Polifemo
Sabbia, e ancora sabbia, su ogni cosa. Erano passati due anni dal loro arrivo, dalla grande mietitura e nonostante tutto, la cenere era ancora sospesa nell'aria tutt'intorno e il sole non era mai più apparso come prima, nascosto da una coltre di nuvole arancione. Se si voleva sapere quanto una direzione fosse stata inesplorata bastava saggiare la sabbia, la sua profondità, la sua consistenza e si sapeva se qualcuno avesse mai azzardato quella strada.
Un gruppo di uomini e donne, che erano coperti da capo a piedi, indossavano occhiali da sole per proteggere gli occhi dalla cenere e dalla sabbia.
Erano seduti in cerchio e si tenevano per mano con gli occhi chiusi. Al loro centro c'era una candela accesa e impercettibili preghiere provenivano dalle loro bocche. Una ragazza si alzò, andò al centro e dopo un lieve inchino spense la candela e la porse ad un uomo alto e robusto che la mise nello zaino. Tutti si alzarono e ripresero la marcia.
Camminavano in fila indiana attraverso una città abbandonata. La vegetazione aveva conquistato il grigio e dalla cima dei palazzi. Pendevano piante di tutti i tipi che lottavano con il cemento e gli insetti, che erano diventati più grandi e voraci.
L'uomo, a capo della piccola processione di sopravvissuti, guardava a terra preoccupato cercando di non farsi accorgere nervoso. Aveva lunghi baffi e una barba incolta che gli arrivava fino allo sterno e quando era agitato muoveva veloce gli occhi, respirando affanosamente. Camminava stringendo il pugno attorno ad un forcone che usava come bastone da passeggio e come difesa: sembrava una rappresentazione vivente di poseidone. La gente lo chiamava Sinbad il marinaio per via di un tatuaggio sull'avanbraccio sinistro, un timone intrecciato ad un'ancora. Parlava di rado dopo quello che aveva visto, così, non sapendo il suo nome, gliene era stato attribuito uno. Non si era opposto, aveva dimenticato il suo quando aveva visto sua moglie e sua figlia essere portate via da un fascio di luce. Il raccolto, la mietiura, a volte l'apocalisse. Così lo chiamavano.
Una donna si avvicinò a Sinbad e si scoprì il volto per parlare.
"Forse dovremo cercare riparo."
"Copriti subito Yara." Le ringhiò lui.
Lei eseguì il suo comando silenziosa e tornò in fila. Sinbad si fermò e con un gesto della mano chiusa a pugno arrestò la marcia. Si accucciò e raccolse una manciata di sabbia dal suolo mettendosene un pizzico sulla lingua e poi sputò, coprendosi veloce la bocca con la sciarpa verde che era indossata come un turbante. Non erano soli. L'uomo si alzò sospirando appoggiandosi al bastone e accarezzandosi lentamente la barba. Tutti sapevano qual'era la procedura. Sinbad per primo lasciò cadere il forcone e piano, tutti lasciarono al suolo oggetti appuntiti e arruginiti che venivano utilizzati per svariate mansioni e, quando necessario, la difesa personale.
Dal fondo della via deserta apparve una donna dalle lunge vesti seguita da due uomini che tenevano al guinzaglio dei cani rabbiosi. Una volta che fu vicino tese la mano destra coperta da un guanto bianco.
"Benvenuti nella mia città, stranieri." Disse.
"E' tanto che non vedo un cane vivo." Rispose il marinaio.
"E' tanto che non riceviamo visite."
"Siamo solo di passaggio, io e il mio gruppo dobbiamo raggiungere la prossima città." Sinbad disse.
"Non sembra abbiate il necessario per proseguire." Disse la donna.
"Qual'è il tuo nome?"
"Alyssa. Significa ninfa proveniente dal mare."
"Non ti ho chiesto quello che significa." Rispose l'uomo cupo.
La donna incrociò le braccia.
"Ti sembra il modo di ricevere ospitalità?" Disse sorridendo giocosa.
"Dal giorno del raccolto non c'è stata ospitalità per nessuno. Mi chiedo cosa spinga una donna che ha con sè cani vivi ad ospitarci."
"La volontà di aiutare il prossimo." Rispose lei salda.
Lui si voltò e il suo gruppo si dispose in cerchio.
"Chi è a favore di stare?" Chiese Sinbad.
Lentamente si alzarono le prime mani fino a che tutti, compresa Yara, sollevarono il braccio.
L'uomo si voltò verso Alyssa che aspettava paziente.
" Abbiamo deciso di restare."
"Non mi hai detto come ti chiami..." Disse con una voce cantilenata.
"Sinbad. Mi chiamano Sinbad."
Qualche momento più tardi erano entrati in un enorme edificio che era stato isolato dall'esterno. Si erano tolti i vestiti sporchi e gli occhiali da sole. Erano tredici, di differente età e statura, sesso e ceto sociale. In quel momento era ininfluente, erano una famiglia. Sinbad aveva preso Yara da parte e le aveva detto che trovava la situazione strana, ma lei l'aveva detto che lui si preoccupava troppo. Da quando le enormi sfere di luce si erano abbattute sulla terra, e il marinaio aveva perso la famiglia, Yara era diventata la sua compagna, la sua ancora, il suo timone e la sua confidente. Incarnava forse le vite che non si trovavano più su quella dannata terra.
Alyssa fece suonare un campanello e due bambine arrivarono trasportando un grosso armadio a cui erano state applicate delle ruote.
"Loro sono le mie bambine. Calypso e Serena."
Dopo un leggero inchino di saluto le due bambine aprirono le ante dell'armadio e mostrarono vestiti nuovi e comodi ai naufraghi appena arrivati. Molti rimasero immobili e solo alcuni si avvicinarono per vedere che cosa contenesse l'armadio.
"Sarete stanchi dal viaggio. Cambiatevi e riposatevi. Abbiamo un rinfresco per voi." Disse Alyssa prima di allontanarsi.
Yara si avvicinò a Sinbad che si guardava intorno circospetto e controllava le uscite. Gli posò una mano su braccio che lui ritrasse spaventato.
"Che ti prende?" Chiese lei.
"Scusami sono molto teso, diffido di questa gente."
In quel momento Alyssa si avvicinò alla coppia. Si era spogliata dei vestiti pesanti che la coprivano e dall'abito molto scollato si intravedeva un tatuaggio rosso raffigurante un'occhio situato al centro del petto.
"Volete fare un giro dell'edificio?" Chiese sorridente.
Mentre il resto della spedizione si riposava e veniva rinfocillato Sinbad e Yara seguirono Alyssa per il tour guidato dell'edificio.
"Dove eravate diretti?" Chiese la donna interrompendo il silenzio.
"Andiamo verso il mare del nord." Rispose Yara piena di speranza.
"Anche voi avete sentito le storie di chi ce l'ha fatta?"
"Si." Rispose freddo Sinbad.
"Dev'essere stata dura per te..." Commentò Alyssa.
"Come per tutti."
"Devi perdonarlo." Si intromise Yara. "Ha sempre dovuto provvedere a tutto il gruppo."
"Capisco." Disse Alyssa lentamente aprendo una porta davanti a loro. "Questa è la fonte della nostra sopravvivenza." Aggiunse fiera.
I due ospiti entrarono e le luci si accesero. Davanti a loro apparve una stanza piena di enormi vasche.
"Avvicinatevi." Li invitò Alyssa.
Sinbad e Yara camminarono avanti circospetti e quando guardarono all'interno dei contenitori videro una massa di creature mollicce che si muovevano freneticamente. Si guardarono poi con uno sguardo rapido capirono che tutta la stanza era piena di quel fermento di vita brulicante.
"Cosa sono?" Chiese Yara.
"L'evoluzione." Rispose Alyssa.
Sinbad incrociò le braccia in attesa di spiegazioni. La donna notò la sua impazienza e mostrò il palmo su cui ora si trovavano due larve grasse, bianche e cieche. Con l'altra mano pizzicò uno dei due e questa si contorse dal dolore. L'altra si bloccò improvvisamente e poi iniziò a dare testate invisibili all'aria. Quando fu allineata con la sua simile iniziò a strisciargli incontro fino ad incontrarla e morderla. Lo spettacolo fu orribile. La larva ferita veniva fatta a pezzi dalla sorella che, famelica, le mangiava le interiora proteiche.
"Evoluzione. Una specie che si alimenta dalla stessa per perfezionarsi."
"E' mostruoso." Disse Yara indietreggiando.
"Questi sono i miei greggi con cui nutro il mio popolo." Disse fiera la donna. "Magari ci farete l'abitudine."
"Non credo." Rispose Sinbad pronto. "Siamo in partenza."
Alyssa si bloccò e voltò di colpo la testa.
"Abbiamo preparato un banchetto per voi."
"Non possiamo stare." Rispose lui risoluto.
In quel momento arrivarono due uomini e due membri della spedizione di Sinbad.
"La cena è pronta." Annunciarono.
Yara sorrise e Sinbad si sforzò di fare lo stesso. Alyssa con un gesto della mano li invitò a proseguire.
"Dell'ottimo succo alcolico vi aspetta a tavola."
Pochi minuti dopo si trovavano tutti seduti per terra intorno ad un enorme tavolo di vegno molto basso. Degli uomini portavano i vari piatti a base di larve e poi si posizionavano vicino alle uscite con le mani dietro la schiena. Yara era tesa, così Sinbad le posò una mano sulla coscia.
"I servi sono armati." Le sussurrò all'orecchio.
Lei gli diede un bacio come se le avesse detto qualcosa di romantico, per non insospettire Alyssa e i suoi uomini.
"Conto solo dodici di noi." Aggiunse sussurrando.
"Si, manca Phoebe."
Chiese ai compagni, ma nessuno l'aveva vista. Alyssa propose un brindisi. Tutti alzarono i calici e bevvero il succo fermentato tranne Sinbad che si guardava intorno circospetto.
"Devo andare a cercarla. Fingiti ubriaca." Disse Sinbad.
Yara annuì, si alzò e si andò a sedere vicino ad Alyssa che teneva in braccio le sue bambine.
"Un brindisi per la tua ospitalità." Disse la nuova arrivata.
L'altra donna piegò la testa incuriosita e poi si riempì nuovamente il bicchiere. Yara sorrise e bevve con lei.
Sinbad approfittò della distrazione e si allontanò infilandosi in un corridoio nel momento che una guardia era andata a prendere un nuovo vassoio. Mentre vagabondava per l'edificio sentì dei passi e si accostò contro un muro nascosto dal buio.
"C'è qualcuno?" Chiese la voce di una ragazza.
"Phoebe?" Chiese il marinaio.
"Sinbad?" Disse lei correndole incontro.
I due si abbracciarono.
"Mi sono persa. C'è una stanza piena d'ossa e..."
"Calmati." Disse lui.
"Le storie di quei girovaghi erano vere. Tutto vero. L'umanità sta impazzendo. Queste persone ci vogliono mangiare."
"Shhh..." Disse l'uomo asciugando le lacrime copiose della ragazza.
"Cosa facciamo?" Sussurrò lei vedendo l'ombra di due guardie avvicinarsi, e poi svoltare nel corridoio vicino.
"Dobbiamo scappare." Disse lui.
"Come?" Chiese la ragazza asciugandosi le lacrime.
"Forse c'è un modo..."
Quando tornarono, i servi chiesero dove fossero andati, ma loro risposero prontamente con una scusa. Il marinaio fece scivolare un oggetto di cera tra le mani della ragazza e poi si dividerono. Phoebe si sedette di fronte ad Alyssa mentre Sinbad si avvicinò alle due donne ormai ubriache. Quando vide l'uomo, la donna con il tatuaggio sul petto sollevò il bicchiere chiedendogli di unirsi alla bevuta. Lui, senza esitare, si avvicinò a lei.
"Allora dov'eri finito? Ti ho mandato a cercare..."
"Una ragazza, si è sentita poco bene..." Mentì lui.
Phoebe e Sinbad si guardarono complici. In quel momento l'uomo prese un sorso della bevanda e la gustò, ma Alyssa gli cadde ubriaca tra le braccia, sorridente. Subito degli uomini accorsero, ma lei li fermò con un gesto della mano.
"Sto bene, sto bene. Mi porterà Sinbad nella mia stanza."
Lui sorrise imbarazzato annuendo. Un sorvegliante sussurrò qualcosa nell'orecchio della donna e lei lo spinse via.
"Non ti preoccupare. Sono in ottime mani. Non è così?" Chiese dopo un colpo di singhiozzo.
Sinbad si alzò in piedi e le tenne il braccio. Prima di voltarsi e sparire nel corridoio fece un cenno a Yara che guardò Phoebe, poi proseguì senza voltarsi.
Una volta arrivati alla camera della donna, lei si sdraiò e chiuse gli occhi. La stanza era ben arredata e molto piccola. Sinbad si sedette ai piedi del letto ed aspettò.
"Perché volete andare a nord?"
"Perché c'è speranza." Rispose l'uomo lentamente.
"Ci sono solo campi di morte a nord. Gli illusi che vanno fin là trovano solo prigionia e sofferenza."
"Non credo sia il nostro destino."
Alyssa rise.
"Destino?" Disse ancora tra le risate.
"Perché non ti unisci a me? Potremo vivere felici qua assieme." Disse la donna seria.
Questa volta l'uomo sorrise.
"Conoscevo la felicità. Era il nome di una donna che non c'è più."
La donna fece scivolare la mano sotto il cuscino.
"E' un peccato tu non voglia unirti alla nostra gente..." Disse estraendo un coltello affilato per colpire il marinaio sillabando le parole.
Sinbad, pronto, fermò la mano e la ritorse verso la proprietaria dell'arma.
"So cosa fa la vostra gente. Siete cannibali, non mi unirei mai a voi." Disse sprofondando l'oggetto appuntito nel petto della donna.
Lei emise un grido soffocato e poi piegò la testa di lato, lasciando il mondo dei vivi. Fuori dalla porta si sentirono dei passi veloci correre veloci. Qualcuno bussò alla porta.
"C'è stato un incendo." Disse una guardia.
Sinbad aprì la porta uscendo e chiudendola dietro di sé.
"Alyssa dorme." Disse con un falso sorriso. "Posso aiutarvi?"
"Si, stiamo trasportando le vasche fuori, le larve non possono stare ad alte temperature o esposte al fumo."
"Vi seguo." Disse il marinaio.
Quando la guardia si mise a correre per i corridoi Sinbad rallentò per cercare il suo forcone. In breve trovò tutti gli oggetti che erano stati sequestrati vicino alla stanza dove avevano banchettato. Li raccolse e li nascose dietro un muro all'entrata dell'edificio prima di uscire. Gli abitanti del luogo erano troppo distratti per notarlo e le guardie troppo indaffarate per chiedersi dove stesse andando, trasportando quegli oggetti. Una volta uscito da quel luogo, vide che tutte le vasche ricolme di larve erano state portate fuori. Aspettò rimanessero poche guardie e le avvertì che Alyssa si era sentita male. Gli uomini corsero dentro e lui rimase solo. Prese tutti gli oggetti che aveva recuperato e li sparse a terra, poi colpì con il suo forcone tutte le vasche e le larve iniziarono a muoversi, liberando i suoi compagni di viaggio dal nascondiglio.
Yara vide Sinbad e gli corse incontro, abbracciandosi come se volessero tuffarsi l'uno nell'altra.
"Pensavo non ce l'avessi fatta."
Il marinaio sorrise.
"Impossibile." Rispose sicuro.
In quel momento Phoebe si avvicinò raccogliendo il forcone che era caduto nell'abbraccio. Sinbad lo afferrò strizzando l'occhio alla ragazza e, una volta che tutti furono pronti, incitò il gruppo a camminare verso nord.
Il marinaio sorrideva spesso davanti alle avversità, ai pericoli e alle rare gioie, ma quel sorriso, nessuno sapeva quale animo nascondesse.
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