Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

42- Addestramento

«In sella!» gridò il capitano della compagnia e una ventina d'uomini si sbrigarono a obbedire. Erano giorni ormai che pattugliavano i confini con il Missouri in cerca dei Ribelli o loro tracce. Chi non usciva in ricognizione si dedicava a  completare l'addestramento o era impegnato in noiose corvée.

«Tenente Becker» il capitano richiamò Jonathan, affiancandosi alla sua cavalcatura mentre gli uomini sfilavano ordinatamente fuori dal perimetro del forte.

«Come procede l'addestramento?»

«Gli uomini sono in buone mani con il sergente maggiore, signore, sa il fatto suo» rispose senza scomporsi, nonostante avesse impressa negli occhi l'immagine della sorella mentre veniva duramente ripresa per la sua debolezza fisica.

«E il ragazzetto? Come se le cava?»

«Come ci si aspetterebbe» cercò di svicolare.

«Perché non lo seleziona mai per una di queste uscite? Potrebbe fare esperienza» chiese accendendosi pigramente un sigaro mentre il cavallo manteneva un'andatura all'ambio, comoda e confortevole, tanto da farlo sembrare un dandy in gita più che un comandante.

Robert lanciò un'occhiata penetrante al fratello.

«Signore, il ragazzo è ancora troppo inesperto» pronunciò secco.

«Ma in sella è un piccolo fenomeno, l'ho visto» lo rimbeccò il capitano assottigliando gli occhi.

«Certo, signore, non discuto, ma se prende in mano un'arma temo che potrebbe sparare a uno dei nostri» replicò con un sorriso ironico, sperando che bastasse a porre fine a quell'assurda conversazione.

Il capitano annuì soddisfatto e Robert lasciò andare il respiro che aveva trattenuto senza rendersene conto.

«Vediamo di farlo crescere quel ragazzo, mi spiacerebbe che ci rimanesse secco alla prima occasione» concluse allontanandosi per raggiungere la testa della colonna.

Jonathan non rispose, fingendo di accusare il colpo ma segretamente soddisfatto di aver rimandato ancora una volta il coinvolgimento della sorella in operazioni all'esterno: finché rimaneva al forte era al sicuro.

Certo, aveva le sue belle grane anche là dentro e il fatto di essere un soldato semplice non agevolava le cose: lei doveva starsene con la truppa e non poteva mischiarsi con i graduati. Conveniva che lui e Robert prestassero attenzione a non mostrarsi spesso in sua compagnia e far passare l'inusuale frequentazione come semplice simpatia e desiderio di protezione di un ragazzo troppo giovane per essere mandato in guerra.

Ma questo non era abbastanza: era chiaro che Sabrina stava affrontando momenti duri e doveva cavarsela da sola per la maggior parte del tempo.

Rimaneva sempre in disparte con uno sguardo torvo che scoraggiava qualunque cameratismo, il che poteva essere utile per la sua copertura, ma la mancata integrazione con gli altri la rendeva un paria e alcuni soldati avevano cominciato a prenderla di mira. Era il soggetto ideale per gli scherzi di cattivo gusto di uomini annoiati e idioti ed era un miracolo che la ragazza ingoiasse gli insulti e le risate senza reagire. Poi ci si era messo pure il sergente maggiore, bollandola come "piscia-a-letto" durante un'esercitazione disastrosa e affibbiandole un soprannome che difficilmente si sarebbe scollata di dosso.

Jonathan era davvero preoccupato e sapeva che le stesse inquietudini erano condivise dal fratello, anche se evitavano di parlarne. Bastava che si guardassero negli occhi quando la vedevano passare per intendersi alla perfezione: come ragazzino era credibile, ma come soldato era un disastro. Anche se lui non voleva ammetterlo; a differenza del fratello era ancora convinto che una sorta di miracolo fosse possibile e che la sorella riuscisse a riabilitarsi: era più forte di quanto pensasse e poteva farcela. Doveva farcela. Non c'erano altre soluzioni.

«L'hai vista Sabrina?»

Robert entrò nella loro baracca e si avvicinò con passo deciso al fratello alle prese con un bottone che si era staccato dai pantaloni, la sua inquietudine era evidente.

«Sì, perché?» rispose distrattamente mentre cercava il rocchetto del filo nel suo tascapane. Era sicuro di averlo preso in mano poco prima e ora non riusciva a trovarlo.

«Che le è successo, stavolta?» lo incalzò Robert.

«Due cretini l'hanno presa di peso e scaraventata nello sterco dei cavalli: uno scherzo idiota. Ho fatto loro rapporto» spiegò spostando alcuni oggetti sul tavolo, ancora assorto nella sua impresa.

«Se non la smettono di tormentarla, finirà male» cercò di scuoterlo, ma l'altro si limitò a dire "Già" visibilmente impegnato nei suoi affari più urgenti.

«Jonathan! Vuoi darmi ascolto, sì o no?»

Il giovane sbuffò portando lo sguardo sul fratello.

«Sì, ti ascolto. Che ti devo dire? Non posso starle appresso tutto il giorno per difenderla. Sembra un povero ragazzino e sai anche tu quanto quegli uomini si divertano a tormentare gli sprovveduti!» disse allargando le braccia e riprendendo la sua ricerca.

«Stava per mettersi a piangere» chiosò serio.

Jonathan cambiò espressione.

«Cosa?»

«Esatto, stava per mettersi a frignare come una scolaretta.»

«E tu?»

«Le ho detto che i ragazzi non piangono.»

Jonathan sospirò.

«Temo che ceda alla pressione e si faccia scoprire in qualche modo stupido...» incalzò Robert.

«Senti, è più forte di quello che credi: ti ricordi come ha resistito ai Sudisti, no? In fondo i primi giorni sono stati tremendi... le hanno affibbiato tre turni di guardia di seguito! Per non parlare delle esercitazioni. Noi cerchiamo di tenerla d'occhio con discrezione e se qualche altro soldato si diverte alle sue spalle gliela faccio passare io la voglia.»

«Il fatto è che è una mezza sega... non può resistere a lungo» rispose Robert sconsolato.

«Non è una mezza sega, Cristo!»

«L'hai vista lavorare? Fa pena! Non regge il ritmo... Quando l'ho osservata tagliare la legna, ho temuto che si desse l'accetta su un piede.»

«Va bene, ma chi se ne importa? Sembra un ragazzino troppo mingherlino, tutto qui! Se la sta cavando alla grande... e poi in sella si è guadagnata il rispetto degli altri: nessuno potrebbe pensare che si tratti di una femmina.»

«Non fino a quando prende in mano la sciabola, almeno... o la pistola.»

«Ci penso io, d'accordo? Chiederò un permesso al capitano per darle qualche ripetizione con le armi. Ma tu smettila di pensare che non ce la farà: dobbiamo crederlo noi per primi!»

I due rimasero a fissarsi con astio per un intenso attimo, dandosi silenziosamente la colpa a vicenda di quella situazione assurda. Robert strinse le labbra per non lasciarsi sfuggire l'insulto che premeva per uscire e Jonathan si scrocchiava le nocche, nervoso. Dovevano restare uniti se volevano riuscire in quell'impresa folle, non potevano mettersi a litigare di nuovo. Sospirando, Robert distolse lo sguardo in segno di resa.

«È lì sul tavolo» disse.

«Che cosa?»

«Il rocchetto che stavi cercando... Proprio davanti ai tuoi occhi.»

E se ne andò lasciando solo il fratello.

Sabrina seguì il fratello maggiore in un angolo appartato del forte, oltre le scuderie. Le aveva detto di portarsi appresso la Colt perché si sarebbero esercitati un po'.

Non era molto entusiasta: avrebbe preferito andarsene a dormire e porre fine a quella giornata pesante. La vita nell'esercito non era così facile come se l'era immaginata; o meglio, non si era mai aspettata che sarebbe stato semplice, ma l'essere continuamente presa in giro da due soldati la deprimeva. Non mancavano occasione per tirarle qualche scherzo stupido e lei non li sopportava più.

I fratelli O'Brian erano dei bulli della peggior specie, due irlandesi spesso ubriachi che si divertivano a tormentarla chiamandola "piccolo scozzese" — o peggio, "piscia-a-letto" come l'aveva battezzata quel bastardo del sergente maggiore — e tirandole qualche colpo basso. Se solo avesse potuto reagire l'avrebbe fatto, ma il timore di finire nei guai e gli avvertimenti di Jonathan e Robert la trattenevano dal rispondere atono e l'obbligavano a subire ogni piccola angheria.

Secondo il maggiore doveva rimanere indifferente e si sarebbero stancati presto di quel gioco perverso, però più passavano i giorni più quei due rincaravano la dose in attesa di una sua reazione... Aveva provato a confidarsi con Robert, ma lui aveva liquidato il problema. Forse non aveva capito che non si trattava di scherzi sporadici: arrivavano sempre dagli stessi due personaggi che l'avevano messa nel loro mirino. O forse lo sapeva, ma lo stesso non riteneva necessario intervenire per darle una mano. Doveva cavarsela da sola.

«Allora, fammi vedere un po' come spari» l'apostrofò dopo aver sistemato alcuni barattoli di latta su una staccionata.

Sabrina sospirò, estrasse l'arma dalla fondina e tese il braccio per prendere la mira. Jonathan la osservava critico. Quando fece fuoco, mancò il bersaglio.

«Ci metti troppo tempo a prendere la mira» giudicò secco.

Sabrina lasciò cadere il braccio stanco, sbuffando.

«Dovrò pur guardare il bersaglio prima di sparare, no?!»

«Se rimani con il braccio teso troppo a lungo, comincia a tremarti la mano: a quel punto è inutile mirare bene» rispose sarcastico.

«E allora come diavolo dovrei fare?»

«McEnzie! Attento a come parli...» la rimbeccò.

La ragazza soffiò rumorosamente l'aria, in segno di sfida.

«Ricordati chi sei e chi sono io per te, hai capito?»

«Va bene...»

Il giovane alzò un sopracciglio e Sabrina levò gli occhi al cielo esasperata.

«Sì, signore, mi perdoni.»

«Così va meglio. Non dimenticartelo.»

La ragazza era talmente nervosa per tutta la situazione che avrebbe potuto sparargli. Così, tanto per levargli quell'espressione soddisfatta dalla faccia e sfogarsi: aveva l'impressione che lui si divertisse un mondo a ottenere il suo rispetto e sottomissione gerarchica. Poi respirò a fondo cercando di calmarsi: quello era suo fratello e stava solo cercando di aiutarla, si convinse.

«Riprova. E sii più rapido.»

Sabrina armò il cane e alzò il braccio in direzione dei barattoli, fissò la scanalatura sulla canna e sentì la mano avere un leggero fremito. Sconfitta, abbassò l'arma chiudendo gli occhi, frustrata, poi sospirò. Si rivide sotto la pioggia scrosciante, con le lacrime che le offuscavano la vista e un Confederato che si avvicinava al piccolo galoppo. Immaginò che avesse il viso di Quantrill e un brivido di rabbia le scivolò nelle vene: non sarebbe mai più successo. Rialzò il braccio decisa e sparò. Un barattolo ebbe un leggero sussulto: l'aveva colpito di striscio.

«Così va meglio, sii deciso. Ancora» la incalzò.

Sabrina sparò gli altri quattro colpi ottenendo due centri. Jonathan sembrava soddisfatto e la ragazza si concesse un abbozzo di sorriso.

«Bene, ora vediamo come ricarichi» disse estraendo dal taschino il suo orologio.

«Muoviti.»

Sabrina si riscosse e aprì la sacchetta della polvere nera. Vedere il fratello che teneva d'occhio il tempo l'innervosiva, ma non poteva desistere. Tirò il cane in posizione di sicura e facendo ruotare il tamburo inserì la polvere nera in una camera di scoppio, poi prese una pallottola dalla borsetta appesa alla cintura e l'inserì nel foro, spingendola bene in fondo con il calcatoio fissato sulla canna del revolver stesso. Afferrò una capsula a percussione e stava per inserirla sul luminello quando il fratello la frenò.

«Attento... le capsule vanno per ultime dopo che hai caricato tutti i colpi. Metti che ti parta il cane senza volerlo: ti scoppierebbe in mano.»

Sabrina rimase ferma un attimo: l'agitazione le stava per far compiere un'azione stupida. Doveva calmarsi e riprendendo il controllo ricominciò a inserire la polvere e le pallottole nelle varie camere di scoppio. Per ultime aggiunse le capsule.

«Fatto.»

Il fratello la osservò in silenzio per qualche istante.

«Non è male, ma devi decisamente diventare più rapido o non riuscirai a ricaricare in caso di bisogno.»

Sabrina sospirò delusa.

«Adesso pensa a sparare.»

La ragazza prese la mira ed esplose i sei colpi a disposizione colpendo i barattoli tre volte.

«Direi che stiamo migliorando. Il problema è che sparerai in sella. Se da fermo non riesci a centrare il bersaglio, in movimento sarà difficile. Ritenta, e stavolta sbrigati a ricaricare» le disse freddo e professionale nel suo ruolo.

Riprovarono altre due volte, migliorando sensibilmente il risultato, fino a che l'arma si inceppò.

«Va bene, per stasera basta. Quando torni alla tua baracca, smonta l'arma e puliscila bene: si è inceppata per via dei residui di polvere nera.»

«Ti ricordi quando nostro padre ci ha mostrato la sua Colt mentre la stava ripulendo?» esordì Sabrina, inaspettatamente malinconica.

Jonathan si guardò intorno, allarmato: non c'era nessuno nei paraggi per fortuna.

«Me lo ricordo, ma non dovresti tirare fuori certi argomenti qui, lo sai...» Si avvicinò a sussurrarle.

La ragazza sembrò riscuotersi dai suoi pensieri e annuì.

«Scusa» si limitò a dire, affranta. Il pensiero del padre la tormentava da giorni: non aveva fatto parola della sua scomparsa nelle lettere per i figli, se non un accenno generico, senza importanza. Non gli importava nulla di lei, forse si era liberato di un peso.

Jonathan sospirò.

«So che è dura per te, te lo leggo in faccia ogni giorno. Ma non è questo il momento di lasciarsi prendere dallo sconforto.»

Sabrina mosse su e giù la testa in fretta, ingoiando le lacrime che minacciavano di traboccare. Non poteva stare zitto?

«Te l'ha già detto Robert, mi pare» azzardò.

«I ragazzi non piangono» affermò deglutendo.

«Esatto.»

«Non sto piangendo» rispose con aria di sfida.

Jonathan le appoggiò le mani sulle spalle, soddisfatto.

«Così ti voglio. Adesso va' a dormire.»

Sabrina gli fece il saluto militare e si allontanò sotto lo sguardo triste del fratello. Quella ragazza si stava impegnando molto e lui non poteva aiutarla più di così senza destare sospetti. Se fosse stato un soldato di truppa, le sarebbe stato più vicino, ma la differenza di grado li costringeva alla separazione e rendeva tutto più complicato per lei. Sospirando si avviò alla sua baracca.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro