82. Best effort
Doveva accadere ed è accaduto: ho rivisto Ivan di persona.
Due volte.
Non sono stati veri e propri incontri. Il primo è stato al players party "Taste of Tennis", a cui partecipavo per la prima volta in vita mia: ero troppo impegnato a strafogarmi di delizie per prendere in considerazione la sua presenza. Ma l'ho visto, da lontano, che interagiva con altri giocatori. Non mi sembra si sia accorto di me. La seconda volta, invece, ci siamo incrociati. Eravamo in palestra. Io entravo. Lui stava per uscire, aveva già il borsone pronto. Quando si è accorto di me, ha aspettato che entrassi per non intralciarmi e poi è uscito. Mi ha fatto un cenno di saluto, gliel'ho fatto anch'io.
Adesso ha i capelli neri, con le punte colorate di arancione. È strano vederlo coi capelli neri, sembra quasi un colore normale. Le punte dei capelli, però, no che non sono normali. L'arancio è talmente intenso da sembrare fluorescente. Avevo visto le foto di Umago, dove si era presentato con un'altra combinazione bicolore, nero con le punte azzurre.
Abbiamo incrociato anche Andrej, e lui e Anna hanno come al solito battibeccato. «Superpussy!» l'ha salutata lui. «Pirate king!» ha risposto lei. E fin qui sembrava che fosse un incontro amichevole. Lei si è lamentata del fatto che il suo soprannome è molto più brutto di quello di Andrej, lui le ha risposto in inglese, con la sua consueta espressione serissima: «Se vuoi puoi sposarmi e diventare Pirate Queen. Ma devi metterti in fila, ci sono tante candidate. Oppure mi faccio un harem, non so...» «Ti piacerebbe» gli ha risposto lei. Ma non sembrava offesa, aveva un sorrisetto divertito.
Poi però lui mi ha guardato e la sua espressione già seria si è indurita ancora di più. «A meno che lui non sia geloso» ha detto. «Mister non sono gay, non sono etero... Ti sei stufato di giocare a fare il finocchio?» mi ha detto (ha usato il termine "faggot"), facendo un cenno con la testa verso Anna. Lei ha sbottato. «Non permetterti di parlare di cose che non sai!» Hanno litigato un po', con Andrej che ci prendeva in giro chiamandoci «lovebirds», e lei che gli diceva di farsi gli affari suoi. Il litigio è finito grazie a me, che mi sono allontanato trascinando via Anna.
Il tabellone del torneo non è semplice: il Citi Open di Washington è un Cinquecento, ma è da sempre un Cinquecento molto affollato di grandi nomi, perché vengono tutti qui a iniziare la preparazione per gli US Open. C'è anche mio fratello a giocare il doppio, quindi immagino sia presente Nicolò. Non ho ancora incontrato nessuno dei due.
Con me ci sono solo Ethan e Armando. Ancora non ho trovato un nuovo allenatore, anche se Anna si sta muovendo insieme all'agenzia. Si sono già fatti avanti un paio di nomi, ma come faccio a scegliere? Con che criterio? Lo ammetto controvoglia, ma avrei bisogno di una consulenza tecnica di Nicolò. Come decideva quale allenatore era il più adatto a me? Forse potrei chiedere consiglio ad Armando: è un preparatore atletico, ci capirà qualcosa anche di tecnica e tattica...
Mi sto allenando da solo, quindi. Anna ha scaricato sul suo iPad la app di analisi statistica che usava Nicolò, solo che Anna, ovviamente, non sa leggere i dati, e io faccio un po' fatica a raccapezzarmici. È un po' complicata da usare. Ha moltissime funzionalità che non so nemmeno dove cominciare a guardare. E i dati che leggo, poi, dovrei applicarli in partita.
Ad esempio, il prossimo turno. Al primo ovviamente ho avuto il bye, l'ho passato senza giocare perché sono testa di serie numero tre. Al secondo incontrerò Mark McDowell, che ha battuto da sfavorito Sidney Ford. Ho guardato sulla app le statistiche del match con Ford. O meglio, alcune delle statistiche, quelle che sono riuscito a capire: ho visto che ha messo il 62% di prime in campo, e che è un dato sopra la sua media stagionale. Significa che ha giocato meglio? Che sta migliorando? Come applico questa informazione, a parte stare più attento quando gioca la prima? Il 75% delle sue prime sono sulla T. Cliccando sul dato c'erano tutta una serie di dettagli su percentuali da ad court, percentuali da deuce court, quando è più probabile che tiri sulla T e quando è più probabile che tiri esterno o al corpo. Ma come faccio a ricordare tutto? Di solito questi dati venivano analizzati da Nicolò, che poi mi presentava delle situazioni di gioco in allenamento e mi spiegava cosa fare. Io non posso mettermi a fare tutti questi ragionamenti e queste analisi da solo, ci perdo troppo tempo!
Ho bisogno di un allenatore, di qualcuno che mi aiuti con la tattica.
A ogni modo, il primo turno per fortuna sarà facile: McDowell è un giocatore con bei colpi ma mediocre, e sono capace di leggerlo e batterlo anche senza l'aiuto delle statistiche. Sarà un turno di allenamento, in attesa degli avversari più forti. Devo difendere i cinquecento punti della mia vittoria dell'anno scorso, ma devo anche preservare le energie, perché il traguardo più importante sono gli US Open, quindi un primo turno abbordabile è proprio ciò che mi serve per ricominciare.
Sono le diciassette e quaranta, quando entriamo sul centrale di Washington, che è abbastanza gremito: non mi stupisce, considerando che hanno il numero tre del mondo contro un giocatore statunitense.
Appoggiamo i borsoni, centrocampo, sorteggio, vince lui e sceglie di servire. Mi sta benissimo.
Prima di cominciare mi dirigo rapidamente di nuovo alla panchina, perché voglio bere un sorso d'acqua, ed è in questo momento che lo vedo.
Nicolò.
Sugli spalti, tra il pubblico.
Rimango per un attimo immobile, spiazzato. Perché è qui?
Mi sta guardando. Serio, impassibile. Ci stiamo guardando negli occhi.
«Michele! Everything alright?» mi grida McDowell.
Chiudo gli occhi e scrollo la testa, alzo la mano per chiedergli scusa e torno verso il campo. Ho perso tempo imbambolato come un cretino, non posso più bere, adesso. Berrò alla fine del riscaldamento.
Cominciamo a palleggiare.
Perché è venuto qui? Non ha nessun diritto di stare qui. Perché non riesce a rispettare le mie decisioni? Perché? Non riesco a evitare di lanciare qualche occhiata verso di lui, ogni tanto. È in mezzo al pubblico, piuttosto in basso, vicino al campo, sulla destra rispetto al box dove siedono Anna, Ethan e Armando. È lì e mi guarda. Da solo.
Ora ha le braccia conserte, quasi come se mi stesse giudicando.
Non voglio che stia qui.
Non solo perché mi sta deconcentrando, ma anche perché tutti sanno, ormai, che non è più il mio allenatore. Anna ha fatto uscire un comunicato stampa in cui spiegava, senza raccontare gli orribili retroscena, che io e mio padre abbiamo deciso di terminare la nostra collaborazione perché è arrivato il momento per me di crescere e lui ormai mi aveva dato tutto ciò che mi poteva dare dal punto di vista tecnico e tattico e bla bla bla, le solite scemenze che si dicono sempre quando un allenatore e un giocatore si lasciano dopo una lunga carriera insieme.
Le televisioni lo inquadreranno, parleranno della sua presenza qui, si chiederanno cosa ci faccia, visto che non mi allena più.
Non posso giocare con questi pensieri in testa.
Ho deciso. Vado dall'arbitro e gli dico di farlo andare via.
«End of warm-up.» Il giudice di sedia è lo svedese Hassan Agrawal. Agrawal è un tipo molto amichevole e gentile, sono sicuro che mi aiuterà.
Mi avvicino a lui e gli parlo. Faccio un po' fatica, e balbetto molto: vorrei far andare via una persona del pubblico, dico.
«Ti sta dando fastidio? Ti sta gridando qualcosa? Non ho sentito niente da qui» mi risponde lui, chinandosi verso di me.
Scuoto la testa e gli spiego che non ha fatto o detto niente, ma io non voglio che stia lì.
«È un tuo stalker?» mi chiede. «Una persona che ti ha dato fastidio in passato?»
Scuoto di nuovo la testa. «It's m-m-m-m-my f-f-f-f-f-father» dico. Non posso dire Nicolò Bressan, a lui, devo chiamarlo per forza "mio padre", altrimenti chissà cosa penserebbe.
«Oh...» Agrawal sembra stupito. «E... uh... nel tuo box? Ti sta facendo dei segnali?»
Gli spiego che non è più il mio allenatore. Non è nel mio box, è tra il pubblico.
Agrawal sembra in difficoltà. Si gira verso il pubblico, lo cerca con lo sguardo, poi si rivolge di nuovo a me. Il pubblico sta cominciando a mormorare. McDowell si avvicina alla sedia, mette le mani ai fianchi e chiede: «Che succede?»
«Non posso far andare via una persona, se non sta facendo niente di male» mi dice Agrawal.
Gli spiego che mi sta dando fastidio la sua presenza.
«Michele, cerca di capire... non è un motivo sufficiente a farlo andare via.»
Anche una delle telecamere si è avvicinata. Io sto cercando di parlare pianissimo, ma forse il microfono ha captato qualcosa.
«I c-c-can't play if he's here» dico. Non posso giocare se lui è qui.
«What?» chiede McDowell. «What's the matter?» Si gira verso di me, poi verso Agrawal, ma non gli rispondiamo.
«Aspetta...» Agrawal prende il suo walkie-talkie, parla al supervisor. Parla molto piano, non capisco tutto ciò che sta dicendo. Ci parla per un paio di minuti, poi chiude, mi guarda e scuote la testa. «Non possiamo fare niente» mi dice. Allarga le braccia. «Dai, non ci pensare, vai in campo e gioca.»
Guardo mio padre. Stringo le labbra. Vorrei intimargli di andarsene con un gesto, ma non voglio farlo davanti alle telecamere, Anna mi ammazzerebbe.
Lui mi fissa. Non riesco a leggere nulla nel suo sguardo. Perché mi sta facendo questo?
Scuoto la testa.
«I c-c-can't.» Tendo la mano ad Agrawal.
«What?!» esclama McDowell strabuzzando gli occhi.
«Michele, sei sicuro?» mi chiede Agrawal. «Non puoi andartene così! Pensa a tutto il pubblico che ha pagato per vederti giocare! Pensa al tabellone!»
Continuo a tenere la mano tesa verso di lui. Il pubblico sta vociando, ora, c'è qualche fischio. McDowell sta dicendo qualcosa, si sta lamentando anche lui, non capisce cosa stia succedendo.
«Difendi 500 punti... e ti dovrò dare un warning e una multa...» insiste Agrawal.
Siccome Agrawal non mi dà soddisfazione, tendo allora la mano a McDowell. Lui esita un attimo, ma infine me la stringe: ha appena guadagnato novanta punti e quarantottomila dollari senza fare nulla. La tendo di nuovo a Agrawal, e si arrende anche lui, me la stringe con un'espressione contrita, quasi dispiaciuta.
Fischi. Un muro di fischi.
Agrawal spiega al pubblico che mi sono ritirato a causa di "problemi" (resta sul generico).
Ho appena buttato via 500 punti, e probabilmente mi daranno una multa per violazione della regola del best effort: un tennista è tenuto a mettere sempre il massimo impegno possibile quando gioca, e se non lo fa in maniera evidente viene multato.
Ma non mi importa. Pagherò la multa. Non posso giocare davanti a lui.
Non posso e non potrò mai.
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Note note note ♫
Nic ancora non riesce a lasciare libero Michele, ma quest'ultimo è talmente disturbato dalla sua presenza da non riuscire nemmeno a giocare. È uno stallo? Riusciremo a risolverlo?
Intanto, per chi non l'avesse vista, vi segnalo che negli extra della storia ho pubblicato una fanart di Missbansh dedicata a Vanja. Andate a darci un'occhiata e ditemi se assomiglia a come lo immaginavate :)
E siccome la mia personalissima fanart della settimana scorsa ha avuto tanto successo (ah, sì?), quest'oggi ve ne presento un'altra, collettiva: le stelline stanno cominciando a montarsi la testa con tutte queste attenzioni, ma voi non preoccupatevi e continuate ad accenderne tantissime.
Mo' vi saluto che sta cominciando la finale maschile degli US Open e Djokovic ha un appuntamento con la storia del tennis.
A giovedì (che poi sarebbe mercoledì sera)!
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