Capitolo 7
Blaise contava le ragazze come contava i suoi soldi. Materia. Potere. Sudicia arroganza. Tutto questo lo inebriava. Si sentiva eccitato e di buon umore, avrebbe ridotto la pena di Athena e l'avrebbe fatta uscire prima. Sempre che non fosse riuscita a scappare ancora una volta. Amava quando lo faceva. Si sentiva un predatore quando, di notte, radunava i suoi più fedeli e con gli accendini in mano perlustrava la città alla ricerca d'indizi su dove fosse andata. Era solo un gioco. Tutti sapevano che lei tornava sempre all'orfanotrofio, l'unico luogo in grado di accoglierla da più di sedici anni.
«Dove stai andando?»
Red, alle sue spalle, lo prese di sorpresa. Come sempre.
«Dove sto andando?» gli fece eco Blaise come una risata. «Mi stai tenendo sott'occhio?»
Red ghignò e gli fece il medio. «Manco fossi uno di quei bastardi poliziotti.»
«Di chi parli? Non vedo poliziotti in giro a The Circle da anni.»
Geyer, dall'altra parte del magazzino, rise per qualcosa che una delle ragazze nuove aveva appena detto, o fatto. Quella risata era inebriante, riecheggiava in ogni buco puzzolente della Tana.
«È scappata» disse Red con gli occhi puntati verso la luce arancione che stava entrando dalle vetrate.
Era quasi l'ora della caccia.
Blaise si rivolse al suo più fedele compagno, il Bugiardo, il suo braccio destro, e sforerò un sorriso che mise in luce i denti affilati.
«Lo so.»
•~•
«Pazzesco!»
May si fermò a osservare Sukie mentre saltava da muretto a muretto, un sorriso enorme sulle labbra.
«Non è stato pazzesco, May? Una ficata, te lo dico io! Colby aveva ragione, conoscere la banda fa sentire vivi... Oh, aspetta che lo dica a Violet, impazzirà all'idea di unirsi a noi. Ti sono sembrati un po' pazzi, May?»
May alzò le spalle. Sì, le erano sembrati tutti fuori di testa, completamente incontrollabili, ma non era adatta per giudicare. Aveva ancora una scelta da fare: unirsi oppure sparire per sempre da quella zona. Era ancora indecisa. La seconda opzione avrebbe comportato abbandonare Sukie.
Una melodia si riversò per le strade illuminate dal sole rosso che tramontava. Mancava un'ora alla cena e se May non fosse tornata a casa in tempo, i suoi le avrebbero tolto il telefono per una settimana. Trascinò Sukie per un polso per andare più veloce mentre la sua amica fissava lo schermo che s'illuminava e si rispegneva a intermittenza.
«Perché non gli rispondi?» le chiese May quando Raymond chiamò per la terza volta.
«Non so che cosa dirgli.»
«Si sta preoccupando. Devi rassicuralo che stai bene. Conosco Raymond, lui è super paranoico. Avanti, rispondi.»
Sukie mise su il broncio e aspettò che il cellulare finisse di squillare. Quindi se lo mise in tasca. «Sarà per la prossima volta.»
May alzò le spalle, non disse niente. La folle idea di far incontrare Raymond e Sukie era stata di Thorne quindi era a lui che si doveva la colpa. Certo, poi si era ricreduto e aveva cercato di farli separare, ma ormai il danno era fatto. May aveva cercato di avvertirlo ma lui non aveva sentito ragioni, voleva far scopare il suo migliore amico e c'era riuscito. Peccato che May conoscesse la sua migliore amica: Sukie era capace di strappare il cuore dal petto di un ragazzo, tenerlo al caldo tra le sue mani –o tra le sue gambe-, delle volte lo stringeva tanto da farlo quasi esplodere e poi, quando si stufata del giocattolo, lo abbandonava in un posto buio, lontano e freddo, lasciandolo incustodito. Non era cattiveria, Sukie semplicemente non pensava di fare del male.
Quando May tornò a casa si sentì mille spilli che le martellavano la testa. April la aspettava con le braccia conserte, seduta sul divano.
«Ancora due minuti e saresti stata in punizione.»
May le sorrise e corse in cucina. Il padre era seduto al tavolo, leggeva il giornale e indossava ancora la bandana nera sulla testa mentre la madre aveva legato sui fianchi il suo grembiule da lavoro.
«Non sono l'unica a essere in ritardo, quindi.»
«Questa volta sei perdonata» le disse la madre mentre si scapicollava tra i fornelli. «Forza, siediti. April!»
«Com'è andato lo spaccio, papà?»
L'uomo scoppiò a ridere e mise da parte il giornale. «Non è carino chiedere queste cose a cena, signorina, ma è stato molto proficuo. E tu cos'hai fatto questo pomeriggio?»
May prese in considerazione l'opzione di mentirgli. Il padre vendeva fumo alla Banda da anni ma aveva sempre pregato le figlie di stare alla larga da quella gente. E lei non aveva mai mentito ai genitori.
«Sukie mi ha trascinato in questo posto un po'... bizzarro.»
«Sei andata a ballare?» le chiese la madre mettendo sul fuoco un pezzo di carne.
«Sì, alle tre del pomeriggio» le rispose May sarcasticamente e April si mise a ridere. «No, mamma, non sono andata a ballare.»
«Peccato, balli bene.»
«Dove sei stata?» domandò di nuovo il padre, mentre le sopracciglia cominciavano ad aggrottarsi. Ecco, stava per scoprirla.
In quel momento, la porta all'ingresso tremò sotto potenti colpi.
«Non può essere» sbuffò April accasciandosi sulla sedia.
La madre si sporse all'indietro come se potesse vedere chi fosse dalla finestra. «È venuto anche questa sera?»
«Lasciateli amarsi» bofonchiò il padre di famiglia e May corse da aprire.
Un ragazzo alto, magro e dai capelli neri che gli penzolavano sugli occhi le stava sorridendo.
•~•
La figura era circondata dalle tenebre della notte e l'abbigliamento scuro non aiutava. Aveva il mento basso, come a voler appositamente celare il volto ma nessun cappuccio che aiutasse l'impresa. Un ragazzo. Stava fermo per strada con le gambe divaricate, come ad aspettarla.
A Nora ci vollero pochi secondi per collegare tutto. Aveva già visto quella scena, conosceva quell'ombra. Quel modo di presentarsi davanti alle vittime era una prerogativa di Geyer Harvey. Nora si fermò in mezzo alla strada e con le dita sfiorò la tasca dei pantaloni.
«Non ho soldi con me!» gridò per farsi sentire bene dal Ladro.
Geyer alzò la testa di scatto e le sorrise. «Guarda, guarda chi abbiamo trovato. La piccola stalker. Non ti ho riconosciuto con i capelli lunghi.»
Nora strinse i denti. Quel bastardo non la intimoriva, né lui né la sua banda.
«Dov'è il tuo padrone, cagnaccio?»
Geyer spalancò gli occhi e il suo volto si tinse di rosso in un istante. Le fu addosso prima che Nora potesse prevederlo. Si costrinse a proteggere la faccia con le mani ma qualcun altro fermò Geyer.
«Spostati!» sbraitò il Ladro. «Quella puttana mi ha dato del cane!»
«Come siamo irascibili, fratello. Ti fai stuzzicare così facilmente da una ragazza?»
Nora alzò lo sguardo. Davanti a lei, Red le dava le spalle. Sembrava più grande dall'ultima volta che le era stato così vicino. Effettivamente, era più grande. Erano passati anni. Rimase a fissare la sua schiena, immobile e con delle parole rabbiose incastrate in gola.
«Che cosa succede?» tuonò la voce inconfondibile del Leader dal vicolo più buio sulla loro destra.
Red sussurrò qualcosa all'orecchio di Geyer, qualcosa d'incomprensibile per Nora, e il ladro sfoderò un sorriso maligno.
«Niente d'importante» rispose rivolto al suo capo.
Nora aggrottò le sopracciglia; ancora non riusciva a comprendere perché, sebbene i gemelli fossero più grandi e più grossi di Blaise, rendessero a lui ogni passo, ogni parola.
Red si girò e i loro occhi s'incontrarono. Nora inghiottì un sussulto; l'ultima volta che l'aveva guardato da così vicino lui era poco più che un ragazzino incazzato con il mondo. In questo non era cambiato, sembrava ancora che qualcuno gli avesse infilato una scopa su per il culo, ma non era più un adolescente instabile e ingenuo; adesso era un uomo, o quasi. Si era alzato e allargato, il volto si era riempito di spigoli e cicatrici sbiadite.
Va via, sembrò dirle senza proferire parola. Un attimo dopo il polso di Nora era stretto nella presa di Geyer mentre il volto di Blaise si definiva al chiaro di luna. Lui non era mai cambiato; da quando Nora ne aveva memoria, il Leader aveva un'aura grigia dentro gli occhi chiari che aleggiava anche alle sue spalle, appollaiandosi dietro di lui come un'ombra terribile.
«Forse ho trovato qualcosa» bofonchiò Geyer con gli occhi che brillavano come stelle di carbone. Nel buio si sentì un clic e dal polso di Nora venne sfilato il piccolo orologio. Era talmente stretto da lasciare segni rossi, permanenti, sulla pelle della ragazza; i brillantini apparivano e scomparivano sullo sfondo rosa come lucciole impaurite.
«No!» tuonò mentre si sbilanciava per recuperare il piccolo orologio. Ma una mano la fermò per la spalla e lei fu costretta a sentire la risata stridula di Geyer mentre si gingillava con l'oggetto a lei più caro. Si divincolò con rabbia dalla stretta di Red e alzò lo sguardo nel suo, sperando di trovare un complice.
«Non fai niente?»
Red non rispose, si limitò ad allontanarsi lentamente, mentre Blaise scoppiava a ridere. «Che cosa vuoi che faccia per te... Ehm?»
«Eleonor» disse Geyer.
«Nora» lo corresse lei con gli occhi iniettati di sangue. Si sarebbe buttata contro di lui se Red non si fosse messo in mezzo, a fare da barriera.
«Spostati» gli disse, mentre Blaise continuava a ridersela.
Tra le ombre si alzarono dei mormorii, sussurri minacciosi e derisori, e Nora seppe che la stavano circondando.
Non mi faranno del male, continuava a ripetersi. Vogliono solo derubarmi e mettermi paura. Red...
Red le diede le spalle e, nell'andarsene, tramortì Geyer di proposito. Il gemello gli sputò addosso una lunga serie di insulti ma non sembrava realmente offeso. Nora si sentì sprofondare. Dimenticò che Geyer aveva ancora il suo orologio – l'orologio di Lucie-, e che Blaise la stava osservando come un predatore che si pregusta l'attimo prima di divorare la preda. Perché Red se ne stava andando? Come poteva lasciarla sola con loro? Nora chiuse gli occhi e si diede della stupida. Dell'ingenua. Red era loro, era fatto della stessa pasta.
«Voglio indietro il mio orologio.»
«Come vorresti risolverla?» domandò Blaise con l'alito che sapeva di fumo. «Un incontro, magari?»
«Non è equo» piagnucolò Geyer. «La farei a pezzi.»
«Anche se una bella dose di calci nel culo non gli farebbe certo male, non mi batto con nessuno» replicò lei cercando di mantenere la calma. «Ridatemi il mio orologio e io me ne vado.»
Questa volta fu Blaise a fermare Geyer quando questo caricò di nuovo verso di lei. Nora stava per afferrare il coltellino e la mossa non sfuggì al capo.
«Vedi, Nora, forse ti sta sfuggendo qualcosa.» Blaise si avvicinò. Aveva una camminata instabile, ubriaca, ma lei sapeva, sentiva, che era lucido. «Mi è giunta voce che qualcuno osserva la mia Banda da lontano, studiandone i comportamenti. Non so di chi si tratti ma l'idea che qualcuno spii la mia gente per scrivere sul suo diario qualche miserabile avventura mi rende di cattivo umore.»
La voce si era fatta profonda, prepotente, mentre le risate si trasformarono in bassi grugniti. «E dal momento che sono di cattivo umore, non sono incline ai favori.»
Nora inghiottì la sua paura, non lo avrebbe lasciato vincere facilmente. Geyer cominciava a compiacersi per le parole del suo leader, si sentiva ebro di potere.
«Consideralo un pagamento» sputò addosso a Nora con rabbia.
«Per cosa dovrei pagare?»
«L'essere qui» rispose Blaise con calma, una lucida, terrificante calma.
«Per essere ovunque siamo noi» continuò Geyer. Le mandò un bacio e sparì nelle ombre, portandosi appresso gli altri scagnozzi. Blaise fu l'ultimo a lasciarla sola. Cercò di studiarla ma prima che riuscisse a completare la scheda, Nora era già scappata via.
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