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Capitolo 25

«Ti masturbi?»

«Violet!» gridò May indignata. «Non essere indiscreta.»

La Violet in questione aveva su un sorriso dolce, ingenuo, e teneva strette le mani di Sukie tra le sue. La bionda ricambiava, una guancia sulla spalla della ragazza, entrambe fissavano Athena in attesa di una risposta.

«Sì, certo» rispose Athena dopo un po'. «Voi?»

«Sì, sì capita» rispose Sukie. «A cosa pensate?»

May aveva sprofondato la testa tra le braccia, la scuoteva sconsolata, ma subito la ritirò su e sparò gli occhi al cielo. «A Thorne, ovviamente. Certe volte però non viviamo in questo mondo ma in un mondo lontanissimo, diverso, e lui ha quasi sempre questa lunga lingua che...»

«Di cosa parlate?» interruppe Raymond sedendosi accanto a Sukie.

Violet scattò in piedi e se ne andò senza dire una parola. Tutti trovarono strano quel comportamento ma nessuno disse niente. Sukie la seguì senza rivolgere la parola a Raymond, che la fissò andare via, gli occhi più lucidi del mare.

«Di masturbazione» rispose Athena notando che la domanda di Raymond era rimasta nell'aria, ad aleggiare imbarazzante.

«Le ragazze si masturbano?» chiese Gabo, che si era appena seduto.

Kingsley, davanti a lui, si allungò giusto per dargli uno scappellotto in testa. Quando tornò al suo posto, la sua spalla sfiorava quella di Athena. Lei notò che ogni volta che c'era l'occasione, loro due si sedevano vicini, certe volte non sembrava calcolato. Altre volte sì. Quelle volte Kingsley la usava come scusa per togliersi dalla conversazione, si voltava verso di lei e la fissava per un po', oppure fingeva di guardarsi le mani, oppure le faceva qualche domanda assurda come "Preferisci l'acqua salata o l'acqua dolce?"; quelle volte tutti associavano la loro vicinanza come un qualcosa in cui non si poteva interferire e Kingsley amava il modo in cui lo ignoravano. Quindi Athena era la sua scusa. Non le dispiaceva così tanto.

«Sì, Gabo, certo» rispose Raymond. «Non tutte, ovviamente. Ma quelle che lo fanno sono una vera figata.»

May abbassò lo sguardo per puntarlo dubbiosa verso Raymond. «Perché sarebbero una figata?»

«Beh, perché lo fanno.»

«Tutti i ragazzi del mondo si masturbano ma nessuno di loro mi fa venir voglia di attribuirgli l'aggettivo "fico".»

«Questo perché hai un'infida considerazione dei ragazzi» borbottò Thorne restando in piedi alle sue spalle ma scoccandole un bacio tra i capelli.

«Dov'eri finito?»

«In bagno.»

Raymond risputò nella bottiglietta l'acqua che stava ingerendo. «Risparmiaci i dettagli. Comunque, Sukie si masturba tutti i giorni, certe volte lo fa davanti a me.»

A quel punto tutti si esibirono in una serie di lamenti orribili, qualcuno gli tirò contro una forchetta di plastica. Kingsley si estraniò subito dalla conversazione, le perversioni di Raymond non lo interessavano granché, e spostò l'attenzione sulle mani di Athena. Si era messa lo smalto, o meglio Jemi le aveva messo lo smalto la sera prima, e la stava malissimo. Era del colore della sabbia bagnata, un orribile miscela tra il marroncino e il grigio, che le dava un'aurea anziana e triste. Per istinto allungò una mano e le prese l'indice tra le dita, tirandolo un poco. Athena tirò via la mano.

«Che stai facendo?» disse a bassa voce, anche lei fuori dalla conversazione prima del dovuto. Nessuno faceva caso a loro. Quando si parlavano spesso accadeva questo fenomeno surreale: sembrava che si trovassero all'interno di una bolla insonorizzata, che li trasportava lontano lontano, e nessuno più si accorgeva che erano ancora lì, che stavano parlando tra di loro, che si guardavano per minuti interi senza dire una parola e che spesso, senza parlare, si raccontavano di tutto.

«Non mi piace.»

«Che cosa?»

«Lo smalto.»

«E allora?»

«Niente.»

«Niente. Certo.»

•~•

Violet non ebbe bisogno di girarsi per sapere che qualcuno la stava seguendo.

«Perché mi segui?» domandò al vento, non aspettandosi davvero una risposta. Infatti non ci fu e lei proseguì, l'ombra che la rincorreva ma non arrivava mai a sfiorarla.

La strada per arrivare alla Tana dall'altopiano a ovest si snocciolava ripida in un sentiero irto. Violet la percorse correndo, assaggiando l'aria salata che prometteva pioggia. Come sempre, quel posto era pieno di rumori ruggenti, sudore fresco e tintinnii squillanti, una fabbrica che non andava mai a dormire. Non era scoppiettante come di notte, al culmine della sua spettacolarità, ma c'era del lavoro da fare, un paese da rivoluzionare.

Salutò con un cenno del capo Willy, il direttore dell'impianto luci che, ancora una volta, si era fulminato, e camminò sparata dentro la serra, nel capanno più interno, per prendere i suoi guanti da box. Qualcuno chiacchierava e sgranocchiata sandwich al burro sotto le finestre oleose. In un angolo ammuffito e umido Violet riconobbe l'alta figura di Redard Harvey, il Bugiardo, mentre sfogliava le pagine di un libro. Per un attimo rimase lì a fissarlo, intorpidita e scioccata: nessuno leggeva mai lì dentro, non perché fosse vietato ma perché c'era sempre qualcosa da fare e leggere rientrava in quelle mansioni per chi ha l'eredità assicurata e il frigorifero sempre pieno di schifezze. Il profilo non corrispondeva al Bugiardo, insomma, che anche con un libro in mano e gli occhi socchiusi impegnati nella lettura non riusciva a sbarazzarsi della stazza e della pelle ruvida, delle manone callose e il ghigno incattivito. L'ha dentro lui era rispettato quasi quanto il Capo e Violet abbassò lo sguardo quando gli passò vicino. Entrata nello spogliatoio, ovvero una tenda al confine della proprietà, Violet si spogliò in fretta della maglietta per avvolgersi in un top sportivo e s'infilò i guantoni.

«Questa sera giocheremo senza» disse alla sua ombra, che l'aveva seguita fin dentro lo spogliatoio e la fissava con i suoi occhi blu languidi. «Questa sera mi conquisterò il titolo di Selvaggia.»

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