardo a James, vedendo una scintilla nei suoi occhi, che rispecchiano il suo turbato e allo stesso tempo coraggioso animo, pronto a compiere il suo destino, qualunque esso sia.
......
"Ev! Scendi che è pronta la colazione!"
"Arrivo mamma!" gridò in risposta Evangeline mentre, saltellando, si infilava la gonna a scacchi della divisa della scuola, con lo spazzolino da denti in bocca e la spazzola incastrata fra i riccioli biondi.
Calma, non sei in ritardo, hai tutto il tempo del mondo. Lanciò un'occhiata alla sveglia che indicava l'ora.
E invece nooo, merda.
In un baleno fu pronta, i capelli lisci, i denti lavati, la gonna che all'inizio aveva messo al contrario sistemata. Si guardò rapidamente allo specchio che riflesse una ragazza bionda, dagli occhioni da cucciolo e la carnagione bianca come il latte, con lentiggini sparse un po' ovunque. Finalmente si decise a scendere dalla soffitta che aveva trasformato in camera sua qualche tempo prima.
Aprì la botola che portava dalla soffitta al piano di sotto e tirò giù la scala di legno, che scese a due gradina alla volta, inciampando quando toccò all'ultimo. Entrò in cucina e salutò con un bacetto sui capelli la sorellina di tre anni. La piccola, seduta sul seggiolone di Frozen, batté le manine ridendo.
"Papunpel!" la chiamò riferendosi a una delle protagoniste dei suoi cartoni preferiti. In effetti c'era una certa somiglianza dati i lunghi capelli biondi della ragazza, ma Evangeline si sentiva più affine alla principessa per la sbadataggine di cui entrambe sembravano afflitte oltre ogni limite accettabile.
Senza nemmeno sedersi "Papunpel" trangugiò la colazione, ovvero un piatto di pancake ricoperti da generoso strato di sciroppo d'acero che sua madre le aveva fatto scivolare davanti. Ormai si era abituata agli inevitabili ritardi della figlia e aveva smesso di sprecare fiato cercando di inculcarle in quella zucca vuota un po' di senso di responsabilità.
"Ciao ma', io scappo!" esclamò Evangeline infilzando l'ultimo boccone di pancake e buttandolo giù con un sorso di succo di frutta. In atrio afferrò lo zaino, così pesante a causa dei libri da farla barcollare, il borsone per gli allenamenti di hockey e le chiavi della macchina. Ripreso il controllo del proprio equilibrio si tuffò senza ulteriori indugi tra le strade trafficate di Toronto.
E ti pareva, sono in ritardo!
ANGOLO AUTRICE
Ciao! Scusate il ritardo, volevo pubblicare ieri ma ero a Firenze, volevo pubblicare sta mattina ma sia internet che il computer che Wattpad hanno dato di matto maaaaaa.... ce l'ho fatta! Grande me! E niente, volevo farvi sapere ciò e scusarmi.
Enjoy the story! byeeeee
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