
CONTEST: La foresta delle anime perse - PARANORMAL_IT (1439 parole)
Crack. Un ramo secco scoppiettò sotto la suola della sua scarpa, echeggiando nell'innaturale silenzio del crepuscolo con la forza del tuono di Thor.
Thor però non sarebbe mai finito in questo maledetto posto, pensò amaramente Anna. Si portò le dita al naso, usandole come una molletta per tappare le narici e bloccare così l'odore pungente di foglie marce e umidità che la stava facendo impazzire. Non ne poteva più di camminare – non ne poteva più di ritrovarsi col sedere a terra per via di quell'odioso muschio che cresceva ovunque, dai sassi sul sentiero, praticamente indistinguibile nel fitto fogliame in decomposizione, ai tronchi monumentali degli alberi secolari.
Perché non sono rimasta a casa a fare una maratona Marvel, invece di lasciarmi trascinare in questa foresta? si chiese.
«Avanti lumaca, ci siamo quasi credo» le urlò Roberta, parecchi metri avanti a lei.
«Perché non ammetti che ci siamo perse e torniamo indietro?» La testardaggine dell'amica era una vera e propria punizione divina. «Fermiamoci, ti prego. Non ce la faccio più.»
Roberta alla fine dovette desistere, e si sistemarono comodamente sotto un albero – per quanto sedere su delle radici annodate potesse risultare comodo.
«Un luogo magico e senza tempo, dove tutto è possibile» aveva detto l'amica per convincerla a seguirla in quella spedizione in Cambogia. Peccato che, giorno dopo giorno, passo dopo passo, ogni entusiasmo si fosse prosciugato dal corpo di Anna; proprio come la vita sembrava aver abbandonato ogni cosa intorno a loro.
«È normale, te l'ho già detto» disse l'altra ragazza leggendole nel pensiero, come aveva sempre fatto fin da quando erano bambine. «Quando cala la notte le foreste diventano dominio di caccia dei predatori e tutto resta immobile, allerta.»
Anna ridacchiò nervosamente, cercando istintivamente con le dita il manico del coltellino svizzero che portava in tasca. «Se questo è il tuo modo di rassicurarmi ti garantisco che non ci stai riuscendo.»
«Dai, lo sai che è una riserva. Non c'è alcun pericolo.»
«Se lo dici tu» mormorò lei.
Erano entrambe affamate dopo quella faticosa scarpinata che le aveva condotte... beh, nel bel mezzo del nulla per quel che ne sapevano. Estrassero dagli zaini le ultime gallette e qualche nocciolina, masticando in silenzio la loro misera cena.
Non sarebbe accaduto se Roberta l'avesse ascoltata e fossero tornate all'accampamento subito dopo aver perso di vista il sentiero.
«Non c'è nient'altro?» le chiese l'amica.
«No che non c'è» ribatté lei acida.
«E quello?»
Anna si voltò verso il punto che la ragazza le stava indicando. «Non lo so... sembra uno zaino. Ma non è mio. Da dove sbuca fuori?»
Si sporse e afferrò la cinghia di tessuto rosso sbiadito che emergeva dall'intreccio di radici e piante rampicanti. «Qualcuno deve averlo dimenticato qui.»
Roberta glielo tolse dalle mani e iniziò a rovistarci dentro. «Magari c'è qualcosa da mangiare.»
Ma sì, al diavolo la correttezza!
«Ah niente. Solo cianfrusaglie da campeggiatori e una videocamera» sospirò delusa Roberta. «Peccato... Aspetta, non metterlo via, vediamo se c'è registrato sopra qualcosa.»
«Non mi sembra molto corretto» osservò Anna.
«È la legge della foresta: chi trova, tiene» ridacchiò l'amica accendendo l'apparecchio.
La batteria aveva ancora abbastanza carica.
«Bene, vediamo cosa abbiamo qui» canticchiò Roberta scorrendo i file in memoria. «Ah» esclamò.
«Cosa?»
«Guarda un po'.» La ragazza avviò il filmato con la data meno recente.
Il volto di un ragazzo biondo poco più che ventenne – la loro età – apparve sullo schermo. Sorridente, iniziò a parlare in inglese: «Salve a tutti. Chi vi parla è Matt Beldford, studente di medicina all'università di Denver e leader indiscusso di questo gruppo di pionieri.» L'inquadratura si spostò su alcuni ragazzi intenti a montare delle tende da campeggio alle sue spalle. «Marcus, Hiroshi, salutate.»
Uno dei due ragazzi gli rivolse un gestaccio e rispose: «Leader indiscusso un corno, bello. Ridimensionati.»
Matt lo ignorò e tornò a parlare alla videocamera: «Siamo appena arrivati e tira già aria di ammutinamento. Me la caverò in qualche modo, la missione per cui ci siamo spinti fino in Cambogia è troppo importante. Pochi di voi conoscono la storia del luogo in cui ci troviamo adesso. Il suo nome è qualcosa di impronunciabile nella lingua locale, ma la traduzione suona più o meno come 'foresta degli infelici'. Secondo le antiche leggende, le anime di coloro che hanno appeso le loro vite ai rami di questi alberi sono imprigionate dentro di essi per l'eternità. E quando scende l'oscurità... vengono risputate fuori dalle loro gabbie! Ma solo fino al sorgere del sole, e durante la lunga notte sono costrette a servire la loro padrona, la Regina degli infelici. Che c'è ti sta venendo fifa?» Matt spostò nuovamente l'obbiettivo, stavolta inquadrando una ragazza con una lunga treccia corvina. «Ecco la mia ragazza, quarto e ultimo membro della squadra che svelerà i segreti di questo antico luogo. Dovete sapere che Red non ama il campeggio, né le avventure in generale, ma non poteva perdere questa occasione irripetibile di squarciare l'arcano velo del mondo degli spiriti.»
Lei sorrise scuotendo la testa e disse: «Che idiota sei.»
Lui replicò con: «Tu sei pazza di questo idiota.» Poi si sentì una voce fuori campo: «Ehi, leader indiscusso, vieni a darci una mano o ti lasciamo senza cena!»
Il filmato si interrompeva lì.
«Sono solo dei campeggiatori alla ricerca del brivido. È una storia assurda comunque» ghignò Roberta.
Anna ripensò al loro primo giorno lì. «Sicura? Perché la guida ci ha parlato di una foresta molto antica dove nessuno mette più piede da anni per via del gran numero di persone che in passato vi si suicidava. Potrebbe essere questa.»
Le due ragazze si guardarono intorno, mentre una sensazione di gelo si impadroniva di loro e due brividi gemelli scendevano lungo le loro schiene. La curiosità, però, ebbe la meglio e continuarono a spulciare tra i filmati. Per lo più si trattava di stupide ragazzate e momenti di svago tra amici, più qualche inquadratura della foresta. Poi arrivarono all'ultimo video registrato.
La data risaliva a una settimana prima.
Lo schermo era completamente nero. Non si udiva nessun suono, se non un fruscio indistinto in sottofondo.
«Eccoci, è il momento.» La voce di Matt era un sussurro faticoso. «Li ho sentiti, ne sono certo. Sono gli spiriti.»
L'immagine rimaneva troppo buia per distinguerne i dettagli, ma Anna e Roberta potevano cogliere dei movimenti fluttuanti – erano gli altri ragazzi che lo precedevano. All'improvviso, una massa lattiginosa emerse dalla nerezza delle ombre.
Non potevano sbagliare, erano spiriti.
Volteggiavano tra gli alberi, privi di consistenza ma incredibilmente reali. Espressioni colme di apatia erano ritratte sui loro volti esangui, mentre indolenti procedevano verso una meta comune: un enorme albero nodoso dai cui rami pendeva una figura più grande e vivida delle altre – la Regina degli infelici.
Gli spiriti e le ombre, uniti in una macabra danza ancestrale, celebravano la loro eterna padrona.
«Ragazzi, io me la sono appena fatta addosso» affermò la voce traballante di uno dei ragazzi, ma era troppo buio per riconoscere quale.
Roberta e Anna cominciavano a tremare, ma si strinsero l'una contro l'altra e continuarono a guardare, con occhi sbarrati e con il ghiaccio nelle vene.
Dovevano sapere.
Gli spiriti sembravano quasi uno sciame d'api, e operosi circondavano la Regina ed esaudivano ogni suo bisogno. Il gruppetto di campeggiatori continuava a osservare la scena in silenzio, eccezion fatta per i singhiozzi sommessi della ragazza.
Poi l'immagine si fece tremolante, e Anna e Roberta capirono che, come loro, anche Matt era scosso da brividi incontrollabili.
Fu un attimo – poi le urla.
La videocamera finì per terra, tra le foglie, lasciando intravedere solo una parte dell'orrenda scena che seguì.
Non potevano dire con esattezza come tutto fosse avvenuto, ma Anna e Roberta erano certe – senza ombra di dubbio – che nessuno di quei ragazzi fosse sopravvissuto.
Una leggera brezza fece ondeggiare le liane aggrovigliate che pendevano sulle loro teste, sussurrando nefaste promesse. Roberta chiuse di scatto il piccolo schermo della videocamera, e strinse l'amica con più forza di quanto Anna avesse mai pensato che potesse possedere.
Nel frattempo gli ultimi bagliori del giorno svanivano, inghiottiti dalle fitte chiome degli alberi, che si trasformarono inaspettatamente in terrificanti giganti pronti a schiacciarle – o a divorarle.
Rimasero lì, paralizzate, con gli occhi serrati.
Era troppo tardi ormai per notare la somiglianza inquietante tra il profilo dell'albero sotto cui si trovavano, e quello dell'albero della Regina nel video.
Era troppo tardi per accorgersi dell'aria densa e nebulosa che stava lentamente calando su di loro, avvolgendole con tentacoli invisibili in un abbraccio fatale.
Era troppo tardi.
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