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Copertina

"Una" spiaggia, il mare, la Luna...
Il tutto è reso in un'atmosfera splendidamente surreale, espressione del sogno dell'autrice.

Mi sembra doveroso porre l'attenzione su un dettaglio in particolare: "Spiaggia Libera" è il titolo dell'opera in questione, che figura altresì all'estrema destra del dipinto, sull'enigmatico cartello dello steccato, morbidamente ricurvo verso il centro della rappresentazione, quasi a voler invitare l'osservatore ad immergersi direttamente nel vivo dell'esperienza; da notare come anche l'orientamento dell'ombra dello steccato reale permetta di tracciare una sorta di "linee di fuga", che tendono a convergere, assieme a quelle dello steccato reale, in un unico punto, situato nell'esatto centro della spiaggia. È l'essere che "ci" parla, ha da dirci qualcosa. In tal senso, la spiaggia è "libera": è la "nostra" spiaggia. Spiaggia di tutti. Portando tale intuizione all'estremo: diveniamo noi stessi "spiaggia", protagonisti.

L'andamento dell'opera è da sinistra verso il centro: è il mare che bagna la spiaggia (non viceversa) e, senza che essa possa sottrarsi, traccia la sua ferita, visibile nel tratto a ridosso del bagnasciuga di colore leggermente più scuro rispetto alla sabbia d'intorno. Ma tutto ciò è possibile grazie al riconoscimento di ciò che abbiamo di fronte, del mare che sta "accadendo" in noi, che ci "ferisce". È una ferita che apre uno scorcio nella vita e da qui la distende, la espande, la rende "grande". Non è più, dunque, solo la spiaggia, la "mia vita", ma è "col mare la vita". È la presenza dell'Altro in noi che ci "apre", ci fa fare esperienza dell'Infinito. Il riconoscimento non parte da noi... Io "vedo" il mare, lo riconosco, riconosco l'Altro, perché qualcosa illumina, disvela: la Luna. Analogamente a quanto detto sopra, essa illumina; una trascendenza ci investe, investe dolcemente noi, la nostra vita. L'eternità ci travolge e noi non possiamo dire più niente, non possiamo che cullarci con l'Altro presente nell'enigma del silenzio dell'Eterno.

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