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26- Vendetta




L'inverno aveva ormai ceduto il passo alla bella stagione e i giorni erano diventati lunghi come non mai, anzi sembravano dilatarsi e contrarsi in base al momento. Le lezioni e le esercitazioni con il capitano Campbell erano una lenta agonia, le notti troppo brevi e infestate di pensieri spiacevoli che turbavano il sonno.

Robert aveva perso il sorriso e Jonathan era livido di rabbia.

Aveva appena finito di leggere la lettera che suo padre aveva scritto a entrambi e aveva una gran voglia di prendere a pugni qualcuno, chiunque, giusto per calmarsi.

Non capisco cosa vi succeda, ma temo che non stiate affrontando la scuola seriamente come mi aspettavo. Dopo un inizio incoraggiante mi ritrovo, a qualche mese di distanza, a leggere un rapporto critico sul vostro rendimento. In particolare mi delude il tuo, Robert. Ti eri sempre dimostrato un ragazzo diligente e non capisco come tu possa essere ora tanto mediocre. Ti chiedo di impegnarti maggiormente negli studi senza farti distrarre da altro, perché è evidente che ci deve essere dell'altro che occupa i tuoi pensieri. Jonathan, sebbene non possa rimproverarti per i tuoi voti, devo comunque dirti che mi delude il fatto che tu non riesca a tenere sotto controllo tuo fratello e spronarlo a fare meglio, come mi scontenta il sapere che il tuo comportamento non è quello che ci si aspetterebbe dal figlio di un ufficiale. Come ti sei permesso di mancare di rispetto ai tuoi superiori? So che il capitano Campbell ti ha punito per la tua insolenza recentemente e che una zuffa è stata impedita sul nascere grazie all'intervento dei tuoi compagni, baruffa di cui tu sei stato l'artefice.

Jonathan strappò la lettera senza finire di leggerla e la gettò a terra, suo fratello era pallido.

«Johnny...»

«Non gli permetto di scrivere che sei un mediocre!»

Robert deglutì e tacque: lui era preoccupato soprattutto del fatto che suo fratello avesse cominciato a perdere il controllo, tanto da guadagnarsi la prima punizione dal capitano oltre un mese prima. L'ufficiale era rimasto sorpreso nello scoprire che alla fine il ragazzo aveva reagito alle sue provocazioni, ma non nel modo in cui aveva immaginato: non si era unito ai più forti della classe. L'aveva colto alla sprovvista difendendo Robert e Jeff e fissandolo con un cipiglio insolente che avrebbe mandato in bestia chiunque, non solo un uomo come il capitano... E si era preso la briga di comunicarlo al padre: era davvero meschino.

«Cosa ne sa lui di quello che succede qui? Se solo potessi...»

«Fare cosa? Jonathan, guarda in faccia la realtà: quell'uomo mi odia e rischi di finire anche tu nella sua lista nera... E nostro padre non è disposto a giustificarci.»

Jonathan era pronto a ribattere, ma Robert non glielo permise: era sempre più pallido eppure determinato a impedire al fratello di fare altre sciocchezze.

«Ha anche saputo che ti stavi mettendo nei guai con Perkins... e non sa ancora che è successo di nuovo qualche giorno fa! Devi piantarla di difendermi. So badare a me stesso, anche se non sembra.»

Il ragazzo sbuffò dando un calcio alla lettera strappata. Avrebbe ammazzato di botte Matt se non l'avesse smessa di infastidire suo fratello, poi avrebbe trovato il modo di vendicarsi del capitano: le conseguenze non gli interessavano. Se il padre era capace di crederli così abbietti tanto valeva esserlo davvero, almeno avrebbe avuto ragione a criticarli duramente. Evitando di  voltarsi indietro si allontanò senza rispondere al richiamo di Robert: voleva stare da solo.

L'altro si chinò a raccogliere la lettera strappata, le orecchie ronzavano per l'angoscia. Buttò l'occhio per leggere qualche parola sparsa qua e là sperando di poterla interpretare in maniera più favorevole, ma non c'era scampo a quella condanna. Il padre li disprezzava ed era tutta colpa sua. Perché non si rendeva semplicemente conto che quella non era la sua strada? Che venisse a prenderlo, rimproverandolo di non essere all'altezza magari, ma che lo portasse via da quel luogo liberando lui da un peso e lasciando stare il fratello che non si meritava quelle critiche.

Sospirò. Invece no: a lui toccava stare lì e cercare di fare del suo meglio per proteggere Jonathan, per evitargli di essere trascinato sul fondo con lui. Ma come poteva convincerlo?

Ripiegò i pezzi di lettera e se li ficcò in tasca. Forse più tardi avrebbe trovato la forza di rispondere, scusandosi per tanta inettitudine e cercando di scagionare Jonathan dalle accuse, ma non gli avrebbe raccontato dei piccoli soprusi e delle umiliazioni quotidiane: temeva che fossero da considerarsi normali e non voleva fare la figura della femminuccia. Meglio sembrare svogliato o poco diligente che senza spina dorsale.

«Cadetti, attenti!» gridò con voce stentorea il capitano mentre passava in rivista i suoi allievi.

I ragazzi stavano ben dritti e piantati sulle gambe, fissando davanti a sé senza osare muovere un muscolo. Chissà cosa aveva in mente quel giorno il loro istruttore. Nessuno sembrava ansioso di scoprirlo e tutti speravano di avere la divisa sufficientemente in ordine per passare inosservati.

«Oggi faremo esercizio con la sciabola. Un ufficiale che si rispetti, così come qualunque soldato di cavalleria, deve saperla maneggiare con destrezza.»

Fu ordinato di mettersi a coppie e iniziare a tirare di scherma. Tutti si davano un gran daffare per sembrare abili, in ansia per un eventuale giudizio del capitano. Dopo una buona mezz'ora l'istruttore li fece fermare e rimettere in riga, con un sorrisetto stampato sul volto che faceva presagire il peggio.

«Bene, signori, come inizio può bastare, anche se la vostra tecnica è alquanto rozza. Vediamo qualche stoccata di base. Signor Becker!»

Robert si irrigidì d'istinto e poi, cercando di non tradire il nervosismo, rispose alla chiamata senza la minima esitazione: non c'erano dubbi che quell'uomo volesse lui e non il fratello.

Il capitano gli fece cenno di mettersi in guardia e lo invitò ad attaccarlo. Robert ebbe un momento di esitazione.

«Signor Becker, non sia timido» lo sfidò con un sorrisetto sarcastico.

Robert deglutì e si preparò all'attacco. Quando tentò un affondo, il capitano parò senza sforzo e restituì il colpo mancandolo per poco. Il ragazzo temette che volesse fare sul serio e un sudore freddo cominciò a colargli tra le scapole mentre si concentrava a parare i colpi, senza perdere l'equilibrio.

L'ufficiale interruppe l'offensiva per commentare alcune stoccate. I cadetti lo fissavano seri e preoccupati: era evidente a tutti che Robert era in difficoltà e che lui non stava simulando un combattimento. Jonathan era immobile, solo la tensione della mascella a tradirlo, come se stringesse qualcosa tra i denti. Fissava suo fratello con determinazione, quasi a intimargli di non farsi battere: non l'avrebbe sopportato.

«Questo è un fendente» disse l'ufficiale, mimando un colpo in diagonale dall'alto in basso e sfiorando con la lama il ragazzo che ancora ansimava per lo sforzo.

«Tiri su quell'arma! Questa è una cavazione» continuò, illustrando il movimento a spirale della sua lama contro quella di Robert. «Serve a eludere una parata.»

Robert sembrava un fantoccio di paglia. Quello era il valore che gli stava dando il capitano e non reagiva mentre l'ufficiale illustrava tutti i colpi sfiorandolo pericolosamente con la lama a ogni mossa. Avrebbe potuto radere la sua timida barba giovanile se si fosse avvicinato di mezzo pollice e questa consapevolezza contribuiva a innervosirlo.

«Ricominciamo. Cerchi di darsi da fare questa volta. In guardia!»

Robert vide lo sguardo di suo fratello e cercò di reagire.

L'offensiva riprese con più violenza; il ragazzo faticava a tenere il ritmo, ma era ben deciso a non farsi umiliare e temeva che se gliel'avesse permesso quell'uomo avrebbe finito per ferirlo davvero. I compagni tenevano lo sguardo incollato su quello scambio furioso di colpi e non osavano respirare.

Il capitano simulò un fendente, ma era solo una finta e quando Robert alzò il braccio per pararlo, scoprendo il fianco, l'uomo lo colpì con un affondo lacerandogli la giubba appena sotto l'ascella. Il ragazzo lasciò cadere la sciabola con un'esclamazione di sorpresa e dolore e si allontanò tastandosi con le dita lo squarcio nella divisa. Quando ritrasse la mano, si accorse con orrore che era rossa di sangue e fissò spaventato l'istruttore.

«È solo un graffietto» minimizzò l'uomo, ma Jonathan era già accorso a controllare mentre i ragazzi perdevano l'allineamento scambiandosi sguardi e commenti spaventati.

«Cadetti, in riga! Ordine!» gridò il capitano avviandosi verso i due ragazzi. «Anche lei, signor Becker, non c'è bisogno...», ma non riuscì a terminare la frase che Jonathan si alzò in piedi, staccandosi da Robert, e gli camminò incontro sfoderando la sua sciabola.

«Se la veda con me, capitano, invece che prendersela con mio fratello. Vediamo chi dei due finisce con un graffietto

«Signor Becker, rinfoderi la sua arma: come si permette di sfidarmi?»

«Se lei è un uomo, non rifiuterà di darmi soddisfazione per questo...» disse torvo, indicando il fratello a terra con un cenno del capo. «In guardia, capitano, io non ho paura!»

L'ufficiale sembrò esitare per un attimo, poi vedendo gli sguardi carichi di entusiasmo degli altri ragazzi si lasciò sopraffare dalla rabbia; quel piccolo insolente l'avrebbe pagata cara: non gli avrebbe permesso di fargli fare la figura del codardo.

Jonathan attaccò e il capitano sollevò la sciabola d'istinto dando inizio a un duello in piena regola. I ragazzi persero il controllo e cominciarono a incitare il compagno con grida eccitate. Solo Robert era immobilizzato dal terrore: le sue paure stavano prendendo forma nel modo peggiore... Suo fratello minacciava con una sciabola il loro istruttore per causa sua.

Il capitano era un abile schermidore, ma il ragazzo aveva la furia e l'impeto della giovane età dalla sua e ribatteva a ogni stoccata con parate sicure e colpi vibranti di rabbia. Poco a poco costrinse l'ufficiale a indietreggiare e quando lo incalzò con un affondo gli fece perdere l'equilibrio, mandandolo a gambe all'aria. L'uomo ansimava pieno di rabbia, a terra, e Jonathan gli puntò la sciabola alla gola con occhi infuocati.

«Fermi tutti! Che sta succedendo qui?»

Il sergente maggiore era accorso, seguito da un tenente e un altro paio di soldati, richiamato dalle grida di incitamento. Temeva ci fosse in corso una rissa e mai avrebbe pensato di trovarsi di fronte un cadetto che puntava una sciabola alla gola di un istruttore.

«Questo insolente mi sta minacciando!» gridò il capitano Campbell e Jonathan lasciò cadere l'arma con un sorriso innocente. «Ci stavamo solo esercitando... Il capitano ha perso.»

Nessuno osava respirare e il sergente maggiore fissava la scena perplesso: oltre al capitano e al cadetto, c'era un altro giovane a terra, con la giubba inzuppata di sangue. Vide il tenente accorrere in suo aiuto. 

«Un'esercitazione alquanto bizzarra...» commentò.

Il capitano si alzò in piedi, spolverandosi la giubba, poi puntò il dito contro il ragazzo con autorità e malcelato livore.

«Sergente, porti questo cadetto in guardina! Ha osato sfidarmi trasformando l'esercitazione in un duello: non possiamo tollerare un simile affronto alla mia autorità! Farò rapporto al maggiore Turner e agli altri ufficiali.»

Il sergente maggiore sembrò avere un attimo di esitazione vedendo le espressioni di sorpresa e orrore dei presenti, ma il tenente intervenne con decisione.

«Signor Mansel, obbedisca agli ordini. Io accompagnerò questo ragazzo in infermeria e poi sarò molto felice di ascoltare il suo rapporto insieme agli altri ufficiali, capitano Campell.»

Jonathan sputò a terra con disprezzo prima di essere portato via, mentre Robert aveva gli occhi lucidi, non per il dolore alla ferita ma per l'angoscia.

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