Capitolo 20
Stai tranquilla, continuò a ripetersi, non ti farà del male.
Era incredibile quanto Nora credesse a quelle parole, quanto fosse radicata in lei la convinzione che Red non le avrebbe mai fatto del male. Eppure era agitata. Non perché avesse paura. Non perché temeva di soffrire in qualche modo.
Era solo agitata. E Red non aiutava standole così vicino, respirando quasi sul suo collo.
«Se n'è andata?» sussurrò contro il suo orecchio.
«Aspetta» sibilò Nora spiando oltre l'angolo del muro. In quel momento la madre uscì di casa facendo tintinnare le chiavi della macchina che teneva strette nel pugno. Appena la via fu libera, Nora uscì dal nascondiglio e Red la seguì. Raggiunta la porta di casa si bloccò. Si girò verso di lui e si sorprese di quanto le stesse vicino.
«Sì?» domandò Red notando la sua esitazione.
«Le scarpe.»
Entrambi abbassarono lo sguardo.
«Cos'hanno le mie scarpe che non va?»
«Nulla» si affrettò a rispondere Nora. «Ma la mamma non vuole che si portino le scarpe in casa. Quindi dovresti togliertele. Lasciale pure all'ingresso. Ti ho solo avvertito.»
Red si mise sulla difensiva ma se voleva ricevere l'aiuto di Nora doveva dare prova di esserci dentro tanto quanto lei. Così si tolse le scarpe, nonostante non gli andasse a genio la faccenda, ed entrò al suo seguito.
La casa odorava di panni puliti e spray per vetri; Red lo avrebbe riconosciuto ovunque, era lo stesso che usava per pulire le grandi vetrate della serra. Trovò divertente la situazione.
«Perché ridi?»
«Nulla.»
Nora abitava in una normalissima casa, anonima e arredata secondo gli standard: qualche foto appesa al muro, una televisione, tavolo, fornelli, divano. Niente scale, qualche porta chiusa, qualche altra aperta. Red ne fu quasi deluso.
«Li tengo in camera mia» mormorò Nora, così piano che Red l'udì a malapena. La seguì comunque nel corridoio per poi infiltrarsi nella sua camera. Nora esitò nuovamente prima di lasciarlo entrare, poi prese un respiro, come a darsi coraggio, e fece cadere ogni barriera.
«Così questa è la tua tana.»
«No.»
Fu una risposta tanto rapida quanto brusca. Red non vide la sua espressione perché Nora si era piegata e cercava qualcosa sotto il letto, il più stereotipato luogo dove nascondere qualcosa di privato. Cercò di concentrarsi sui dettagli della stanza ma fu improvvisamente catturato dalla morbidezza delle curve del corpo di Nora e dalla sua treccia color cannella che era scivolata a terra, sul tappeto.
«Hai detto che è la tua camera...» disse schiarendosi la gola, cercando di distogliere lo sguardo dal fondoschiena pieno e invitante.
«Lo è» fece Nora sotto sforzo, dopodiché tirò fuori un'enorme scatola di cartone strappata su vari angoli, rimessa in sesto con dello scotch scadente. «Ma non la mia tana.»
Restò seduta a terra e tolse il coperchio, rivelando un mucchio di diari, fogli, post-it e chissà quante altre scartoffie accumulate da quando aveva deciso di diventare il detective di Giglio d'Oro.
«Vieni» lo incitò timidamente.
«Nora» disse Red ancora dall'alto, le mani strette in un pugno. «Perché vuoi aiutarmi?»
«Me l'hai chiesto...»
«No, intendo dire perché ti ci è voluto così poco per essere convinta. Potevi mandarmi a quel paese ma hai scelto di ascoltarmi senza condizioni, senza giudicare. Solo... Perché?»
Nora distolse lo sguardo, incapace di dare un senso a quel momento. Mentirgli e perdere quel poco di fiducia su cui contavano entrambi oppure confessare la verità e svelare tutte le sue carte, donandogli l'unica parte di sé che non era stata contagiata da lui, o dalla sua causa? Nora era bravissima a mentire, si era esercitata per tutta la vita, eppure non poteva, non con Red.
«Perché voglio evitare che un giorno tu diventi un uomo come mio padre» rispose infine, a occhi chiusi.
Ovviamente questa spiegazione non bastò a Red, che incrociò le braccia al petto e attese il continuo. Nora sospirò, prese altro coraggio, raccolse i pezzi di sé stessa e lo guardò. «Ovvero come un uomo che costruisce una famiglia e non se ne rende nemmeno conto. Un giorno ti alzerai, capirai ciò che hai fatto, non ti sentirai pronto e scapperai, distruggendo la vita delle creature che tu stesso hai messo in questo schifo di mondo.»
«Si tratta di questo? Tuo padre è scappato?»
Nora si alzò in piedi per fronteggiarlo meglio. «Non lo dire come se fosse cosa da niente. Non m'importa essere cresciuta senza un padre. M'importa aver subìto le conseguenze del suo abbandono.»
«Di quali conseguenze si tratta, non ti fidi degli uomini? È per questo che ci odi?»
«Sei un maledetto ottuso, Redard Harvey. Non ho alcun problema con gli uomini, non tutti almeno. E non vi odio. Non tutti almeno.»
Le risposte di Nora non erano sufficienti. Niente lo era quando si trattava di lei. Red esigeva di più, ne aveva bisogno. Si avvicinò ma mantenne una distanza decorosa, sperando che non si chiudesse.
«Mi aiuti perché mi vuoi salvare» tentò, alzando un sopracciglio come a sfidarla.
Nora sospirò. «Mi piace se la metti così.»
«Ma non piace a me.»
«Non m'importa. Allora, vuoi vederli oppure no?»
Red la guardò negli occhi, in quelle splendide iridi verdi come le mele, chiare e brillanti. Quindi annuì una volta sola.
Nora tornò a terra e questa volta Red la imitò.
«Non ti posso far leggere i diari, sono troppo... Intimi. Però posso farti un sunto, darti i miei appunti e farti leggere le considerazioni più importanti.»
Red accettò ogni foglio che la ragazza gli porgeva. Lo esaminava con gli occhi da cima a fondo, si annotava nella memoria qualche parola "chiave" e passava al prossimo.
«Da quando Athena se n'è andata, la Banda è un delirio» commentò ad alta voce, quasi parlando con sé stesso.
Nora lo aveva sentito, ovviamente, ma non ebbe il coraggio di rispondere. Non sapeva cosa dire. La Banda era sempre stata un delirio, da quando era stata creata, ed era giunto il momento di mettere fine a quella follia.
«Non vuoi farmi qualche domanda?»
«So già tutto quello che mi serve» rispose Nora senza alzare gli occhi dalla scatola.
Red si lasciò andare a una risata.
«Questo non è carino. Sei consapevole del fatto che potrei denunciarti per stalking? Ho letteralmente tra le mani le prove dei tuoi misfatti.»
Nora glieli requisì d'istinto, stringendoseli al petto. «Pensavo volessi il mio aiuto.»
«Ehi, scherzavo! Nora, scherzavo.»
Nora non sembrò del tutto convinta. Red si sporse verso di lei.
«Lo so che ti fidi di me. E io mi fido di te.»
Il silenzio piombò tra di loro. Le parole di Red avevano congelato i loro respiri. Nora sciolse la presa sui libri che lentamente cedettero e scivolarono verso il pavimento, i loro occhi che si erano incastrati e non potevano più sciogliersi ormai.
«Red...»
«Non dire niente» disse lui. Sospirando, si fece di nuovo indietro. «Lascia stare. È impossibile per te fidarti di me, lo so. Devo dimostrarti che sono sincero.»
Quella parola bruciava sulle sue labbra. Il Bugiardo che doveva dimostrare di essere sincero. Una barzelletta malefica e distorta, che fece tremare il cuore di Nora. Lei credeva fermamente che Red avesse buone intenzione, che le aveva sempre avute, e la sua richiesta d'aiuto era il primo segnale, la dimostrazione della sua tesi. Lui voleva mettere fine e tutto questo, tanto quanto lo voleva lei. E insieme, unendo le forze, ce l'avrebbero fatta. O almeno avrebbero tentato.
«Sicura che tua madre non tornerà prima di cena?» domandò Red per smorzare il silenzio imbarazzato che si era ripresentato.
«Sicura» rispose Nora con la voce più ferma. «Abbiamo un paio d'ore. Sfruttiamole al meglio.»
E fu ciò che fecero.
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