Capitolo 18
La Casa non supportava un'assistenza automobilistica e i ragazzi si dovevano adattare per circolare in città. Usavano le biciclette, o dei surrogati dei mezzi a due ruote. Athena non ne aveva mai usata una e non aveva mai imparato a guidarla. Sapeva come correre, arrampicarsi, superare gli ostacoli ma non pedalare. Così stabilirono che fosse Gabriel a portarla con sé il primo giorno di scuola, e tutti i giorni a venire fino a che non avesse imparato ad andarci.
Mentre scendevano in fila indiana giù in strada, Athena agganciò le sue mani alle spalle di Gabriel e strinse le ginocchia al suo bacino, trattenendo il respiro. Erano gli ultimi della fila con Jemily accanto mentre Thorne, Raymond e Kingsley erano già lontani, zaini in spalla e cappucci sulla testa.
Athena cercò di concentrarsi sulle nuvole grigie in cielo, sul gran numero di macchine che circolavano e su tutta quella gente per bene che attraversava le strade. Molti erano studenti in uniforme, altri bricconcelli mattinieri, alcuni stavano andando a lavoro, altri facevano jogging. Athena pensò a The Circle, a come quel quartiere sembrasse vivo solamente di notte. La scuola si prestava come un edificio spoglio e triste, con i muri pieni di muffa e edera, il giardino esterno incolto e quell'interno pieno di cartacce.
«Non ti spaventare» la rassicurò Gabriel quando smontarono nel parcheggio e legarono la bicicletta ad un palo. «È più civilizzata di quanto sembri. Il corpo insegnante non è così male, la mensa è piccola ma il cibo decente e il campo da basket è enorme. Non che qualcuno di noi giochi, ma noi andiamo sempre lì a pranzo perché non c'è mai posto.»
Athena lo ascoltò appena. A detta di Jole, non c'erano molti studenti e le classi erano poche, con molta probabilità avrebbe fatto lezione con la maggior parte dei ragazzi che vivevano alla Casa. Tutto questo significava che la nuova arrivata non sarebbe passata inosservata tanto facilmente. Athena era abituata a stare al centro dell'attenzione ma ciò non vuol dire che le facesse piacere. Gli occhi nuovi potevano essere ancora più spietati di quelli vecchi.
Gabriel la scorrazzò in giro senza che lei emettesse un fiato; la presentò in segreteria dove venne accolta da moine e sorrisi, le fece strada verso i bagni, la stanza dello psicologo e la segreteria. Le mise in mano una scheda con gli orari e si assicurò che avesse tutti i libri per le prossime lezioni.
«Ti accompagno in aula poi devo scappare. Il prossimo appuntamento è tra due ore davanti alla tua classe, ti vengo a prendere.»
Gabriel era gentile e il suo entusiasmo toccava il cuore di Athena. Non riusciva a ricambiare le cortesie o la simpatia, non riusciva a sorridere sinceramente, non riusciva a farsi piacere completamente quel ragazzo, ma ci stava provando. Era tutto capelli disordinati e occhioni da cerbiatto. Diametralmente opposto a Kingsley.
Athena arrivò davanti alla classe con anticipo e Gabo rimase con lei ad intrattenerla finché non si presentò una professoressa, alla quale venne spiegata la situazione. Accolse la nuova arrivata con noia e la fece accomodare al primo banco.
Athena ebbe il tempo di tirare fuori un quaderno, una penna, guardarsi intorno, che qualcuno le picchiettò l'indice su una spalla. Si girò con circospezione e vide Raymond farle l'occhiolino.
«Matematica eh.»
I banchi erano singoli ma lui si teneva per mano con una ragazza rannicchiata sulla sedia accanto che masticava una gomma. Aveva i capelli corti fino alle spalle, biondi e rosa sulle punte, l'ombretto viola e le labbra nere. Aveva sentito parlare di una ragazza del genere e la memoria le ricordò che quella era Sukie, la presunta ragazza di Raymond. La stava guardando con gli occhi affilati come quelli di un gatto e una smorfia impercettibile sulle labbra. La stava studiando. Forse sapeva chi era. Ma questo non era possibile, Sukie viveva lontana da The Circle. Giusto?
La lezione fu sorprendentemente interessante. La professoressa parlò di tutto, tranne che della matematica. Le sue vacanze, le vacanze dei suoi alunni, e per l'ultima mezz'ora si misero a vedere un film. Ad aspettarla dopo quelle intense due ore, c'era Gabriel accostato al muro.
«Com'è andata?»
Athena scosse le spalle. La prossima lezione era scienze della terra poi avrebbe avuto inglese, tedesco, il pranzo, arte e ginnastica. Poteva farcela. Gabriel l'accompagnò a tutte le lezioni e si fece trovare alla loro fine. La scorrazzava in giro intrattenendola con infiniti monologhi. Durante il pranzo si lasciò prendere un'insalata e un budino e seguì il ragazzo fino al campo da basket. Lì, Raymond, Sukie, Thorne e una ragazza dai capelli neri li stavano aspettando.
«Dov'è Jemi?» domandò Gabriel appena si sedettero su due posti vuoti sugli spalti.
«Ha trovato posto in mensa con delle amiche» rispose Raymond con una smorfia.
«Vai da lei se ti dà tanto fastidio che non ci sia» intervenne Sukie alzando gli occhi al cielo.
Raymond la fissò, sussurrò qualcosa che nessuno capì e imprecò ad alta voce. Non si mosse e addentò con forza il suo panino.
«Avete visto Kingsley?»
La domanda di Gabo cadde nel silenzio. Non c'era bisogno che qualcuno rispondesse. Nessuno di loro l'aveva visto. Aveva orari diversi e materie diverse. Thorne condivideva con lui ginnastica e Athena sperò che non si trovassero tutti e tre in classe insieme nell'ultima ora.
«Io sono May, piacere» si presentò la ragazza sconosciuta e mentre porgeva la mano con un bel sorriso ampio, Thorne le circondò le spalle.
«La mia ragazza» commentò con una punta di orgoglio.
«La sola e unica.»
«Athena» si presentò lei guardando prima uno e poi l'altra. «Vi somigliate parecchio.»
Entrambi si misero a ridere mentre Raymond e Sukie sbuffarono.
«Ti prego, ignora la questione» le disse il ragazzo alzando gli occhi al cielo. «Metà scuola teme che ci sia di mezzo una storia d'incesto.»
Per poco Athena non si strozzò con il budino. Gabriel la colpì dolcemente sulla schiena per quietarla e Thorne le offrì la sua bottiglietta d'acqua.
«La reazione più stravagante alla quale abbia mai assistito» commentò May con fare pensoso. «Se fossi mio fratello, Thorne, non credo che ti amerei di meno.»
«Se fossi mia sorella, May, saremmo gemelli. T'immagini? Parlare senza parlare, capirsi senza fare nulla.»
«Ma noi già ci capiamo senza fare nulla. Parliamo anche quando non parliamo.»
Thorne la tirò a sé sul suo petto e le posò una guancia sui capelli neri. «Hai proprio ragione, piccola volpe.»
Athena fu grata di dover andarsene per raggiungere la prossima lezione. Sentiva di odiare la relazione che stavano portando avanti May e Thorne, mentre apprezzava molto di più il silenzio e la scontrosità di Sukie. Almeno lei non fingeva, era palese che la odiasse.
All'ora di arte l'unico posto libero era uno in prima fila, accanto alle vetrate, e seduto su uno sgabello c'era un ragazzo con i rasta e una bandana gialla tra i ricci neri. Athena trascinò i piedi fino a raggiungerlo. Gli sorrise invano, il ragazzo aveva le cuffie alle orecchie e non si era nemmeno accorto che qualcuno aveva preso posto accanto a lui.
«Non ci far caso, non si presenterà mai.»
La ragazza che aveva parlato stava dietro ad Athena e l'aveva punzecchiata con la penna. Quando si girò, fece caso al suo vicino di banco. Kingsley la stava fissando, e chissà da quanto tempo. Athena non si era accorta di essersi seduta proprio davanti a lui, che ci fosse in classe. Come nella Casa, pareva invisibile.
La sua vicina di banco punzecchiò di nuovo Athena sulla spalla e si voltò verso di lei.
«Si chiama Charlie. E io sono Marie. Piacere.»
Marie aveva due splendidi occhi blu come la Manica ma un naso un po' pendente, come se la pelle fosse calata verso la punta e si fosse congelata lì.
«Athena» rispose la diretta interessata. «Piacere mio.»
Marie si girò verso Kingsley e gli sorrise, ma lui non se ne accorse. Athena lo guardò a sua volta, attendendo che dicesse qualcosa, ma Kingsley non mostrò alcun interesse nel parlare. Così Athena tornò dritta. Sopportò le moine della professoressa, si presentò alla classe e si appuntò gli scopi dell'anno, come suggeriva la donna con il gesso in mano. Portarsi sempre dietro un foglio e una matita. Ricordarsi di guardare il cielo. Fare schizzi sui propri sogni la mattina appena svegli.
Piccoli consigli che gli studenti avrebbero fatto bene a seguire se volevano un bel voto nel corso. La lezione passò leggera e indolore. Charlie non si fece sentire, rimase rannicchiato a guardare verso il vetro per tutta l'ora. A un certo punto Athena pensò che si fosse addormentato, ma non ebbe il coraggio di verificare.
Appena la campanella suonò, Athena raccattò i suoi appunti e afferrò una felpa dallo zaino, pronta per affrontare l'ultima ora in una pista da corsa. L'idea di affrontare il gelo di settembre non la entusiasmava ma aveva sopportato prove peggiori a temperature più basse. Correre, poi, le riusciva piuttosto bene. Improvvisamente l'idea aveva preso una sfumatura eccitante e sentiva che la giornata non sarebbe andata completamente sprecata se una piccola parte di essa fosse stata utilizzata per un po' di movimento.
Kingsley la affiancò nei corridoi, che Athena sentì vuoti senza la presenza rassicurante di Gabriel. Non si era fatto ancora vedere.
«Vai in palestra?» domandò Kingsley.
«Sì.»
«Anche io.»
«Okay.»
Le fece strada e arrivarono tre minuti più tardi, avvolti nelle loro felpe e nel loro silenzio. Kingsley la lasciò all'entrata per raggiungere la sua classe, che a quanto pareva condivideva con Thorne, e Athena si mise a pensare alla sua età. Da quel che aveva capito, Kingsley aveva compiuto da poco diciotto anni e frequentava l'ultimo al liceo. Però condividevano l'ora di arte, il che di per sé era contro la logica in quanto Athena aveva sedici anni e frequentava il terzo anno.
Kingsley era un mistero che Athena preferiva non risolvere, sarebbe stato come aprire la scatola di Schödinger e scoprire che il gatto era scappato da un buco... Somigliava molto a un felino, posato ma distante, a una passo da lei ma irraggiungibile. Ed era tutto ciò che Atena avrebbe voluto essere: invisibile. Kingsley le ricordava che c'era la possibilità di essere qualcun altro anche alla Collina.
Doveva solo imitarlo.
•~•
«Allora, com'è andata?»
«Bene.»
«Tutto qui, solo bene?»
Athena fissò Jole e cercò di sorriderle. «Bene significa che niente è andato storto. Molte cose brutte possono accadere in poche ore ma se non accadono, siamo fortunati. Quindi, il fatto che sia andata bene dovrebbe essere più che soddisfacente.»
La signora rimase ammutolita e arrossì un po', mentre Thorne, alle sue spalle, tratteneva una risata. Athena si congedò senza troppi convenevoli e si chiuse la porta dell'ufficio alle spalle con delicatezza.
«Che bella gatta da pelare» commentò Thorne abbracciando la nonna dalle spalle.
La signora si lasciò andare a un sospiro.
«È una ragazza molto in gamba.»
«Su questo non c'è dubbio.»
Le scoccò un bacio e fece per andarsene.
«Thorne» lo richiamò Jole mentre questo tirava fuori il cellulare dai pantaloni. Lui si fermò a metà strada, mezzo concentrato sulla nonna e mezzo sul messaggio di May.
«Dove vai?»
«Sempre lì» fu la sua risposta.
Jole tenne strette le labbra mentre chiedeva: «Non puoi rimanere a casa per questa sera?»
Thorne si concentrò completamente su di lei, improvvisamente serio. «Perché?»
«Ci sei sempre più di rado.»
«Tra poco finisce la scuola» brontolò, come se questo spiegasse tutto.
«Ma è appena cominciata!» esclamò Jole alzandosi in piedi. «Oggi è stato il primo giorno. Quest'estate ti ho lasciato libero così che adesso potessi concentrarti meglio. Non scordarti che...»
«Tra poco finisce l'anno, nonna» ribadì Thorne interrompendola, chiudendo gli occhi per trattenere la rabbia. «Quando finirà la scuola, non rivedrò più May. Credi che sia facile dimenticare una cosa del genere? Ho scelto di andare a Londra di mia iniziativa, so che zia Annabeth conta molto su di me, quindi credo di meritare un po' di tempo con May prima che tutto finisca.»
Jole sospirò mentre vedeva il ragazzo darle le spalle e andarsene. Non tentò nemmeno di fermarlo o chiedergli scusa. Thorne era sempre stato piuttosto melodrammatico ma nessuna parola, nessuna imposizione lo avrebbe fermato dal raggiungere May.
Più tardi, quella sera, dopo che i ragazzi ebbero lavato i piatti e recuperato i panni dall'asciugatrice, Jole si affacciò nel soggiorno per controllare che tutto andasse bene. Jemily e Otto vedevano un film sdraiati sul divano, Raymond scriveva al computer sul tappetto accanto a loro e Gabriel stava cercando di insegnare ad Athena un gioco di carte.
«È piuttosto semplice» le disse sorridendo. «Vinci se metti in tavola tutte le carte, a ogni giro scarti quella più bassa o inutile. Devi cercare di sabotare il mio gioco o impedirmi di vincere, intuendo le mie mosse e bloccandole.»
La ragazza annuì con sicurezza ma non sembrava aver afferrato molto. Jole rimase lì più di quanto avrebbe dovuto, godendosi la dolce pace serale. Amava momenti come quello, che profumavano di calore e chiacchiericci bassi, dolci, di giovani dal grande cuore, che le avevano dato un motivo per sorridere di nuovo alla vita.
Dopo un po' Kingsley scese le scale in pigiama, i pantaloni larghi della tuta incastrati nei calzettoni e una fascia da jogging che gli tirava indietro i capelli dalla fronte. Passò accanto a Jole senza salutarla e si mise alle spalle di Athena, sbirciando il gioco. Gabriel vinse un numero spropositato di volte, sebbene Kingsley cercasse di aiutare la nuova arrivata, sedendosi vicino a lei e scegliendo le carte al posto suo. Athena non si spazientì mai, annuiva e continuava a provarci, fallendo.
Jole non ne fu certa, ma credette di aver intravisto un luccichio in quegli occhi tanto grigi e cupi, una luce che prima non c'era.
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