Capitolo 16
Sukie era definitivamente uscita fuori di senno. May la guardava dallo specchio e si chiedeva perché mai avesse acconsentito, una sera di alcune settimane fa, a seguirla in quella follia.
Adesso si voleva far chiamare la Maledetta. Per May non aveva senso. Tra tutti i soprannomi che la sua migliore amica poteva scegliere per identificarsi in quella banda di matti, proprio uno inquietante e tenebroso doveva affibbiarsi? Sukie affermava che l'aveva scelto a causa del padre, che l'aveva maledetta quando era bambina, essendo nata bastarda da una cameriera civettuola e bellissima.
«Posso venire anch'io?»
April, sdraiata sul tappetto della camera di May, stava supplicando la sorella da mezz'ora.
«Ti ho già detto di no.»
April sbuffò. «Ma perché no?»
Sukie fece un altro giro sulla sedia girevole e si diede la spinta con i piedi contro la scrivania per finire davanti alla faccia di April. «Perché è pericoloso per una bambinetta come te.»
May fece una smorfia e April si rabbuiò. Si tirò su a sedere e incrociò le braccia al petto, gli occhi fiammeggianti incastrati in quelli nivei di Sukie. «Non sono una bambinetta. So cavarmela da sola.»
May finì di appuntarsi il rossetto sulle labbra e si girò verso le due. «Non si tratta di questo, Apes. È davvero pericoloso e tu servi qui a farmi da copertura.»
«E perché dovrei?»
«Perché ti voglio tanto bene.»
April alzò gli occhi al cielo. «E secondo te basta?»
May aprì le labbra e Sukie scoppiò a ridere. «Dovrebbe bastarti, bambinetta.»
«Voglio dieci diademi.»
«Cinque.»
«Sette.»
«Affare fatto.»
Quando Sukie e May sgattaiolarono fuori dalla casa nella zona industriale, la sera era calata come un manto sulla città e le nuvole coprivano la luna in cielo che si era presentata già dalla mattina.
«Non ho intenzione di fare tardi. Alle due si torna a casa» esclamò May con convinzione. Sukie la strattonò per un braccio e incrociò le loro mani.
«Come sei noiosa. Facciamo le quattro.»
«Non tratterò con te come ho fatto con April. Alle due si torna a casa, non voglio sentire storie.»
«Io rimango» disse Sukie con il broncio.
«Tuo fratello è d'accordo?»
«Colby non ha voce in capitolo. Lui mi ha trascinato dentro questa storia.»
May annuì affranta. Se non fosse stato per il Lupo, Sukie non avrebbe mai preso in considerazione l'idea di entrare a far parte della Banda. May non aveva ancora fatto sapere la sua e nessuno aveva insistito. Stava prendendo tempo fingendo di pensarci quando cercava solo di stare il più possibile accanto a Sukie per proteggerla senza finire diritta nelle fauci del nemico. Ad esempio, non aveva scelto alcun nome per sé e non l'avrebbe fatto. Era ridicolo. Anche se ci aveva pensato un paio di volte.
Scosse la testa e continuò a guardare dritto davanti a sé, riconoscendo le strade della zona industriale grigie e piatte, che lentamente si trasformavano in sentieri sempre più stretti e bui.
May si era sempre tenuta piuttosto lontana da The Circle e da tutti i pericoli che portava con sé, sebbene suo padre spacciasse da quelle parti e fosse piuttosto famoso nei quartieri dove circolava ciò che vendeva. Era la seconda volta che s'incamminava con i pugni stretti lungo i fianchi e il cappuccio calato sulla faccia in quelle tenebre, subito dopo che Sukie aveva ricevuto una chiamata. Ci sarebbe stato un incontro e, poiché l'ultimo d'iniziazione era saltato a causa di chissà quale problema, avrebbero tutte dovuto presenziare nuovamente. E Sukie aveva convinto May a tornare con lei.
«La prossima volta chiediamo un passaggio» bofonchiò May per distrarsi sia dal dolore sordo alle ginocchia sia dai rumori che le circondavano. Sukie si ancorò al suo braccio ma non sembrava impressionata.
«E a chi?»
«Tuo fratello?»
Sukie rise aspramente. «Colby usa la macchina per i suoi affari e ha gli orari tutti scombinati. Potremmo chiedere a Raymond.»
May alzò di scatto la testa. «Assolutamente no.»
«Perché? A me sembra un'ottima idea invece, così magari mi darà un po' di pace.»
May sbuffò. «Non lo devi più trattare così di merda Sukie, ne abbiamo già parlato. È mio amico e prima di tutto è amico di Thorne. Lo stai facendo soffrire.»
Era la verità ma May non voleva assolutamente coinvolgere Raymond nella storia anche perché così avrebbe protetto Thorne dall'unico segreto che gli teneva nascosto. Lui non sapeva della sua folle idea di proteggere Sukie, non sapeva che di notte sgattaiolava per raggiungere il buco più pauroso e pericoloso di The Circle. Non avrebbe approvato e si sarebbe arrabbiato parecchio. Più di tutto, May temeva la sua delusione. Non voleva che credesse che fosse quel tipo di ragazza e seppure gli avesse spiegato la situazione, Thorne avrebbe avuto dalla sua l'incazzatura. Avrebbe avuto tutte le ragioni per volere che May evitasse un posto del genere e lei non avrebbe potuto biasimarlo.
Sukie rimase in silenzio per un po' e prima di inerpicarsi sul sentiero che avrebbe portato alla serra si fermò e si girò verso May. «Lo sai che io non amo Raymond, giusto?»
May la guardò negli occhi. «Sì, è piuttosto palese.»
«Non potrei mai amare uno come lui.»
Era questa la parte che May proprio non capiva. Raymond era un ragazzo dolcissimo, un po' burlone e pigro, ma era un vero genio della tecnologia. Il suo sorriso era larghissimo e le sue orecchie un po' troppo grandi per il suo volto tondo, era basso ma compensava con la simpatia.
«So che non si comanda il cuore, ma il suo lo stai facendo completamente a pezzi.»
Gli occhi di Sukie brillarono nella notte che si stava annunciando.
«Lo so» disse sospirando. «E mi dispiace molto per questo. Gli voglio bene, so che ci tiene a me.»
May le afferrò le mani e le strinse. «Allora metti un taglio a quello che avete. Solo così puoi rimediare a tutta la merda che gli hai spalato addosso ultimamente.»
Sukie sussultò ma non si sorprese della schiettezza dell'amica. Meritava quelle parole. Annuì con un cenno secco e insieme s'incamminarono verso il tetro capannone.
Sembrava che fossero già tutti riuniti a cerchio, mancavano solo loro. Dentro le luci artificiali erano attaccate alle pareti e al pavimento e rendevano l'ambiente un po' meno da brividi. Nell'aria alleggiava l'odore pungente e dolciastro della marijuana e dell'alcol rappreso e scaduto. Dalla cerchia si levavano nuvole grigie e sbuffi. Le ragazze erano strette sui fianchi dei ragazzi, qualcuno gridava e rideva, qualcun altro ringhiava. Sukie si fece spazio a suon di gomitate per vedere meglio e May le andò dietro con la testa bassa. Qualcuno si era accorto di loro ma non le infastidirono. Dopo il rituale, tutte le ragazze novelline sarebbero entrate a far parte definitivamente della Banda e sarebbero state alla pari di tutti i vandali che da anni appestavano l'isola rivendicandone il potere ancestrale. Per ora, però, erano mere distrazioni. Negli angoli bui e contro le pareti sporche si erano già rifugiati ubriachi e libidinosi che a suon di sorrisi e moine avevano convinto le ragazze a lasciarsi andare a qualche bacio. Altre respingevano gli abbracci, vogliose di assistere alla lotta.
Nel mezzo del cerchio, May riconobbe i due gemelli. Entrambi indossavano magliette a maniche corte e una tuta comoda, i piedi erano scalzi. Attorno a loro era stato disegnato un cerchio rosso, perfetto, che ricordò a May il colore prepotente del sangue.
«Si affrontano il Ladro e il Bugiardo» mormorò Sukie con la bocca sorridente. «Studiamone le mosse, May. La prossima volta toccherà a noi.»
Lei inghiottì un sussulto. Sperava proprio di non dover mai assistere a una lotta tra ragazze. Gli uomini potevano essere feroci, tirare pugni micidiali e incutere timore, ma le donne erano scaltre e crudeli; la loro ira affilata e i loro occhi maliziosi potevano infliggere torture ben peggiori di un calcio alle costole.
La lotta iniziò appena il Leader fece un fischio, in piedi sul cassonetto, il suo trono. Geyer tirò il primo pugno che Red schivò con un'agilità sorprendente. Erano i più vecchi della Banda, nonostante i loro vent'anni. Erano forti e alti, i muscoli guizzavano a ogni movimento. May trattenne il fiato per tutto l'incontro. Non faceva il tifo per nessuno, sperava solo che non finisse in un bagno di sangue. Sapeva che quegli scontri erano come gli spettacoli dei gladiatori, a eccezione della tremenda fine fatale per uno dei due contendenti. Si trattava di teatro, recita, un divertimento e un continuo ricordo di chi erano e cosa ci facevano lì dentro, in quella vita. Un promemoria di chi avevano deciso di essere, dei guerrieri che sarebbe voluti diventare. Geyer sferrò un altro pugno e dal pubblicò si levò un boato entusiasta. Red si era scansato ancora, e girava attorno al fratello come lo stesse prendendo in giro. Sembrava calmo, l'espressione impassibile e le labbra strette in una linea sottilissima. Geyer era già sudato sul collo e sulla schiena, Red faceva scricchiolare le dita delle mani, pronto per sferrare il suo unico, micidiale colpo.
Arrivò inaspettato e May sobbalzò. Un gancio sinistro dritto sulla mandibola di Geyer, che gli fece ribaltare la testa all'indietro e sputare sangue. Dopodiché fu un massacro. A ogni calcio, schiaffo e pugno con cui Geyer colpiva il fratello faceva uscire un ruggito primordiale, come a rivendicare il suo posto nel mondo. Red a volte parava, altre incassava senza emettere un fiato. Solo le ragazze esultavano dalla gioia, acclamando l'uno o l'altro, mentre tutti gli atavici membri si limitavano a battere le mani e sorridere d'ebrezza, gli occhi vacui e le guance rosse.
May si ritirò alla fine del gruppo stringendo le braccia al petto. Sukie gridava più forte di tutte, bevendo a sorsi da una bottiglia che qualcuno le passava.
Alla fine dell'incontro, Blaise si congratulò con i due combattenti, senza proclamare alcun vincitore. Fece riunire le ragazze e concesse loro di rimanere a ballare e far festa tutta la notte, come un battesimo delle loro nuove anime.
Red, rosso in faccia e livido sulle braccia, si ritirò a un angolo della stanza, tamponandosi il labbro gonfio con un canovaccio mentre Geyer finì ai piedi di May. Lei si scostò, cercando di lasciargli dello spazio, quando notò l'occhio nero scheggiato da un vetro.
«Ti serve una mano?» non riuscì a impedirsi di chiedere. Geyer aprì l'occhio buono e le sorrise. Si girò sulla schiena e si passò una mano tra i capelli.
«Avvicinati.»
La voce roca le metteva i brividi, un sussurro nella sua testa le ripeteva di scappare ma sapeva di non correre alcun pericolo, lì dentro non le avrebbero fatto del male. Lì dentro, inverosimilmente, era più al sicuro che in qualsiasi altro posto di The Circle. La Banda proteggeva la famiglia.
May s'inginocchiò e Geyer s'issò su un fianco, per vederla in faccia.
«Sei nuova?»
«No.»
«Non ti ho visto agli incontri precedenti.»
Il suo occhio livido e il labbro spaccato gli deturpavano la faccia ma al naturale era tanto simile a Red da passare perfino per un bel ragazzo. I capelli erano più lunghi e più smunti, più castani, più grigi, ma gli occhi erano decisamente più neri. Quel sorriso storto gli ricordava il pericolo più sfrenato. E non ne era attratta.
May non rispose e indicò con un cenno la sua guancia martoriata. «Hai del vetro incastrato nella ferita.»
Geyer portò una mano sulla faccia e con una smorfia si tolse il pezzetto incriminato.
«Come ti chiami?» le chiese sguainando i denti. A May si chiuse la gola. Non voleva dirglielo, non voleva far sapere chi era, perché altrimenti non sarebbe più potuta tornare indietro.
Prima di cadere rovinosamente nel burrone, Sukie venne in suo aiuto. Gridò di gioia e si mise a cavalcioni su Geyer, afferrandogli le spalle.
«È stato mitico!» esclamò esuberante, ubriaca.
«Sukie?» la chiamò May preoccupata, ma la sua voce fu brutalmente messa a tacere dalle risate sguainate di Geyer. Ancorò le mani ai fianchi di Sukie, fingendo di non provare dolore a ogni mossa.
«Fammi vedere quanto sei maledetta» le ringhiò soffusamente e Sukie, invece di spaventarsi, suggellò le loro labbra e si lasciò condurre da lui in un angolo disgustoso e impolverato. May la vide andare via trattenendo a stento le lacrime. Dall'altra parte del capanno, un paio di occhi neri la fissavano ma, come lei, non fecero niente per impedire la catastrofica conseguenza di un'ineluttabile miseria.
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