Capitolo 24
La curva del collo era più pallida rispetto al resto della pelle, come se il sole non l'avesse mai toccata, come avesse sempre reclinato la testa e guardato a terra, senza mostrare quel pezzo di pelle così sensibile. Red ne era inspiegabilmente attratto, non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di Nora mentre piegava il collo indolenzito dopo tante ore a rimuginare su vecchie pagine di diario, e mostrava così una zona mai notata. Red si guardò allo specchio e inclinò la testa per toccarsi la curva del collo. La sua pelle non era morbida come quella di Nora ed era decisamente più scura. I peli della barba raggiungevano certi punti critici e non lo rendevano più sensuale. Smise di guardarsi allo specchio dopo una decina di minuti, consumando tutta la sua dignità. Nora sarebbe arrivata da un momento all'altro. Cominciò a tamponarsi i capelli e il corpo con lo stesso asciugamano e quindi si vestì. La casa aveva perso il suo odore stantio di fumo e bruciato perché Red aveva lasciato tutte le finestre aperte, questo però aveva comportato anche la permanenza di aria fredda, così si mise su un cardigan e aspettò pazientemente sul divano. Più il tempo scorreva e Nora non si faceva viva, più Red dubitava che si sarebbe presentata. Forse aveva preteso troppo: scappare dalle grinfie della madre, raggiungere e percorrere The Circle tutta sola e trovare l'indirizzo giusto. Sebbene Nora fosse dotata di un'intelligenza e un senso di sopravvivenza elevate, Red si arrischiò a temere che lo avrebbe abbandonato per assenza di interesse. Cominciò quindi a guardarsi attorno nella minuziosa ricerca di dettagli destabilizzanti per la ragazza. La televisione con il grosso tubo catodico era teneramente posata a terra, accanto a una pila di libri vecchi e qualche scatolone aperto. Le mensole del soggiorno, così come quelle della sua camera erano colme, ma non per questo meno ordinate, di ninnoli e oggettini di nessuna utilità materiale, ma che col tempo Red aveva cominciato a raccattare per abbellire il gelido luogo che aveva scelto di chiamare casa. I vestiti erano tutti al loro posto, il letto rifatto, la cucina pulita, il bagno profumato. Se Nora si fosse presentata, non si sarebbe impressionata più di tanto. Certo, forse tutti i quadri e le pitture appesi alle pareti potevano destabilizzarla all'inizio, ma poi ci avrebbe fatto l'abitudine.
Red sentì una stretta al petto. Il solo pensiero che Nora si abituasse a quel luogo gli provocava sensazioni contrastanti. Si stava grattando il pettorale alla disperata ricerca di domande quando sentì il campanello tuonare.
Corse alla porta e l'aprì con disperazione, pronto a gridare a chiunque fosse lì per disturbarlo. Quando si trovò Nora davanti, represse un grugno.
«Perdona il ritardo» disse lei con il fiatone.
Red si spostò per farla entrare ma prima di chiudere la porta lanciò un'occhiata alla strada.
«Hai corso?»
«Sì.»
Red la vide muoversi tentoni verso il soggiorno mentre si sbottonava la giacca e si toglieva la sciarpa.
«Qualcuno ti stava seguendo?»
«No, stavo al lavoro»
Appena pronunciò quelle parole, Red notò il grembiule del Jonas Jennings e la sua pettinatura acconciata, che portava quando il nonno le chiedeva un aiuto per evitare che i capelli davanti agli occhi la impicciassero durante il servizio ai tavoli.
«Hai... Tutto bene?»
Nora si girò verso di lui, l'ombra di un sorriso. «Strano.»
Red aggrottò le sopracciglia.
«Strano, dico» continuò Nora. «Non hai mai iniziato una conversazione così convenzionalmente.»
Red non rispose. Lasciò che Nora esplorasse con gli occhi tutto l'abitacolo e alla fine, quando si ritenne soddisfatta, non fece alcun commento.
«Allora...» cominciò Nora, pronta per dedicarsi a qualsiasi affare dovesse essere risolto ma Red la interruppe alzando una mano.
«Prima il dovere poi il piacere» mormorò puntando gli occhi sul vecchio televisore. Lo accese con un calcio e selezionò con la punta del piede un canale in bianco e nero che trasmetteva uno show televisivo canadese. Nora lo vide camminare nella stanza e chiudere le finestre che, al suo ingresso, erano spalancate per poi acciuffare due cuscini dal divano e buttarli a terra assieme a una coperta di lana sfilacciata sui bordi.
«Togliti le scarpe e gettale lì. Il grembiule...» lanciò un'occhiata ai suoi fianchi, poi salì più su. Incontrò i suoi occhi e si schiarì la gola. «Il grembiule puoi tenerlo. Ma devi scioglierti i capelli.»
«Che succede?» domandò Nora un po' spiazzata.
«Le domande dopo» rispose lui più inquieto di quanto fosse al suo arrivo. Nora intuì che quello era tutta facciata, si stava solo preparando per interpretare un ruolo. Alla confusione subentrò la curiosità. Chi stava per diventare Redard Harvey?
«Pretendi che esegua i tuoi ordini senza ricevere una spiegazione?»
«Sì»
Nora esitò solo un attimo. Era troppo curiosa. Agganciò il tallone con un piede e si sfilò la scarpa. Eseguì lo stesso lavoro con l'altra e le lanciò accanto alla televisione. Red la vide a lavoro e annuì un poco.
«Chi sta arrivando?»
Nora non ebbe modo di capire se Red si stupì della domanda tanto intuitiva perché lui si era già gettato sui cuscini e aveva allungato un braccio affinché lei ci s'infilasse sotto. Nora si slacciò i primi due bottoni della camicia prima di accomodarsi a terra e strinse le gambe tra di loro per evitare di mostrare cosa tenesse ferme le calze sui fianchi. Non aveva proprio voglia di far vedere a chiunque fosse entrato da un momento all'altro che aveva addosso due paia di mutande perché le calze della madre le andavano grandi. Red alzò e abbassò il petto velocemente una sola volta, come a raccogliere le forze, e posò un braccio sulle spalle di Nora. Una risata profonda risuonò dalla strada e un colpo alla porta fece sussultare la ragazza.
«È un sassolino» mormorò Red con l'alito fresco di arancia. «Geyer mi comunica così che sta per entrare.»
Geyer. Il gemello.
Prima che la porta si aprisse, Red posò le dita sul collo di Nora e accarezzò la pelle con tutto il palmo fino a incastrare le dita tra i ricci raccolti nello chignon. Afferrò il fermaglio con medio e indice e tolse le dita portandolo con sé. I capelli ricaddero sul suo braccio e sulla fronte di Nora, selvaggi al punto giusto. Quando la porta si spalancò, Nora incastrò il volto nel collo di Red e lui rimase immobile.
«Non mi dire!» esclamò Geyer con quel suo tono perennemente euforico e rozzo. «La cameriera!»
Era cominciata la recita.
«Geyer» lo salutò Red con un gesto annoiato del mento. «A cosa devo questa indesiderata interruzione?»
Il fratello scoppiò a ridere e quando Nora, esitante, si girò per guardarlo, notò dalla porta lasciata aperta un altro personaggio fare la guardia. Evitò gli occhi del Ladro, lo disprezzava al punto di non voler avere niente a che fare con lui, nemmeno condividere uno sguardo. E disprezzava sé stessa per volere l'esatto opposto con Red.
«Eleonor, Eleonor...»
«Nora» abbaiò lei con una certa cattiveria, nell'esatto momento in cui lo fece Red. Geyer si poggiò alla parete accanto alla porta, studiando bene la situazione. Indugiò più a lungo del dovuto sulle gambe di Nora, stese a terra, appetibili se non fossero appartenute a una testa calda e fastidiosa come la sua.
«Ho davvero interrotto qualcosa?»
«Tu che dici?» rispose Red con il solito tono neutro.
«Sono venuto per avvertirti.»
Nora finse un sospiro di frustrazione e si aggiustò tra le braccia di Red. Sebbene lui fosse apparentemente impassibile e immobile come una roccia, Nora riuscì a sentire il suo cuore pompare a un ritmo forsennato. Che fosse agitato? Per cosa?
«Che vuoi Geyer?»
Geyer cambiò espressione: digrignò i denti e gli occhi s'illuminarono di un'intensità tenebrosa.
«Hai visto come Athena l'ha ridotto? Vuoi fare la stessa fine?»
L'aria si riempì di un gelido improvviso. Aveva pronunciato il nome della Bianca e Nora sussultò. La storia di Athena e Blaise era una brutta favola che nessuno voleva raccontare. Se Geyer la stava tirando in ballo era per un motivo ben preciso, stava tentando di spaventare Nora e allo stesso tempo far tornare il fratello dalla sua parte.
«Cazzo!» sbraitò Red con una certa enfasi non del tutto falsa. «Che cazzo vuol dire? Io non sono Blaise e lei non è Athena. Non c'entra un cazzo di niente!»
«Fratellino» lo richiamò Geyer con una dolcezza che sorprese Nora. Stavano parlando come se lei non fosse presente, come se il fatto che ascoltasse fosse del tutto irrilevante. La cosa la infastidiva così tanto che divenne subito rossa e dovette stringere le mani in due pugni per non dire una parola. Preferiva stare al gioco di Red che cominciarne uno tutto suo e mandare tutto all'aria. Si fidava di lui.
«Non essere stupido» riprese Geyer. «Stai perdendo il tuo tempo.»
«Tu credi che sia una perdita di tempo. Se fossi nella mia situazione, la penseresti di certo diversamente.»
L'allusione era palese e chiara. Nora arrossì ma non per la rabbia. Il commento di Red fece sorridere sinceramente Geyer.
«Non so se crederti davvero» disse quest'ultimo inclinando la testa da un lato.
«Dovrai fidarti delle mie parole» fece Red. «Perché di certo non te la faccio provare.»
Per Nora fu troppo.
«Red!» esclamò con vergogna e ferocia.
«Cosa?» fece invece Geyer con una risata. «Vuoi che ti provi?»
«Basta così» lo interruppe Red esasperato. «Un po' di rispetto, che diamine! È così che si conquistano adesso le ragazze, Geyer, lo sapevi? Rispetto. Non ci vuole molto, non si fa fatica. Se sei venuto qui solo per raccontarmi una bella storia su come non donare il mio cuore alla prima ragazza che mi fa godere sul serio ti avverto che hai sprecato il tuo tempo.»
Geyer rideva come un ossesso. Si poggiò alla parete perché altrimenti sarebbe caduto.
«Lo dici perché è troppo tardi o perché non c'è pericolo che donerai il tuo cuore alla cameriera?»
Nora non riusciva a dire niente, era troppo spiazzata dall'assurda conversazione.
«Tu che dici, fratello?» disse invece Red, l'ombra di un sorriso pirata, conquistatore, possessore.
Geyer si avvicinò e si piegò all'altezza degli occhi di Nora.
«Sembra che il mio fratellino sia fissato con la piccola stalker...»
«Geyer»
«Non ho finito» sputò Geyer al fratello. «Come dicevo,» proseguì guardando Nora dritta negli occhi. «Dal momento che lui sembra apprezzarti molto, deduco che farai di tutto per non deluderci.»
«Non la spaventare»
«La sto solo avvisando.»
«Appunto.»
Per Nora la voce di Red sembrava così lontana. Esistevano il tutto e il niente negli occhi di Geyer. Aveva lo stesso sguardo di quella notte, quando aveva rubato tanto facilmente l'orologio di Lucie, l'unica reliquia salvata dalla furia della madre che aveva bruciato tutto troppo facilmente e con troppa facilità. Quello sguardo che prometteva cose cattive non lo avrebbe mai abbandonato.
«Continui a darmi fastidio» sussurrò Geyer con un ghigno intimidatorio, ma Nora non pensava a lui. Non le faceva paura. Non la impietosiva. Non la faceva nemmeno arrabbiare. Geyer era tutto, ma era anche niente. Per lei contava meno dello sputo che avrebbe voluto infilargli nell'occhio. Poteva restare a guardarlo per ore, anche senza desiderarlo, se solo lui avesse lanciato la sfida. Ma si ricordò di dover recitare una parte imposta da Red per chissà quale scopo e non poteva deluderlo. Quindi si fece indietro, fingendosi intimorita, e poggiò una guancia alla spalla di Red.
«Ho chiuso» mormorò con la voce più infantile e ingenua che riuscì a costruire. «Ho chiuso con tutto. Volevo solo...» S'interruppe nel momento giusto e alzò gli occhi su Red. Arrossì violentemente e questo diede alla recita un aspetto veritiero non indifferente. Geyer ci sarebbe cascato in pieno. «Volevo solo lui.»
«Mi fate venire la nausea» esclamò Geyer con un certo disprezzo e si fece indietro. Raggiunse la porta e fischiò al cane da guardia di tenersi pronto per andare via.
«Blaise non è contento ma sa che puoi gestire la situazione. Ti reputa abbastanza intelligente da non fare stronzate. Non fare stronzate, fratellino.»
Lasciò la porta aperta, infischiandosi di loro e delle loro possibili risposte. Diede un calcio all'amico e filò via, ritornandosene nel buco dal quale era uscito. Era tutto una stronzata, avrebbe voluto urlare Nora, invece rimase zitta e si riacciuffò i capelli. Scattò in piedi, spense la televisione con un calcio e marciò verso la cucina.
«Dimmi che hai qualcosa da bere.»
•~•
Athena notò che le labbra di King erano diverse da quelle di Gabo e di conseguenza lo erano i loro sorrisi. Quelli del maggiore sembravano nascondere un segreto osceno. Quando si degnava a sorridere, ovviamente. Quelli di Gabo invece erano soffici. O almeno Athena lo credeva, non si sarebbe arrischiata a controllare allungando una mano. Thorne sorrideva talmente tanto spesso e con tutta la faccia che era impossibile giudicarlo bello, e poi lo faceva solo con May. Lo stesso valeva per la ragazza. Quando parlava con gli altri era gentile, certo, e rideva con la bocca spalancata a qualche battuta assurda, ma i suoi occhi si illuminavano solo se a rivolgersi a lei era il ragazzo, o il contrario. Sukie non sorrideva e basta. Quel giorno in particolare. Sembrava un pagliaccio, con il trucco colato sulle guance e poi giù fino al collo, non la smetteva di piangere. Raymond le abbracciava le spalle ma lei pareva non vederlo né sentirlo. Le sussurrava all'orecchio, le baciava la guancia fredda, ma lei non rispondeva. Athena si chiese perché restasse con loro quando era evidente volesse stare sola. Questo è quello che avrebbe fatto lei. Era bravissima a isolarsi quando la gente diventava fastidiosa o aveva bisogno di tempo con sé stessa. Negli ultimi tempi però non aveva sentito quasi mai quest'esigenza. Si godeva il pranzo in palestra assieme ai ragazzi della Casa senza troppe remore. Kingsley aveva preso a pranzare con loro. Il martedì, il mercoledì e il venerdì Athena raggiungeva assieme a lui l'aula di arte, appena mandavano giù l'ultimo boccone. Quel giorno fu un sollievo vederlo alzarsi e spazzolarsi i jeans, nell'evidente azione di aspettarla. Lei mise da parte la bottiglietta d'acqua e lo seguì. Un altro minuto e sarebbe scoppiata. Sukie aveva messo a disagio tutto il gruppo.
Charlie, come sempre, stava fissando il cielo con le cuffie alle orecchie. Athena aveva preso a mostrargli un pezzo di carta con un "Ciao!" scritto a matita per renderlo vigile della sua presenza. Charlie abbassava a malapena gli occhi e sorrideva alla finestra. Athena si accontentava. Era un compagno di banco perfetto. Quando Kingsley si accomodò dietro di lei, disse qualcosa su Marie che Athena non distinse chiaramente. Quindi si girò appena e notò che la compagna era assente.
«Ha lei i miei schizzi sul progetto di Natale» disse lui a nessuno in particolare.
Athena prese il suo album da disegno e si mise a definire i contorni del suo di progetto. Charlie aveva già consegnato la sua metà e la professoressa aveva rassicurato Athena che poteva consegnare entro la fine della settimana. Ma non aveva voglia di perdere tempo, così si mise subito a cancellare, calcare e sfumare. Grazie alle lezione di arte, tre ore alla settimana, scoprì che disegnare le piaceva, non ci aveva mai dedicato molto tempo. Non era brava con i volti o con i corpi, ma i fiori e gli animali, sebbene un po' astratti, uscivano fuori decentemente. Athena attribuì la spiegazione più plausibile al suo disprezzo generale per l'essere umano.
«Albero di natale?»
La voce di Kingsley riusciva sempre a prenderla di sorpresa, come se non si aspettasse che potesse davvero rivolgerle la parola. E questo funzionava non solo con la voce, ma anche con i genti più semplici alla Casa. Non riusciva mai a prevedere la sua mossa successiva. Blaise ormai era diventato quasi scontato, una costante. Kingsley era...
«Pigna» rispose lei continuando a disegnare.
Kingsley si era sporto oltre il banco e ora il suo mento sfiorava la spalla di Athena. Lei non si mosse quando lui disse: «Pessima pigna.»
«Non giudicare la mia pigna, ancora non è finita.»
«Perché l'hai scelta come progetto di Natale?»
Athena alzò le spalle e così urtò il mento di Kingsley che, come si fosse accorto solo allora di essersi sporto e avvicinato un po' troppo, si fece subito indietro. Cadde sulla sedia con un tonfo.
«Siamo come le pigne, dure e spigolose all'esterno. Nessuno ci raccoglie se cadiamo, ci danno calci per divertirsi, e nel farlo ci rompono un po'. A Natale siamo più vulnerabili, perché abbiamo speranza e tutte quelle stronzate...» Alzò gli occhi per vedere se la professoressa avesse sentito la parolaccia, ma quando la vide indaffarata con il registro, riprese, «Ed è proprio questo il periodo in cui dobbiamo ricordarci di essere come le pigne. Non c'è scampo. Nemmeno a Natale.»
Kingsley non rispose. Forse aveva smesso di ascoltarla. Forse non le importava e si era distratto. Athena non si girò per verificare. Non le importava abbastanza sapere se lui avesse davvero prestato attenzione alla spiegazione. Ma poi, inaspettatamente, lui si sporse di nuovo e questa volta si premurò di puntare una matita contro il foglio di Athena.
«Posso aiutarti con il colore in questo punto, le ombre sono fatte male.»
«Non ho bisogno di te»
«Tutti hanno bisogno di qualcuno.»
Non io, avrebbe voluto rispondere, ma restò zitta. Da quando aveva smesso di mentire con tanta facilità?
Alzò di nuovo le spalle, colpì di nuovo il mento di Kingsley, e lui tornò sulla sua sedia.
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