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Capitolo 6




Quando Athena si fermò dentro una stazione di servizio, il ragazzo al bancone non alzò gli occhi dal suo cellullare e lei poté proseguire zoppicando verso il bagno come se niente fosse. Si trascinò lenta verso il primo lavabo disponile e alzò lo sguardo verso quel rettangolino di vetro che rifletteva l'immagine di una ragazza con due grandi ombre sotto gli occhi grigi. Si strinse nelle spalle, spesso era tornata a casa ridotta molto peggio, e si piegò a terra per sciacquare con dell'acqua i piedi sporchi e medicare le ferite con un po' di carta. Se ci fosse stato Geyer, con lei, a quest'ora avrebbe fatto scorpacciata di calzini e scarpe senza che nessuno, nella sezione del negozio, se ne accorgesse. Ma lei non rubava e quindi dovette accontentarsi di un po' d'acqua calda prima di ricominciare la sua camminata. Non aveva con sé il telefono. Avrebbe potuto chiedere in prestito quello di Red ma sarebbe stato troppo rischioso per lui. Blaise era diventato il capo della Tanta non solo perché tirava pugni micidiali ed era svelto come una lepre. Era intelligente, forte, caparbio.

Tornò sulla strada asfaltata con una camminata più sicura, ne aveva passate di peggio che qualche graffio sui piedi. La strada verso casa era vicina, altri venti minuti e avrebbe potuto medicarsi decentemente.

Un'ora e Blaise sarebbe venuto a cercarla. Due prima che riuscisse a penetrare dentro l'orfanotrofio. Allora avrebbe chiesto scusa, l'avrebbe baciata e le avrebbe promesso che sarebbe stato più buono. In effetti, era cambiato molto dalle prime volte che le infliggeva punizioni simili per qualche trasgressione.

Non l'aveva fatto per nessun altro, eccetto che per lei. Blaise non era un mostro, era capace di amare, ma non sapeva farlo nel modo giusto.

Le strade cominciarono a diramarsi, le macchine a circolare, e Athena capì di essere prossima al centro di The Circle. Quel quartiere era l'ultimo dei tre di tutto Giglio d'Oro, l'isola sgangherata in mezzo a una manica di mare tanto distante da Londra quanto da Amsterdam. E The Circle era il più nero, povero e disperato dei tre piccoli quartieri di tutto il paese. Giglio d'Oro aveva una gerarchia morfologica e sociale a cerchio, come i gironi dell'Inferno di Dante. Quello più esterno, che affacciava sulle coste e sui porti, era The Circle. La zona più massiccia, nella quale si concentrava più popolazione e dove si vedevano alte industrie grigie, era la Zona Industriale. Lì c'erano gli edifici più importanti: l'ospedale, il comune, le poste, la banca, le scuole migliori...

Nel più interno, come fosse il piccolo cuore pulsante del Giglio, c'era la Collina, un quartiere situato su un promontorio piuttosto umile, sulla cui cima si vedevano le coste di nazioni che li avevano dimenticati.

L'orfanotrofio si stagliò in tutta la sua dimenticanza e sozzura davanti ad Athena come un enorme mostro di latta pronto a divorarle il cuore. La recinzione in fil di ferro era sgangherata in diversi punti, in altri totalmente assente, ma era perfetta per dare l'idea che fosse un postaccio. Lì ci finivano i figli di The Circle, come li chiamavano, abbandonati troppo presto da genitori che non erano tagliati per quel ruolo, oppure i neonati trovati in fasce sulle coste di Giglio d'Oro, portati in quel paradiso terreste dalle maree, privi di famiglia da chissà quanti giorni.

Athena non dovette nemmeno bussare per entrare in casa sua. Le luci erano spente, come sempre dopo le quattro di pomeriggio, e alcuni suoni sibilosi provenienti dal piano di sopra le fecero rizzare i peli sulle braccia. Si disse che quel mistero avrebbe potuto aspettare, zoppicò velocemente verso il sottoscala e cercò le sue scarpe. Molti bambini dovevano essere fuori, altri a dormire, altri a scuola. Qualcuno però la stava aspettando al piano di sopra. Appena vide la porta della sua stanza aperta pensò che non era stata abbastanza veloce e Red non abbastanza furbo. Ma Blaise aveva dei progetti per il pomeriggio, non si sarebbe mai scomodato per rincorrerla. Oppure sì?

Comunque, non voleva dargliela vinta, non l'avrebbe mai fatto, così si costrinse a camminare con la schiena dritta, reggendosi alla parete per non zoppicare. La prima cosa che mise nella stanza fu una mano, come ad assicurarsi che se fosse andata male, sarebbe stata monca di un arto e non della testa. Si diede della stupida, nessuno avrebbe mai voluto ucciderla.

In camera sua c'era la signorina Montel affiancata da un uomo e una donna che si tenevano per mano. Athena conosceva la signorina Montel, si era occupata di tutte le sue pratiche lì all'orfanotrofio. Era la sua personale assistente sociale. Gli altri due erano degli sconosciuti. Sposati, a quello che dicevano le fedi che circondavano le loro dita.

«Athena» sospirò Montel appena la vide. «Ti stiamo aspettando da un'ora. Dov'eri?»

«Chi vi ha fatto entrare?» fu la risposta della ragazza.

La signorina Montel sorrise forzatamente e si premurò di assumere quell'espressione contratta che la faceva gemere ogni volta che apriva la bocca. «Ci ha fatto entrare Gina, ovviamente. Non l'hai incontrata venendo su?

Athena si strinse nelle spalle, non aveva incontrato nessuno. I suoi occhi indugiarono un attimo sull'assistente prima di calare sugli sconosciuti. Loro la stavano osservando con gli occhi brillanti e le labbra contratte. La donna era bella, con la faccia smunta e le mani un po' scheletriche; i lunghi capelli dorati le arrivavano al seno piccolo e appuntito mentre le labbra fine cercavano di incurvarsi in un sorriso. Al suo fianco, impettito e di strano umore, c'era il marito; un uomo dalla prominente stazza e i capelli dal solito taglio elegante, che lo facevano somigliare a uno di quelli onesti, benestanti e un po' arroganti. Lui non sorrideva e sembrava agitato.

«Vieni, piccola, avvicinati.»

Athena non si mosse. Non per diffidenza ma perché sarebbe stata scoperta. Se l'avessero vista zoppicare avrebbero fatto domande. E le domande portavano sempre a risposte che nessuno, in quella stanza, voleva sentire. Si appoggiò alla parete e incrociò le braccia al petto.

«Ci dev'essere per forza una ragione per la quale i due gentili signori lì impalati stanno schiacciando il pupazzo preferito di Flora.»

La donna zompò subito in piedi. Abbassò gli occhi sul coniglietto di pezza, lo prese fra le mani e si scusò.

«Possiamo saltare i convenevoli?» continuò Athena annoiata. «Che cosa posso fare per voi?»

«Athena» incominciò la signorina Montel. «Ti presento Jane e John Madders. I tuoi nuovi genitori adottivi.»

• ~ •

La madre le avrebbe fatto la ramanzina per un'ora, forse un'ora e mezza, e poi l'avrebbe finalmente stretta in un abbraccio caldo. Col gelo che l'avvolgeva, Nora aveva proprio bisogno di quell'abbraccio. L'avrebbe trovata a casa, il suo turno al Jonas Jennings era finito da un pezzo. Mentre camminava a passo spedito per i vicoli bui di The Circle si disse che qualsiasi altra ragazza nel suo quartiere sarebbe svenuta alla vista di un topo che le passava davanti o di una banda di vagabondi che cercavano di scaldarsi con la fiamma di pochi accendini accanto ai cassonetti della spazzatura. Col coltellino ben incastrato nella tasca, Nora si sentiva invincibile. Pensiero pericoloso, poiché certamente quel piccolo pezzetto di metallo non sarebbe bastato per fermare un rapinatore o un assassino.

Respirò a pieni polmoni e si disse che sarebbe stata fortunata, finora lo era sempre stata. Pensò a Flora, a Kit e a tutti i bambini che aspettavano solo lei affinché leggesse loro qualche fiaba e si disse che reprimere i conati di vomito mentre superava una pozza di sangue rappreso per strada ne valeva la pena. Così come valeva la pena mentire alla sua migliore amica, Charlotte, la bibliotecaria, per proteggere la reputazione di quel posto. Non poteva dirle che, al posto di un capitolo riletto tre volte, Nora era rimasta a consolare Flora mentre piangeva disperatamente. Nessuno si sarebbe preso cura di lei, nessuno l'avrebbe abbracciata; di solito quel compito spettava ad Athena ma quel giorno, vista la causa del pianto di Flora, non era stata d'aiuto. Dopo aver calmato la bambina, Nora si era fatta raccontare cosa fosse successo. All'arrivo della signorina Montel, l'assistente sociale dell'orfanotrofio, Flora si era nascosta dentro l'armadio per paura che fosse venuta a prenderla. Ma l'assistente aveva portato con sé due signori ed era rimasta impalata nella camera che condivideva con Athena fino a che quest'ultima non si era fatta viva. Flora era rimasta in silenzio e aveva aspettato che la situazione si calmasse; ora che Athena era arrivata non c'era nulla di cui preoccuparsi. Ma poi aveva sentito perché quei signori erano venuti ed era scoppiata a piangere.

L'isterica reazione di Flora aveva allarmato i pochi bambini in casa che a loro volta avevano annunciato agli altri, appena di ritorno, cosa stava per accadere. Quando Nora si era presentata alla porta, l'orfanotrofio era un delirio. C'erano volute dieci tazze di camomilla, un paio di canzoni e molti, molti abbracci per rendere di nuovo sopportabile l'ambiente. Di Athena nemmeno l'ombra, si era chiusa in camera sua a chiave, vietando persino a Flora di entrare. Nora aveva poi sistemato la bambina in un altro letto, era tutti abituati a condividere lì dentro.

Stava ancora pensando ad Athena e alla sua reazione per l'imminente adozione quando comparve una figura davanti a lei.

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