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CASSETTA 9

11 dicembre 2033

«Non è male questa casa» esclama Viola, mentre si aggira a passo lento nel salotto di quel trilocale.

Passa con distrazione due dita sui mobili in legno, osserva le ampie finestre dalle quali filtra una lieve luce autunnale, l'alba dell'inverno — fa freddo già da un po'.

Manuel la scruta da distanza, sulla sua sedia posta accanto al divano. Anche a lui piace quell'alloggio, nel complesso: B non è il massimo, ma l'appartamento che avevano in affitto precedenza, in attesa dell'immobile acquistato da ristrutturare, era in una posizione troppo scomoda per la sua condizione: troppe scale, nessun ascensore, un corridoio eccessivamente stretto, un bagno non accessibile.

Quello, invece, si trova al piano terra, una camera da letto grande dove può muoversi senza intoppi e un'altra serie di sistemazioni tra mura e mobilio che non gli impediscono nulla.

C'è persino una rampa all'ingresso per consentirgli di superare gli unici tre gradini presenti nell'androne.

Ha pensato a tutto, Simone: a trovare una sistemazione nuova in tempi record grazie ad una rete di conoscenze con spazi abbastanza ampi, sufficiente illuminazione, poco rumore.

Manuel si sente morire ogni volta che ragiona su un simile aspetto, che sono quelle le preoccupazioni che gli dà: una rampa per tre gradini che non può salire altrimenti. E poi le altre cose che di attraente, desiderabile non hanno nulla.

Pensa alle medicazioni, ai farmaci, alle visite, al fatto che spesso deve accompagnarlo persino in bagno.

Scuote la testa per non lasciare vincere quelle frasi che lottano di continuo nella sua testa.

Finge un colpo di tosse. «Seh, uhm—è un bel posto» commenta. Si stringe nelle spalle e comincia a torturarsi le dita, a strappare piano i minuscoli lembi di pelle attorno alle unghie.

«Che c'è?» domanda Viola. È stato facile per la ragazza notare il suo nervosismo, il suo essere poco o nulla presente. Si avvicina con lentezza al fratello e prende posto sui cuscini del divano, così da essere alla medesima altezza.

Lui scuote il capo. «No, nulla» prova a dissimulare.

«Manuel,» viene rimbeccato «mi pare che ormai ti conosco abbastanza bene per sostenere l'esatto contrario.»

Sì, vero.

Non sono cresciuti insieme come dei normali fratello e sorella, però hanno sviluppato quella connessione speciale negli ultimi anni ed è un po' come averlo fatto — essere uniti, comprendersi nel silenzio.

«So' cazzate» borbotta Manuel – non lo sono per niente – «e non so nemmeno se me sento a mio agio a parlarne co' te.»

«Mh-m, prova. Se è un argomento scomodo, te lo dico e la finiamo.»

Sospira. Ha continuato a massacrarsi le mani per tutto il tempo. «È per Simone» sussurra e abbassa il capo.

«Che novità. Che ha fatto?»

«Nulla, non–è perfetto.»

«Allora qual è il problema?»

Sbuffa e alza lo sguardo. «Che non pare più er fidanzato mio, ma il mio badante.»

Viola ha messo in conto che il malessere del ragazzo potesse corrispondere a qualcosa del genere, infatti la sua espressione non è affatto sorpresa.

«Si sta solo prendendo cura di te» prova a dire.

«Non serve.»

«Lo so che vuoi fare quello forte e infallibile, però ti assicuro che un po' di aiuto non guasta.»

Manuel si passa una mano sul volto, esausto. È consapevole che serve, che senza alcuni tipi d'aiuto sarebbe perso e non può concedersi il lusso di rifiutare, però ha un limite.

«Viola, m'ha fatto il bagno» sentenzia.

«Beh, è una cosa romantica.»

«Te posso giurà che quella cosa era tutto fuorché romantica.»

«Sei tu che la vedi in quel modo» puntualizza la sorella «perché ti senti vulnerabile e lo consideri come un obbligo per lui, ma non è così.»

«Non sò io, è così» rimbecca subito Manuel. Vorrebbe usare un tono più alto, eppure la sua voce si spezza verso la fine. «M'ha promesso che niente sarebbe cambiato, che m'avrebbe guardato come faceva prima e invece non lo fa» gracchia. «Me guarda come fa mi' madre, come se fossi–rotto

«Tu ti senti rotto?»

«No.»

La prima risposta che gli esce fuori di bocca è quella: istintiva, sintetica.

No, però, forse lo sono.

«Non so' rotto,» attesta «so' sempre io

A volte pensa che sia una favola che si racconta per andare avanti: che non è cambiato nulla quando, invece, ogni cosa è diversa; eppure, impavido, continua a sostenere di essere lo stesso, con gli stessi obiettivi, la medesima forza.

Una favola che non prevede lieto fine dal momento che lui stesso è fragile e in un futuro roseo non ci ripone più alcuna speranza.

Fingo di essere ancora io e voglio che gli altri ci credano.

Viola rimane in silenzio, quasi quell'ultima affermazione avesse prodotto eccessivo rumore e ci fosse la necessità di lasciar disperdere il suono nell'aria. Esita, dopo allunga una mano e va a stringere piano quella del fratello.

«Sei sempre tu e lo sa pure lui, ne sono certa» dice, tranquilla – reputa veritiera la favola, a quanto pare – «sta cercando di essere un appoggio per te. Magari sbaglia, magari esagera pure e tu puoi farglielo notare. Il punto è che devi farlo e nella maniera giusta, senza tenerti dentro la cosa e sbottare alla prima occasione.»

«Gliel'ho già detto e ha fatto l'esatto contrario e continua a farlo, non–Viò, nemmeno me tocca più se non per farme alzà dal letto o pe' lavamme, non...»

«Digli pure questo.»

Dovrebbe dire all'uomo della sua vita che ha bisogno di fare l'amore con lui?

A Manuel pare una follia.

La considera un'esigenza naturale, come è sempre stato tra di loro – un bisogno fisico e innato che i loro corpi hanno; ciò nonostante, da dopo l'incidente, questo non si verifica più e ciò lo annienta.

Persino i baci hanno un sapore differente.

Viola percepisce anche quel nuovo malessere e sfrega l'indice sulle nocche del ragazzo. «Non credo d'aver mai visto due persone più innamorate di voi» sussurra «potete affrontare qualsiasi cosa.»

Una lacrima bagna la guancia di Manuel e non si preoccupa di asciugarla. «Se non ci riusciamo?» soffoca. «Se questa cosa ci–ci logora così tanto da distruggerci?»

Il loro è stato, in passato, un equilibrio instabile.

Solo che una volta il problema era la distanza fisica, dovuta a chilometri di separazione, e a quello c'è stato rimedio.

Adesso la situazione è ben diversa.

A ripensarci, quando Melania gli diceva che tutti possono lasciarsi, magari aveva ragione sebbene i problemi di allora paiono bazzecole a confronto di quelli che hanno ora.

«Ti stai fasciando la testa prima d'essertela rotta, scemo» ribatte Viola. Sforza una risata per alleggerire la tensione che si è creata. «E poi, per il contatto fisico... i medici te lo hanno detto che ci voleva un po' per recuperare su determinate cose.»

«Su Google dicono che ci vuole qualche settimana.»

«Ti fidi più di Google che dei medici?»

«No, ma...»

«Dio, Manuel, il prossimo passo sarà cercare online un tutorial su come fare sesso?»

Nelle tue condizioni, Manuel immagina che la ragazza vorrebbe aggiungere ed apprezza, però, il fatto che non prosegua e lo lascia solo intendere.

In parte, si reputa un briciolo stupido, eppure non riesce a cacciare via determinati pensieri.

Viola gli sta ancora accarezzando la mano. Sospira e si porge nella sua direzione per depositare un bacio sulla sua fronte. «Andrà bene, fratellone» soffia «a poco a poco.»

Manuel si limita ad annuire. «A poco a poco.»

***

18 dicembre 2033

Manuel prova a vivere la cosa a poco a poco, ma con esigue attività da svolgere durante la giornata ed eccessivo tempo solo con sé stesso, i pensieri sono troppi, estenuanti e soffocanti.

Le uniche occasioni in cui lascia l'appartamento sono per andare a fare una fisioterapia che trova inutile, dal momento che i medici sono stati piuttosto chiari a riguardo.

Noi ci speriamo, ma le possibilità che riprenda a camminare sono molto basse.

Il che implica che non accadrà mai per quanto suo padre si stia dannando per trovare specialisti, chirurghi d'alto rango che possano fare il miracolo.

Per il resto del tempo, Manuel resta in un appartamento vuoto: Simone lavora parecchie ore al giorno, mentre lui ha dovuto, per forza di cose, mettere in pausa la scuola di psicoterapia, anche se la reputa una cazzata e vorrebbe riprendere al più presto, giusto per avere qualcosa ad occupare la mente.

È solo, se non si considerano le visite di Anita che più volte gli ha proposto "ma se stessi qui qualche giorno? Così ve aiuto un po', sto con te" e non sa che scusa inventare per far sì che ciò non accada per quanto le voglia bene e apprezzi il suo aiuto.

Il punto è decisamente un altro.

Quella notte, Manuel non ha dormito.

Ha trascorso il tempo con gli occhi spalancati, sdraiato supino a fissare il soffitto laddove le luci dei lampioni in strada filtrano dalle persiane e riflettono linee astratte.

Simone è accanto a lui, su di un fianco. Dorme e il suo respiro è lieve e regolare.

Di tanto in tanto, Manuel lo osserva: pare tranquillo, sereno, almeno quando è avvolto nel sonno.

I minuti scorrono ancora e pesano — tanto, troppo.

L'alba arriva alle 7:29.

«Sei già sveglio?»

La voce impastata di Simone gli giunge alle orecchie centoventi secondi dopo.

Manuel volta il capo nella sua direzione e abbozza un sorriso sbieco, privo di reale entusiasmo. Spera le occhiaie e il viso smunto non lo tradiscano troppo.

«Mh-m» biascica. Lo vede stropicciarsi gli occhi prima di allungare una mano per raccattare il telefono sul comodino per controllare l'ora.

«Tra poco devo già andare» esclama Simone, che in genere si prepara e fugge via molto prima. Molla di nuovo lo smartphone dove l'ha preso e si tira su, seduto sul materasso. Si passa un palmo sul viso come se servisse a svegliarsi meglio. «Ti aiuto ad alzarti?»

Manuel ha cominciato ad odiare quella domanda perché il compagno gliela pone ogni mattina.

Ogni mattina lo aiuta ad alzarsi, a lavarsi, a indossare vestiti puliti.

Ogni mattina si prende cura di lui e lo detesta.

Perché quello non appartiene loro.

Non sono loro.

Simone sta già per mettersi in piedi per fare il giro del letto e accudirlo – senza una risposta. Prima che ciò possa accadere, tuttavia, Manuel lo afferra per un braccio. Lo tira e strattona, pure in malo modo. «Vie' qua» soffia.

Se lo sospinge addosso con forza, tutta quella che possiede.

L'altro gli finisce sopra e cerca di qualunque modo di non gravare troppo sul suo corpo col proprio peso. «Man–» fa per dire ed è fermato subito dalla bocca del compagno che lo aggredisce in un bacio smanioso, privo di attenzione e calma.

Simone è colto alla sprovvista, in ogni senso, poiché quella fretta, una simile bramosia disperata non è solita.

Manuel è allo sbaraglio. Lo bacia, lo tocca con avidità, gli graffia la schiena attraverso lo strato di cotone sottile della maglia del pigiama. Porta una mano tra i suoi capelli, all'altezza della nuca, e tira con vigore le ciocche in quel punto.

Con fin troppo vigore, tanto che gli provoca dolore e «Ahia! Ahi, Manuel» si lamenta Simone; a stento è in grado di parlare, dato che le sue labbra sono ancora assalite da quelle dell'altro ragazzo e gli tolgono il fiato.

«Man–Man... Manuel... Oh? Che... Man—Manuel!»

Deve imporsi un po' di più. A fatica, riesce a fermarlo, anche se è costretto ad afferrargli un polso e bloccarglielo sul cuscino, sopra alla testa. Analizza il suo viso. Nella penombra, scorge dei tratti disperati, confusi, il suo sguardo supplicante.

Ciò nonostante, Simone non si arrabbia. Al contrario, assume un'espressione docile, seppur confusa. «Che–che stai facendo?» domanda, per quanto poi sia chiaro.

Si tratta di un ulteriore quesito al quale Manuel non vuole rispondere. Infatti, prova a riprendere il bacio sollevando soltanto la testa, ma l'altro si scansa e attende ancora una replica.

Sbuffa. «Voglio scopa'» dice, serio. Per una seconda volta, si sporge nella sua direzione e, per una seconda volta, viene fermato.

Simone accenna una risata, un briciolo nervoso. «Come, scusa?»

«Hai capito.»

«Fin troppo. Da quando usiamo 'sti termini?»

«Ma che te frega dei termini» Manuel si spazientisce. Un terzo tentativo di ricerca del bacio si verifica e in tale occasione, con ulteriore forza e uno strattone, riesce nel suo intento.

Lo aggredisce con la propria bocca, gli morde il labbro inferiore.

Per un breve attimo, Simone lo lascia fare. Poi prova a interromperlo con delicatezza. «Okay, okay, okay» borbotta. «Ma facciamo piano, mh?»

Manuel ha l'impulso di urlargli che non ce n'è bisogno, che non vuole cura, premura e attenzione, che è pieno di quella e si sente soffocare. Tuttavia, non spiccica parola.

Si limita ad annuire fintanto che Simone lo guarda — con dolcezza, Cristo — gli accarezza piano una guancia, sfregando con un pollice sullo zigomo; in seguito, riprende a baciarlo in ogni punto del viso che riesce a raggiungere, persino sulla punta del naso, scende sulla linea della mandibola e sulla porzione di pelle del collo appena sotto l'orecchio.

Il cuore di Manuel sta palpitando. Lo percepisce martellare contro lo sterno e lui ha cominciato a sudare freddo. Socchiude le palpebre.

In una situazione normale — prima — avrebbe divaricato le gambe per concedere all'altro più spazio.

Prima, avrebbe cominciato a sentire l'eccitazione salire, gli arti gli avrebbero formicolato. Lo avrebbe fatto anche grazie alla mano di Simone che si è intrufolata sotto alla propria maglietta, a sfiorargli l'addome e la sottile linea di peli che dall'ombelico arriva al pube.

Tutto questo sarebbe accaduto prima.

Adesso, non sente niente.

Nessuna pulsione, nessun fremito.

Calma piatta.

Sa che Simone lo sta toccando, baciando e il suo corpo ha deciso di non fargli sentire assolutamente nulla.

Strizza le palpebre e una solitaria lacrima scivola sulla tempia a causa della posizione assunta.

La favola che si racconta prende una brutta piega, devia verso un finale amaro dove non esiste alcun "e vissero felici e contenti", bensì un "e vissero distanti e disperati".

«No...» mugola, col respiro smorzato. «Fermati, fe—fermati, fermati, fermati.»

Diventa una cantilena strozzata, mortificata.

Simone gli obbedisce nell'immediato: cessa ogni gesto e scivola su di un fianco per non pesargli ancora di più addosso. Lo fissa, preoccupato, ma Manuel non si volta, anzi, si porta le mani davanti al viso, a nascondersi — perché quello vorrebbe fare, sparire in quel preciso istante, diventare lui niente.

«Manuel...»

Ode il proprio nome venir pronunciato, ma non è in grado di rimuovere quello scudo che ha messo su. Crede di non avere neppure il coraggio di guardarlo in faccia.

Ed è un particolare, una sfumatura che Simone comprende. Infatti, attende qualche secondo e prova a togliere lui le mani da davanti al suo volto. Ci impiega un po', tempo e un briciolo di sforzo prima di riuscirci.

«Ehi,» sussurra «guarda che non è successo niente.»

Manuel ha preso a fissare il soffitto. I suoi occhi sono colmi di pianto, si sono arrossati, nonostante ogni sforzo per impedirlo.

«Non sento 'n cazzo» soffoca e soltanto allora si gira verso di lui. È mortificato, arrabbiato con sé stesso. «Me tocchi e non sento nulla, direi... direi che qualcosa è successo.»

«Invece no. Sei ancora in riabilitazione, è normale che...»

«Normale? Te sembra normale?»

«Sto solo dicendo che hai bisogno di tempo per riprenderti e se non possiamo scopare nel mentre, non è un problema.»

Simone accentua quel verbo di proposito, proprio perché non è un termine che gli piace, non uno che userebbe per loro due.

A Manuel sfugge una risata, isterica. «Certo, come no» commenta.

«Sto dicendo sul serio.»

«Non stai a dì sul serio! Noi lo facevamo sempre, era l'unica cosa che non ce mancava mai e mi stai a prende pe' er culo se me dici il contrario.»

«Ti farebbe sentire meglio se ti dicessi che mi manca quella parte?»

Non sa che rispondergli, ancora una volta, per motivi diversi. Lo ferirebbe, certo, e la delusione sarebbe ancora più grande.

Trema appena. «Non—non lo so» bofonchia.

Simone sospira e abbassa lo sguardo. È rimasto calmo. Con due dita accarezza piano un braccio del compagno, tracciando linee astratte. «Se ci penso, sì, mi manca, ma...» mormora «ma non è così importante e posso aspettare. E poi quando e se accadrà, magari sarà diverso o rimarrà uguale, non ne ho idea. Il punto è che—possiamo trovare mille modi per fare l'amore, io e te.»

Anche in quel momento, con le parole giuste e la tranquillità che contraddistingue il compagno, Manuel non è capace di sostenere il suo sguardo.

Infatti, punta gli occhi nuovamente al soffitto. Vorrebbe dirgli che, per quanto sia romantica e amorevole la sua visione, lui ne vede soltanto uno di modo ed è quello che non può più mettere in atto e si sente uno schifo per tale motivo, come se fosse un uomo a metà.

Una persona a metà.

Ed è un ragionamento pessimo, superficiale, ne è consapevole.

«Ehi» cerca di richiamarlo Simone.

La sua voce, tuttavia, quella volta non è in grado di lenire le ferite di Manuel che invece di rimarginarsi, si fanno sempre più profonde.

«Possiamo...»

«Me fai alzà?» interrompe in maniera brusca la sua frase, qualunque avrebbe potuto essere la sua proposta.

Non può vederlo, ma l'espressione dell'altro ragazzo assume tratti preoccupati, dispiaciuti; non può notare neppure che schiude le labbra per parlargli ancora.

Per quel che vale, non sopraggiunge ulteriore frase di conforto che si sarebbe rivelata inutile.

Sente soltanto il suo «Okay» appena accennato.

E poi l'ennesima giornata uguale, monotona e piatta ha inizio.

***

31 dicembre 2033

L'ultimo dell'anno, di solito, si fa il bilancio di ciò che è accaduto nei dodici mesi precedenti, si ringrazia per il bello ricevuto.

Manuel ha poco da essere grato al 2033, che gli ha portato via ogni cosa; la vita intera, se potesse azzardare.

Si sente fuori luogo a quella festa con sconosciuti, colleghi di Simone, in una sala troppo grande e rumorosa, agghindata con festoni oro, scritte pacchiane che recitano "Buon anno".

Buon anno, il cazzo.

Per di più, il cibo fa schifo, la maggior parte delle cose è surgelata ed è ben chiaro anche a lui che, di certo, non è uno chef.

Sono soltanto le dieci e mezza, il che significa che deve sopportare quel supplizio ancora per almeno un'ora e trenta minuti — di sicuro di più.

Giocherella con la forchetta nel proprio piatto contenente una tartare di manzo che non ha toccato, fermo ad un tavolo rotondo che si è svuotato non appena è partita la musica; gli ospiti si sono riversati in pista, a scatenarsi a passi di danza e cantare a squarciagola brani appartenenti alla decade del 2010 — tutti nostalgici di un periodo che lui a stento ricorda.

Accanto gli è rimasto solo Simone.

Quella sera è bellissimo, con una camicia bianca che gli illumina l'incarnato e una giacca blu scuro, ma si è scordato di dirglielo.

A dire il vero, dalla mattina in cui hanno tentato e fallito di fare sesso — fare l'amore — non gli ha rivolto la parola, a parte qualche monosillabo.

Sì, no, forse.

Gli ha detto no per la festa di Capodanno, ad esempio, però il compagno non lo ha ascoltato: lo ha costretto a indossare un completo giacca e cravatta, gli ha sistemato i capelli e caricato in auto.

Non che potesse scappare, ecco.

«Andiamo a ballare?»

Gli pare uno scherzo una proposta del genere da parte dell'altro e perciò gli sfugge una risata. Molla la forchetta nel piatto e si volta nella sua direzione. «Sei serio?»

«Assolutamente.»

«È un'idea un po' der cazzo, Simó.»

«No, non lo è.»

Simone si alza in piedi, lo fa in maniera un briciolo brusca, tanto da far traballare il tavolo. «Andiamo» ribadisce. Non è una domanda, suona come un ordine.

«T'ho detto de no» Manuel si lamenta ancora, ma non può fare nulla contro il compagno che muove la sua sedia e la trascina verso la pista stracolma. Cerca di bloccare le ruote con una mano, però rischia di farsi male in quel tentativo e deve rinunciare, alzando gli occhi al cielo.

Attorno a lui quegli stessi sconosciuti che hanno avviato conversazioni frivole alle quali non ha partecipato, gli sorridono e continuano a dimenarsi, a cantare a squarciagola un brano che non sa, sebbene forse qualche volta lo ha sentito alla radio qualche anno prima.

Crede, non ne ha idea, non è il suo genere.

Vuole andare via, vuole tornare a casa.

Vuole sparire, dissolversi.

Ovunque sarebbe meglio che quell'inferno.

L'adolescente che partecipava a mille feste con le birre del discount riderebbe di lui se lo vedesse in quel momento – annoiato e scocciato dove non dovrebbe esserlo.

Ma quel ragazzino di diciassette anni pensava pure che ogni cosa nella sua vita fosse la fine del mondo quando, in realtà, non lo era per nulla.

Quella è arrivata dopo.

Tiene lo sguardo basso, riportando le mani sulle ruote, pronto per girarsi e trascinarsi di nuovo verso il tavolo.

Tuttavia, Simone si ferma davanti a lui, piega il busto in avanti, appoggiando i palmi sulle ginocchia. Lo fissa, inclinando il capo su di un lato. «Balliamo» ribadisce. È estremamente serio e non disposto ad accettare un rifiuto.

«Non posso.»

«Certo che puoi.»

«Sei scemo o fai finta?»

«Esistono mille modi di ballare, così come esistono mille modi di fare mille cose, devi solo trovarli.»

«Non me va.»

«Stasera ti va.»

Torna in posizione eretta. Afferra entrambe le sue mani e incontra un leggero attrito a solo compiere quel gesto. Tenta di farlo muovere per quanto possibile, ma Manuel oppone resistenza e i loro movimenti risultano goffi, impacciati e meccanici, di sicuro non a ritmo.

Simone non ha intenzione di arrendersi, arrabbiarsi o litigare, per cui comincia a cantare quel brano che riecheggia nella sala: «Why are you ma-aad? When you can be glaad

Storpia un briciolo le parole ed è tutt'altro che intonato. Il resto della strofa non lo conosce bene, infatti biascica frasi a malapena comprensibili, frattanto che si avvicina al compagno. Riesce, in qualche modo, a prendere posto seduto sulle sue gambe. L'ultima volta che ciò è accaduto corrisponde al giorno delle dimissioni dall'ospedale.

«'Cause shade never made anybody less gay, so, oh-oh» lo esclama a pochi centimetri dalla sua bocca.

Forse a causa del sorriso che gli fa, dal modo in cui decisamente non è capace di cantare, come gli cinge le spalle e gli sfiora il viso con i polpastrelli, la maniera in cui ci prova...

Per questo — e probabilmente molto altro — Manuel ride. Lo fa per davvero, non per nervosismo, per isteria.

Succede per felicità, la stessa che non andava a trovarlo da parecchio.

Udire il suono della sua risata per Simone è meglio di tutta la musica del mondo.

Quest'ultimo itrova la sua mano, fa intrecciare le loro dita. Canta — stona — ancora, vicinissimo al suo viso, tanto da recepire il suo respiro addosso.

E Manuel, allora, si lascia trasportare, si concede quella tregua da ogni pensiero avverso, dalla negatività che ha inquinato il proprio essere.

Ride e cerca di stare dietro ad un brano a lui sconosciuto, ma che scopre avere una bella melodia; addirittura muove le ruote della sedia a tempo, con il compagno che gli resta addosso.

Durante quel ballo o per tutta la vita.

***

Tornano a casa all'una di notte.

C'è uno strano silenzio nel quartiere e nel loro appartamento, sebbene, di sicuro, i festeggiamenti non siano finiti ovunque.

Per esempio, loro al liceo sono rimasti in giro fino alle cinque del mattino, una volta.

Prima di andare via dal loro appartamento, hanno lasciato la stanza in disordine col letto sfatto, il piumone accartocciato, i vestiti caduti sul pavimento; questi vengono raccattati da terra da Simone, il quale si affretta a toglierli di mezzo affinché non siano d'ostacolo ai movimenti del compagno.

Manuel resta sulla soglia della porta.

Hanno ballato e cantato fino alla mezzanotte, facendo il conto alla rovescia e poi brindando; si sono baciati piano allo scoccare del primo dell'anno, con urla e schiamazzi intorno. Ed è stato bene.

Non credeva fosse più possibile.

Magari, pensa, è momentaneo.

Magari tra qualche ora sarà di nuovo in un baratro nero. Tuttavia, quello sprazzo di felicità e quiete non vuole lasciarlo andare, non così presto.

Avanza con lentezza, spingendo la sedia a rotelle di poco più di un metro. «Simo...» lo richiama.

Indaffarato, Simone si accorge con leggero ritardo del suo movimento e quando si volta rischia quasi lo scontro — per fortuna, ciò non si verifica. Lo fissa con aria interrogativa.

«Eri molto bello, stasera» dice Manuel. Lo guarda dal basso verso l'alto, con un sorriso delineato sulle labbra.

Simone sposta il peso del corpo da un piede all'altro quasi fosse in imbarazzo; che poi stanno insieme da talmente tanto tempo che complimenti del genere non dovrebbero più farlo arrossire, però ciò accade dal momento che non sentiva una frase simile provenire dalla sua bocca da prima dell'incidente.

Allora, le gote gli si tingono di un vivido rosa e lui si morde piano il labbro inferiore.

«Grazie, uhm...» borbotta.

«Fai l'amore con me?»

È una richiesta sussurrata che si disperde nell'aria con un leggero sibilo, però lo percepisce chiaramente.

Annuisce e basta e lascia cadere i vestiti che ha raccolto di nuovo a terra. Ci penserà dopo.

Ora la sua attenzione è catalizzata da Manuel, dalla sua richiesta che vuole esaudire che un po' coincide con la propria.

Lo aiuta a spostarsi, seduto sul bordo del letto, poi a togliersi il completo.

Si baciano, si accarezzano, si guardano, in un'assenza di suono riempita soltanto dal fruscio delle loro pelli.

Ed è vero che esistono mille modi di fare l'amore — di amarsi, a dire il vero: attraverso gli occhi, attraverso i respiri, attraverso il tocco in angoli del corpo che di solito si ignorano.

E poi ci si ama attraverso tanti piccoli gesti all'apparenza insignificanti, frasi minuscole come "ho visto questa cosa e te l'ho presa perché sapevo ti sarebbe piaciuta", "sono passato al bar, ecco, è il tuo dolce preferito, l'altro giorno ne avevi voglia", "sei triste oggi, vuoi parlarmi? Altrimenti restiamo in silenzio e ci abbracciamo, va bene uguale".

Ci sono infiniti modi di amarsi.

Simone e Manuel li conoscono tutti.

In un universo o nell'altro.

***

18 giugno 2034

Il punto è un altro.

Si può essere circondati da tutto l'amore del mondo, esso può tenere per mano nei momenti più bui, ma la verità è che, delle volte, il dolore è troppo grande.

Ci sono delle sofferenze, dei tormenti e affanni che sono in grado di corrodere dall'interno una persona: la cambiano, la consumano fino all'osso, la trasformano in qualcosa di irriconoscibile, in un fantasma di ciò che era.

Manuel è amato, da tutti, viene ricoperto di affetto, eppure questo non basta al cospetto di un mostro nero che lo divora.

E così si spegne, perso nell'oblio, nel suo struggimento perpetuo che viene alimentato ad ogni controllo medico, di fronte ad ogni cosa che non può più fare o deve adattare alle esigenze attuali.

Uno strazio.

«E qui c'è il camino!»

Non ha sentito nulla, nemmeno una parola. Sono da chissà quanto nella casa che hanno comprato in quella che pare un'altra vita, con i lavori che sono andati a rilento, ma adesso sono in dirittura di arrivo.

Per inerzia, Manuel ha spinto la propria carrozzina per le stanze che Simone gli ha mostrato che paiono enormi poiché ancora prive di mobilio.

Solleva di malavoglia lo sguardo, scorge un ampio sorriso sul volto del compagno, che ha allargato platealmente le braccia, felice e soddisfatto.

Tale entusiasmo viene smorzato dall'espressione funerea che ha assunto lui, annoiato, spento e distante.

«Non ti piace?» pigola allora Simone.

Manuel scrolla le spalle con noncuranza e si guarda intorno, distratto. «Ce stanno le scale» è il suo unico commento.

«Sì, lo so» biascica l'altro. È in piedi a qualche metro di distanza dal compagno. Le loro voci rimbombano tra le mura spoglie. «Devono mettere un montascale, ma è tra le ultime cose da fare, quindi...»

«Mh-m.»

«Però ti posso portare lo stesso di sopra, tii prendo sulle spalle e...» propone e già si sta indirizzando verso di lui per mettere in atto ciò che ha annunciato, tuttavia viene fermato da «Non ce sta bisogno.»

Si blocca dopo soltanto un passo. Purtroppo, ci ha fatto l'abitudine al suo cinismo, macabro sarcasmo e negatività perenne. Sperava solo che, in quel caso, un briciolo cambiasse.

Non è così.

Finge un colpo di tosse. «Il camino come ti sembra?» tenta di nuovo.

Ci prova sempre, da mesi, a prendere a picconate quel muro che si è innalzato tra di loro. Il problema è che gli pare di farlo inutilmente, di rimuovere un singolo mattone mentre l'altro ragazzo ne posiziona due.

«Co' la fortuna che c'avemo, appena lo accendiamo piamo foco noi e la casa.»

È l'ennesima risposta brusca che ottiene, in una sfilza di colpi che ha incassato durante l'ultimo periodo.

Gli sfugge una mezza risata pregna di frustrazione ed isterismo, intanto che si passa una mano sul volto.

Sta per arrendersi.

«Che c'è?» domanda allora Manuel — come se non fosse ovvio.

«C'è che ci ho perso ore di lavoro e di sonno per questa casa e sembra che non te ne importi niente.»

Indifferente, corruccia le labbra in una smorfia. «Io te l'ho detto che non serviva» attesta «potevamo venderla e recuperarce i soldi.»

«È casa nostra, Manuel.»

«Casa nostra dove io non posso anna' al piano de sopra da solo, Simó.»

«Giusto, perché non cammini. Non me lo ricordavi da ventotto minuti, era troppo.»

«Forse perché non cammino?» alza il tono e risulta amplificato dall'ambiente in cui si trovano.

«Non cammini, ma potresti non pensarci ogni cazzo di secondo?»

Simone sta vacillando. È esausto.

Se il dolore ha consumato Manuel, esso ha corroso, in qualche modo, il cuore buono di Simone, rendendolo fragile e adesso i suoi pezzi cominciano a crollare, a sgretolarsi frammento dopo frammento.

«Non pensarci, uh?» ribatte il compagno. «Tutta 'a vita mia gira attorno a fisioterapia e visite pe' questo, un po' difficile non pensarci

«La fai girare tu intorno a questo perché io ci sto provando a fingere che tutto sia normale, oggi ti ho portato a vedere questa casa, quella che sognavamo da dieci anni e l'unica cosa che noti tu è che manca il montascale.»

«Me spiace avvertirte der fatto che niente è più normale da mesi, da quella cazzo di sera!»

«Perché tu vuoi che sia così, Manuel! Potevi continuare a fare tutto: andare alla scuola di psicoterapia, a lavoro, a fare ogni cosa visto che sei circondato da ogni genere di aiuto, ma hai scelto di non farlo! Hai rinunciato alla scuola, a una carriera, a ogni cosa per restare a casa a piangerti addosso. E io ci sto provando a farti stare bene, in ogni modo, solo che sembra che nemmeno questo ti importi.»

«Beh, forse ce potevi pensà prima de farce finì fuori strada, no?»

È una sentenza micidiale quella che proviene dalla bocca di Manuel e ha un tono serio, rancorosa, invece, l'espressione che assume.

Dall'altra parte, Simone stenta a credere di aver davvero udito tali parole poiché più volte è stato rassicurato sull'esatto contrario, per cui è come un fulmine al ciel sereno.

«Pensi che sia colpa mia? Che ti ho rovinato la vita?» lo chiede con la voce che gli si spezza in gola, gli occhi che si sono fatti lucidi. Stringe i pugni lungo i fianchi e teme una risposta.

«C'eri tu al volante, non io» dice Manuel, secco, glaciale, distante.

Simone si è sempre assunto la responsabilità di quanto accaduto; spesso, di notte, ha avuto incubi a riguardo, vagliando ogni alternativa su cosa sarebbe successo se avesse avuto i riflessi più pronti, se fosse stato più attento.

Mille se, altrettanti ma e nessun scenario diverso dall'amara e dura realtà.

Però quello è il suo incubo che gli piomba con violenza addosso, lo calpesta e lo annienta.

C'è la frase di Manuel che gli rimbomba nelle orecchie e non è causa dell'abitazione vuota; c'è il suo sguardo assente e non più complice, c'è un risentimento che non gli appartiene.

C'è il fallimento di averci provato e non esserci riuscito.

Sbatte le palpebre per non piangere — non lì, non ora.

Stringe i pugni lungo i fianchi.

Forse era meglio continuare a discutere sul montascale.

«Hai ragione, dovremmo venderla la casa» è un flebile sibilo la sua affermazione, qualcosa che neppure avrebbe mai voluto pronunciare.

Non si guardano in faccia — che ormai non si capirebbero.

Simone scuote il capo e abbandona quella stanza vuota e spoglia. Il suo cuore si sgretola, diventa polvere.

Manuel resta solo, in una abitazione che odora di intonaco nuovo, ma che non potrà mai essere definita casa.

Ci sono solo macerie attorno e dentro di lui.

***

21 giugno 2034

«Ho fatto un casino.»

È la frase con cui Manuel si presenta alla porta dell'appartamento di Viola e il suo futuro marito Rayan.

La ragazza è sorpresa nel vederlo lì perché, da quando abita al terzo piano di un palazzo nella periferia di Roma, il fratello gli ha fatto visita soltanto una volta e dopo si è rifiutato a causa della distanza, l'ascensore scomodo e piccolo e una serie di scuse e lamentele annesse.

Inoltre, neanche ha suonato il citofono — evidentemente ha trovato il portone aperto o qualche condomino l'ha aperto per lui.

«Come ci sei arrivato fin qui?» domanda, perplessa.

«Ho preso un taxi. Me fai entrà?»

Ancora confusa, si scansa per permettere al ragazzo di varcare la soglia, mentre lei chiude la porta alle loro spalle.

L'alloggio non è molto grande: ha un ingresso living su un salotto dove spicca un divano a tre posti rosso acceso ed è il luogo in cui si fermano.

Viola prende posto sugli ampi cuscini. Sono soli, Rayan è a lavoro.

«Che è successo?»

«Ho litigato co' Simone» sintetizza Manuel. Si è piazzato con la sedia a rotelle davanti a lei e giocherella con un filo di cotone sfuggito dal pantalone.

«E dov'è la novità?»

Non c'è, in effetti.

Negli ultimi sei mesi, perlomeno.

«Stavolta è peggio» ammette.

«Perché?»

Esita. Si vergogna persino di confessare quanto è accaduto perché si sente uno schifo.

Non può neppure giustificare l'accaduto come un momento di rabbia; no, è stato meschino e crudele con la persona che più lo ama al mondo, senza un reale motivo.

«Gli ho detto delle cose che non dovevo dì» biascica «sull'incidente, io... gli ho dato la colpa.»

«Manuel...»

«Eh, Manuel» ripete e si porta entrambe le mani al viso, esasperato. «Me ne só pentito du' secondi dopo, ma era—era tardi, ho...»

«Questo va ben oltre un casino» commenta Viola. «E adesso?»

«Adesso niente, non me parla, a casa finge che io non esista, non...» Manuel soffoca. Sbatte rapidamente le palpebre per scacciare le lacrime che percepisce pizzicargli gli occhi. «Io lo so che—che nell'ultimo periodo non sono stato facile da sopportare, è che... 'sta cosa è più grande de me, Vió. Non ce riesco. Non riesco a—a vedere niente di bello, tutto me sembra inutile, che non ne vale la pena e nessuno può capire come me sento.»

Viola lo ascolta, in silenzio e con preoccupazione a vederlo così distrutto. Allunga una mano, andando a stringerne una sua in modo da donargli un briciolo di conforto, che è un gesto che compie spesso e che ha scoperto funziona con lui.

«Non credi che forse dovresti... tornare a parlarne con qualcuno che può aiutarti a...»

«No» il fratello la interrompe subito. Capisce che intende.

In terapia ci è andato, all'inizio: gli hanno fissato alcune sedute in ospedale e per qualche settimana è andato regolarmente da una psicoterapeuta per avere supporto a livello mentale riguardo a ciò che gli è accaduto. Poi, però, ha smesso.

Il dolore gli ha impedito di fare anche quello.

La ragazza non insiste, presuppone non sia il momento più adatto; gliene parlerà in una differente occasione, con più calma.

«D'accordo, facciamo una cosa» comincia e sfrega il pollice sulle sue nocche. «Ora usciamo, andiamo—a sfondarci di gelato da Beppe» lui ride un briciolo isterico alla proposta «parliamo un po' e dopo ti accompagno a casa, aspettiamo Simone insieme e gli parli, mh? Lui è il tuo bello della vita e tu sei il suo.»

Manuel non ci crede, perlomeno non alla seconda parte: di sicuro Simone gli ha reso la vita bella da quando aveva diciassette anni, mentre lui pensa di avergliela rovinata e basta, in qualche modo, complicata di certo, di avergli fatto soltanto del male — perché è fatto così, distrugge ogni cosa che tocca.

Tuttavia, ad alta voce non pronuncia parola alcuna. Si limita ad annuire e accettare il piano di Viola; i gelati di Beppe sono i migliori della città, del resto.

***

A parlare e mangiare gelato alla crema e nocciola, Manuel e Viola ci restano qualche ora; l'argomento principale è Simone, sì, ma lui cerca di sviarlo, di pensarci meno per non morire lentamente e allora le chiede come vanno i preparativi del matrimonio, se Rayan è ancora intenzionato a indossare un cappello a cilindro, cosa che decanta da settimane e se i fiori saranno pronti per tempo.

Ed è felice per lei.

Legge la contentezza nei suoi occhi grandi, la decifra nella sua voce e vorrebbe tanto mostrare più entusiasmo, se solo non fosse a pezzi e ricoperto dalla polvere che è tornata a soffocarlo, più spessa e presente di quanto sia mai stata.

Quando giunge al proprio stabile, ricerca con un briciolo di affanno le chiavi in tasca. Le mani gli tremano per aprire il portone, pertanto Viola, con delicatezza, gliele sfila dalle dita e agisce al suo posto.

L'appartamento è silenzioso e nell'aria c'è odore di vaniglia dovuto al deodorante in salotto che spruzza da solo a intervalli regolari.

Sono quasi le sette di sera.

«Non è ancora tornato?» domanda Viola. Prosegue a passo lento dietro al fratello, guardandosi intorno. C'è ordine lì dentro come se qualcuno avesse appena rassettato l'intero ambiente.

Manuel annuisce e non ha bisogno di controllare le stanze poiché si è accorto di quel particolare quando ha visto la sorella dare tre giri di chiave nella toppa per aprire la porta d'ingresso; se Simone fosse già tornato, ne sarebbe bastato uno solo.

Non se ne preoccupa, dal momento che è capitato spesso che il compagno rientrasse più tardi — o per degli straordinari in ufficio o per andare a controllare i lavori alla loro casa.

Però l'odore di vaniglia è troppo forte per essere solo colpa del deodorante.

«Vado n'attimo 'n bagno» dice, poco dopo.

Viola si siede sul bracciolo del divano e annuisce. «T'aspetto qui.»

A mente, Manuel ringrazia non abbia detto "vuoi una mano?", come spesso capita.

Spinge le ruote fino al luogo indicato: è una stanza quadrata, con spazi sufficienti per muoversi senza eccessivi intoppi e c'è persino una grossa maniglia in acciaio vicino al water alla quale può aggrapparsi o fare leva se mai servisse.

Varca la soglia e sta per chiudersi la porta alle spalle. Poi il suo sguardo ricade sul bicchiere in plastica rigida e trasparente sul lavandino.

Lui ha uno spazzolino nero, Simone uno bianco.

Li ha comprati quest'ultimo, vedendoli in un'unica confezione; siccome sono i loro colori, in un certo senso, è parso uno stupido segno del destino ed è tornato a casa sorridente per mostrare l'acquisto. Manuel, in tal frangente, lo ha guardato male e ha detto che tanto era una cosa inutile, che poteva prendere quelli che costavano meno.

Non ha notato quel diverso modo di amare che il compagno gli aveva donato.

Quel che nota ora, però, è che è rimasto soltanto lo spazzolino nero, il proprio.

Che sul bordo della doccia non c'è il bagnoschiuma al cocco di Simone o lo shampoo al mango.

Forse li ha spostati, pensa.

Magari è un caso.

Abbandona il bagno quasi dimenticandosi il motivo per cui ci è entrato.

Con poca attenzione e sbattendo le ruote della carrozzina contro la porta, raggiunge la loro camera. Non c'è bisogno di accendere la luce per notare il letto con lenzuola e coperte pulite e rimboccate, senza neppure una piega.

Non ricorda di aver lasciato quell'ordine dopo essere uscito.

Non ricorda quel genere di ordine presente nell'appartamento negli ultimi tre mesi.

Le mani riprendono a tremargli e fatica a spingersi all'interno della stanza.

C'è ancora odore di vaniglia.

Si avvicina all'armadio, apre la prima anta.

Vuoto.

La seconda.

Vuoto.

C'è una strana consapevolezza che comincia a pervaderlo, che si irradia dal centro del proprio petto intanto che pensa che è mancato di casa per cinque ore ed è un tempo ridicolo per...

Una persona può dissolversi in cinque ore?

Può diventare un fantasma dall'alba al tramonto?

«Manuel...»

La voce flebile di Viola gli giunge alle orecchie.

Il ragazzo gira il capo per vedere la sorella ferma sulla soglia della porta, che regge un pezzo di carta rettangolare tra indice, medio e pollice.

Lei non proferisce parola, gli si avvicina a passi piccoli e gli porge quel biglietto.

Il foglio, strappato da un quaderno a righe, ha una scritta con un pennarello verde sopra e alcune lettere sembrano bagnate da gocce d'acqua; vengono riportate poche parole, in una lingua che non è italiana, ma Manuel ha imparato a conoscere negli anni:

"Es tut mir leid"

Cinque ore sono poche per giustificare la sparizione di una persona.

Quattro parole non possono concludere anni di amore incondizionato.

Eppure è quel che accade.

In quell'universo, Simone e Manuel smettono di esistere così.

Cinque ore.

Quattro parole.

E nulla più.

***

[Note autore:
Grazie per la pazienza e per aver letto fino a qui.
Il prossimo capitolo è l'ultimo e si torna al punto di partenza con Simone che guarda le cassette.
Vi mando un bacio.

Lilith.]

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