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Tre mesi, quattordici giorni e dodici ore prima

C'è qualcosa di elettrico nelle prime ore della mattina, come se l'alba portasse con sé una carica di energia che, se avesse un colore, sarebbe viola.

Viola come le campanule che si estendono a non finire davanti a me, che mi accarezzano delicatamente il palmo della mano durante il mio cammino.

Viola come le scintille della magia che brillano a ogni mio passo, come l'aura degli incantesimi, come la foschia che avvolge tutto ciò che è stregato.

Viola come i miei capelli dalla forma indefinita, ora mossi ora lisci, lunghi fino a metà schiena ma che vivono in una perenne treccia scompigliata con due ciuffi a circondarmi il viso per nasconderne la rotondità.

Ogni divinità porta sul proprio corpo il motivo per cui esiste e in quanto dea della magia porto con me una costellazione di nei che si dirama per tutto il corpo, uno nuovo per ogni magia che faccio perché la magia è tutta una questione di equilibrio e se lei dà qualcosa a me, io devo darle qualcosa in cambio, un baratto in cui lei si appropria di un angolo del mio corpo.

Gli dèi maggiori hanno la tendenza a dimenticare che la magia è la prima forma di energia che sia mai stata creata e che, per questo, sono la Prima Divinità, la più anziana tra loro ma maledetta a mostrarmi nella mia forma più pura come un'adolescente. Per questo Zeus, una volta seduto sul trono dell'Olimpo, ha deciso di distinguere bene lui e la sua prole da noi altri dèi minori, relegandoci nei piani inferiori.

O, nel mio caso, in una serra all'interno di un edificio dalla facciata fatiscente.

"Ecco dove ti eri nascosta".

Sussulto alla voce di Persefone, voltandomi solo per vederla sulla soglia con le braccia conserte.

"E poi dicono che sono io la dea della primavera, se solo sapessero quanto tempo passi chiusa qui dentro" continua avvicinandosi e accarezzando una campanula che, in tutta risposta, si gira verso di lei rinvigorita, lo stelo teso e i petali di un colore più vibrante rispetto a un istante prima.

Persefone, prima di diventare la regina dell'Oltretomba, era l'immagine della brava ragazza in tutto e per tutto, la Primavera personificata con lunghi boccoli biondo grano e vispi occhi blu come il mare, ma Zeus non ha gradito la sua decisione di sposare Ade e per questo l'ha punita, l'unica cosa che gli dèi maggiori sembrano saper fare quando qualcuno non funge più da pedina nel gioco perverso che hanno intavolato secoli fa.

La sua punizione non è severa come quelle di Afrodite le cui maledizioni sono degne di Nemesi, ma i suoi lunghi capelli biondi si sono tramutati in un caschetto di capelli corvini incapaci di crescere oltre le spalle, i suoi occhi sono diventati due pozzi neri infiniti e qualsiasi veste indossi assume il colore ricco e scuro del succo della melagrana.

Zeus pensava di farle un torto, di spogliarla della sua bellezza superficiale per ricordarle in eterno cosa succede a chi disonora il volere del re dell'Olimpo, ma la verità è che quando una persona è bella dentro questa bellezza si irradia verso l'esterno, circondandola di un'aura gentile.

E Persefone, ai miei occhi e a quelli di tutti gli abitanti dell'Oltretomba, rimane di una bellezza mozzafiato.

"È il posto ideale per riflettere" rispondo riprendendo il mio percorso e in un attimo Persefone è al mio fianco, il suo profumo delicato di fiori a solleticare il mio olfatto.

"E su cosa staresti riflettendo?" Domanda prendendomi a braccetto, come se lei non fosse qualche gradino più in alto di me nella scala gerarchica di Brooklyn, l'Oltretomba del ventunesimo secolo.

"Su quanto sia bello il silenzio del mattino... O fosse".

La regina dell'Oltretomba mi rivolge un'occhiata divertita: "sai, forse dormire di più ti aiuterebbe a essere meno scorbutica e più simpatica".

"Lo dici dall'alto della tua esperienza?".

"No, mia cara. La soluzione nel mio caso è stata Ade... Ad essere precisi tanto sesso con Ade" risponde scoccandomi un occhiolino e per un secondo realizzo che se un tipo come Ade si è innamorato di lei un motivo ci deve pur essere.

E il motivo sono - tra gli altri - i gusti di Persy a letto.

"Ti prego, non scendere nei dettagli" borbotto rabbrividendo al solo pensiero di Ade in panni diversi da quelli del dio dei morti, provocando una risata argentina a Persefone.

"Dèi, Hecate. Dovresti vedere la tua faccia in questo momento".

Sorrido tra me e me sporgendomi per osservare i Non Ti Scordar di Me appena nati prima che la mia compagna continui.

"Comunque anche la voglia di silenzio non giustifica la tua presenza qui alle sei e mezza del mattino. Potevi startene nel letto se volevi a tutti i costi silenzio".

"Touché" ammetto controvoglia spostando un ciuffo dietro l'orecchio, "sono alcuni giorni che mi sento inquieta e la serra mi calma".

Come a riprova delle mie parole una scintilla più potente delle altre si sprigiona al mio passo, facendoci fermare mentre arrossisco, imbarazzata.

Detesto essere così vecchia e non riuscire ancora a controllare la mia magia quando sono nervosa.

Persefone aggrotta le sopracciglia: "forse sarebbe meglio spostarci prima che per sbaglio mi bruci tutti i fiori".

Annuendo sommessamente la seguo verso l'uscita della serra, una brezza fresca ad attenderci.

"E il ballo di stasera non c'entra proprio con il tuo essere inquieta, vero?" Domanda non appena mi siedo accanto a lei sulla panchina, l'intera New York davanti a noi, ai nostri piedi.

Non sono stata d'accordo quando Zeus ci comunicò che la nostra nuova casa, il nostro nuovo Olimpo sarebbe stato la città di New York ma più passa il tempo e più mi rendo conto che è stata la scelta giusta e che ora come ora faticherei a immaginarmi da qualsiasi altra parte.

"No" tento di dire ma Persefone mi squadra con l'aria severa di chi vuole dire 'non mentire' con gli occhi, "okay, forse sì. È che noi non siamo invitati a questo genere di eventi da più di cinquecento anni. Probabilmente ho persino dimenticato la faccia di tutti i presenti che non vivono nell'Oltretomba".

"Brooklyn" mi corregge dolcemente Persy, assumendo un'espressione più seria, "non hai nulla da temere, davvero. Anzi, semmai devono essere loro quelli in ansia".

Una risata di scherno mi sfugge dalle labbra prima che possa fermarla: "loro? E perché mai? Sono abituati alle feste, allo sfarzo, al bello. Siamo noi quelli che non vengono mai invitati da nessuna parte".

Uno scintillio furbo le illumina lo sguardo: "appunto. Non sanno quello che li aspetta. Dobbiamo mettere in piedi uno show".

Uno show che non dimenticherò tanto facilmente.

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