CASSETTA 4
26 settembre 2023
«L'hai sentita?»
Non c'è bisogno di specificare chi nella domanda che Simone pone.
Hai sentito tua madre?
La risposta è sempre la stessa: no, Manuel non lo ha fatto.
Nonostante la donna abbia provato a contattarlo, chiamarlo, mandargli messaggi, un pomeriggio si sia presentata addirittura davanti scuola all'uscita, lui l'ha evitata in ogni modo possibile.
Non vorrebbe e ci sta male, perché non è naturale provare sentimenti di odio verso uno dei propri genitori, ma è ciò che accade.
Adesso, un po' la detesta per quel che gli ha fatto, per avergli condizionato la sua vita, per averlo condannato a non avere un padre, a crescere con l'idea di essere uno sbaglio, un errore.
Lo sa che poi la famiglia è dove c'è amore e quello non gli è mai mancato negli anni; tuttavia, Anita lo ha annientato del tutto e non crede che riuscirà a perdonarla, non in tempi brevi.
Non ci riesce, è un errore troppo grande che va al di là della sua comprensione.
Ha provato a mettersi nei suoi panni, ad immaginare cosa avrebbe fatto al suo posto, però anche su ciò ha dei limiti – perché non potrebbe mai indossare per davvero i suoi panni e capire le sue ragioni.
È un labirinto dove non c'è anima viva che possa indicargli una via d'uscita.
Manuel è seduto sul bordo della piscina vuota di villa Balestra. Si è sempre chiesto il motivo per cui non sia mai ristrutturata, uscirebbe qualcosa di bello lì se solo si rimuovessero foglie e fango, si rifacesse la pavimentazione, un impianto a norma.
Magari a nessuno interessa.
Magari quando le cose sono brutte e vecchie, bisogna lasciarle perdere.
Tiene le gambe a penzoloni nella grande vasca priva d'acqua; Simone è accanto a lui nella medesima posizione.
Tiene lo sguardo fisso di fronte a sé. Ci sono un sacco di mattonelle azzurre piene di crepe.
Paradossalmente, si sente proprio in quel modo: logoro, dimenticato e pieno di venature irregolari che non possono essere risanate.
«Se te do fastidio, trovo un altro posto» risponde con qualcosa che non c'entra assolutamente nulla col quesito iniziale. Lo fa per mettersi sulla difensiva, ancora con il pensiero addosso d'essere di troppo, un peso persino per coloro che lo amano.
«Ti menerei quando dici 'ste stronzate» replica Simone. Prova ad accennare una risata per smorzare la tensione, con risultati nulli.
Finge un colpo di tosse. «Puoi restare qui quanto vuoi» lo rassicura. Ha accolto il compagno in casa senza esitazioni in seguito alla lite con Anita, ha ascoltato il suo sfogo, il racconto di quell'amara scoperta, abbracciandolo e baciandolo quando lo ha visto cadere in mille pezzi. «Però—con tua madre devi parlarci, non puoi ignorarla per sempre.»
«Chi lo dice?»
«Manuel...» sospira e allunga una mano. Va ad afferrare una sua e fa intrecciare le loro dita. Come in precedenza, spera che quel contatto possa essere lenitivo, in qualche modo.
Non si risolve ogni cosa con una carezza, però quella aiuta, a volte.
Soltanto allora l'altro ragazzo si volta e gli rivolge l'attenzione. «Se ci parlo, finisco ad urlarle addosso e non me va» sussurra.
«Perché ora sei arrabbiato e...»
«Non so' arrabbiato, sono furioso. E so' deluso, so'...» scuote il capo e sbatte piano le palpebre «M'ha mentito per tutta la vita mia, non—non è qualcosa che si può perdonare.»
Simone annuisce. Comprende la sua frustrazione, da un lato persino il rancore che cova. «Sì, però...» mormora «ricordi gli universi paralleli?»
Lascia per un attimo la frase in sospeso. Attende che Manuel faccia cenno di sì con la testa e prosegue: «Mi hai detto che hai sempre pensato ad un universo dove c'è tuo padre, hai una grossa casa col camino e—può essere questo quell'universo, no? Magari non è proprio il modo in cui lo avevi immaginato, però è qualcosa. E se è così, so che in quell'universo vuoi anche tua madre accanto, pure se ti ha ferito e adesso pensi di non poterla perdonare.»
Ci pensa spesso, Manuel, agli universi paralleli, in quei giorni più degli altri.
Lo fa ancora più infuriare il pensiero che sua madre abbia veicolato degli eventi fondamentali della sua vita e abbia preso il posto del fato ed ora la sua intera esistenza si basa su un reticolo di se e ma che lo fanno impazzire.
Che sarebbe successo se Anita avesse detto la verità a Nicola fin da subito?
Probabilmente non avrebbe dovuto caricarsi di ogni responsabilità sin dall'adolescenza, non avrebbe dovuto sentirsi costantemente fuori posto, non all'altezza, non abbastanza.
Forse non avrebbe dovuto affrontare una perenne lotta con sé stesso, avrebbe avuto meno problemi di rabbia, non lo avrebbero bocciato in terza superiore.
O magari non sarebbe cambiato nulla, chissà.
Lo manda in tilt non saperlo.
«Non ci riesco» confessa, con voce rotta «non riesco a—guardarla in faccia e non pensare che mi ha portato via qualcosa d'importante senza chiedermi il permesso.»
Simone vorrebbe provare ancora a convincerlo del contrario, ad alleggerire almeno un briciolo la situazione e il peso che percepisce. Ciò nonostante, complice lo sguardo perso e sofferente che scorge, desiste, perlomeno a parole.
Sfrega il pollice sulle nocche della sua mano e rilascia un sospiro; lascia parlare i gesti che, spesso, sono più eloquenti.
«Quando vai da lui?» cambia argomento - più o meno.
Da lui, da tuo padre.
«Questo venerdì» risponde Manuel. L'unico messaggio che ha aperto da parte di Anita è quello col nome di Nicola, il suo indirizzo e il numero di telefono.
Ha scritto all'uomo dopo ore di esitazione, ragionando fin troppo su cosa scrivere, che domande porre, che frasi utilizzare – da solo, anche se in quel momento avrebbe tanto voluto l'aiuto di Emma, ma, per il momento, non le ha raccontato nulla.
Si sono dati un appuntamento in seguito ad una breve conversazione che è stata piuttosto asettica e formale; per due che sono sconosciuti non poteva aspettarsi qualcosa di diverso.
Gli sembra già surreale organizzare un incontro via WhatsApp con suo padre, del resto.
Avrebbe voluto dire tante altre cose, in effetti, ma ha deciso di rimandare all'incontro di persona - ci sono certe questioni che non sarebbe giusto trattare per messaggio.
«Vieni con me?» pigola poco dopo.
Simone lo fissa, inclinando la testa su di un lato. «È—è una cosa tua, io sarei di troppo» sussurra.
«Non lo saresti, te lo sto a chiede.»
Si morde piano il labbro inferiore. «Posso accompagnarti e ti aspetto sotto, mh?» propone.
Manuel sta per replicare, sostenendo che se lo sta implorando di accompagnarlo c'è un motivo, ossia che vorrebbe tanto un sostegno, un appiglio nella tempesta che sta affrontando, e non comprende perché non voglia.
Resta zitto finché l'altro non aggiunge: «È che avrai tante cose da dirgli e devi farlo da solo, ma io sarò in strada ad aspettarti e sarò lì se qualcosa non va e vorrai scappare» si protende in avanti e deposita un bacio sulla punta del suo naso «e se tutto va bene, sarò lì lo stesso per ascoltarti mentre mi racconti ogni cosa.»
Anche se le sue ragioni sono nobili, non lo comprende fino in fondo e prova comunque il desiderio di pregarlo di andare insieme, fregandosene di ogni principio.
Si deve pizzicare la lingua coi denti per non avanzare nuovamente una simile richiesta – che, magari, da solo può farcela lo stesso.
«Se lo conosco ed è uno stronzo?» pigola, in seguito.
Per risposta, Simone scrolla le spalle. «Sai quante volte ho pensato che mio padre fosse stronzo?» ribatte «Infinite, pure di recente, quindi magari di alcune cose potrai pensarlo, di altre no, ma... non ti fasciare subito la testa.»
«Eh, 'o faccio invece perché pare tanto 'na cosa bella e—e pensavo che il destino avesse esaurito 'e cose belle pe' me quando m'ha donato te.»
Manuel pronuncia quella frase come fosse qualcosa di scontato, rivolgendo lo sguardo altrove, sulla piscina vuota e le mattonelle rotte.
Non si accorge di Simone che sta fissando il suo profilo, con gli occhi colmi di tenerezza e amore: si è abituato alle dichiarazioni spontanee da parte del compagno, quando non se lo aspetta, in dialoghi quotidiani, frivoli; spesso, le sue frasi, per quanto semplici, valgono molto di più di un ti amo che direttamente non si sono mai detti, non usando quelle due parole.
In fondo, ci si può sussurrare ti amo in mille modi.
Scrivimi quando arrivi.
T'ho preso 'sta cosa perché l'ho vista e t'ho pensato.
Dormi da me?
Andiamo a bordo piscina a parlare e poi guardiamo le stelle insieme?
«Vieni qui» dice.
È un invito retorico poiché ha già cinto le spalle dell'altro ragazzo e lo ha attirato a sé in un mezzo abbraccio. Gli fa appoggiare il capo sulla propria spalla e deposita un candido bacio tra i suoi ricci.
Manuel si lascia maneggiare con cura - che le sue mani son capaci di farlo - e socchiude le palpebre, sereno.
L'abbraccio di Simone è un porto sicuro dove può essere sé stesso: forte, ma fragile, perché lui sa curarlo e proteggerlo.
«Il destino c'ha un sacco di cose belle per te» lo sente sussurrare, anche se il suo viso non può vederlo «solo che ancora non le hai viste.»
Non ci crede molto.
Pensa che il destino si sia divertito a prenderlo a calci in più d'una occasione, però non lo contraddice, non protesta.
Tiene gli occhi chiusi e sospira, lasciandosi cullare dall'unica cosa buona della sua vita.
***
29 settembre 2023
Simone lo accompagna davvero fino a casa di Nicola, che vive in uno dei quartieri più lussuosi di Roma, Parioli.
Come annunciato, rimane in strada con la sua Vespa bianca, appoggiato alla sella e il casco in mano.
Mentre suona il citofono, Manuel si volta in più di un'occasione nella sua direzione, a cercare incoraggiamento e conforto che non mancano, anche se solo con uno sguardo.
Sono bravi a comunicare soltanto con quelli, del resto.
Il portone grande di legno viene aperto, anticipato da una voce femminile che annuncia: «Ultimo piano.»
Il ragazzo prende un respiro profondo e fa ingresso dapprima nell'androne, dopo nell'abitacolo stretto dell'ascensore. Gli gira la testa a causa dell'ansia che lo attanaglia, tanto da non soffermarsi sui dettagli di quel nuovo ambiente tenuto perfettamente: è tutto pulito, tirato a lucido, non ci sono nemmeno crepe sul muro; è qualcosa di diverso da ciò con cui ha sempre avuto a che fare.
Avresti potuto crescerci qui, gli suggerisce una voce nella sua testa.
Sì, avrebbe potuto, ma non è successo.
Non sono successe un sacco di cose.
La sua vita avrebbe potuto essere migliore.
O peggiore.
Ah, eccoli di nuovo, i se e i ma.
L'ascensore si ferma con uno scatto al quinto piano. La abbandona con lentezza, con petto, gambe e braccia che gli tremano e formicolano.
Sta tremando da capo a piedi, in tutta onestà, non è mai stato così instabile – fisicamente, emotivamente, entrambe le cose al contempo.
Durante quegli ultimi giorni, ha cercato il nome di Nicola Brandi su Google. Non ha avuto molta speranza, all'inizio, però qualcosa l'ha scovato: il suo profilo su Facebook, ad esempio, le foto in giacca e cravatta, articoli sul suo lavoro - non ci ha capito molto di quel che fa, anche se sembra una mansione di rilevanza; nessuna immagine con la famiglia o amici, eccetto colleghi.
Ha persino elaborato il pensiero che non ci tenga abbastanza, scacciato quasi nell'immediato dal concetto che su un social network non si può conoscere una persona al punto da giudicarla o avere la presunzione che sia lo specchio perfetto della realtà.
Ad esempio, se qualcuno desse occhio al suo profilo Instagram, ne ricaverebbe che appartiene ad un ragazzo con zero problemi, che si diverte, va alle feste e ha una grande passione per le moto, nulla più.
Eppure, quella è soltanto una facciata, a celare tutto ciò che di più profondo c'è dietro. Da un lato, ha senso: in rete c'è la nostra parte migliore perché della peggiore non interessa a nessuno.
Ad ogni modo, si è focalizzato molto sul viso di Nicola, sui capelli brizzolati e la barba folta. Ha provato a cercare qualche tratto di sé sul suo volto.
Per il momento, non è stato in grado di scorgerlo.
Il medesimo viso appare sulla soglia della porta blindata lasciata aperta, le labbra sottili piegate in una curva positiva.
Manuel fatica a camminare, ad andargli incontro. Non sa come salutarlo, come solo approcciarsi a lui. Ammutolisce ed è raro che gli manchino le parole, pure quelle dedite soltanto a smorzare la tensione – una battuta sarcastica, un cenno al tempo, insomma.
Non dice nulla e allora «Vieni, entra» esclama Nicola e si scosta dall'uscio per lasciargli spazio.
Gli obbedisce, seppur con estrema lentezza.
L'appartamento nel quale fa ingresso è enorme - o forse è di dimensioni normali, solo che non ci è abituato; c'è un ampio corridoio che conduce ad un salotto col divano ad angolo in finta pelle beige.
È quello su cui prende posto, con lieve esitazione. Si guarda intorno: ci sono numerosi dipinti appesi alle pareti - sono piene, a dire il vero, solo pochi centimetri di muro son lasciati liberi. Ritraggono sia paesaggi che ritratti di donne e uomini di tempi antichi, con colori tenui.
«Bei quadri» è la prima cosa che gli viene in mente da dire, per spezzare quel silenzio nel quale non vuole sprofondare - come fa sempre, poiché odia l'assenza di suono.
Non è una conversazione sul tempo, ma è un punto di partenza.
Nicola ha preso posto su una poltrona a meno di un metro di distanza. Accenna un sorriso. «Ti piace l'arte?» domanda, curioso.
Manuel si lascia sfuggire una risata un briciolo nervosa. «No, uhm» bofonchia «nel senso, sì, cioè, non ci capisco niente, però—quando una cosa bella, tipo un quadro, immagino sia oggettiva quella... bellezza, insomma.»
Incespica su tali parole, però non se ne fa una colpa, non troppo.
Insomma, che discorso può mai intavolare con un genitore che non ha mai conosciuto e ha scoperto da poco e per caso di avere?
Mica esiste un manuale d'istruzioni.
Ah, sembra la trama di una di quelle telenovele argentine che guardava sua nonna quando era piccolo, ancora le ricorda; le ha viste come assurde, scritte senza una logica, un filo conduttore.
La sua vita, in pratica, perfetto.
«Scusa, non...» balbetta e si passa la lingua sulle labbra secche «non sapevo che dire, non—non lo so tutt'ora.»
«Possiamo dire ciò che ci pare, Manuel» Nicola cerca di rassicurarlo. «Vuoi un po' d'acqua?»
«Sì, grazie» è quasi disperata la risposta del ragazzo. Nota l'uomo fare un cenno a qualcuno di cui non ha per nulla notato la presenza: si tratta di una signora dai capelli rossi raccolti in uno chignon basso che sparisce per pochi attimi dal salotto e torna con un vassoio con sopra due bicchieri e una caraffa piena d'acqua; è lo stesso che posa sul tavolino da caffè in vetro posto davanti al divano.
Poi la donna si dilegua.
Manuel immagina sia la colf, la governante, la—non ha idea di come debba chiamarla. «Grazie» sussurra, sebbene non possa essere più sentito dalla donna.
«Capisco che la situazione sia difficile,» dice Nicola, intanto che versa da bere in entrambi i bicchieri di vetro «magari pure un po' imbarazzante, per certi versi, non credi?» abbozza una risata.
«'Na cifra» replica Manuel e fa una smorfia, pentendosi di ciò che gli è uscito di bocca.
Perché non pensi prima di parlare?
Il suo interlocutore coglie il suo entusiasmo e «'Na cifra» ripete; la cadenza romana non gli si addice per nulla, va in contrasto col suo aspetto fin troppo regale ed elegante – Manuel lo ha notato subito che pare uno di quegli uomini d'affari d'alta classe che si troverebbero in giro per Milano o chissà che.
Prende uno dei due bicchieri e lo porge al ragazzo, il quale lo afferra con dita tremanti e beve un sorso del suo contenuto.
«Avevo chiesto a tua madre la possibilità di incontrarti mesi fa, quando l'ho saputo,» spiega «lei non voleva, mi ha detto che non era il momento e ho rispettato questa decisione.»
«Non era la giusta decisione.»
«Se l'ha presa, son sicuro lo fosse.»
Manuel ammira la sua calma. Non lo conosce, non ha idea di come si approcci alle situazioni; presume che se tale apparenza descrive il suo essere, allora ha preso ben poco da lui. «Non sei—per nulla arrabbiato?» osa chiedere «T'ha nascosto questa cosa per anni, non...»
«Oh, sì, sono arrabbiato» Nicola conferma, eppure il suo tono di voce rimane tranquillo, in contrasto con le parole. Beve dell'acqua e si inumidisce le labbra. «Sono furioso, in realtà, ma ho usato questo tempo per pensare, riflettere, realizzare che tanto arrabbiarsi non serve. Piuttosto—posso usare le mie energie per altro. Per conoscere mio figlio, ad esempio.»
Per Manuel è assurdo udire una simile frase: ha passato tutta la vita a pensare che suo padre non lo avesse voluto, che fosse scappato lontano, che lo avesse abbandonato; invece, ora sta scoprendo che non è così.
Che lui non è soltanto un errore, un peso, uno scarto.
Non è in grado di replicare in alcun modo se non con un sorriso ampio che gli arriva pure agli occhi.
«E se hai bisogno di qualcosa, nel frattempo, io...» prosegue Nicola.
«Non sto qui per i soldi» Manuel lo interrompe subito «nel senso—guardando 'sto posto mi sembra tu ne abbia tanti, però a me non me interessa. Non quello, io... voglio conoscere mio padre e basta.»
È la verità.
Il denaro ha smesso d'essere importante, per quanto sia un tasto dolente per lui. Analizzando i fatti, Nicola è più che benestante, potrebbe risolvere ogni suo problema, ma risulta di poco conto tale aspetto.
Ha un padre.
Un padre che vuole conoscerlo e vuole amarlo, non uno stronzo che è fuggito.
Il resto è secondario.
«Non ho pensato nemmeno per un secondo tu fossi qui per i soldi» Nicola attesta, serio.
Di riflesso, Manuel annuisce e posa il bicchiere mezzo vuoto di nuovo sul tavolino.
Così ha inizio la prima vera conversazione tra padre e figlio, sul conoscersi e scoprirsi a poco a poco: Nicola che racconta del suo lavoro come imprenditore nel campo delle energie rinnovabili, della sua passione per la pittura e la scultura; Manuel dell'amore per i motori, per il suo diletto nel leggere poesie a, delle volte, scriverle, della scuola, delle difficoltà riscontrate.
Su tale ultimo aspetto, il padre si sofferma e suggerisce: «Se ti serve una mano per la matematica, puoi chiedere a Viola.»
«Chi è Viola?»
«Mia figlia,» risponde e gli occhi un po' gli luccicano «tua sorella.»
Un giorno di due anni prima, in quella che pare un'altra vita, Manuel ha confessato, su un terrazzo sotto le stelle, che pensava spesso ad un universo parallelo dove aveva entrambi i genitori, una casa col camino e un fratello o una sorella.
In quel momento prova l'impulso di riavvolgere il tempo e comunicare a quel ragazzino che non aveva ancora scoperto sé stesso e sognava troppo, facendosi del male, che di lì a poco le cose sarebbero cambiate, migliorate per certi aspetti.
Sta sorridendo, mentre l'uomo aggiunge: «Oggi pomeriggio è a lezione di oboe e non può essere qui, però le ho raccontato di te e non vede l'ora di incontrarti.»
Quella lieta piega sulle sue labbra non ha intenzione di sparire. «Sì, anche io.»
***
«Non è uno stronzo, Simò, capito?»
La sera stessa, Manuel racconta a Simone ogni dettaglio dell'incontro con Nicola – veramente ogni singolo dettaglio.
Sono sdraiati sul letto: Simone tiene la schiena contro la spalliera del letto, seduto con le gambe appena divaricate in modo che Manuel possa starci in mezzo e adagiarsi a lui, spalle contro petto.
Le loro dita si intrecciano, tra fiumi di parole che scorrono e narrano, in un contatto perpetuo di due persone che lontano non stanno starci.
«Sì, l'ho capito anche le altre dieci volte che me lo hai detto» ridacchia Simone, depositando un bacio sulla tempia del compagno.
«Non me pijà in giro.»
«Non mi permetterei mai.»
«Guarda che è 'na cosa strana, tipo quando c'hai avuto 'na convinzione pe' tutta la vita, che fosse uno stronzo codardo e invece non è così, come quando me pensavo d'esse etero.»
Ride di nuovo. «So' contento per entrambe le cose,» bofonchia in un suo orecchio «un po' di più per la seconda, se posso dire.»
«Cretino» è il commento di Manuel. Socchiude gli occhi e getta un po' di più il capo all'indietro per appoggiarsi meglio a lui - in ogni senso possibile.
Si lascia stringere e cullare, frattanto che le risate di entrambi scemano e si disperdono nell'aria.
«Te lo voglio presentare,» soffia poco dopo, ancora con le palpebre calate «magari tra un po', se ti va. Tanto gliel'ho già detto che ho un ragazzo.»
«L'hai fatto?»
Annuisce. «Mi ha chiesto chi sono,» sussurra «se non parlo di te, non sono niente.»
Per un breve attimo, Simone preme la bocca tra i suoi ricci, aspira a fondo il suo odore. «Non è vero che sei niente» mormora «posso fare un elenco delle cose che sei da solo e che hai soltanto tu.»
«Tipo?»
«Tipo—sei un mago dei motori, riusciresti ad aggiustare qualsiasi cosa con uno schiocco di dita.»
Manuel scuote appena la testa. «Co' la chiave giusta so' capaci tutti, Simó» borbotta.
A prendersi dei complimenti non è capace, non ci riesce.
Quando ciò accade, entra in gioco un sistema refrattario che li respinge, non li accetta.
È decisamente più bravo a farli agli altri poiché li ritiene gli unici meritevoli.
«Beh, io no, non saprei da che parte iniziare» biascica Simone.
«Seh, vabbè.»
«Devo continuare?»
L'altro ragazzo fa cenno di sì con la testa e mantiene gli occhi chiusi. «Voglio vede' che t'inventi.»
«Sei poesia,» la voce di Simone è delicata come una carezza «e non per forza perché le scrivi, nel senso—magari non ti metti a fare le rime, ma è il modo in cui parli delle cose. A volte dici delle frasi bellissime, fai dei ragionamenti tutti tuoi e nemmeno te ne rendi conto, ti viene naturale ed è la poesia che ha più valore, la più importante e commovente perché viene dal tuo cuore e in quel momento ti fai vedere perfettamente per quello che sei e chi sei.»
«E chi sono, allora?»
«Tu sei Manuel Ferro e io ti amo.»
Manuel solleva le palpebre soltanto in quel momento. Percepisce il proprio corpo stranamente leggero, insieme alla testa, insieme al cuore.
Accettiamo l'amore che pensiamo di meritare, diceva quel film.
Per quel che vale, forse ancora non crede di esser degno d'esser amato da Simone Balestra, però è quel che succede e non potrebbe esserne più grato.
Essere amato da lui è un dono.
Volta appena il capo, quel che è sufficiente per scorgere il suo viso e, soprattutto, i suoi occhi.
«Sono Manuel Ferro» mormora «e amo Simone Balestra in ogni universo.»
«Lo vedi che intendo?» gracchia il compagno.
Manuel sorride, scuote il capo. Allunga il collo e strofina la punta del proprio naso contro la sua.
Ciò che ha detto è quello che aleggia nella sua testa da tanto tempo, da prima che se ne rendesse davvero conto.
Manuel ama Simone in ogni universo e se mai ne esiste uno dove questo non accade, si tratta di uno cupo, pieno di polvere e buio nel quale è contento di non vivere.
***
3 novembre 2023
«Sei sicuro che sto bene?»
Quella sera, Simone ha indossato giacca e cravatta.
Manuel ha provato a dirgli che non era necessario, che è soltanto una cena, ma quando lo ha potuto ammirare in tali vesti—beh, il pensiero di invitarlo a cambiarsi e mettere qualcosa di meno impegnativo si è volatilizzato.
Che sei bello, Simó, ha pensato subito di fronte a tale visione celestiale.
«Stai bene» lo rassicura.
La salita in ascensore dura un'eternità.
«Forse avevi ragione, bastava un jeans con una felpa» Simone non è per niente convinto. Sospira sommessamente, alza gli occhi al cielo. «Nemmeno dovevo portare 'sto coso» borbotta.
Fa riferimento al contenitore circolare che mantiene in equilibrio su di un palmo: ha fatto un ciambellone all'arancia, ci ha impiegato delle ore per decorarlo alla perfezione con la granella di zucchero colorata.
È visibilmente nervoso ed è un particolare che Manuel nota. «Hai fatto bene e 'sto dolce spacca» prova ancora a tranquillizzarlo, strofina una mano sul suo avambraccio «è solo una cena.»
«Ma se non gli piaccio?»
Non c'è bisogno di specificare a chi.
Capisce anche quello.
Se non piaccio a tuo padre?
Tragedia.
«Impossibile,» lo rimbecca «se sapevo che ti metteva così ansia questa cosa, la rimandavo.»
«Non mi mette ansia, è–cioè, un po' sì, non... non lo so.»
Un tintinnio li avvisa che sono giunti al piano. Manuel si morde piano il labbro inferiore, intanto che cerca e trova gli occhi del compagno. Prova a comunicargli attraverso il solo sguardo che va tutto bene, visto che le parole non paiono bastare.
Simone è incerto, però si sforza di annuire. Non ha idea di cosa lo agiti tanto, non dovrebbe.
Abbandonano l'abitacolo con lentezza.
Sulla soglia della porta, c'è una ragazza minuta con dei capelli ricci tagliati a caschetto, castani, ed occhi azzurri, ad attenderli con un sorriso in volto.
Si tratta della medesima piega che assumono le labbra di Manuel, seppur intriso di un briciolo d'apprensione per il compagno che non sembra darsi pace.
Sbatte rapidamente le palpebre, ponendo un palmo sulla schiena di Simone, per un contatto dedito a placare la sua agitazione.
«Ciao, Viola» dice, la sua voce gracchia.
Non si è ancora abituato a salutare sua sorella.
Non è abituato ad avercela, una sorella, ragion per cui durante i loro incontri risulta impacciato, dice cose assurde e stupide, mentre pensa a come sarebbe stato bello crescerci insieme e farsi i dispetti, volendosi più bene un minuto dopo.
Ci ha fantasticato sopra il giorno in cui l'ha vista per la prima volta ed è stato immediato riconoscersi, quasi come si stesse guardando allo specchio.
Non è accaduto con il padre, ma con lei sì.
Presenta Simone alla ragazza, guardando i due stringersi la mano.
Casa Brandi è calda, accogliente e in perfetto ordine come sempre. Ornella - così ha scoperto chiamarsi la governante che si occupa dell'appartamento in ogni suo aspetto - è impeccabile e molto gentile, anche in quel momento, quando raccoglie le loro giacche e il contenitore del dolce.
Simone non vorrebbe lasciarlo e quasi annaspa quando gli viene portato via, presumibilmente verso la cucina. Sbatte le palpebre. «Ho fatto una torta,» dice d'un tratto «un ciambellone, in realtà, non so se vi piace o...»
Viola gli sorride, portandosi una ciocca di capelli dietro ad un orecchio. «Manuel mi ha detto che ti piace fare i dolci,» replica «ha senso perché so che sei bravo in matematica quasi quanto me e la pasticceria è proprio questo: matematica pura.»
Fa una breve pausa e abbozza una risata entusiasta. «Sai, dico questo perché tra le dosi degli ingredienti da bilanciare e tutto il resto, ci son di mezzo numeri e proporzioni che devono essere calcolate e precise. La gente può negarlo quanto vuole, ma i matematici saranno sempre i migliori a fare i dolci.»
Simone ascolta il suo discorso con espressione un briciolo stralunata, confusa, intanto che Manuel sorride assistendo alla conversazione.
Gli viene da ridere di rimando e inizia pure a farlo, ma poi ammutolisce quando il compagno si gira verso di lui con le sopracciglia aggrottate e allora: «Ti avevo avvisato che la questione della matematica era davvero seria per lei.»
Quello e la sua straordinaria passione per Masterchef, vorrebbe aggiungere. Le ha promesso che, un giorno, recupererà tutti gli episodi dell'edizione italiana e prospetta di farlo col proprio ragazzo.
Viola pone le mani sui fianchi. «Assolutamente» conferma «e posso scommettere che riesco a batterti sia in matematica che con i biscotti.»
La sua espressione è seria, molto seria, tant'è che Simone ne è persino intimorito.
Tuttavia, capisce che non ha ragione di esserlo quando i due fratelli si guardano e sghignazzano all'unisono e un po' la tensione si scioglie. Osserva entrambi e un sorriso appare sulle sue labbra: gli fa piacere vedere Manuel sereno, che scherza con sua sorella, anche se lui ne è, in qualche modo, il bersaglio.
Va bene così, non lo ha mai visto così felice ed è un bellissimo spettacolo.
Dalla parte opposta, Manuel è sereno - per davvero.
Lo è anche dopo quando introduce Simone a Nicola come suo ragazzo, quando prendono posto a tavola e la signora Ornella comincia a servir loro gli antipasti - avrà preparato cibo per un esercito.
Durante la cena, Manuel analizza le reazioni ed espressioni di Simone. Spesso allunga una mano sotto al tavolo per toccargli una gamba, un gesto che fa risultare casuale dedito soltanto a cercare un contatto per donargli tranquillità; non serve a molto, non perché l'altro resta agitato, piuttosto c'è una calma assurda in quel momento che non è neppure necessario.
Calma che comincia a venir messa alla prova ad un tratto, soprattutto nell'attimo in cui Nicola, seduto a capotavola, mentre taglia la fetta di arrosto con cipolle caramellate che ha davanti, domanda: «Quindi... tu, Simone, che hai intenzione di fare l'anno prossimo, dopo il liceo?»
Il ragazzo interpellato ha la bocca mezza piena quando il quesito raggiunge le sue orecchie. Lancia una rapida occhiata al compagno al suo fianco e butta giù il pezzo di carne che rischia di farlo soffocare. Finge un colpo di tosse e beve un sorso d'acqua per schiarirsi la voce.
«Uhm, voglio fare architettura» risponde e annuisce alle proprie parole.
Nicola assottiglia gli occhi e si versa nel bicchiere un po' di vino rosso. «È una scelta interessante,» commenta «Manuel mi ha detto che vorrebbe fare filosofia.»
«Non per forza» interviene colui che è stato appena menzionato, il che porta gli sguardi di tutti i presenti su di sé.
«Non per forza filosofia, intendo» specifica, come non fosse chiaro.
Simone aggrotta le sopracciglia. Da che si ricorda, il desiderio di frequentare quella facoltà è sempre stato molto specifico e chiaro, ragion per cui è un confuso, in parte, da tale affermazione. «Ma da quando, scusa?»
«Boh, lo penso da un po' credo» borbotta Manuel, che non si preoccupa di smettere di mangiare l'arrosto che ha nel piatto su cui abbassa gli occhi «la filosofia mi piace, un sacco, davvero, però vorrei fare—qualcosa di più pe' aiutá le persone e questa è 'na cosa che viene sempre sottovalutata e allora... boh, ho pensato de tenta' psicologia.»
Non mente sul fatto che tale cambio di direzione sia avvenuto di recente, mettendo in rassegna gli ultimi eventi della propria vita e andando a ritroso sino alle vicissitudini della preadolescenza e infanzia.
Allora, ha elaborato un progetto futuro che mira a non far provare a nessuno ciò che ha dovuto patire lui, in particolar modo sulla sfera della scoperta di sé stessi e il rapporto con gli altri; soprattutto, di rendere accessibile quel tipo di aiuto anche a chi non si trova in condizioni economiche favorevoli.
Probabilmente è qualcosa di ambizioso e non sa da dove debba partire, che avrà tremila cavilli burocratici e mancanza di fondi che gli remeranno contro, però è un'idea e tutte le rivoluzioni sono partite da quello.
Non ha rivelato a nessuno tale intento. Lo ha scritto ad Emma, un giorno, e ne hanno parlato per qualche ora, ma nulla di più.
Sorride, ragionando sul fatto che ha appena fatto quella confessione davanti a suo padre, sua sorella e il suo ragazzo. Se ci fosse stata anche Anita, avrebbe raggiunto l'apice della contentezza, ma con lei ancora non ci parla e quindi...
Solleva il capo.
Simone lo fissa stranito per un breve attimo - che dura poco poiché nel giro di qualche secondo la sua espressione si addolcisce, il suo sguardo diventa fiero ed orgoglioso.
«Mi sembra un buon progetto» commenta Nicola. Viola, seduta davanti al fratello, fa cenno di sì col capo e gli rivolge un sorriso di approvazione.
«Se ce riesco, insomma... a me sarebbe servito quel genere di aiuto quando non capivo me stesso e per mille altre cose, per cui...»
«Beh, per la tua confusione servirebbe anche ora» è l'uomo a capotavola ad intervenire. Posa il bicchiere di vino vuoto sul tavolo e ripone le posate sporche nel piatto con mezza fetta di arrosto che non ha intenzione di finire - non perché non sia buono, al contrario, ma si è riempito abbastanza con antipasti e prima portata.
Manuel crede di aver capito male, di aver interpretato la frase in maniera errata - se ne esiste mai una giusta. Ha una piega sulle labbra che perde la sua positività e allora: «Che—che intendi?»
«No, nulla, era solo un pensiero.»
Se espressi a voce alta, i pensieri diventano reali e smettono di essere soltanto tali.
Tramutano in opinioni, spesso neppure richieste.
«Me interessa 'sto pensiero, che significa?» non vuole lasciar perdere.
Viola sembra capire dove quel discorso vuole andare a parare e vorrebbe tanto intervenire, impedire che esso avvenga. Prova a parlare, ma Nicola la precede: «Niente, riflettevo sulla cosa che mi hai detto qualche tempo fa, che sei—uhm, ti piacciono sia i ragazzi che le ragazze...»
«Seh, so' bisessuale, quindi?»
«Beh, è che va... al di là della mia comprensione. Mi hanno sempre insegnato che o sei una cosa o sei un'altra, qualcosa nel mezzo è... assurdo ed illogico.»
Nicola accenna una risata, ma è l'unico a farlo. Si riempie una seconda volta il bicchiere di vino. «Ho una mentalità aperta, non ho alcun problema ad avere un figlio gay» aggiunge «non vedo perché nascondersi in questa via di mezzo senza senso.»
Non è la prima occasione in cui Manuel si trova al cospetto di frasi simili: ha persino smesso di risultare una sorpresa perché la quantità di persone che si focalizzano su tale convinzione, che si può essere o bianco o nero, o questo o quello, è così radicata da risultare impossibile da modificare, da tranciar via.
Fa male.
È una coltellata dritta al petto ogni volta, come se la propria identità dovesse essere perennemente messa in discussione: sei indeciso, sei confuso, quando stai con una donna sei etero, se stai con uomo sei gay.
Ma lui, e nessun altro, smette di essere ciò che è se sta con una persona di diverso genere.
La parola bisessualità fa paura, anche se si continua ad urlarla forte; il problema è che la gente preferisce tapparsi le orecchie.
Viola si accorge di come il fratello si sia rabbuiato a causa di quella infelice uscita da parte del padre. Fa per aprir bocca e riprenderlo, rimproverarlo, ma è Manuel a precederla: «Mangiamo il dolce?»
Hanno ancora il secondo nel piatto, le fette di arrosto che si stanno raffreddando.
Tutti, però, hanno smesso di consumare tale pietanza: l'appetito è venuto meno, di pari passo alla voglia di proseguire quel discorso.
«È un ciambellone, Simone è bravissimo a farlo» aggiunge, di fretta, stringendosi nelle spalle. C'è arrendevolezza nel suo tono di voce, che viene percepita sia dal compagno che dalla sorella.
Nessuno dei due aggiunge dell'altro o torna sul discorso precedente. Lo lasciano morire per il resto della cena che si conclude con più silenzio e meno entusiasmo.
Quaranta minuti dopo, con una scusa banale, Manuel si allontana dalla sala da pranzo dove hanno consumato il pasto.
Ha perso il conto delle stanze presenti in quella casa. Apre una porta casuale per ritrovarsi in quel che pare essere uno studio, con una grossa scrivania in legno scuro e massiccio, onnipresenti quadri sulle pareti, poca luce soffusa.
Non gli interessa molto il posto, qualunque va bene per isolarsi e non scoppiare.
Ha desiderato rispondere a Nicola ogni secondo rimasto seduto a quel tavolo e non ha idea di cosa l'abbia trattenuto; forse il timore della sua reazione, il suo non volere avviare una discussione, non in quel momento.
È appoggiato al bracciolo della poltrona in finta pelle, le palpebre socchiuse. Cerca di regolarizzare il proprio respiro ed ha i pugni chiusi così forte che ha lasciato l'impronta delle unghie nei palmi.
«Sei qui.»
Simone lo ha trovato.
Certo, lo trova sempre quando si perde, anche dentro quei diavolo di labirinti.
Manuel apre lentamente gli occhi. L'altro ragazzo gli è davanti, in piedi, e i loro centimetri di differenza d'altezza danno l'apparenza d'essere molti di più.
«Cercavo il bagno» borbotta.
«Questo non è decisamente il bagno.»
«Beh, è tutto da super ricchi qua dentro, potrebbe pure esserlo.»
Simone accenna una risata, lieve e flebile, priva di ogni entusiasmo. Allunga una mano, con due dita sfiora la sua guancia, dopo gli sposta un riccio dietro ad un orecchio - i suoi capelli sono cresciuti parecchio durante l'estate e non c'è alcuna intenzione di tagliarli.
«Stai bene?» è una domanda di cui conosce già la risposta.
Manuel scrolla le spalle. «Forse ho fatto troppo presto a dì che mi' padre non è 'no stronzo» confessa, con voce che trema un briciolo.
«Non è uno stronzo» sussurra l'altro ragazzo. Non ha interrotto il contatto che c'è tra di loro: continua ad accarezzargli il viso, non smetterebbe mai.
«Ma l'hai sentito?»
«L'ho sentito, però... tuo padre è soltanto un Matteo.»
«Cosa?»
«Matteo» ripete, come a sottolineare l'ovvio - eppure Manuel ancora non comprende - «una di quelle persone che non è cattiva, solo ignorante e gli vanno spiegate meglio le cose.»
Ora sì che ha capito e vorrebbe non averlo fatto. Sospira sommessamente. «Me pare che siano tutti dei Matteo attorno a me» borbotta.
«Lo sono, purtroppo» Simone si sporge in avanti soltanto per depositare un bacio sulla sua fronte «poi capiranno. Un giorno lo faranno.»
Un giorno.
È difficile da aspettare, arduo da sperare.
«So' stanco, però» pigola Manuel. Non se n'è accorto, i suoi occhi si sono fatti lucidi.
È stanco di dover spiegare ogni volta le stesse cose, di doversi giustificare, di gridare per essere visto e capito.
Si chiede fin troppo spesso il motivo per cui deve essere tutto una battaglia e lui è privo di armi adatte.
«Lo so, amore.»
«Amore?» un sorriso appare sul suo volto, che un po' va in contrasto col principio di pianto che lo attanaglia.
«Eh. Tanto in francese già te l'ho detto, mh?»
Annuisce. «Mi piace amore» abbozza una risata. Sfrega la punta del suo naso con la propria. Il petto gli sussulta, anche se è qualcosa di scontato ciò che gli ha detto, nulla di nuovo, eppure per lui è come la prima volta.
Che spesso si sorprende del fatto che qualcuno lo ama così tanto.
Che Simone Balestra lo ama così tanto.
Lo distrae dall'amarezza che gli ha lasciato quella cena, dalla delusione che gli pesa addosso al pari di un mantello troppo pesante.
«Chiamami sempre amore» gracchia. In realtà, prova ad intonare una canzone, di quelle vecchie che gli faceva sentire Anita da bambino:
Chiamami ancora amore,
chiamami sempre amore,
che questa maledetta notte
dovrà pur finire
perché la riempiremo noi da qui
di musica e parole.
Non ne è capace, la sua voce in quel frangente non è per nulla armoniosa; sotto la doccia, canta sempre e ringrazia che nessuno possa sentirlo, anche se, forse, a Simone permetterebbe di ascoltarlo, lasciandosi prendere in giro.
Amplia il sorriso, sta per baciarlo sulla bocca, ma il cigolio della porta lo precede ed interrompe.
Si girano entrambi all'unisono verso l'uscio laddove appare Viola che «Posso?» chiede, a bassa voce.
Per riflesso, Simone si stacca con lentezza dal compagno. «Sì, certo, uhm—io vado in bagno» dice, muovendo qualche passo alla rinfusa per poi abbandonare lo studio - non ha idea di dove sia in effetti il bagno, ma avrà tempo e modo di scoprirlo.
Manuel non si muove intanto che la sorella si avvicina a passi lenti, va ad occupare il medesimo spazio lasciato vuoto dal ragazzo che ha abbandonato la stanza e mormora: «Mi dispiace per quello che ha detto papà, ti si leggeva in faccia che ci sei rimasto male.»
Sospira. «Non fa niente,» un briciolo mente «ci son abituato.»
Purtroppo.
«Non dovresti esserci abituato» puntualizza Viola «anche se da lui quasi me lo aspettavo.»
«Cioè?»
«Cioè che per quanto voglia fare quello dalla mente aperta, spesso non connette la bocca al cervello e fa queste uscite un po' del cazzo.»
A Manuel viene da ridere per la sorpresa di sentirla parlare in quel modo - non che la conosca alla perfezione, anzi, sta imparando a farlo e l'ha sempre vista a modo, con un linguaggio pacato, diverso da quello che ha appena utilizzato.
Viola tiene le braccia conserte e il capo appena piegato su di un lato. «Dice di avere la mente aperta, ma è un boomer» prosegue.
Smette di parlare per un istante e si passa una mano tra i capelli, scompigliando i ricci. «Io ho un ragazzo,» riprende «si chiama Rayan ed è nero. Mi scoccia un sacco doverlo specificare, non lo faccio mai perché è una cosa stupida. È soltanto il mio ragazzo e se devo parlarti di lui, ti dico che gioca a calcio, è un campione e spera tanto di finire in serie A, non della quantità di melanina che ha la sua pelle. Invece ho dovuto farlo presente quasi fosse d'obbligo e non ha per nulla aiutato quando ho invitato Rayan a casa per la prima volta. Ci ho litigato con papà, ovviamente, e pure pesante perché se lo meritava.»
Sbuffa e scuote il capo al ricordo. «Una parte di me lo sa che non è colpa sua, non del tutto. Bisogna saper riconoscere il contesto in cui una persona è cresciuta e lui lo ha fatto in una società di merda, con dei preconcetti un po' del cazzo su ogni cosa, sul colore della pelle, sul ruolo della donna, sulla sessualità e via discorrendo, ma siamo nel 2023, quasi 2024 e non è una scusa questa. È necessario educare queste persone al rispetto reciproco, che non basta dire di avere la mentalità aperta quando poi dalla loro bocca escono stronzate» curva le labbra in un mezzo sorriso «tipo come si fa coi bambini, solo che questi hanno cinquant'anni e blaterano troppo.»
Manuel la ascolta in silenzio e ammira la serietà con cui porta avanti quel discorso, non incespicando su nessuna parola, toccando argomenti simili seppur differenti. Pensa che potrebbe tenere dei comizi e sarebbe più convincente di molte altre persone con cariche importanti.
Annuisce e si morde piano il labbro inferiore. «Simone dice la stessa cosa, più o meno» commenta.
«Beh, siamo due matematici» attesta Viola e con un dito preme sulla propria tempia «la nostra intelligenza sbaraglia tutti.»
È vero, Simone e Viola sono molto simili per certi aspetti e Manuel non si sorprende del fatto che con tutti e due si senta a casa, al sicuro, per quanto da poco la ragazza sia nella propria vita; immagina che dei legami così profondi scavalchino lo spazio ed il tempo.
Probabilmente, pensa, andrebbe d'accordo pure con Emma.
Entrambi lo farebbero.
«Ah, ho una cosa per te» esclama lei e dalla tasca tira fuori un oggetto: è una spilla rotonda, di tre colori posti a fascia, fucsia, viola e blu; è facile riconoscerli, sono quelli della bandiera bisessuale.
Gliela mostra fieramente. «Ho visto che ne hai una attaccata alla giacca, con Londra e un quadro di Van Gogh e ho pensato che potevi metterci questa vicino, coi tuoi colori.»
Manuel ammutolisce. Raccoglie la spilla tra due dita. La osserva, è bella, in ogni senso possibile. «Grazie» soffia.
«Figurati, non è nulla di che» rimbecca Viola. Allunga una mano e gli accarezza una guancia con la punta delle dita. «Ci parlo io con papà.»
«Non serve.»
«Sì che serve. Lascia fare a me, fratellone.»
Persino essere chiamato così è strano, ma è un suono che gli piace abbastanza.
Più che abbastanza.
***
31 dicembre 2023
Manuel sta fissando quella infinità di gif animate che sua madre Anita gli ha inviato, tutte di seguito.
Da quando sta provando a farci pace, a poco a poco, la donna va a briglia sciolta e lo riempie di messaggi e fin troppe attenzioni. Da un lato non gli dispiace, dall'altro vorrebbe dirle di smetterla, che non è necessario, ma tanto non servirebbe.
È tornato a vivere con lei, in un appartamento minuscolo dove è costretto a dormire sul divano poiché c'è una stanza sola e ha preferito lasciarla a lei e alla sua schiena dolorante. Per il momento, è tutto ciò che possono permettersi.
Nicola ha provato ad offrir loro un sostentamento economico per l'affitto, ma entrambi hanno rifiutato. Nessuno dei due sa ancora per quanto possono farlo; magari, un giorno, cederanno e accetteranno quel genere di aiuto.
Fino a tale avvenimento, Manuel si limita ad andare a pranzo o cena ogni domenica a casa del padre, a volte in compagnia di Simone, altre volte da solo.
«Ma chi te le manda tutte 'ste cose da vecchi?»
Una voce squillante gli riempie le orecchie. C'è rumore intorno, in quel locale dove stanno trascorrendo il Capodanno.
Non avrebbe voluto andarci, a dire il vero, per i soliti motivi che tutti conoscono, ma, alla fine, tra risparmi e qualche spicciolo che la madre gli ha regalato a Natale, è riuscito a pagare la sua quota e partecipare alla festa che comprende un cenone fin troppo abbondante e musica e balli.
Qualcuno direbbe che è da vecchi anche quello.
Manuel solleva lo sguardo. Trova Chicca di fianco a sé che sbircia sullo schermo del proprio cellulare con fare curioso.
«Mi' madre» risponde, conciso.
«Daje, allora glielo posso perdona' ad Anita» ridacchia lei. Indossa un vestito corto color argento che luccica a causa dei brillantini e un paio di stivali alti che arrivano a metà coscia. È bellissima ed elegante.
Manuel è convinto di sfigurare, considerato il suo outfit semplice, un pantalone nero e stretto che gli fascia le gambe e una camicia del medesimo colore.
È in piedi in un angolo dell'ampia sala in fermento per l'arrivo della mezzanotte, mentre viene servito del tiramisù per dessert, appoggiato al davanzale in marmo di una delle finestre. Si è alzato unicamente per sgranchirsi le gambe, dato che è rimasto seduto per almeno tre ore.
«Je dico de mandarle a te se te fa piacere» sghignazza. Blocca il telefono attraverso il tasto laterale e lo ripone nella tasca anteriore dei jeans.
Chicca gli tira un lieve colpo col gomito. Appare serena, il suo odio ed astio stanno svanendo, pian piano - non troppo - ma almeno sono in grado di avere conversazioni civili senza urlarsi addosso.
«Er ragazzo tuo dove l'hai lasciato?» non c'è scherno nel tono che utilizza.
Manuel lancia un'occhiata verso il tavolo dove son stati sistemati tutta la sera. «Stava qua,» dice, accorgendosi che Simone non è più lì a chiacchierare con Laura, che è rimasta sola «sarà andato in bagno.»
«Se non se move se perde il conto alla rovescia.»
«Seh, mo' torna.»
Ne è convinto, molto più che abbastanza, tanto che all'inizio non si preoccupa di quella sparizione.
Tuttavia, quando il tempo d'assenza supera i venti minuti, una sensazione di irrequietezza lo assale. E allora si congeda da Chicca, dal discorso che lei gli sta facendo sull'accademia d'arte che vorrebbe frequentare dopo il liceo e sull'indecisione della propria scelta; cammina tra la moltitudine di persone sparse tra i tavoli e in pista a muoversi e ballare.
Lì non si è avvicinato, non è una disciplina che gli piace.
Si dirige verso l'unico luogo possibile dove pensa il compagno sia: il bagno del locale non è molto grande, ci sono delle mattonelle blu scuro a coprire pavimento e pareti, tre cabine di legno opaco e nero e un lavandino con tre rubinetti in fila.
Non si è sbagliato: trova Simone lì, però è seduto a terra con le spalle contro il muro e le ginocchia flesse al petto, differentemente da ogni previsione.
«Oh, te senti male?» accorre al suo fianco, sbattendo le ginocchia e un po' si fa male.
Simone tiene il capo basso, fatica a tenere gli occhi aperti e le luci a neon gli danno fastidio. «No,» bofonchia «mi scoppia solo la testa.»
«T'ho perso di vista solo pe' poco, che te sei bevuto?»
«Niente.»
«Non me pare niente, puzzi d'alcol.»
In effetti, è così. Manuel se ne è accorto nell'attimo in cui si è avvicinato; durante la cena, ha notato il compagno riempirsi il bicchiere di vino in numerose occasioni, ma non ci ha dato troppo peso - perché sono ad una festa di Capodanno, è normale bere, anche per chi lo fa poco e niente.
Non lo fa quasi mai, però.
«Ce la fai ad alzarti? Andiamo fuori, prendi un po' d'aria» propone.
Simone si affretta a scuotere il capo; lo fa troppo velocemente e si provoca da solo delle vertigini. «No, mi... mi viene da vomitare» biascica.
«Okay, allora restiamo qua» attesta subito Manuel. Prende posto al suo fianco, nella medesima posizione.
«No, è... è quasi mezzanotte, non devi passarlo in un bagno solo perché non reggo niente.»
«Eh, che ce devo fa' se er ragazzo mio non c'ha il fisico?» tenta di sdrammatizzare e, di norma, sarebbe un buon espediente, riderebbero entrambi in un clima leggero.
Tuttavia, c'è un attimo, una frazione di secondo in cui i loro sguardi si incrociano e scorge, negli occhi grandi di Simone, un'ombra che non sa decifrare, una presenza oscura che non è mai stata presente, ma che adesso lo è, ingombrante, strana, un fantasma che incute timore.
Il sorriso che ha stampato in volto svanisce pian piano, spazzato via da una paura che acquista basi sempre più solide.
«C'è qualcosa che non va, Simo?» deve per forza chiedere e un briciolo gli duole, perché è come accorgersene tardi senza aver carpito i segnali d'avvertimento.
Forse stai ingigantendo tutto, la propria coscienza lo rimprovera.
Non essere melodrammatico.
Simone tira su col naso e fa cenno di no con il capo. «No,» soffoca «va tutto... bene.»
«Sicuro?»
«So' sicuro.»
«Me lo diresti se non fosse così?»
C'è una lunga esitazione prima della risposta che corrisponde a lui che annuisce e basta, senza proferire parola.
In quel bagno freddo, si ode l'eco del conto alla rovescia da parte di tutti i partecipanti alla festa, da venti, diciannove, diciotto...
Ma lo scorrere del tempo non tange Manuel, concentrato sui tratti del viso di Simone che gli appaiono un po' rotti, non nitidi e chiari come lo sono di solito.
Che Simone è la luce in mezzo all'oscurità, mentre ora è spento, con le tenebre che provano a divorarlo, come se fosse diventato eclisse.
«Me lo diresti?» ripete. Vuole la conferma.
L'altro ragazzo lo fissa per un attimo, sbattendo le palpebre lentamente. «Non c'è niente che non va» sussurra e soffoca «è solo il vino.»
Manuel prova ancora a credergli, a pensare che l'oscurità sia dovuta soltanto a delle nuvole passeggere e che basterà un po' di vento per cacciarle via.
Ci prova, seppur con scarsi risultati.
Il conto alla rovescia giunge al termine e inizia un nuovo anno.
Tra di loro c'è un bacio lieve e delicato e anche in quel gesto che è divenuto abitudine, sente che qualcosa fuori posto c'è e ha paura di scoprire cosa.
***
18 gennaio 2024
Sono tre giorni che Simone non viene a scuola e non ha detto a Manuel il perché.
Persino i pochi messaggi che si sono mandati sono risultati scarni, con poche spiegazioni; non si tratta del loro solito parlare, tutto il contrario.
Da quando stanno insieme, ad esempio, non è mai successo che Simone dicesse di no a Manuel che gli propone di vedersi da qualche parte o di fare un salto a villa Balestra.
Più volte gli ha chiesto se fosse successo qualcosa, se ha fatto qualcosa e soltanto dopo una lieve insistenza ha ottenuto una replica:
Ho la febbre alta, mi scoppia la testa e dormo un sacco.
E Manuel pensa che ha mal di testa da un sacco, ma quando passa?
sicuro?
vuoi che vengo lì?
ti posso portare qualcosa..
Meglio di no, ti ammali pure tu se no. Davvero, non preoccuparti.
Però Manuel si preoccupa lo stesso.
Ha provato a cercare Dante per chiedere spiegazioni a lui, ma il professore si è presentato a lezione soltanto il primo di quei giorni e poi hanno avuto supplenza nelle sue ore.
Ah, gli sembra di impazzire.
Non capisce cosa succede.
Sì che, di norma, non è molto in controllo delle cose, lo perde con facilità in più occasioni, però così è più arduo - ancor di più.
Dalla sera di Capodanno ha notato che c'è stato un cambiamento, che qualcosa è fuori posto e ancora si arrovella il cervello a cercarlo, capire, risolvere l'enigma che lo tormenta.
Quel pomeriggio, all'uscita di scuola, sulla sua fedele moto sfreccia verso villa Balestra.
Va fin troppo veloce, rischia persino di perdere l'equilibrio e cadere sull'asfalto ad un certo punto, ma alla fine giunge a destinazione, con affanno e apprensione.
Si leva il casco e lo lascia appeso al manubrio, sul mezzo parcheggiato nel giardino.
Cerca di riprendere fiato nel breve tragitto sul vialetto che lo conduce al porticato dell'abitazione e davanti alla porta. Batte il pugno chiuso sull'anta di legno - una volta, due, tre.
Non ottiene risposta e quindi quattro, cinque, sei.
Sette, otto, no—
La porta viene aperta e fa appena in tempo a fermarsi per non colpire sbadatamente chi gli si para davanti.
«Ah, ce stai allora» esclama.
C'è Simone sulla soglia, i capelli scompigliati, gli occhi arrossati e una felpa a maniche lunghe che gli sta larga addosso. «Ti avevo detto di non passare» borbotta, stringendosi nelle spalle.
«Sì, e a me non piace ascoltare. Se può sapere che c'hai?»
«La febbre.»
«Non è vero.»
«È vero, stavo a letto e...»
«Perché non me guardi manco in faccia, allora?»
È palese il fatto che lo sta evitando: il suo sguardo è sfuggente e non accade quasi mai.
Si cercano sempre con gli occhi, da soli o in mezzo agli altri, è un riflesso incondizionato e Manuel se ne può rendere conto con facilità se ciò non si verifica.
«Simo,» sospira ancora «me vuoi dì che succede?»
«Non succede niente.»
Sbattere contro un muro sarebbe uguale. «Non ce credo» insiste «daje, famme entrà, andiamo di sopra e me racconti tutto.»
A tal punto, come è accaduto in diverse circostanze, Simone si scanserebbe e lascerebbe al compagno la possibilità di varcare la soglia di casa, insieme andrebbero in camera, si metterebbero insieme sul letto, abbracciati, e si confesserebbero a vicenda eventuali ansie e paranoie.
Succederebbe questo se tutto andasse bene.
Ma non va bene.
Manuel non si è sbagliato, qualcosa fuori posto c'è come se qualcuno avesse staccato un pezzo dal puzzle che compone loro due insieme e lo avesse perso e adesso nulla ha senso.
«Ho la febbre, non voglio mischiartela» ribadisce Simone. È serio, fermo in ciò che gli esce di bocca. Non tentenna neppure.
«Torna a casa, Manuel.»
Torna a casa, non resta.
Manuel, non amore.
Vai via.
«Simó...» soffoca.
Rimane solo l'eco della sua voce poiché la porta gli viene chiusa davanti con un tonfo.
D'improvviso, è di nuovo al buio e i colori intorno non sono più vividi.
***
[Note autore:
Ciao a tuttə e grazie per aver letto fin qua.
Spero di non avervi annoiato.
Un bacio,
Lilith.]
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro