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Capitolo 19

Alexandra

Cinque giorni dopo, sto aspettando pazientemente che Jude venga a prendermi.
Guardo fuori dalle grandi vetrate della finestra, felice che non nevichi più.
Sbuffo spazientita, controllando per l'ennesima volta l'orologio: doveva essere qui alle tre, e sono le tre e mezza. Solitamente sono io la ritardataria.
Proprio quando stavo per mandargli un messaggio, finalmente lo vedo arrivare, circondato dal grande giubbotto nero, allora esco nel vento gelido; non c’è il sole e fa più freddo dei giorni scorsi, ma poco importa.
‘Scusa il ritardo, mi sono addormentato’, mi dice mentre chiudo a chiave il portone di casa.
‘Non fa niente’, gli rispondo guardando per terra.
Sono un po’ nervosa, non perché sarà il primo Natale che non passerò con i miei genitori, sempre in giro per il mondo e che si comportano come se non avessero una figlia da accudire; di loro alla fine non mi importa granché, la cosa che mi turba realmente, è che sarà il secondo Natale senza di lei.
Sono stata invitata da Jude ad party, che si terrà a casa sua, insieme a tutto il resto del gruppo, ma un pensiero mi martella la testa: e se ci fosse Chanel? E se mi ignorasse per tutto il tempo?

Mi maledico da sola per queste inutili paranoie: alla fine non siamo fidanzati, abbiamo soltanto stabilito un rapporto pacifico, tuttavia solo al pensiero mi viene la rabbia.
‘Dove ti va di andare?’ mi chiede, dato che gli avevo detto che dovevo acquistare delle cose.
‘Al centro commerciale, devo prendere un vestito e… alcuni regali per Natale.’
Arrivati a destinazione, girovaghiamo un po’, prima di arrivare di fronte ad una piccola bottega.
Entriamo, e nel giro di pochi minuti, ho già tre vestiti appoggiati al braccio.
‘Cos’è questo?’ mi chiede con una smorfia guardando l’abito beige posato sopra gli altri. ‘Il colore è orribile.’
‘Bhe, scusami se non indosso un mantello da supereroe’, lo derido, sorpassandolo ed andando a riappendere il vestito beige, mostrandone poi uno bianco senza spalline.
‘Che ne dici di questo?’
‘Dovresti provarteli.’ Suggerisce, mentre passa il dito sul tessuto di un abito dorato, facendomi maledire dei pensieri poco casti che per un attimo mi avevano attraversato la mente.
‘Sei un cretino’, lo ammonisco
‘Sempre.’ Fa un sorrisetto malizioso, mentre mi segue fino ai camerini.
‘Qui non puoi entrare’, lo avverto chiudendomi dentro.
Con un finto broncio, va a sedersi sul divanetto poco distante.
‘Voglio vederli tutti’, annuncia.
‘Stai zitto.’
Lo sento ridacchiare; vorrei aprire la porta solo per osservarlo, ma decido di non farlo.
Mi provo per primo il vestitino bianco senza spalline, ma è così stretto che fatico a tirare su la lampo sulla schiena. Ed è troppo corto. Finalmente riesco a chiuderlo, e lo tiro giù sulle cosce prima di aprire il camerino.
‘Jude?’ bisbiglio.
‘Cazzo!’ esclama.
‘È corto’, commento arrossendo.
‘Non penso tu lo debba prendere.’
‘Già, è quello che pensavo’, confermo guardandolo storto, notando che dallo specchio mi sta fissando il sedere.
‘Il prossimo’, dico, e rientro.

Il vestitino dorato mi scivola leggero sulla pelle. È tempestato di pailettes, mi arriva a metà coscia e ha le maniche corte.
Lo trovo adatto a me, solamente un po' più azzardato rispetto al solito. Le maniche corte danno l’illusione che il vestito sia più contenuto, ma il modo in cui il tessuto aderisce al corpo e la sua poca lunghezza, dicono il contrario.
‘Sbrigati Alex’, mi implora impaziente il rasta da fuori.
Apro la porta e la sua reazione mi fa sorridere: ‘Wow.’
‘Ti piace?’ mi sento sicura in questo vestito, tanto più vedendo il modo in cui Jude mi guarda.
‘Molto.’
‘Allora prendo questo’, annuncio.
Stranamente stiamo andando molto più d’accordo di quanto mi aspettassi. Non credevo che questa pace durasse così a lungo, anche se mai dire mai.
Compiaciuta, dopo aver scelto un paio di décolletée nere dal tacco spaventosamente alto, andiamo alla cassa.

Dopo aver pagato, entriamo in un negozio di articoli sportivi; io mi dirigo nel reparto maschile e Jude viceversa.
Mi domando cosa debba cercare lì, ma mi riprendo mentalmente: non sono affari miei.
Con lo sguardo inizio a cercare la maglietta dell’Inazuma Japan, o meglio, quella che contiene il suo numero, il quattordici.
Ho deciso di personalizzarla e farci stampare il mio cognome. Nonostante possa risultare molto infantile, quest’idea mi piace e la trovo una cosa carina.
Colgo anche l’occasione per acquistare il regalo di Mark: un pallone nuovo di zecca.
Sarà banale, ma lui ne è proprio innamorato.
Con un messaggio, io e Jude ci rincontriamo mezz’ora dopo all’entrata del negozio.
‘Abbiamo finito?’ domanda in tono lamentoso.
‘No, devo prendere qualcosa per Jordan, ricordi? A tua sorella e a Silvia ho preso un bracciale e a Mark una palla.’
‘Ah già. Il tuo amico mi aveva detto che voleva cambiare colore di rossetto. Rosa salmone, magari?’
Mi piazzo davanti a lui con le mani sui fianchi.
‘Lascialo in pace! E forse dovrei comprarlo a te, il rossetto, dato che a quanto pare te ne intendi di colori.’ È bello battibeccare con Jude invece di litigare.
Mi accorgo che trattiene a stento un sorriso. ‘Puoi comprargli una felpa. Un regalo facile e non troppo costoso.’
‘Effettivamente è una buona idea’, affermo mentre mi inizio ad incamminare nuovamente nel negozietto dove ho comprato in precedenza il vestito.
Rapidamente trovo una felpa nera e bianca che penso gli piacerà.

Appena usciti dal centro commerciale, il mio telefono inizia a squillare.
Mi chiedo chi possa essere.
Quando guardo il nome che illumina il display, il mio corpo viene pervaso da una terribile sensazione di timore e rabbia. Scocciata, sbuffo e rispondo, il tutto sotto il vigile occhio di Jude

'Alexandra?'
'No, Babbo Natale', dico sarcastica. Quell'uomo non lo sopporto proprio.
'Dove sei?'
'Sono uscita dal negozio, arrivo a casa tra un po'. Non ti sei mai interessato a me, né dove fossi o cosa stessi facendo, e ora si?'
Mi sento un po' in colpa. Mio padre non è esattamente una persona adorabile, ma da quando mia sorella non c'è più, sembra essere diventato un'altra persona. Non è più lui.
Mi sento un po' in colpa.
'Hai ragione. Comunque... torna a casa, ti aspettiamo.'
A quelle parole trasalisco.
'Scusami, non ho capito. Hai per caso detto "ti aspettiamo"?'
'Esatto. Io e tua madre siamo arrivati.'
Il telefono mi scivola dalle mani.
Mio padre è davvero uno stronzo.
Subito dopo aver riattaccato, li inizio ad insultare con tutte le parolacce che mi vengono in mente.
Con la coda dell'occhio, osservo Jude, rimasto -all'apparenza- impassibile tutto il tempo.
Troppo arrabbiata, senza dire una parola, mi incammino di nuovo, e sotto casa, senza degnarlo di uno sguardo, lo saluto con un impercettibile cenno della mano, mentre con l'altra busso.
Alla terza volta che lo faccio, mia madre viene ad aprirmi, in accappatoio e con i capelli bagnati. Questa è una delle pochissime occasioni in vita mia -ossia sedici anni anni- che la vedo struccata e spettinata.
'Entra', sbotta gelida e palesemente irritata, mentre fa sbattere la porta con un tonfo sordo.
Mentre eseguo "i suoi ordini", parlo: 'Perché siete arrivati? Vi siete ricordati di avere una figlia?'
Sbuffa, ed ignorando la mia ironia, continua imperterrita a parlare: 'Chi era quel ragazzo?'
Alzò gli occhi al cielo, mentre mi tolgo le scarpe.
'È un mio... amico, diciamo.' Non so nemmeno io come definire Jude.
Annuisce molto poco convinta, e nel mentre da dietro la porta del salotto, fa capolino la testa pelata di mio padre.
'Alexandra Collins, dobbiamo parlare.'
Il tono perentorio con cui parla, non ammette repliche.
Lo seguo e mi siedo sulla grande poltrona nera di pelle, situata accanto ad una delle molteplici finestre, che mostra il paesaggio leggermente innevato da piccoli fiocchi bianchi che mano a mano hanno ricominciato a scendere.

'Allora? Che mi devi dire?', ribatto velenosa.
'Sbaglio, o ti avevo detto di controllare la casa in nostra assenza?' Annuisco confusa, cercando di capire dove voglia andare a parare.
'Bene. Te non hai rispettato questa regola. Te ne sei andata a spasso, per di più con uno stupido ragazzino che non conosciamo. Sai che siamo molto diligenti su questo.'

Un ricordo, brutto tanto quanto bello, fa capolino nella mia mente: quando mi hanno obbligata a frequentare -e poi fidanzare- Erik, anche se alla fine quel finto sentimento si è trasformato in vero amore, o per lo meno, ciò che credevo fosse vero amore.

Non avevo lo stomaco in subbuglio ogni volta che incrociavo il suo sguardo, o semplicemente in sua presenza.
Non avevo quelle famose "farfalle nello stomaco", o il battito cardiaco realmente accelerato, o quelle cose che solo nei film o nei romanzi descrivono.

Era solo una cotta; una piccola cotta di una ragazzina di a malapena quindici anni.

Spazio Autrice
Ciao ragazzi! Come state?
Finalmente c'è stata una tregua tra i nostri due protagonisti, che però non durerà tanto a lungo, forse.
Ditemi cosa ne pensate!
Vi voglio tanto bene, ci vediamo al prossimo capitolo♡

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