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CASSETTA 6

11 gennaio 2025

«Non esci?»

Ad una domanda simile posta da Simone, l'unica risposta che viene in mente a Manuel corrisponde a dove vado senza di te?

Il che è estremamente smielato e romantico, forse eccessivo.

Non si era mai immaginato, in precedenza, di essere quel tipo di persona. Con molta probabilità agli occhi esterni dà persino fastidio, ma di loro poco si preoccupa.

Steso sul letto ad una piazza e mezza della sua camera singola a Torino, Manuel tiene in mano il cellulare su cui schermo spicca il viso di Simone, in penombra, coi capelli arruffati e gli occhi assottigliati.

Cerca di evitare di esternare ciò che ha pensato contorcendo le labbra. «Non mi va» taglia corto.

«Hai detto di nuovo no a Cosmo?»

Alza gli occhi al cielo. «Che nome der cazzo» commenta e devia il discorso, quello che hanno già affrontato innumerevoli volte, ossia che nella nuova città, Manuel fatica a farsi nuovi amici: all'università non sopporta nessuno, ad esempio, ed esce davvero poco.

L'unico suo appiglio è il coinquilino Cosmo, un'assistente di volo che vede due o tre volte a settimana, a causa dei loro orari differenti, e che gli chiede sempre di far serata.

Rifiuta in ogni occasione.

«Manuel...» nello sguardo di Simone traspare del rimprovero.

L'altro ragazzo lo capisce bene e scuote il capo. «Daje, ma t'ho detto che tipo è. Chissà dove me trascina.»

«A vedere la città, ad esempio. Sei lì da più di tre mesi e le uniche cose che hai visto sono l'uni e la stazione.»

«E il mio appartamento, so' tre, vedi?» prova a sdrammatizzare, con scarsi risultati. La sua mezza risata viene smorzata, è costretto a tornare serio a causa dell'espressione con cui il compagno lo sta fissando. Si morde piano il labbro inferiore.

«La vedo quando vieni tu qua» sospira.

È tornato a Roma per le feste, eppure sembra già trascorso un secolo da tale avvenimento invece di dieci giorni. Gli pare una tortura.

La lontananza da Simone, da sua madre, suo padre, sua sorella. Tutto.

«Anche, ma nel frattempo non puoi rimanere chiuso in camera.»

Si stringe nelle spalle.

La realtà è che non ci sta neppure provando: la vita da fuorisede lo sta annientando, logorando, le persone parlano con un accento strano e corrono sempre - che poi pensava la cosa accadesse soltanto a Milano; le lezioni della facoltà di psicologia risultano più difficili di quanto ha messo in conto, non ha la concentrazione necessaria e già teme il momento del primo esame che è sempre più vicino e lui non è preparato.

La maggior parte delle volte crede di aver sbagliato tutto.

Che c'ha vent'anni, è una sensazione normale, ma lo angoscia l'ipotesi che sarà così per tutta la vita, che crescendo niente migliorerà.

Pare stupido mettere in atto un simile ragionamento per una cosa stupida come uscire in compagnia del coinquilino.

È melodrammatico, ecco.

Lo direbbe Emma.

Lo direbbe Viola.

Lo direbbe anche Simone.

«Tanto fa freddo e...» comincia a dire, però, nel mezzo della frase la porta della stanza viene aperta senza preavviso. Sulla soglia appare un ragazzo alto, le spalle larghe e la barba ben definita.

«Allora, ciccio? Vieni?» Cosmo lo chiede schioccando la lingua sul palato e inarcando il sopracciglio.

Manuel sobbalza, mettendosi prontamente seduto sul materasso. «Ma bussare no?» si lamenta.

Nel frattempo, dal cellulare si ode una flebile risata e «Ciao, Cosmo

«Oh, ma che stai al telefono con Simone?» il coinquilino ignora del tutto l'esclamazione dell'altro ragazzo presente nella stanza, piuttosto si getta di peso sul letto, facendo sobbalzare ogni cosa e tenta di entrare nell'inquadratura della videochiamata. «Ciao, Simo!» esclama.

Sembrano amici da una vita e Manuel non comprende il motivo per il quale Cosmo si sia preso una tale confidenza con una persona che non ha neppure mai incontrato; lo fa con tutti, a dire il vero, pure con lui.

Cosmo lo tratta come se fossero cresciuti insieme, quando non è così e il tempo trascorso insieme, se conteggiato, raggiunge al massimo una settimana - dieci giorni, ad esagerare.

Lo turba il suo essere estremamente estroverso.

«Sì, okay, bene, puoi gentilmente uscire dalla mia stanza?» tenta, ma viene sovrastato: «Scusa, adesso dobbiamo chiudere che stiamo uscendo.»

Troppa confidenza, ancora. «No, tu stai uscendo, io non vengo da nessuna parte.»

Cosmo rotea gli occhi e fa cenno di no con la testa. Fissa nello schermo e abbozza un sorriso di circostanza. «Simo, non t'offendere, ma il ragazzo tuo è proprio un palo in culo!» borbotta.

Manuel aggrotta la fronte, schiude la bocca per poter rispondere a tono. In quel frangente si accorge che Simone sta sghignazzando e allora «Oh, ma che te ridi, scusa?» si lamenta.

Nello schermo del telefono, Simone si passa una mano sul viso stanco e che necessita di riposo. «Fammi un favore,» si rivolge a quello che, a quanto pare, è un suo nuovo amico «portalo un po' in giro a divertirsi.»

«Uh, divertirsi! Hai sentito, muso lungo?»

«Ma la smettete?» Manuel prova a districarsi in quella strana unione che non ha senso di esistere, tra le loro risate e una netta insistenza che lo infastidisce.

Alla fine, però, deve dargliela vinta - non ha altra scelta.

Si trova fuori, al freddo, con l'aria umida, a camminare tra i vicoli stretti del centro di Torino. Non è né presto né tardi, ma c'è molta gente in giro; immagina che la maggior parte delle persone si sia rintanata nei locali - o sia rimasta a casa, come giusto che sia.

Ah, li invidia quelli sotto le coperte.

«Dove stiamo andando esattamente?» domanda, sbuffando.

Cosmo cammina davanti a lui, lascia svolazzare il cappotto lungo e nero che tiene aperto. Gira il capo solo di qualche centimetro. «Visto che sei noioso,» esclama «partiamo con qualcosa di soft. È soltanto un pub con amici.»

«Amici di chi?»

«Miei, ma te li posso prestare.»

«Non ne ho bisogno.»

«Oh, fidati che ne hai, invece.»

A tale affermazione, Manuel si blocca, intanto che un principio d'offesa gli puntella il petto. Tiene le mani nella tasca della giacca, inclina il capo su di un lato. «Che vor dì?»

Cosmo muove soltanto più un passo prima di fermarsi. Alza gli occhi al cielo e si gira con lentezza verso il coinquilino.

Sospira. «Ti ricordi Gianluca?»

Manuel annuisce: è il ragazzo che occupava la terza stanza, ora libera, nel loro appartamento; lo ha visto poco perché se ne è andato dopo nemmeno due settimane di convivenza per motivi che non ha ben compreso.

«È andato a stare in una camera condivisa con altri tre, uno dei quali m'ha detto che non si lava e puzza di marcio.»

«E perché lo avrebbe fatto?»

«Perché non ti sopportava più.»

La sua constatazione è diretta, schietta e pari ad un fulmine a ciel sereno. Manuel non se lo aspetta, non messa in quel modo. Ammutolisce e abbassa il capo. «Ah.»

«Eh, ha preferito vivere in un porcile che con te in casa» ribadisce Cosmo e scrolla le spalle. «Ora, non mi fraintendere, secondo me è stato un tantino esagerato e io fossi stato in lui avrei trovato un compromesso e...»

«Ma non ha senso! Cioè, ce semo parlati du' volte a dì tanto.»

«Ti sei mai chiesto quante cose comunichi con la tua faccia anche senza spiccicare parola?»

No, Manuel non lo ha mai fatto, non lo ha mai considerato necessario - insomma, se resta in silenzio significa che non ha nulla da dire, non qualcosa di differente.

Cosmo, tuttavia, non è della stessa idea. «Gli atteggiamenti contano un sacco» spiega «il non essere partecipi, chiuderti in camera tua quando c'è gente in casa, il tuo decidete voi io mi adatto.»

«Vabbè, è per non disturbare, a me pare d'esse solo gentile.»

«Sembri distaccato. E pesante.»

«E tu ora me sembri uno stronzo.»

Cosmo rimane serio per un breve istante. Dopo inclina la testa su di un lato e accenna un sorriso. «Sembro solo?» schiocca la lingua sul palato. Non attende una risposta e riprende a camminare, lasciando nell'aria l'eco di un «Dai, muoviti!»

Manuel non ha propriamente il tempo di metabolizzare ciò che gli è stato detto, cosa che, di sicuro, innesca in lui ulteriori domande e paranoie di cui non aveva bisogno.

Alza gli occhi al cielo e deve correre per un breve tratto per stare dietro al coinquilino.

Alla fine, giungono in un pub che si chiama Jumping, un locale sullo stile irlandese con due piani e i tavoli fuori.

Per sua fortuna, gli amici di Cosmo hanno optato per l'interno altrimenti è sicuro sarebbe congelato data la temperatura così bassa.

Quando giungono all'interno, trovano due ragazzi e una ragazza accomodati ad un tavolo rettangolare in legno. Sorridono loro e già Manuel vorrebbe morire perché okay che è bravo con gli sconosciuti - circa - che sa riempire i silenzi, tuttavia...

Da quando non è più a Roma si sente un pesce fuor d'acqua anche solo a parlare e far udire agli altri la propria cadenza romana.

Vorrebbe tornare a casa in tutta sincerità.

Invece no perché Cosmo lo tira per un braccio a conoscere i tre. Ode a stento i loro nomi ed è sicuro che se ne scorderà a breve: il ragazzo con i capelli corvini e gli occhi verdi si chiama Giacomo, frequenta ingegneria; quello di fianco a lui è Walter, riccio e con la camicia di flanella, iscritto alla facoltà di lettere.

Infine la ragazza coi capelli rossi e la frangetta che si presenta come Melania e tiene stretta la sua mano per troppi secondi, tanto che Manuel deve tirarla via con forza.

Il drink che ordina è annacquato e già gli rode di dover pagare ben otto euro per qualcosa che a stento riesce a mandar giù.

Vorrebbe fuggire e basta perché gli amici di Cosmo conversano tra di loro, passano da un argomento all'altro e non riesce a star dietro a mezza frase.

Non che gli interessi.

Neppure il coinquilino fa qualcosa per coinvolgerlo, sebbene abbia insistito così tanto per portarlo fuori.

Insomma, se aveva intenzione di escluderlo poteva lasciarlo a casa a vedere una serie tv e non si sarebbe lamentato.

Così, mentre Giacomo sta vaneggiando riguardo ad un progetto universitario con un certo Alessandro che non sopporta, Manuel posa il bicchiere del suo drink sul tavolo, finge un colpo di tosse e annuncia: «Vado a fumà 'na sigaretta.»

Non gli importa se qualcuno gli dà retta o meno - di fatto non succede poiché si alza dal tavolo e vede Cosmo fargli un cenno col capo come se dovesse acconsentire al suo spostamento.

Cazzaro, è il commento che capitola nella testa di Manuel.

L'aria gelida dell'inverno torinese lo colpisce in pieno quando esce dal Jumping. Si allontana di qualche metro dall'ingresso per non essere stordito dal chiacchiericcio delle persone accomodate ai tavoli posti fuori - temerari.

Manuel si accende una sigaretta con distrazione e il fumo che soffia nell'aria si confonde con la condensa del suo respiro. Un brivido gli corre lungo la schiena intanto che raccatta il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans.

Ignora qualsivoglia notifica che gli è arrivata - non che siano tante - e apre la conversazione su WhatsApp con Simone.

Inizia a picchiettare con le dita sullo schermo, scrivendo un banale "te l'avevo detto che non v"...

«Me ne offri una?»

Una voce femminile lo fa sobbalzare.

Sbatte le palpebre e volta appena il capo per trovarsi di fianco la ragazza coi capelli rossi, Melania, se non ricorda male.

Presume si riferisca alla sigaretta, per cui annuisce. Deve per forza di cose riporre il telefono per poter prendere il pacchetto di Camel e porgerglielo.

Melania sorride, afferrando l'oggetto. «Hai pure da accendere?»

Che domanda del cazzo, risuona nella mente di Manuel, dato che la risposta è piuttosto ovvia. Ad ogni modo, cerca di non essere eccessivamente scortese ed estrae dalla tasca anche l'accendino nero, ripetendo il gesto di poco prima.

«Allora tu sei il famoso Manuel» farfuglia lei, aspirando il primo tiro.

Il ragazzo aggrotta la fronte. «Famoso?»

«Beh, sì, ogni tanto Cosmo ci parla di te. Più che altro per lamentarsi, a dire il vero.»

«Seh, non stento a crederlo.»

Melania gli restituisce sia l'accendino che il pacchetto di sigarette. «Però lui esagera sempre, non sembri male» commenta.

«Grazie» è incerto il tono che Manuel utilizza, considerato che l'unica loro interazione è stata la stretta di mano e nulla più.

Non crede si possa avere un'opinione su una persona da un episodio così breve, magari soltanto una prima impressione.

«Che studi qua?» Melania prosegue con le domande.

«Psicologia.»

«Uh, è figa come facoltà. Era la mia seconda scelta.»

«E qual è la prima?»

«Faccio il DAMS, per ora, poi chissà.»

«Chissà?»

«Cambio idea ogni minuto, già tanto che non ho mollato tutto per trasferirmi in Romania a studiare i draghi.»

La piega in mezzo alle sopracciglia di Manuel si accentua, di pari passo alla sua perplessità. «I—cosa?» crede di aver capito male.

Melania rimane seria per un breve istante, dopo scoppia a ridere. «Era solo una battuta per farti capire che tipo sono.»

«Ah» Manuel, in tutta sincerità, non ha capito la battuta. In quel momento, ricorda la conversazione avvenuta con Cosmo durante il tragitto, ossia il modo in cui appare agli altri che condiziona la maniera nella quale viene percepito e innesca un effetto domino nel suo stare al mondo.

Probabilmente, per quanto detesti ammetterlo, il coinquilino ha ragione sul fatto che può sembrare scontroso e così allontanare tutti, inclusi potenziali amici.

Deve passarci tre anni in quella città ed è già difficile di per sé, figurarsi farlo in solitudine.

Questa è la ragione per la quale si sforza di tirare un sorriso e smorzare una risata. Spera non risulti troppo artefatta.

«Beh, se ti va posso fartene sentire altre e pure spiegartele» insiste Melania. Prende un secondo tiro dalla sigaretta e soffia il fumo verso l'alto. «Magari davanti ad una birra decente, conosco posti migliori di questi.»

Dunque, Manuel è perfettamente in grado di riconoscere un tentativo di abbordaggio poiché spesso si è trovato dall'altra parte e ne decifra ogni sfumatura, anche la più sottile e, a volte, becera.

In tale occasione non è da meno, sebbene, di riflesso, giri il capo come ad accertarsi che non ci sia qualcuno alle proprie spalle e possa avere frainteso - no, non è così, è il destinatario di una simile proposta.

«Ah, uhm» borbotta.

Non vuole rischiare di aver capito male, anche se è abbastanza certo di quel che ha percepito.

Si gratta distrattamente dietro ad un orecchio. «Io sono fidanzato» esclama.

E perdutamente, follemente, incredibilmente innamorato.

Melania resta seria per un breve attimo, quasi ci fosse la parvenza della delusione nei suoi occhi. Poco dopo, tuttavia, accenna un sorriso e scrolla le spalle. «Ah, peccato» commenta.

La sigaretta che regge tra indice e medio è consumata soltanto per metà quando lei la getta a terra e la spegne con la punta degli stivali.

Manuel non comprende se la ragazza sia delusa oppure estremamente sfacciata. Magari un miscuglio di entrambe le cose.

«T'aspetto dentro con gli altri» annuncia lei e, senza dargli alcuna possibilità di ribattere, già sparisce tra la moltitudine di gente presente davanti al Jumping.

***

27 gennaio 2025

Bocciato.

Ha già avuto a che fare con quella parola, in un diverso contesto, e ricorda di averla presa con leggerezza.

Del resto, della scuola non gli è mai importato molto, anzi, fosse stato per lui nemmeno avrebbe perso tempo a ripetere l'anno e sarebbe andato dritto a lavorare, almeno avrebbe combinato qualcosa di utile.

Eppure ora, qualche anno dopo un simile avvenimento che è stato il suo effetto farfalla, quella parola lo getta nello sconforto.

Se analizza la situazione in modo razionale, lo sa bene che è soltanto un esame, che è il primo e avrà occasione di presentarsi di nuovo per sostenerlo, che non è affatto la fine del mondo.

Buffo che nella sua testa ci sia comunque l'apocalisse.

Da quando è tornato a casa, si è chiuso nella propria stanza, nonostante non ci sia nessuno nell'appartamento.

Manuel resta seduto sul letto, con ancora la giacca indosso a fissare un punto vuoto davanti a sé.

Non dovrebbe essere normale ridursi in uno stato catatonico per un voto, un numero privo di senso, un evento che non conduce ad alcuna catastrofe.

Eppure, per lui ha il medesimo suono del fallimento.

È primo pomeriggio. Non ha pranzato, il suo stomaco si è chiuso e non riuscirebbe a buttar giù nemmeno un pezzo di pane.

C'è un silenzio assordante che lo travolge, avvolge e soffoca.

A stordirlo, è la vibrazione del cellulare che tiene nella tasca anteriore dei jeans beige. Non vorrebbe rispondere. In tutta onestà, non ne ha le forze.

Tuttavia, si ricorda che, di solito, verso quell'ora lo chiama Simone, che è l'unica persona che ha sempre voglia di sentire.

Simone è colui che vorrebbe accanto persino se finisse all'inferno, anche se non lo trascinerebbe mai in un posto del genere - perché Simone, per Manuel, merita ogni cosa bella e candida.

Raccatta lo smartphone e accenna un finto colpo di tosse per schiarirsi la voce. Nonostante tutto, non vuole apparire turbato, distrutto e a pezzi come è per davvero.

Hanno pochi attimi da condividere e non ha alcuna intenzione di rovinarli.

«Simo?» risponde.

«Manu! Scusa, ho fatto tardi oggi.»

Non se ne è accorto. Conta i minuti, spesso, ma in tale occasione il trauma della bocciatura gli ha fatto perdere la cognizione del tempo. «Non–non importa, figurati.»

«Papà ha fatto un po' tardi a terapia. Sta andando bene, i medici dicono che tra poco potrà andare solo una volta a settimana, pensa.»

«So' contento.»

C'è un attimo di assenza di suono, un frammento di secondo durante il quale Manuel realizza di non essere riuscito nel proprio intento di non far preoccupare il compagno poiché, poco dopo, Simone chiede: «Amore, tutto okay?»

Il modo in cui pronuncia la parola amore per Manuel è come un balsamo lenitivo sulle ferite aperte della sua anima, soprattutto in un momento del genere.

Strizza le palpebre, tira su col naso. Scuote il capo, sebbene non possa essere visto. «Sì, io...» biascica «nulla, avevo un esame oggi e...»

«E come è andato?»

Ride, istericamente. Non se n'è reso conto, però le sue guance si son bagnate di lacrime salate. «'Na merda» sbuffa.

Simone sospira. «Era soltanto il primo. Puoi ridarlo, no?»

«Sì, ma non–non è questo il punto, non...»

«Qual è?»

Manuel si passa un palmo sul volto. Alza per un breve istante gli occhi al soffitto, per rendere la propria vista meno offuscata.

«Forse sto sbagliando,» farfuglia «tutta 'sta roba dell'università, io... io so' ignorante, Simò, lo sono sempre stato, non–non so che me so' messo in testa. A scuola andavo bene solo perché ce stavi tu e mo' sto a fa' qualcosa che... non so' capace.»

Simone lo ascolta senza proferire parola. Lo lascia parlare, sfogare. Quando non ode più nulla, a parte dei leggeri singhiozzi, replica: «Amore, è un esame. Uno solo, su una materia che probabilmente non ti servirà mai nella vita. Non determina ciò che sai fare o quel che sei, capito?»

«Simò, era importante, era–dovevo passarlo. Come faccio adesso? Lo devo dì a mi' madre, mi' padre penserà che sta pagando per nulla, che s'è ritrovato 'na disgrazia, non un figlio e...»

«T'assicuro che non penseranno mai una cosa del genere. Sei solo tu che vedi tutto nero adesso.»

«No, sto a dì la verità, sto...»

Manuel non riesce neppure più a parlare tanto l'angoscia lo sta logorando. Non respira bene, il suo cuore ha preso a battere troppo forte.

Si porta una mano al petto come se tramite quel gesto potesse calmarsi.

Non ci riesce. Crede di essere in procinto di avere un infarto.

Si trova in mezzo ad una tempesta, nel mare mosso senza alcuno scoglio a cui appigliarsi.

Dalla parte opposta, Simone recepisce ogni sensazione negativa che lo sta avvolgendo, ogni minuscola sfaccettatura poiché tante volte le ha provate sulla propria pelle.

Fosse per lui, partirebbe in quel momento per azzerare i chilometri che li separano, stringerlo in un abbraccio e alleviare il suo dolore, per quel che può.

«Mi ascolti?» sussurra.

«Ti sento.»

«Non sentire, ascoltare.»

«Che cambia?»

«Cambia che devi capire le mie parole.»

Fa una breve pausa, ascoltando con attenzione il respiro del compagno. Attende che sia un briciolo più regolare prima di procedere: «Hai fallito un esame, non significa che hai fallito nella vita in generale perché, spoiler, lì si fallisce più volte, per una cosa o per un'altra. Ci sono un sacco di ostacoli, di buche in cui si rischia di precipitare e spesso si cade pure, l'importante è rialzarsi. E lo so che sembra un discorso pressapochista con frasi fatte, ma c'è un motivo perché le chiamano così. In parte sono vere, in questo caso più di quanto si pensa.»

Smette ancora di parlare, stavolta la pausa è appena più lunga.

Dalla parte opposta, Manuel ha ripreso fiato, il battito del suo cuore è leggermente più regolare.

Simone capta pure questo. «Ci saranno un casino di altri esami. Alcuni li supererai al primo colpo, altri no, sarai bocciato, ma... succede, amore. Non è la fine del mondo e non sei un fallito per questo. Viviamo in una società che ci spinge a crederlo, a pensare di non valere nulla se entro una certa età non abbiamo una laurea e dopo un lavoro che ci fa guadagnare bene, poi che mettiamo su famiglia, compriamo una casa enorme, che siamo sempre felici e realizzati. Però non va così, non per forza. Essere una persona fallita è ben altro. È quando si è troppo egoisti, quando si smette di amare, di avere educazione e rispetto per chiunque perché il titolo di studio che abbiamo, il lavoro che facciamo non definiscono la persona che siamo, così come non lo fa lo stupido voto di un esame. E tu non sei quel voto. Sei mille altre cose che se inizio ad elencarle, dovremmo stare qui per almeno qualche anno.»

Le guance di Manuel sono ancora bagnate, ma lui ha smesso di piangere. Ha ancora una mano appoggiata sul proprio petto e l'eco della voce di Simone nelle orecchie.

Pensa sia assurdo e paradossale come il compagno sia in grado di calmarlo, tranquillizzarlo, tenere insieme i suoi pezzi quando tutto pare andare allo scatafascio.

Del resto, è così che funziona l'amore: Manuel che si riempie di polvere e Simone che la soffia via.

«Simo?» sussurra.

«Mh-m?»

«T'ho ascoltato.»

«Sei più tranquillo?»

Manuel fa cenno di sì col capo.

Simone ode soltanto un lontano fruscio e ridacchia. «Se stai annuendo, non posso vederti.»

Così, la risata pervade anche l'altro ragazzo, mischiandosi coi suoi leggeri singhiozzi. «Ed è un peccato» biascica.

Peccato che nemmeno io posso vederti.

«Sei tranquillo?» viene ripetuto.

«Solo un po'.»

«Va bene un po'.»

A dire la verità, Manuel è ben oltre il un po' tranquillo, ma cerca di tenerlo nascosto per poter ascoltare ancora la voce di Simone che gli sussurra parole dolci, ulteriori rassicurazioni, dei ti amo privi di logica che lo fanno sorridere e sentire più leggero.

Rimangono al telefono anche dopo quando si prepara una piadina con prosciutto crudo per quel tardo pranzo.

Non sono vicini fisicamente, si arrangiano in tal modo e, per i prossimi mesi, andrà bene così.

Staccano verso le cinque di pomeriggio, a causa della batteria scarica del cellulare di Simone.

La loro conversazione con la promessa di sentirsi prima di dormire, per darsi a vicenda la buonanotte.

Manuel rimane da solo, in salotto. Il suo smartphone è al 7% di carica.

Seduto sul divano, accende la tv con il telecomando. A quell'ora non c'è nulla di entusiasmante, a parte qualche replica di noti programmi, come quella di una puntata di Quattro ristoranti sulla quale si ferma. Ha già visto quel preciso episodio, presta poca attenzione alle vicende che si susseguono, alle discussioni tra i ristoratori e il loro infinito ego.

Fissa lo schermo per soltanto qualche minuto. Dopo, il rumore delle chiavi che vengono girate nella serratura lo fa sobbalzare.

Da quel che ricorda, Cosmo dovrebbe tornare a casa dopo mezzanotte stando ai turni che ha scritto sulla lavagnetta appesa al frigo, per cui non ha idea di chi possa essere.

Scatta in piedi, di getto. Scarta l'idea che possa trattarsi di un ladro - che mica avrebbe le chiavi, per Dio.

Ma, forse, una parte di lui quasi avrebbe preferito un farabutto da prendere a cazzotti, considerato chi si trova davanti nel corridoio e la strana sensazione che lo avvolge.

«Chiudi la bocca che ti esce la bava!»

Melania ha una voce squillante che riecheggia tra le mura spoglie dell'appartamento.

Manuel non si è accorto di aver schiuso le labbra e si affretta a serrare la mandibola. «Che—che ce fai qua?»

Lei inarca un sopracciglio. «Cosmo non t'ha detto niente?»

«No, che me doveva dì?»

Sbuffa e alza gli occhi al cielo. Muove mezzo passo indietro, così da scoprire l'enorme trolley fucsia alle sue spalle. «Ho saputo che avete una stanza vuota e che costa una miseria, quindi...»

«Quindi che?»

«Quindi gli ho chiesto se potevo prenderla io e ha accettato.»

«A me non ha chiesto nulla.»

«Sì, ha pure detto che siccome lui è qui da prima di te e il vecchio inquilino se ne è andato per colpa tua, non avevi diritto di parola e obiezione» annuisce alle proprie parole e poi sorride, soddisfatta. «Qual è la mia stanza?»

Manuel è esterrefatto e giura che se avesse davanti Cosmo in quel preciso momento lo strozzerebbe.

Non proferisce parola, però. Rimane immobile, paralizzato in quel corridoio.

Melania schiocca la lingua sul palato. «Vabbè, faccio da sola» esclama. A fatica, si tira dietro la valigia, strisciandola sul pavimento. Supera il ragazzo verso l'unica porta aperta della casa, che coincide con la sua nuova camera.

La strana sensazione non ha abbandonato Manuel, per nulla. Anzi, dà tutta l'impressione di essere una miccia in grado di bruciare tutto.

***

28 marzo 2025

«Me la farai vedere la città o...»

«Perché? 'A stanza mia non te piace?»

Simone ride e nasconde il viso nell'incavo del collo di Manuel. Quest'ultimo percepisce del solletico a causa del filo di barba che è cresciuta sulle guance dell'altro, ma resta fermo perché è una sensazione piacevole.

«Sì, è molto carina» bofonchia Simone «ma pure Torino.»

Solleva di poco il capo. «Lo sai che dicono che è una piccola Londra?»

«Chi lo dice?»

«Io» scrolla le spalle «magari manco è un caso che ti hanno preso a studiare proprio qui.»

«Seh, vabbè.»

«Lo sai che ci credo poco alle coincidenze.»

Manuel lo sa. Si ricorda di quando gli ha raccontato della sua convinzione che sia stato Jacopo a farli incontrare. Una parte di lui è dello stesso parere, è qualcosa di bello in cui credere.

Ti fa sentire meno insignificante in un mondo troppo grande.

«Me stava bene pure Roma» sussurra, poco dopo, e con un dito prende a giocherellare con un riccio di capelli del compagno che ancora non si è spostato. «Me scoccia stare lontani.»

«Passerà in fretta.»

«E poi?»

«E poi–cosa?»

«Poi dopo che facciamo?» c'è un velo di angoscia nelle sue parole. «Cioè, io... ho iniziato da poco a fa' progetti pe' la vita mia e–me mette un po' d'ansia.»

Simone alza la testa, così da essere in grado di incrociare il suo sguardo. «Ci pensiamo quando accadrà» dice «un passo alla volta.»

Manuel annuisce e le sue labbra assumono la piega di un sorriso. «Di una cosa so' sicuro, però» soffia.

«Quale?»

«Che andiamo a vivere insieme, in una casa che può essere piccola, non me interessa.»

«Vuoi vivere con me?»

«Ce voglio passa' tutta la vita co' te, non so se t'è chiaro.»

Quel pensiero lo ha sviluppato da tempo, a dire il vero. Lo ha confessato per la prima volta in una conversazione con Emma, quando sono passati dalla chat di X - sì, Twitter - a Telegram, con la scusa che almeno lì può inviarle degli audio.

Per chi non ha mai creduto al per sempre, è un grande passo.

Simone accenna una risata e arriccia il naso. Lo fa quando è in imbarazzo o troppo felice, intanto che le sue gote e orecchie si tingono di rosso. «Allora posso dirti questa cosa senza passare per pazzo» bofonchia.

«Cioè?»

«Cioè–okay, ho dato solo un esame e non so nemmeno se riuscirò a finire tutto e a diventarlo un architetto e...»

«Certo che ce la fai.»

«Se ci riesco, ho...» si interrompe per un breve istante a causa di una risata intrisa d'agitazione e isterismo. «Ho pensato a come potrebbe essere casa nostra, ho pure fatto degli schizzi. Li ho giù a Roma, poi te li mando.»

«Hai progettato casa nostra?»

«Sì. Col camino e tre balconi, come la volevi.»

Rimembra quella loro conversazione, in una vita che sembra differente, lontana; è assurdo che sia anche nella memoria di Simone. Credeva lo avesse dimenticato.

«Come fai a ricordarlo?» soffia.

«Ricordo tutto quello che mi dici.»

«Anche le cazzate?»

«Soprattutto le cazzate.»

Rimangono su quel letto ad una piazza e mezza, stretti l'uno all'altro, per tutto il pomeriggio.

Nudi, con un lenzuolo troppo leggero a coprire i loro corpi.

Solo verso le sette di sera, quando il suo stomaco brontola, Manuel annuncia: «Vado a prendere qualcosa da mangiare.»

Sì che potrebbero andare fuori, in un ristorante o pizzeria, qualsiasi cosa - Torino è piena di locali nuovi, con ogni tipo di cucina - ma decide che, solo per quella volta, possono cenare in camera, sopra il materasso e poi domani avranno tutto il tempo del mondo per nuove esperienze culinarie.

Lascia Simone a pastrocchiare col cellulare nella propria stanza, mentre lui l'abbandona, chiudendosi la porta alle spalle.

Ha indossato soltanto i boxer e una maglietta di cotone bianca a maniche corte, in casa sono soli e...

«Ah, ma sei vivo!»

Non sono soli e si pente di non essersi messo anche un paio di pantaloni - per fortuna, la t-shirt è abbastanza lunga da coprirlo abbastanza.

Entrando in cucina, Manuel sobbalza al suono della voce di Melania. La ragazza è seduta al tavolo: ha una tazza piena di latte e cereali al cacao davanti, che rigira con un cucchiaio dal manico bianco.

Lui cerca di sembrare indifferente e non scocciato, visto che aveva espressamente chiesto che l'appartamento fosse vuoto per quei tre giorni e i suoi coinquilini ne erano al corrente.

«Che ce fai qui?» borbotta. Non le rivolge troppo lo sguardo, piuttosto si appropinqua al frigorifero grigio pieno di calamite e ne apre l'anta, alla ricerca di qualcosa di commestibile.

Melania ingurgita un boccone di cereali. «Ci vivo» borbotta.

«Seh, ma eravamo d'accordo che restavi fuori 'sti tre giorni.»

«Tanto manco ti sei accorto che c'ero, sei stato chiuso là dentro tutto il tempo.»

Manuel alza gli occhi al cielo. Ha raccattato del prosciutto cotto e delle sottilette, può comporre dei toast: nulla di eclatante, ma quello bravo in cucina è Simone.

Chiude l'anta del frigorifero e si accinge a recuperare del pancarrè e il tostapane - che non è in condizioni ottimali, tanto che teme di rimanere folgorato ogni volta che ne fa utilizzo.

Non prosegue la conversazione, al contrario vuole ridurre al minimo la propria permanenza nella minuscola cucina. Prepara i toast con velocità, quasi con affanno.

Melania lo osserva, aggrottando le sopracciglia: è uno spettacolo ambiguo visto da fuori. Gira il latte rimasto nella tazza, insieme ai rimasugli dei cereali. «Ti posso dire una cosa?» esclama.

Manuel è di spalle, non può - e non vuole - vederla. Infila uno dei toast nel tostapane. «Se proprio devi.»

«Mica ti facevo gay.»

Se avesse un euro per ogni volta che ha sentito quella frase, sarebbe ricco e la sua permanenza a Torino si svolgerebbe in un attico in centro, da solo e in pace. Invece nulla, non viene pagato da nessuno per udire quella stronzata ogni volta e, se lo fosse, non sarebbe comunque abbastanza.

Sbuffa, posa le mani sui fianchi e si volta soltanto in tale istante. Risponderebbe con qualcosa di strafottente, tipo "io ti facevo intelligente, pensa te", ma quello porterebbe ad un lungo dialogo che non ha intenzione di sostenere. Dunque: «Infatti non sono gay, so' bisessuale. Cercalo su Google.»

«Ah.»

«Ah? Che vor dì, ah

Melania scrolla le spalle e si sistema meglio sulla sedia dove è accomodata con le gambe accavallate. «Niente» dice «cioè, quindi io potrei piacerti.»

Manuel non si è mai posto il quesito. Da quando sta con Simone, in realtà, non ha guardato nessun altro, non ne ha avuto bisogno. È oggettivo e può affermare con tranquillità che Melania sia una bella ragazza, il tipo che piace a lui – per certi versi, ad esempio, gli ricorda Chicca, nel modo di vestire e di porsi, le manca giusto la cadenza romana.

Ecco, è bella, però si tratta di un dato di fatto e nulla più.

Tuttavia, non vuole rispondere. Scuote il capo. «Sono fidanzato» ribadisce.

«Sì, lo hai già detto, ma ipoteticamente...»

«Non fa' ipotesi.»

«Ipoteticamente potrei piacerti, per cui, quando vi lascerete...»

«Non ci lasciamo» la frena subito. Ha poche certezze nella vita, soprattutto in quel periodo della sua vita, e Simone fa parte di esse, ne è al vertice.

Insomma, hanno già una casa progettata su misura per loro.

Se questo non equivale all'eternità, allora non ha idea di cosa possa farlo.

Melania accenna una risata. Si alza con lentezza in piedi e incrocia le braccia al petto, intanto che muove qualche passo nella sua direzione. «Si sono lasciati Brad Pitt e Angelina Jolie» esclama «o se è più nelle tue corde, Totti e la Blasi. Coppie storiche. Tutti possono lasciarsi.»

Il tostapane trilla, segno che i due toast sono pronti. Manuel lancia un'occhiata all'elettrodomestico, in seguito sbuffa.

«Quando la finisci de dì stronzate, m'avvisi» sbotta. Evita con sapienza il suo sguardo fisso su di sé. Recupera un paio di piatti dal mobile sopra il lavandino e ci sistema sopra ciò che sarà la cena sua e di Simone.

«Non sono stronzate, è la verità» rimbecca Melania. «Ti rode? Questo genere di amore non dura. Una cosa nata al liceo non può farlo, presto ci saranno difficoltà che non riuscirete a superare, tra cui il modo in cui cambierete voi come persone, in più c'è la distanza, le tentazioni...»

«Fai psicologia adesso?»

«Si tratta solo di essere razionali.»

«O di essere stronzi, Melania.»

Manuel tronca in tal modo la conversazione. Il suo sesto senso non si sbagliava su quella ragazza, su quanto la sua presenza potesse effettivamente turbarlo.

Afferra i due piatti con uno scatto e si allontana a passo svelto, lasciando la coinquilina sola in una cucina vuota.

Quando torna in camera, Simone non si è mosso dal letto, ancora nudo con soltanto il lenzuolo a coprirlo dalla vita in giù; regge in mano il cellulare, che abbandona sul comodino in legno che ha di fianco.

Manuel si affretta a chiudere la porta e, stavolta, gira la chiave nella toppa. «Ho fatto i toast» annuncia. «Non ce stava molto in frigo, domani te porto fuori.»

Prende posto sul materasso, ai suoi piedi, per stare almeno un briciolo più larghi. Si siede a gambe incrociate.

Simone si tira soltanto su in modo da appoggiare la schiena alla testata mezza rotta. «Ma c'è qualcuno?» chiede, facendo un cenno col capo verso la porta sigillata.

«Melania» borbotta Manuel, di fretta. Ha già afferrato uno dei toast e ha dato un morso.

L'altro ragazzo aggrotta la fronte. «Chi—è Melania?»

«Quella che occupa la terza stanza, l'amica di Cosmo. Te l'avevo detto.»

C'è qualche secondo di esitazione durante il quale cerca di collegare i pezzi e le informazioni ricevute. «No, mi avevi detto che c'era un nuovo inquilino, non che fosse una ragazza.»

«Che cambia?»

«No, niente, uhm... non avevi specificato.»

Manuel scrolla le spalle. «Non è importante, me sta sur cazzo uguale.»

Butta giù il boccone. Sono asciutti, avrebbe dovuto aggiungere più formaggio o, magari, della maionese. «Non mangi?»

Lo sguardo di Simone è rimasto fisso sulla porta. Deve costringersi a sbattere più volte le palpebre per riprendere il contatto con la realtà. Non proferisce parola, piuttosto pizzica tra le dita il suo toast e lo addenta. «Ci voleva più formaggio» bofonchia.

«Sì, lo so, manco un toast so fare. Poi me insegni.»

Nemmeno a ciò risponde. Sforza solamente un sorriso e quella loro cena prosegue in uno strano silenzio.

***

10 giugno 2025

Tornare a Roma equivale a respirare di nuovo - e non è solo a causa dello smog di Torino, insomma.

Si sente molto più a suo agio nella capitale, per quanto poi la vita da fuorisede sia un briciolo migliorata.

Soltanto un po', però.

Ha ancora - almeno - due anni davanti da passare a seicento chilometri di distanza, probabilmente tre, considerato il numero basso di esami dati.

Tuttavia, ha deciso di non impuntarsi troppo, di non pretendere troppo da sé. Nessuno gli corre dietro.

Se dovesse metterci quattro, cinque anni o di più a conquistare una laurea, andrà bene lo stesso.

Non vuole farsi soffocare dagli stupidi tempi della società.

Essere fuoricorso non è la fine del mondo.

Probabilmente l'unica sua premura è terminare per tornare a casa, dai suoi amori.

Dio, è diventato smielato, ancora di più.

La causa è troppo scontata.

Durante l'estate che si prospetta ha organizzato di vedersi con Emma. Sarebbe la prima volta dopo anni di sole conversazioni online o qualche audio scambiato e ne è emozionato.

A Simone non ha mai parlato di lei. Non c'è un motivo, è l'unico segreto che ha, l'unica cosa che non gli ha mai detto. Per il resto, è un libro aperto e viceversa.

Non vede l'ora di presentargliela come colei che ha reso possibile ogni cosa che hanno.

Si trova in camera dell'altro ragazzo. L'ultima volta che ci è stato risale alle vacanze di Natale.

Ci sarebbe andato anche a Pasqua, ma i biglietti costavano troppo e ha vietato a Nicola di pagarglielo.

Gli manda sempre dei soldi, suo padre, a volte senza motivo apparente, con la scusa del non si sa mai.

Non li ha usati, eccetto per i primi mesi. Dopo aver trovato un lavoro part-time in un supermercato, nell'ultimo periodo si è limitato a metterli da parte sul proprio conto in banca insieme ad una minuscola parte del misero stipendio che prende.

Li lascia lì per il futuro o in caso di emergenza.

È da solo, in piedi per sgranchirsi le gambe poiché è tutto il giorno che passa da divano a letto e i suoi muscoli chiedono una tregua dalla tregua.

Simone è sceso al piano di sotto per aiutare Dante a fare chissà cosa.

Manuel non ha sentito bene, però il professore si lamentava abbastanza da costringere il figlio a correre in suo soccorso.

È contento sia migliorato, in pratica tornato quello di un tempo in seguito ai problemi di salute.

Ringrazia Dio, anche se non ci crede, dato che non sarebbe stato in grado di affrontare quel genere di lutto e, soprattutto, pensa che Simone non meriti un dolore così grande, non di nuovo.

Tiene le braccia conserte al petto, a scrutare le foto appese ad una delle pareti, polaroid che ritraggono loro due o Simone con alcuni compagni del liceo. Ha pochi contatti con la vecchia classe - entrambi ne hanno pochi, ad essere onesti.

Non c'è un motivo. Certi legami non sono destinati a durare, soprattutto se con persone che sono costrette a frequentare lo stesso ambiente, eppure sono così diverse tra loro, tanto da non avere più nulla in comune alla fine della scuola.

Chissà quanti volti di quelle foto, con molta probabilità, non rivedrà mai più.

Quanti volti scompaiono dopo averli conosciuti, dopo averli vissuti.

Alcuni non lasciano neppure un ricordo.

Altri restano indelebili come i loro silenzi.

La sua contemplazione a tali immagini prosegue finché il rumore di una vibrazione non lo disturba.

Ignora quel fastidioso ronzio, all'inizio. Esso, tuttavia, risulta più incessante, gli si insinua nelle orecchie con i secondi che scorrono.

Manuel aggrotta le sopracciglia. Deduce che chiunque sia a provocarlo, deve avere qualche urgenza o comunque qualcosa di davvero importante da dire: proviene dal cellulare di Simone, abbandonato con lo schermo rivolto verso il basso sulla scrivania.

In situazioni normali, si farebbe i fatti propri, anche perché l'unica persona che può avere un bisogno reale è al piano di sotto della villa. Non sa cosa lo spinga, quella volta, a strisciare i piedi laddove è ubicato il telefono, afferrare l'apparecchio e girarlo.

Lo smartphone smette di vibrare quando ciò accade, lasciando soltanto le notifiche pop-up sul bloccaschermo che si è illuminato.

Luigi
Sei a casa?
Mi manchi un sacco
Magari passo da te se mi dici di sì
Prendo del gelato
Nocciola e pistacchio
Vedi che mi ricordo che ti piace

Se fosse lo stesso ragazzino, testa calda, quello che hanno bocciato in terza liceo e che spacciava per guadagnare due spiccioli, in quel preciso istante darebbe di matto.

Comincerebbe a urlare, a lanciare cose, si infurierebbe.

Ma non è più quella persona, allora prova a mantenere la calma, ad essere razionale, a pensare che di sicuro c'è una spiegazione che Simone gli darà e tutto si risolverà.

Perciò, nonostante il petto un po' gli tremi e gli occhi gli pizzichino, Manuel posa il cellulare nella stessa posizione in cui lo ha trovato.

Con calma apparente, va a sedersi sul bordo del materasso, stringe i pugni sulle cosce e attende.

Lo fa per nove minuti e diciotto secondi, che è un periodo estremamente breve, ridicolo. Ciò nonostante, esso pesa su di lui talmente tanto che gli sembra di aspettare da anni.

Quando Simone rientra nella stanza, sta borbottando qualcosa, una frase iniziata in corridoio su cosa ha combinato Dante al piano inferiore e in che modo lo ha aiutato.

Potrebbe raccontare qualunque cosa, Manuel sentirebbe soltanto il ronzio della vibrazione di un telefono.

Tiene lo sguardo basso. Ha la gola secca.

Forse dovrebbe lasciar perdere.

Forse la spiegazione gli farebbe del male.

La sua immaginazione è molto più crudele.

«Chi è Luigi?»

Chiede lo stesso.

La realtà potrebbe essere meno terrificante.

Tuttavia, l'espressione che, repentina, si fa seria di Simone, la linea che compare tra i suoi occhi, la sua bocca che piano si spalanca, preannunciano che si è sbagliato e che sì, il terrore c'è.

C'è nello sconforto che vede nei suoi gesti frenetici mentre si avvicina alla scrivania e afferra il cellulare con violenza.

C'è panico quando lo osserva analizzare lo schermo e scuotere il capo.

«Hai controllato il mio telefono?»

Il tono che Simone utilizza è stizzito, infastidito.

Dall'altra parte, la parvenza di tranquillità permane in Manuel, il quale si alza con lentezza in piedi. Muove un solo singolo passo nella sua direzione. Poi si ferma e allarga di poco le braccia.

«Continuava a vibrare» si giustifica «e tu non mi hai risposto.»

Simone fissa lo smartphone, le dita gli tremano. Non replica in alcun modo e allora Manuel avanza ancora.

«Chi è Luigi?» domanda di nuovo.

Ancora nessuna risposta.

Ancora, la realtà è devastante, lo opprime.

«Chi è Luigi?» sollecita, con voce che si spezza.

La calma è diventata fragilità.

Simone sussulta. «Uno che ho conosciuto in un'università» bofonchia.

Sembra sincero.

O forse non lo è.

«Deve esse' molto importante se vuole uscire di sera apposta pe' portarte il gelato.»

Non è più in grado di sostenere il contatto visivo. Si scosta malamente, muovendo passi alla rinfusa nella stanza. «È un amico, Manuel» sbotta. È nervoso, inquieto. «Mi pare che pure tu ne abbia. Che c'è, io non posso?»

«Non ho mai detto questo.»

«Beh, però mi stai facendo la scenata per questo.»

«Non sto a fa' nessuna scenata» sospira Manuel. Compie mezzo giro su sé stesso, unicamente per seguire i suoi movimenti alterati.

«Sì, invece.»

«T'ho solo fatto 'na domanda.»

È come parlare ad un muro. Non viene ascoltato, neppure percepito.

Simone si blocca, stringe così forte lo smartphone in una mano che rischia di romperlo, se mai fosse possibile. «Non mi sembra che io abbia mai detto niente su Emma o la tua nuova coinquilina!» sbotta. Il suo viso si è tinto di rosso e una vena sul suo collo pulsa.

Un fulmine a ciel sereno.

Manuel ricorda benissimo di non avergli mai raccontato di Emma, non perché ci sia qualcosa di malizioso sotto, anzi, per lui è una sorella, a tratti persino più importante di Viola per certi aspetti, ma è sempre stata un rifugio segreto al quale accorrere nei momenti più bui, soprattutto durante il suo percorso di accettazione.

Emma è stata la sua bugia bianca.

Tutto cambia, però, se Simone sa già tutto e da diverse fonti, le stesse che lui non conosce.

«Che ne sai tu di Emma?»

La fragilità di Manuel aumenta. Se ci fa attenzione, può avvertire il suono che fa il suo cuore mentre si spezza.

Sono uno di fronte all'altro. L'espressione che scorge sul suo viso è qualcosa di diverso e ben lontano dal sorriso gentile, dall'aria che l'amore gli dona.

E non capisce in che modo, da poche notifiche, ogni cosa sia precipitata in un baratro senza fondo.

Simone distoglie lo sguardo, indietreggia di qualche centimetro. «Lascia stare» biascica.

Manuel lo afferra per un polso, un briciolo lo strattona. «Non lascio stare» attesta «che ne sai tu di Emma?» ripete, scandisce ogni sillaba.

I loro occhi si incrociano e si incatenano in quel preciso istante.

Se c'è una cosa che Manuel ha imparato bene negli ultimi anni è essere in grado di decifrare i silenzi di Simone.

Purtroppo per lui, scopre di saperlo fare nel bene, ma anche nel male, dal momento che il responso che non sopraggiunge è quanto di più esplicativo possa esistere.

Corrisponde ad una consapevolezza che avrebbe voluto non assumere, una realizzazione da tenere lontana.

Molla la presa, fiaccamente. Fa cenno di no col capo. Gli scappa una risata isterica. «M'accusi di qualcosa che hai fatto tu.»

Ecco, dirlo a voce alta è ben peggiore.

Ben più tremendo.

Un'ammissione che rende ogni cosa irreversibile.

Simone fatica a deglutire. Sta tremando di nuovo e probabilmente gli manca il fiato.

L'assenza di suono fa più baccano della vibrazione di uno stupido telefono.

«Perché?» sibila Manuel. Vorrebbe avere un appiglio, qualcosa a cui aggrapparsi poiché gli sembra di non avere più un centro di gravità da cui dipendere.

L'altro ragazzo scrolla le spalle. «Non ti—sei fatto problemi a non dirmi della nuova inquilina a Torino» annaspa.

«È soltanto una che occupa la stanza accanto, ce stava qualcuno pure prima.»

«Non era una ragazza.»

«Che cambia?»

«Melania è una ragazza, Emma è una ragazza.»

«Seh, fin là ce arrivo, Simó. Te sto a chiede che cambia.»

«Che a te piacciono le ragazze.»

«Mi piacciono anche i ragazzi, altrimenti non starei co' te, me pare.»

«Ma sei stato con un casino di ragazze e soltanto con un ragazzo, Manuel, c'è una disparità evidente, tu...»

La frase si interrompe, si perde in un fruscio pieno che avvolge e annienta ogni altro suono. È probabile che essa abbia avuto un continuo, una conclusione, per quanto illogica, alla questione.

Tuttavia, Manuel non la sente.

Il suo cervello si spegne, la sua anima si flette, i suoi occhi si svuotano.

Una volta Emma gli ha detto che scoprire di essere bisessuali è gioia e condanna al contempo.

La prima è dovuta al fatto che, finalmente, si capisce sé stessi, si riesce a dare un nome a giorni, settimane, mesi e anni di incertezza, confusione, paura e palpitazioni. Si riesce, in qualche modo, ad essere liberi.

La seconda, invece, la parte più cruda è che costringe a trovarsi davanti persone che non capiscono, che giudicano, che pensano che non si possa essere una via di mezzo, che alla fine la tua definizione diviene altro.

Se finisci con un uomo, sei gay, se con una donna, sei etero.

È un mantra che odia e continua a riproporsi sempre e comunque, in ogni luogo e contesto, ancora, ancora, ancora.

E Manuel ha imparato a conviverci, a poco a poco, per quanto frustrante, a perdonare ogni leggerezza, a considerare chi incontrava dei Matteo, quella tipologia di persona che un giorno capirà.

Il punto è che per nessuna ragione al mondo avrebbe mai creduto possibile che Simone appartenesse ad una simile categoria.

Simone che ha sempre preso le sue parti, che lo ha difeso e consolato dopo le parole del padre, lo ha schermato dagli sguardi a scuola o dai commenti fuori luogo dei loro compagni di classe.

Da lui non se lo aspettava.

Ed è buffo come si sente più tradito da questo, tanto da dimenticarsi di Luigi e del gelato.

Nemmeno più gli importa sapere se davvero è soltanto un amico o una ripicca.

Sbatte le palpebre ed in effetti la frase di Simone è continuata, ma lui non ne ha afferrato una sillaba.

Scuote il capo, lo scansa. Vuole uscire da quel posto, da quella stanza, da quella casa.

Sta tornando ad essere ricoperto di polvere e nessuno è lì per soffiarla via.

Riesce nel suo intento, quantomeno di arrivare nel corridoio. È a tal punto che Simone lo frena, afferrandolo per un braccio. «Manu—Manu, io... mi dispiace, mi sono espresso male, ho...»

Manuel si libera dalla sua blanda presa con uno strattone. «No, no, te sei espresso benissimo» sentenzia. La sua voce non è più fragile. Ha assunto i toni dell'amarezza.

«No, ti—ti prego, possiamo... torna dentro, mi dispiace, dai, non volevo, io...»

«Dovrei essere io quello incazzato perché sei tu quello coi messaggi de n'artro, ma sai che c'è? Non me interessa manco più. Io non ce sto co' qualcuno che non vede quello che sono.»

«Io ti vedo benissimo, sto solo...»

Simone sta soffocando. Quella stessa polvere che è sempre stato bravo a cacciar via, adesso lo avvolge e gli intasa i polmoni.

È un mostro che corrode e asfissia entrambi.

Si chiama incomprensione.

«Mi dispiace» gracchia.

Manuel non sta piangendo. D'improvviso non sa più farlo. Vorrebbe replicare un pure a me o qualcosa di affine, ma il suo parlare rimane muto.

Svuotato, avvilito, si allontana nell'oscurità che comincia a calare su villa Balestra.

Scende con rapidità le scale e abbandona l'abitazione.

Neppure la lieve brezza estiva allevia le sue pene, la sua delusione.

Su Londra è tornata la pioggia.

Su Londra è tornato il grigio.

***

[Note autore:

Scusate il ritardo.
Wp ha deciso di non allinearmi il testo come vorrei, spero di poterlo sistemare dopo.
Grazie per aver letto, fatemi sapere che ne pensate.
Un bacio.

Lilith.]

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