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63- Danni collaterali


«C'è una donna nel campo, vestita da soldato!» gridò un uomo chiamando i suoi compagni a raccolta. Correva tra le file di tende allineate schivando le gambe dei soldati stravaccati a terra, mentre varie teste spuntavano dalla stoffa per capire cosa fosse quel trambusto.

«Che diamine vai raccontando?» lo fermò un soldato, risoluto.

«Davvero, me l'ha detto Brooke. È scoppiato un casino! Quel colpo d'arma da fuoco è servito a sedare una rissa, non l'avete sentito? Io ho temuto che ci attaccassero...»

«Sì, be' c'è stato un po' di chiasso, ma è finito talmente in fretta che non ho avuto voglia di alzarmi dalla branda per controllare...»

«È la fidanzata di un ufficiale» intervenne un altro che li aveva raggiunti di corsa, mentre un gruppo di curiosi andava a stringersi intorno.

«Come sarebbe?»

«Ma no, hai capito male: è una puttana» sostenne il primo con orgoglio per aver portato tale notizia in anteprima.

«Puttana o fidanzata, pare che quell'ufficiale sia coinvolto» rispose piccato il secondo, ancora con un leggero fiatone.

«Un ufficiale? E chi sarebbe?» chiese uno del gruppo.

«Non ho capito, uno della cavalleria.»

«Be', andiamo a dare un'occhiata. È carina almeno?»

«Non l'ho vista. Me l'ha raccontato Brooke, vi ho detto.»

Il gruppetto eccitato si mise in moto seguendo l'uomo che aveva portato la notizia. Era successo qualcosa di straordinario a rompere la monotonia di quei giorni di marzo.

Robert si affacciò da dietro la tenda dove si era nascosto giusto in tempo per vederli andare via. Era impietrito: la parola "donna" l'aveva colpito come una secchiata d'acqua fredda. Era rimasto immobile a origliare, incapace di reagire.

Non poteva essere vero... Però tutto quel parlottare eccitato era prova del contrario. Era accaduto.

Non sapeva come, ma quello che avevano tanto temuto fin dal primo giorno era successo. Quella donna era sua sorella, non c'era dubbio.

Espirò con forza rimuginando su ciò che aveva sentito, poi si riscosse e si avviò guardingo in cerca dei fratelli. Non voleva che nessuno lo intercettasse, ma erano tutti troppo impegnati a discutere sull'accaduto per notare una figura che scivolava tra le tende silenziosa.

«A Fort Leavenworth c'era una ragazzina pestifera, la figlia del maggiore Becker, ve la ricordate? Be', magari la femmina che hanno trovato non è la fidanzata di Jonathan Becker, magari è sua sorella...»

«E il tenente avrebbe rischiato così la sua carriera portandosela dietro? Mi pare impossibile...»

«Già, i due Becker sono troppo seri per fare una cosa del genere. Vedrai che con la ragazza non c'entrano nulla: secondo me, O'Brian l'ha sparata.»

Robert tentava di non prestare ascolto a tutte le voci che captava sul percorso, ma era impossibile. Quella era la notizia del momento e ne stavano parlando tutti. Un senso di nausea lo colse all'improvviso mentre diventava sempre più cosciente del disastro.

«Ti assicuro che le ho viste con i miei occhi! Quella aveva un bel paio di tette! Non capisco come abbiamo fatto a non accorgercene prima.»

A queste parole Robert si bloccò di scatto.

«Non dire stronzate, tu non le hai viste.»

«E tu che ne sai? Sei arrivato tardi...»

Che significava? Cosa poteva essere successo? L'idea che sua sorella fosse rimasta mezza nuda davanti a quegli uomini lo faceva uscire di senno. Non era possibile!

«Sarò anche arrivato tardi, ma ho visto come si teneva la giubba stretta: non credo che il capitano l'abbia obbligata a metterle in mostra.»

«Credi male, io le ho viste. È proprio un bel bocconcino! Se il tenente si stufa di lei, ci faccio un pensiero» si vantò con orgoglio un soldato e Robert dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non saltare in mezzo a quegli uomini e prenderli a sberle. Ansimando per la rabbia strinse il pugno più volte poi si rimise in cammino.

Doveva raggiungere i suoi fratelli al più presto o sarebbe impazzito a sentire altre illazioni e offese.

Trovò Sabrina seduta davanti alla loro tenda, in mutandoni e camicia e con i capelli fradici, si teneva le ginocchia strette e dondolava fissando il vuoto. Jonathan era accanto a lei, in silenzio.

«Sabrina!» la chiamò e lei ebbe un sussulto di terrore al sentire il suo vero nome. Robert corse ad abbracciarla. Lei era rigida per la sorpresa e la paura, ma subito si abbandonò tra le sue braccia e si aggrappò a lui con disperazione, sciogliendosi in lacrime e farfugliando parole sconnesse.

«Quell'irlandese e suo fratello... erano ubriachi... mi hanno preso di peso e gettato nell'abbeveratoio... hanno tentato di affogarmi... poi nella foga si è strappata la camicia e... e...»

Robert le sussurrava di calmarsi, ma tremava di rabbia.

«Io non volevo... non volevo...»

«Shhh, non è stata colpa tua, adesso basta...», e continuò a tenerla stretta. 

Jonathan rimase a osservarli e si sentì uno sciocco. Robert aveva agito con spontaneità regalandole il giusto tepore che desiderava, mentre lui si era occupato solo delle faccende pratiche, come farle togliere i vestiti bagnati e cambiare la biancheria, ripulire la ferita al labbro, il tutto in silenzio, senza capire che avrebbe potuto aver bisogno soprattutto di una manifestazione d'affetto.

Sabrina se n'era andata.

Era stato tutto molto veloce: il confronto con gli ufficiali più alti in grado; Robert che svelava l'identità della ragazza non sopportando più che venisse trattata come una prostituta; il colonnello Clayton che annoiato decideva di rispedirla dal maggiore suo padre per levarsela di torno il prima possibile. Poche ore dopo la scoperta del suo status, era stata caricata su un carro traballante e scortata fuori dal campo.

Nessuno dei suoi compagni aveva osato parlarle, nemmeno quelli con cui aveva più legato in quei mesi. Tutti l'avevano guardata con stupore e indignazione e l'avevano osservata infagottare le sue cose in silenzio e venire portata via.

I due fratelli avevano seguito tutta l'operazione, tanto ormai la loro reputazione era perduta, inutile fingere di non essere coinvolti.

Il capitano si era ritirato nella sua tenda e aveva demandato ad altri l'ingrato compito. Durante l'incontro con gli ufficiali non aveva lasciato trapelare nessun sentimento di simpatia per quella ragazza che tanto aveva coccolato quando credeva si trattasse di un maschio.

Jonathan aveva trascinato via Robert non appena il carro era scomparso dalla loro vista e si erano rifugiati nella zona delle stalle.

«Maledetto!» pronunciò tra i denti mentre sferrava un calcio a un secchio abbandonato. Il rumore della latta che cozzava sul terreno si perse nel silenzio del crepuscolo, provocando appena un debole nitrito di protesta. «Avrei dovuto spaccargli una gamba a quel figlio di puttana, prima che potesse combinarci questo scherzo.»

Robert gli posò una mano sulla spalla, sconsolato.

«Ci abbiamo provato, Johnny. Più di così cosa avremmo potuto fare?»

«Rendere innocua quella feccia di O'Brian» ringhiò il più grande.

Robert rimase in silenzio.

«Magari avresti potuto risolvere il problema dei due irlandesi, anche se non vedo come, ma ci sarebbe stato sempre qualche altro rischio. L'abbiamo fatta franca per sette mesi... forse abbiamo abbassato la guardia credendo che ormai fossimo a posto.»

Jonathan scrutò il fratello, sospirando. Era vero, ma lo stesso avrebbe voluto piantare una pallottola in fronte a quel tipo, giusto per vendicare la sorella. Il ricordo dei suoi grandi occhi neri sbarrati, il labbro sanguinante e la camicia strappata sotto la giubba gli faceva ribollire il sangue. Suo fratello aveva ragione: avrebbe potuto essere scoperta perché ferita in battaglia o in qualche altra maniera, ma essere stata smascherata a causa dell'accanimento di due idioti rancorosi che si divertivano a tormentarla era qualcosa di insopportabile.

Robert estrasse dalla giubba un pezzo di tabacco e ne strappò un morso, passando il resto al fratello. Jonathan lo imitò, poi si lasciò cadere seduto appoggiando la schiena a un palo, rovesciò la testa all'indietro e chiuse gli occhi.

Rimase così per un po' a masticare con rabbia finché non fu scosso da un singhiozzo. Robert si voltò a guardarlo. Stava piangendo. I palmi delle mani stretti sugli occhi e le spalle che sussultavano, in un pianto che tentava di soffocare, rabbioso.

Con un sospiro, Robert si sedette al suo fianco e gli passò una mano intorno alle spalle. Lui era semplicemente troppo affranto per riuscire a sfogarsi, una pietra gli bloccava lo stomaco.

«Ti rendi conto che non ti ho praticamente mai visto piangere da quando sei un uomo, se non per quella piccola testa calda?» pronunciò in tono ironico ma pieno d'affetto.

«Vai al diavolo!» gli rispose, però aveva cominciato a ridere tra un singhiozzo e l'altro.

«Mi piacerebbe che Sabrina ti vedesse adesso, non lo crederebbe possibile...»

Jonathan reagì d'istinto, alzando la testa e dandogli uno spintone che lo fece cadere sul fianco.

«Prova a raccontarglielo e spacco la testa a te invece che a quel fottuto irlandese» ringhiò, ma stava ridendo anche se le lacrime non avevano del tutto smesso di scendere.

Robert sorrise tirandosi nuovamente a sedere: suo fratello era una miscela esplosiva di emozioni contrastanti e lui gli voleva bene per questo. Prese un altro pezzo di tabacco e si mise a ruminare mentre spiava Jonathan che estraeva un fazzoletto dalla tasca e si soffiava rumorosamente il naso. Il tramonto era ormai concluso e tutto intorno si stava facendo buio. Con malinconia pensò alla sorella in viaggio verso casa e sospirò ricordando quanto affiatamento c'era stato tra di loro in quei mesi. Ora era tutto finito.

«Secondo te, come reagirà nostro padre?» osò chiedere dopo un lungo silenzio.

«Non lo so... temo il peggio. Ma è pur sempre suo padre, no? Cioè, quando eravamo ragazzini ci ha scorticati per bene con quel suo frustino, però ci ha sempre voluto bene.»

«Ci ha scorticati per molto meno, però...» rispose serio Robert.

«Tu temi che fosse davvero convinto quando ha scritto quella lettera?»

«Lo era... Non dico che arriverebbe sul serio a ucciderla, però temo davvero la sua reazione. Non credo che si accontenterà di spellarle il sedere con lo scudiscio.»

Jonathan rimase in silenzio. Era lo stesso timore che lo tormentava da quando avevano ricevuto quella lettera disgraziata a Natale.

La luna si stagliava nel cielo scuro in tutta la sua bellezza e Robert prese a osservarla con interesse. Era sempre la stessa, là nel buio ogni notte, eppure fermarsi a guardarla ogni tanto era piacevole. Quella palla argentata li fissava placida dal suo regno tranquillo, nulla la turbava e la luce bianca che spandeva rendeva le serate meno cupe. Chissà se anche Sabrina la stava osservando; di sicuro non Emily chiusa in un una prigione, ma quel satellite poteva essere un ponte verso la sorella.

«E a noi? Che capiterà? Non credo che il capitano ce la faccia passare liscia una cosa del genere» riprese Robert, distogliendo il pensiero dalla ragazza prima di farsi vincere dalla malinconia.

«Comincia a salutare le tue mostrine» rispose il fratello e si alzò con un certo sforzo, come se il peso di tutta la tensione sopportata per mesi si fosse abbattuta di colpo su di lui.

Robert rimase in silenzio e poi si decise a seguirlo, mesto. La possibilità di essere degradati con disonore era piuttosto difficile da digerire, ma era molto probabile.

«Signori, vi stavo cercando per conto del capitano Garret. Vi aspetta nella sua tenda.» Un caporale si era fatto loro incontro mentre camminavano verso l'accampamento. Jonathan lanciò solo una breve occhiata in direzione del fratello prima di procedere dietro al sottufficiale.

Robert inspirò forte e si adeguò agli ordini, con la stessa espressione di un condannato che si dirige al patibolo.

«Ah, signori Becker, entrate. Caporale, vada pure» esordì, girandosi verso i nuovi arrivati.

La sua tenda era molto più grande di quella data in dotazione agli altri soldati. Oltre alla branda c'era posto per una scrivania, su cui troneggiavano alcuni bicchieri e una bottiglia di liquore, un lavabo e una bella stufa che scaldava piacevolmente l'ambiente, oltre a dei tappeti consunti posati a terra per isolare dall'umidità del terreno. Robert notò questi dettagli con una fitta di dolore: se fossero tornati a essere semplici soldati si sarebbero scordati per un pezzo queste piccole comodità. Si sarebbero ritrovati a dividere l'angusto spazio di una tenda con altri quattro uomini e questo dettaglio gli sembrò una condanna peggiore di molte altre.

Il capitano aveva un'espressione dura che gli avevano visto poche volte in volto. Non era il solito uomo indolente e tranquillo che avevano imparato a conoscere in quei mesi. Non si accomodò come di consueto, non si accese un sigaro né li invitò a prendere posto sulle sedie. Stava in piedi rigido, fissandoli, e si capiva che era profondamente adirato. Le candele accese mandavano barbagli sinistri sul suo viso.

Robert lanciò un'occhiata di sottecchi al fratello come per chiedergli se dovevano forse iniziare loro a parlare, ma Jonathan rimase composto e in silenzio.

«Bene, signori, forse avete qualcosa da dire in merito alla faccenda?» li interrogò dopo un'attesa che a Robert parve interminabile. Stava per rispondere, ma il fratello lo zittì con un cenno perentorio.

«Non abbiamo niente da dire a nostra discolpa, signore. I fatti sono evidenti» pronunciò fermo.

«Bene, quindi avete deliberatamente vestito vostra sorella da uomo e ve la siete portati appresso» li accusò l'uomo.

«Più o meno. Non era questa l'intenzione, ma di certo è il risultato visibile e non abbiamo alcuna scusante» replicò calmo senza farsi intimidire, quasi che stesse parlando di una caffettiera o una partita di tabacco insoddisfacente. Robert non sapeva se ammirarlo o meno. Lui avrebbe preferito raccontare tutto, ma forse il fratello aveva ragione: non erano fatti che dovessero interessare il loro superiore.

«E adesso? Come dovrei comportarmi io?»

I due non risposero.

«La tentazione di degradarvi è forte, ma vi confesso che non vorrei altri al vostro posto. Anche se avete tradito la mia fiducia.»

«Ci spiace di questo, ma lei capisce che era una questione che non avremmo potuto condividere» ribadì Jonathan, fermo.

«No, suppongo di no... Ma vorrei sapere che cosa vi è saltato in testa quando avete vestito in quel modo la ragazza, davvero credevate di poterci ingannare tutti?»

«Mi sembra che ci sia riuscita piuttosto bene...»

«Brutto insolente!» Il capitano scattò avanti e Robert pensò per un istante che avrebbe colpito suo fratello, ma l'uomo si fermò davanti al giovane che non era indietreggiato di un passo.

«Con tutto rispetto, signore, è la verità. Nostra sorella si è comportata da buon soldato e probabilmente avrebbe continuato in questo modo se non fosse stata scoperta. Adesso non le resta che il disonore e a noi le conseguenze di una scelta sbagliata.»

«E io sono stato coperto di ridicolo» concluse lui tra i denti.

Jonathan evitò di ribattere.

«Bene, almeno su questo siamo d'accordo.» Li fissò, torvo. «Per adesso non vi degrado, ma vi spedisco al corpo delle guardie e a sistemare la palizzata con la truppa nelle pause. Se riuscirete a farvi comunque rispettare dai soldati, nonostante tutti i pettegolezzi che gireranno e le parole di scherno che giustamente incasserete, allora continuerete a essere i miei ufficiali. Se invece gli uomini della truppa non vi accetteranno più come tali, be', vi sarete scavati la fossa da soli» disse, poi diede loro le spalle e si andò a sedere dietro la scrivania.

Robert deglutì a fatica e notò che il fratello aveva stretto i pugni per un momento prima di rilassare le mani e fingere noncuranza.

«Adesso sparite dalla mia vista, tra qualche giorno vi comunicherò la mia decisione» concluse secco e i due si affrettarono a eseguire il saluto militare prima di uscire.

Zitti, camminarono fianco a fianco per raggiungere la loro tenda, rigidi e seri mentre un chiacchiericcio spiacevole giungeva alle loro orecchie e accompagnava i loro passi. Gli uomini già bisbigliavano alle loro spalle e non avrebbero smesso tanto presto.

Al riparo da sguardi indiscreti, Jonathan lasciò cadere il freddo contegno che aveva saputo mantenere davanti al superiore. Mentre il fratello chiudeva i lembi della tenda, con una manata fece cadere a terra pennino e calamaio appoggiati su di una cassa, imprecando, poi si buttò sulla branda con un braccio sugli occhi. Fuori il fuoco acceso donava appena una debole luce che filtrava dalla stoffa e Robert si affrettò ad accendere una candela prima di sedersi a sua volta sulla branda e sospirare.

«Dai, poteva andare peggio» osò pronunciare, incerto.

Jonathan saltò su dalla branda come se l'avessero scottato.

«Peggio? Quello ci ha messo alla berlina! Sciroppateli tu una serie di turni di guardia e lavori forzati mentre ci prenderanno tutti per i fondelli...»

«Me li sciropperò anch'io, stai tranquillo» ribattè piccato. Erano entrambi nella stessa situazione.

Jonathan si infilò le mani tra i capelli e prese a scompigliarseli con gesti nervosi.

«Ci ammazzeranno... Siamo socialmente finiti!» realizzò.

«Adesso smettila di fare il bambino! Sei stato egregio davanti al capitano: continua a comportarti da uomo. Lo sapevamo fin dall'inizio che ci saremmo giocati la reputazione con questa storia, è il motivo per cui nostro padre non la prenderà affatto bene. Abbiamo infangato il nome della famiglia... Ma dobbiamo reagire, o finiremo ancora più a fondo.»

Jonathan smise di torturarsi i capelli e fissò il fratello che si era alzato a fronteggiarlo. Aveva ragione.

Li aspettava una prova terribile, ma se non avessero perso la testa e si fossero ricordati chi erano e da dove venivano, potevano farcela. Erano ancora degli ufficiali, al momento. Non si sarebbero fatti mettere i piedi in testa da nessuno.

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