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8. Il mio ragazzo

La foto di Ivan Reshetnikov a torso nudo insieme a due cubiste in una discoteca di Parigi sta facendo il giro del web.

Non posso fare a meno di sorridere. Oggi ha perso, e la storia che viene raccontata dalla stampa sportiva è che abbia perso a causa della notte brava. Che il successo improvviso gli abbia dato alla testa.

È possibile. Ciò che però la stampa non dice è che avrebbe perso comunque.

Non poteva vincere per la terza volta. Non contro uno solido come Ancic. Non con quel gioco così brutto e falloso.

Contro Thiarè ha vinto perché, come si è scoperto in seguito, Fredrick ha avuto dei problemi fisici.

Contro di me ha vinto perché mi è entrato nella testa con la sua arroganza e le sue buffonate.

E la sua bruttezza.

Ci ho riflettuto molto, su questa sconfitta, e l'aspetto che mi ha dato più fastidio del suo gioco è stato proprio questo: la bruttezza. Mentre giocavamo, non riuscivo ad accettare che riuscisse a trovare soluzioni vincenti con dei colpi così brutti e poco ortodossi.

Il primo set l'ho vinto io, facilmente, 6-1, perché tra me e lui c'è un abisso tecnico e tattico.

Nel secondo lui ha cominciato a tirare a casaccio colpi a bassissima percentuale di riuscita. Col suo assurdo doppio rovescio e il suo inguardabile gioco di piedi e i suoi colpi piattissimi che su una superficie come la terra sono destinati al fallimento eterno. Ma ogni volta che, per fortuna e non per merito, quei colpi entravano, io mi innervosivo e gli errori aumentavano.

Il suo gioco è l'esatto opposto del mio. Me l'ha insegnato la mamma: il tennis è bellezza. E infatti io ricerco la bellezza. Non gioco solo per vincere, ma per diventare il migliore, raggiungere un ideale di perfezione. Molti credono che Straussler ci sia riuscito. Io voglio fare di meglio.

Reshetnikov gioca senza raziocinio. Improvvisando. Si vede che non c'è studio dietro ai suoi colpi, non c'è disciplina.

E la mancanza di disciplina è stato ciò che lo ha fatto perdere oggi, prima ancora della notte in discoteca. La notte in discoteca, forse, è stata ciò che l'ha fatto perdere malissimo: 1-6 0-6 1-6.

Due game. Due miseri game in tutto l'incontro. È durato cinquantotto minuti. Non so se è il record di brevità per un match in uno Slam, ma di sicuro ci si avvicina. Forse se non fosse rimasto alzato fino a tardi e non avesse bevuto (ovvio che l'abbia fatto) e fatto sesso (ovvio che l'abbia fatto), avrebbe vinto qualche punto in più. Ma avrebbe comunque perso l'incontro.

Sono appena rientrato in camera dopo i trattamenti fisioterapici e, steso sul letto, solo e rilassato, con Sara rannicchiata accanto a me, sto leggendo articoli che parlano di lui. La zia e il papà si sono preoccupati per niente: non mi darà più fastidio. Per il semplice fatto che sparirà dal circuito.

Quanti ce ne sono stati, prima di lui, di giocatori che hanno avuto piccoli o grandi exploit a uno Slam o a un Master, e poi sono spariti nel nulla? Sono colpi di fortuna, scherzi del caso. Sono capitati e continueranno a capitare.

Reshetnikov si impantanerà tra i Challenger, il circuito dei tornei minori, e lì morirà dimenticato da tutti. Forse tra una decina d'anni qualche giornalista a caccia di storie andrà a ripescarlo in Russia: vi ricordate quel tennista che fece coming out dopo aver battuto Michele Bressan al French Open? Io sarò numero uno del mondo, tra dieci anni. Lui avrà probabilmente smesso di giocare, non è il tipo che ha la pazienza di lottare nel circuito minore. Lo troveranno amareggiato e sovrappeso, forse coi capelli ancora tinti di verde, caricatura di ciò che è stato, a gestire il tennis club dei suoi genitori come un bravo figlio di papà; appesa in ufficio una foto del nostro incontro, l'unico misero momento di gloria della sua misera carriera.

Appoggio il telefono sul comodino, do un'ultima carezza a Sara e spengo la luce. Sono le dieci e venti e domani gioco: ho bisogno delle mie ore di sonno, anche se è solo uno stupido incontro di doppio.

Rimbocco la coperta leggera: dormo sempre con una temperatura di diciannove gradi nella stanza, diversi studi dimostrano che le temperature moderate conciliano il sonno.

Non ho neanche appoggiato la testa al cuscino, che il telefono si illumina. Ho spento la suoneria, ma ho gli occhi ancora aperti e vedo la luce azzurrognola illuminare il soffitto. Guardo chi è: risponderò solo se sono la zia o il papà.

Anna.

La mia ragazza di copertura con cui non parlo mai. Mi stranisce al punto che decido di rispondere.

Balbetto un sì.

«Michele, scusa... ti ho svegliato?»

Sta tirando su col naso e ha la voce un po' rotta. Ha pianto o lo sta ancora facendo. Le dico di no.

«Posso chiederti un favore?»

È una frase che odio, perché è ipocrita. Il suo significato in realtà è: puoi farmi un favore? La gentilezza ti costringe a rispondere sì, e il sì ti impegna a mantenere la promessa. È una frase maleducata. Ma le dico di sì, perché è la cosa più facile da dire.

«Senti,» singhiozza, «lo so che sei impegnato e che non dovrei mai chiamarti dopo le dieci, ma ti giuro...» singhiozza ancora, «ho solo bisogno di... di...» piange. Piange e non accenna a fermarsi.

Di cosa hai bisogno, la incalzo.

«P-posso venire da te, stanotte? Passare la notte con te?»

La prima cosa che mi viene in mente appena me lo chiede è la sua bocca che scorre sul mio pene, quell'unica volta che mi ha praticato una fellatio. Perché ci penso? Non è quello il motivo per cui sta venendo da me. È scossa da qualcosa. Deve esserle successo qualcosa di brutto. Vuole solo compagnia.

Non capisco perché la voglia proprio da me, ma ok.

Va bene, le dico, senza neanche chiederle perché, con la sua bocca umida in mente e il pene già mezzo turgido.

No, no, no! Ma cosa mi salta in mente? Non è per quello che sta venendo qui. Devo calmarmi.

Anna arriva dopo trentasei minuti. Trentasei minuti che ho trascorso a praticare esercizi di rilassamento. Hanno funzionato. Quando arriva sono tranquillo e non eccitato.

«Ciao, scusa ancora» sussurra. Sara è scesa dal letto e le annusa i piedi. Anna sembra non notarla nemmeno.

Le faccio subito presente che nella stanza è presente un solo letto, che non posso dormire sul sofà perché ho bisogno di stare comodo, che lei può giacere accanto a me e può stare tranquilla, perché non ho intenzione di interagire con lei sotto le coperte e che deve sopportare la presenza di Sara sul letto, perché non voglio far dormire Sara per terra (Sara dorme sempre con me). Ci impiego un bel po' a dirlo, ma lei non mi interrompe. A dire il vero non so nemmeno se mi abbia ascoltato, perché non risponde. Se ne sta in piedi, si abbraccia, ha la testa bassa, i capelli, i suoi bei capelli lunghi e castani, un po' spettinati, la bocca socchiusa e le labbra secche, con resti di rossetto ormai consumato. Sicuramente avrà bisogno di lavarsi i denti. Glielo propongo, le dico che se vuole ho delle testine nuove per lo spazzolino.

«Posso farmi una doccia?» mi chiede. Tira su col naso. «Puoi andare a dormire, intanto. Farò pianissimo quando vengo a letto, giuro.»

Annuisco. Ma le faccio presente di non avere in armadio vestiti di ricambio da ragazza.

Lei fa una risatina, con lo sguardo sempre un po' triste. «Ovvio che non li hai» commenta. «Se mi presti una maglietta e dei pantaloncini va bene uguale. Tanto ci devo solo dormire.»

Annuisco. Prendo in armadio un completo da allenamento, nuovo di zecca (c'è ancora l'etichetta), e glielo porgo. Poi la accompagno in bagno.

Mi lavo le mani e sostituisco la testina allo spazzolino. Le faccio notare che era sigillata, è pulita, può usarla. Mi ringrazia, mentre già si toglie la giacchetta leggera e la lascia cadere a terra. Sotto indossa un top molto scollato.

Ha un bel fisico. Del resto è una modella: è alta, slanciata, gambe affusolate, vita stretta e un seno molto grande, ma non mi fa un grande effetto guardarlo, anche se mi piacerebbe provare a toccarlo. Per sentirne la consistenza, non a scopo sessuale. Chissà se è morbido come sembra.

«Ti piace la mia scollatura?» mi chiede guardandomi sottecchi. Sorride, ma io avvampo.

No, cerco di dire, ma mentre mi inceppo sulla N mi rendo conto che forse è una risposta maleducata, quindi mi correggo, cioè sì, ma non arrivo al sì, lei fa una risatina, appoggia una mano sulla mia spalla. «Non preoccuparti» dice con l'aria un po' triste. «Sei un ragazzo così dolce, tu.»

Vado a dormire, le dico, ed esco, senza più guardarla.

Mi dà fastidio che mi definiscano dolce. Lo dicono in tanti, solo perché balbetto. In realtà io non sono dolce per niente.

Mentre cerco di addormentarmi, con Sara che continua a zampettare da un angolo all'altro del letto (non è abituata ad avere estranei in camera di notte), da sotto le coperte sento lo scroscio dell'acqua nella stanza accanto. Mi tiene sveglio.

Mentre Anna si lava, la immagino nuda sotto la doccia. Mi fa effetto? Non lo so. È un'immagine esteticamente piacevole. Mi causa un accenno di erezione. Forse avrei dovuto masturbarmi, per essere più tranquillo, ora. Ma non mi masturbo mai il giorno prima di un match. Anche se è solo uno stupido match di doppio.

Dovrei dormire. Riposare. Sono ormai le undici e un quarto e adesso si sente il rumore dell'asciugacapelli. Non avrei dovuto acconsentire. L'unico motivo per cui l'ho fatto - e solo ora lo capisco lucidamente - era il pensiero della sua bocca sulla mia erezione. Anche se razionalmente sapevo che non sarebbe accaduto.

Non ho mai ben capito perché sia successo. Eravamo insieme a un evento pubblico, una cena di gala pre torneo, a Madrid. Io mi stavo annoiando a morte. Lei mi ha chiesto cosa ci fosse che non andava e io gliel'ho detto: mi annoio. Vieni, ti faccio divertire io, mi ha risposto. All'inizio non capivo cosa intendesse dire, ma l'ho seguita, vagamente incuriosito. Mi ha portato in una stanza vuota del palazzo signorile dove si teneva questo evento, mi ha abbassato i pantaloni e mi ha praticato una fellatio. È stata una cosa inaspettata, ma estremamente piacevole. Quando è finita mi ha spiegato: scusa, mi stavo annoiando anch'io.

La cosa non si è più ripetuta.

La sua bocca è davvero bella. Carnosa e simmetrica, sempre ben idratata, tranne stasera, che era un po' screpolata. E i suoi denti sono regolari, lo smalto bianco, si vede che fa pulizie frequenti dal dentista. Ora li sta lavando, sento il rumore dello spazzolino elettrico.

Reshetnikov non ha mai fatto una pulizia professionale ai suoi denti, ci giurerei. Non che li abbia sporchi, questo no, ma ha quel tipico lieve ingiallimento su canini e premolari, che tutti hanno, tutte le persone che si lavano i denti magari ogni giorno ma con poco raziocinio, spazzolando a lungo gli incisivi e mettendo meno cura sui laterali.

Il rumore dello spazzolino si è già interrotto. Ci ha impiegato troppo poco tempo. Anche lei si lava i denti con poca cura, ma essendo una modella li ha perfetti: qualche professionista se ne prende cura al posto suo, per la sua immagine.

L'immagine è tutto.

Eccola che arriva. A luce spenta cerca il letto a tentoni. Accendo la lampada sul comodino.

La mia divisa da allenamento le calza molto larga, ma non le sta male. Ho notato che ad Anna sta bene qualsiasi cosa indossi, a differenza mia che ho sempre problemi a trovare le taglie giuste, coi vestiti casual o eleganti. Solo i completi da tennis mi stanno bene. Infatti vorrei indossare sempre e solo quelli.

«Grazie» dice lei. «Ho fatto tanto casino di là?» La sua parlata non è molto bella, apre troppo le vocali e ha un forte accento del sud.

Un po', le rispondo.

«Mi piace che sei sincero.» Sembra accorgersi finalmente di Sara. «Ehi tu» dice dandole una piccola carezza. «Mi fai un po' di spazio, piccolina?» La spinge delicatamente verso il centro del letto e Sara si viene a mettere sopra al mio cuscino, facendo un piccolo sbuffo quando si riacciambella. Si mette spesso a dormire lì, sopra la mia testa, quindi non mi dà fastidio.

Anna si infila sotto le coperte.

Spengo la luce.

«Certe volte mi sento così sola» dice, dopo qualche secondo di silenzio.

Non so cosa ribattere. Anche se lo sapessi probabilmente rimarrei zitto.

«Gli uomini sono tutti degli stronzi e raccontano solo palle» aggiunge, in tono amareggiato.

Non so davvero cosa dire.

C'è una ragazza dentro il mio letto. È la prima volta e probabilmente anche l'ultima.

Non so perché ho il pene turgido in questo momento, non sto pensando a niente. Ma tanto è buio, e le sto dando le spalle, non se ne accorgerà.

Siamo in silenzio da parecchi minuti e il mio battito cardiaco è sostenuto, come se stessi iniziando il riscaldamento.

«Michele» dice lei.

«S-sì?»

«Ti piacerebbe essere il mio ragazzo? Ma non per finta. Il mio ragazzo per davvero.»


Note note note

E benvenuta Anna! Chissà  perché ho l'impressione che non sarà un personaggio molto amato? Be', spero di farvi ricredere, perché anche su lei ho lavorato molto, e  trovo i personaggi femminili centomila volte più difficili da scrivere di quelli maschili. Un mio limite, ne sono consapevole.

Michele sembra stuzzicato dalla sua presenza... secondo voi succederà qualcosa? Lo saprete presto!

Ci rileggiamo venerdì (ricordate: tre capitoli questa settimana) e non dimenticate la stellina!

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