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Capitolo 20

Alexandra

Il mio povero sonno, diventa irrequieto a causa di un continuo vociare nella stanza accanto; probabilmente sarà un'altra litigata o discussione dei miei genitori per qualcosa riguardante sicuramente il lavoro. Assonnata, controllo l’orologio a led, che sul soffitto, segna le due e ventitré. Proprio quando stavo per richiudere occhio e tornare nel mondo dei sogni, una frase risuona nelle nella mia testa come una lampadina che lampeggia: "Non possiamo nasconderglielo ancora per molto! Se non glielo dirai tu, lo farò io."
Dubbiosa ma allo stesso tempo incuriosita su che cosa si potesse star riferendo mia madre, lentamente mi avvicino alla porta, socchiusa e che fa intravedere la luce fioca proveniente dalla camera dei miei genitori.
Riesco ad origliare piccoli spezzoni delle loro frasi, come ad esempio -"Lo deve sapere" o "Più avanti sarà peggio"-, fatte con un tono di voce sempre più basso, probabilmente per non svegliarmi.
So che tutte le risposte alle mie domande, saranno nella stanza di fronte alla mia: lo studio che ogni tanto utilizza mio padre per lavorare quando è qui. Lì dentro ci sarà tutto ciò che mi serve.

È passata circa un'ora e mezza, e non si sente più fiatare una mosca da un bel po', ormai. Afferro il telefono, posto sul comodino, e silenziosamente cammino e apro la porta grazie alla luce del piccolo oggetto elettronico. Pensandoci, nonostante fossi stata sempre da sola, qui non ci sono mai entrata; mi stupisco dell'ordine e della cura della disposizione dei libri contenuti nella vasta libreria a muro, o della pila di fogli messi in ordine uno sopra l'altro nella scrivania di legno lucido situata al centro della stanza. Quest'ultimi, ricevono la mia attenzione per via di un titolo in grassetto, che spicca in modo orgoglioso sul frontespizio della pagina, che dice: "Certificato di Adozione".
Mille paranoie iniziano a farsi largo nella mia mente e il mio cuore perde un battito.
Inizio a sfogliare nervosamente tutti i fogli sottostanti ad essi, mentre la mia vista si inizia ad appannare a causa delle lacrime che sono in procinto di uscire allo scoperto: ho un orribile presentimento.
I miei occhi consumano quelle parole come se fossero pane per una persona affamata, fino a quando non leggo un nome, il mio nome.
Mi crolla addosso il Mondo.

Sono stata adottata.

Ancora alla ricerca di inutili responsi, apro un cassetto, dove trovo solo una lettera. Al suo interno, un altro stupido pezzo di carta macchiato di inchiostro sembra si stia prendendo gioco di me.

Lettera:

Salve, siamo l'orfanotrofio dove tredici anni fa avete adottato la bambina di nome Alexandra Collins.
Vi volevamo informare, che attuate le ricerche nei vecchi fascicoli, abbiamo ottenuto una resoconto positivo al vostro quesito:
"Gentili signori Collins, vostra figlia non è sola, ha un ulteriore parente in Giappone e il suo nome è..."

Basta. Non voglio sapere altro.
Con tutta la rabbia che ho, scaravento a terra la catasta di fogli, provocando un forte e sordo tonfo, ma poco importa. Corro in stanza, consapevole del fatto che i miei si saranno svegliati e, con la tristezza, che velocemente ha sostituito la frustrazione, prendo uno dei tanti giubbotti che ho, uscendo di casa nel buio della notte, noncurante dei finti piagnistei dei miei genitori, anzi, dei miei finti genitori, che mi "implorano" di rientrare; ma io, già non ci sono più.

Finalmente riesco a dare sfogo alle lacrime, che solcano il mio viso come piccole e prorompenti cascate, mescolandosi con i fiocchi di neve, che cadono delicatamente su di me e su tutto ciò che mi circonda, giacendo poi a terra.
Adesso riesco a dare una conclusione a tutto: dalla loro assidua assenza -che in America non è mai accaduta- in cerca di questo mio presunto fratello, all'improvviso trasferimento avvenuto "casualmente" in Giappone oltre al fatto che, rispetto a mia "sorella", venissi trattata in modo diverso; ricordo quando, anche solo per una stupidaggine, i miei mi accontentassero sempre, negando invece ogni cosa a lei, abitudine che poi è terminata dalla sua morte.
Cerco di decidere cosa fare. Di per certo so che non posso stare qui al freddo.
Prendo il telefono dalla tasca, che sul display segna ormai le cinque. E pochi secondi dopo la voce di Bryce mi rimbomba nell'orecchio.
'Alex? Stai bene?'
'Si...' rispondo, ma la voce mi tradisce e comincio a singhiozzare.
'Cos'è successo? Sono le cinque di mattina, che ci fai sveglia a quest'ora?'
'Loro... I miei genitori... Per favore, posso venire da te?'
'Certo che puoi, ma ti vengo a prendere io, aspettami lì', spiega e riaggancia.

Quando lo vedo scendere dall'auto, ha la testa leggermente imbiancata di neve. Senza riflettere corro da lui e lo abbraccio. Fa un passo indietro, sconcertato dal mio gesto, ma poi mi stringe tra le braccia e mi lascia piangere sulla sua felpa, bagnata dalla neve e dai miei lacrimoni.

Bryce

Sembra passata una vita dall'ultima volta che l'ho stretta tra le mie braccia.
'Stai bene?' le chiedo affondando il viso tra i suoi capelli, che sanno inconfondibilmente di lavanda. Da piccola era la sua pianta preferita.
Annuisce senza staccarsi dal petto, ma continua a piangere. É chiaro che non sta bene. Sicuramente qualcosa l'avrà turbata, sennò non mi avrebbe chiamato alle cinque di mattina, sotto la neve e per di più in questo stato.
'Entriamo', dico, facendo allusione alla macchina.
Il suo bellissimo viso, rimasto sempre invariato con il tempo, presenta gli occhi rossi e gonfi.
Appena entriamo nell'auto, accendo il riscaldamento e mi tolgo la sciarpa, avvolgendogliela intorno alla testa e alle orecchie, incorniciando di morbida lana azzurra il suo volto. Deve sentire molto freddo, per come sta tremando.
'Vuoi che ne parliamo?' domando mentre metto in moto la vettura. Lei fa un lieve cenno con il capo, ancora visibilmente scossa per colpa di quel qualcosa che non riesco a comprendere.
Il tragitto prosegue in silenzio, con solo la musica della radio che fa da animazione a questa quiete.

La quiete prima della tempesta.

'Andiamo un po' in camera', le dico quando siamo arrivati, indicando una porta, quella della mia stanza.
In corridoio giro la manopola per alzare il riscaldamento; almeno so che per una buona volta non ho speso soldi inutilmente e che quell'aggeggio almeno una volta si è reso utile.
Quando entro nella mia stanza la trovo già seduta sul bordo del letto.
Non sapendo quanto grave sia l'accaduto, decido di mantenere una debita distanza, resto lì e aspetto che dica qualcosa.
'Bryce?' mi chiama con un filo di voce.
Quando faccio qualche passo verso di lei, mi stupisce, afferrandomi per la maglietta e attirandomi a sé.
'Alex, cosa è successo?' le chiedo, e lei ricomincia a piangere un'ulteriore volta.
'Io...' comincia con voce rotta, e mi irrigidisco.
'Tu cosa?' domando con ansia, perché se le hanno fatto del male...
'Io sono stata adottata!' urla.
Spalanco gli occhi, esterrefatto; credo sia arrivato il momento di sputare il rospo e dirle tutto.
'Ti devo dire una cosa', annuncio staccandomi da lei e sedendomi accanto. 'Ma promettimi che non ti arrabbierai.'
'Anche te hai qualche segreto da nascondere?' risponde acida, guardandosi le mani, ma nonostante ciò, sembra essersi leggermente calmata rispetto a pochi istanti fa.
'Si...' mi stupisco del fatto che le parole non ne vogliano proprio sapere di uscire dalla mia bocca. É come se fossero bloccate da un macigno. Prendo una grossa boccata d'aria, inspirando, e poi dicendo di getto ciò che avrei voluto dire molto tempo fa: 'Io so chi è la tua vera famiglia... sono io'

Spazio Autrice
Dopo quasi una settimana, eccomi qui! Questo capitolo diciamo che mi piace particolarmente, e ho deciso di dedicarlo alla mi stupida amica @tempestaoceanica
Fatemi sapere se vi è piaciuto il capitolo!♡
Non so quando aggiornerò; ieri sono arrivata al mare e ritornerò a casa martedì pomeriggio. Spero di riuscire a scriver qualcosina nei momenti in cui non avrò nulla da fare.

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