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76. Soldi e fama

Le condizioni di Sara sono peggiorate rapidamente. Ogni giorno è più mogia di quello precedente, e ormai mangia malvolentieri, e solo a imboccate, anche il salmone fresco. 

leri sera, poi, si è svegliata nel cuore della notte guaendo. È questo il segno che è giunto il momento? So che è la scelta più umana, ma mi manca ancora il coraggio di farlo. E se ci fosse ancora qualche possibilità per placare il suo dolore e farla vivere un po' di più?

Papà me ne ha parlato di nuovo. Mi ha esortato a portarla dal veterinario. Io gli ho detto che ci sto pensando, seriamente pensando, ma lui non sembrava credermi. «Il fatto che tu stia balbettando così tanto mi fa pensare che in realtà non vuoi farlo e non lo farai mai.» Certo che non voglio farlo, gli ho risposto, tu vorresti farlo? Nessuno vorrebbe dover fare una cosa simile. Ma se dovrò farlo, lo farò. Papà non ha ribattuto altro. Si è limitato a scuotere la testa e mormorare: «Ti conosco troppo bene...»

Mi crede così crudele? Non voglio che Sara soffra. Sì, ci starò male, ci sto già male, ma se dovrò farlo, lo farò. Sarò forte per lei. 

Comunque, la cosa che mi spezza di più il cuore, in questo momento, è che oggi rimmarrà sola praticamente tutto il giorno, perché starò a Milano per quel maledetto servizio fotografico d'alta moda. 

A Milano ci sono venuto con zia Elena. Papà è rimasto a casa, con Sara. Stamattina le ho dato un'extra dose di coccole, prima di partire, ed è stato così bello vederla scodinzolare. 

Sono in pena per lei. Sta male e per giunta è sola. D'accordo, c'è mio padre, ma non è la stessa cosa. Gli ho lasciato un bel po' di raccomandazioni: gli ho spiegato come imboccarla per invogliarla a mangiare, come somministrarle le medicine, mi sono raccomandato che la tenesse sempre d'occhio quando l'avrebbe fatta uscire in cortile per farle fare i bisogni, e infine l'ho pregato di farle un po' di coccole, se l'avesse vista in vena di coccole. Quest'ultima raccomandazione temo cadrà nel vuoto, mio padre non è un uomo affettuoso. 

Arriviamo a Milano all'una, pranziamo in taxi: ho portato un pasto pronto bilanciato dal punto di vista calorico. Mentre mangio, chiamo papà, gli chiedo come sta Sara, gli chiedo di mostrarmela e lui la inquadra: sta sonnecchiando, muove un orecchio, quando percepisce l'avvicinamento di mio padre. 

Durante il tragitto la zia è taciturna: mangia due barrette pasto e sta costantemente attaccata al tablet. Meglio così, non sono in vena di parlare. 

Finalmente arriviamo. È uno studio fotografico famoso, a detta della zia. Si trova in un vecchio capannone industriale, all'interno dei quale sono stati ricavati vari set e gli spazi per i camerini. 

Sul palco principale è in corso un photoshoot di biancheria intima femminile, e al centro del palco c'è Anna. 

Resto di sasso quando la vedo. Anche lei mi nota, quasi subito. 

«Occhi in camera!» le grida il fotografo. Ma lei continua a guardarmi per qualche secondo. Poi stringe le labbra e scappa via. 

«Ehi, dove cazzo...?» Il fotografo emette un grugnito sconsolato. «Fate uscire la prossima...»

Sto seguendo con lo sguardo Anna, quando all'improvviso mi si para davanti un uomo sui quaranta con un'orribile bocca sottile e reticolata di rughe verticali. Mi disgustano anche i suoi capelli: sono radi e irrigiditi dal gel, cosa che li fa sembrare ancora più radi. «Ecco il nostro uomo!» esclama entusiasta. Ho fatto in tempo, comunque, a vedere dietro quale porta è sparita Anna.

«Io sono Filippo» prosegue l'uomo con la bocca sottile, e sia io che la zia gli stringiamo la mano. 

Lui poi arretra di un passo e mi squadra dalla testa ai piedi. « Favoloso!» esclama. «Hai un corpo che si veste da solo. Seguimi.» 

Filippo si dirige proprio verso la porta dove è sparita Anna. Zia Elena mi sta parlando del servizio fotografico, ma non la sento: oltrepasseremo quella porta e rivedrò Anna. L'idea di doverle chiedere scusa mi causa allo stesso tempo imbarazzo e sollievo. Voglio parlarle! 

Ma all'ultimo momento Filippo fa una deviazione. Siamo proprio davanti a quella porta, e prendo una decisione d'impulso.

«Un ...attimo.»

Ci ho messo un po' a riuscire a tirare fuori la "a". Filippo si volta, lo vedo spalancare la bocca, probabilmente per protestare, ma la mia mano e già sulla maniglia. 

Entro. 

«Michele...» dice la zia un secondo prima che chiuda la porta alle mie spalle e mi trovi davanti una ragazza sconosciuta a petto nudo. 

La ragazza emette un urlo e si copre il seno, io mi metto una mano davanti agli occhi.

«S-s-s-s...» No, non ci riesco a finire la parola "scusa". 

«Oh, wait! You're that tennis player!» esclama lei in tono allegro. 

«Sei proprio un cretino!» È la voce di Anna. Dopo pochi secondi mi sento afferrare il braccio. 

«È il camerino femminile, questo!» 

«No problem, Annie!» dice la ragazza che ho spaventato. E altre voci femminili si uniscono al coro. Mi chiamano per nome, mi chiedono selfie, informazioni sui miei prossimi tornei, sento una di loro usare la parola gay, ma non capisco se si sta riferendo a me. Sto continuando a tenere gli occhi chiusi. 

Anna vuole uscire da qui, ma qualcuna dice: «It's ok, he can stay!» e c'è un coro di "Yeah" e "Yes". 

Riapro finalmente gli occhi, titubante. Niente seni nudi. Menomale. Anna, ancora in lingerie, ma con una vestaglia leggera sulle spalle, aperta, ha le mani ai fianchi. «Perché mi hai seguito?» mi chiede. 

«V-v-v-v...» È l'incipit del verbo "volevo", e lo tiro avanti per un po'. 

«Poverino, è emozionato» bisbiglia una ragazza. Il fatto che la scena sia osservata, da vicino, da una dozzina di ragazze in biancheria, non mi rende più tranquillo. D'accordo, sembra essercene solo un'altra italiana, quindi non credo capiranno ciò che (eventualmente) dirò. Ma è comunque imbarazzante.

«Vuoi scrivermelo?» dice Anna in tono comprensivo, quando capisce che non riuscirò a finire la frase. «Could you please leave us alone?» aggiunge, rivolta alle ragazze, che finalmente si allontanano, tornando chi al trucco, chi ai vestiti (cioè reggiseni e mutandine).

Finalmente soli (più o meno). Ci sono tante cose che vorrei dirle, ma la più importante credo sia: «Grazie p-per quello c-che hai fatto per Sara.»

 «Oh» dice lei. 

«So tutto. Zia Elena mi ha raccontato t-tutto. Tutto quello che hai fatto.»

Lei fa un'espressione tristissima e abbassa la testa. «Scusa se non ti ho detto niente... ho pensato diverse volte di farlo, ma non ne ho mai avuto il coraggio.»

«Non imp-p-porta.»

Alza la testa, mi guarda di nuovo. «Come sta la piccola?»

Le racconto tutto, e infine le dico ciò che sto meditando di fare per evitarle altre sofferenze.

Ha avuto gli occhi lucidi per tutto il racconto, ma su questa informazione si lascia sfuggire una lacrima e un singhiozzo. Ed ecco che tornano quelle curiose delle altre modelle, a poco a poco, si avvicinano ad Anna e cominciano a farle domande, per lo più in inglese, Che succede? Come stai? Ti ha detto qualcosa di cattivo? Alcune di loro mi guardano con ostilità. Vorrei difendermi, ma è Anna a farlo, spiegando loro tutto, raccontando la storia di Sara. 

E a questo punto, la cosa più bella del mondo accade: le ragazze ci abbracciano. 

Un po' a me, un po' ad Anna. Un abbraccio collettivo, pieno di affetto e compassione, e parole di conforto. 

Mi chiedono di Sara, mostro loro delle foto, e lo fa anche Anna, che ne aveva diverse sul suo cellulare. Cominciano a raccontare storie: una ragazza ha perso il suo vecchio gatto diciassettenne, Thomas, pochi mesi fa, un'altra il suo barboncino Archie l'anno scorso, e ancora piange ogni volta che ci ripensa, e c'è una ragazza che si trova nella mia stessa situazione, il suo vecchio labrador, Lord, è molto malato e stanno pensando all'eutanasia. 

Ma ci sono anche storie felici: c'è chi mi mostra le foto di un gattino, chi di un cane, una ragazza ha un coniglietto bianco che ha chiamato Snowy. Mi mostrano video buffi, mi raccontano storie, aneddoti divertenti o teneri, li racconto anch'io, e loro sono tanto pazienti da non interrompermi quando balbetto: quella volta che Sara aveva preso in antipatia, chissà perché, il direttore di un torneo, e abbaiava come una matta ogni volta che lo vedeva, oppure il modo in cui si infilava sotto le coperte quando faceva freddo, o i trucchetti infidi con cui mi convinceva a darle un bocconcino di carne dal mio piatto. E loro rispondono con storielle simili. Ascoltarle mi riempie di gioia, e ne chiedo di più. C'è anche zia Elena ad ascoltare. Era entrata dopo appena un paio di minuti. Voleva esortarmi a uscire, ma quando ha sentito che stavamo parlando di animali domestici si è zittita ed è rimasta in disparte ad ascoltare. Forse ha capito che ne avevo bisogno. 

Chi non lo capisce è Filippo. Irrompe nella stanza interrompendo una ragazza che mi stava mostrando un video del suo chihuahua Amy e le strappa persino il telefono di mano.

«Stop it, girls! Back to work!» ordina. «E tu?» dice rivolto a me. «Mi meraviglio! Ti bastano due tette per perdere la testa? Andiamo! È un quarto d'ora che stai qui dentro e stai facendo perder tempo a tutti.»

Mentre mi trascina fuori cerco di spiegargli che le ragazze mi stavano consolando perché la mia cagnolina è malata.

«Sì, sì...» dice in tono sprezzante. «Con-so-lan-do!» Scandisce molto lentamente le sillabe della parola. Colgo il sarcasmo, ma non capisco il sottinteso. Glielo chiedo: cosa intende dire? 

Lui si blocca di scatto, quasi vado a sbattergli addosso. Si gira e incrocia le braccia. «Dimmi la verità. Sincero. Le hai provocate?» 

«Iiiiiin c-che senso?»

 «Ci hai provato con loro? Non avevi un secondo fine?» 

«No! T-te l'ho detto, la mia c-c-c...» 

«Ok» mi interrompe. «Sei più frocio di quel che pensavo.»

 «N-non s-s-sono...»

«Whatever» mi interrompe di nuovo, dando una specie di schiaffetto all'aria con la mano. «E oltre a essere frocio sei anche ingenuo. Quelle non ti stavano consolando, ci stavano provando con te.» 

Davvero? A me sembravano sincere, non ho percepito secondi fini.

«Ti insegno una cosa, sulle modelle» continua lui. «Gli interessano solo due cose: i soldi e la fama. E tu sei una macchina per avere soldi e fama.» 

No, non posso crederci. Erano sincere, l'affetto che mi hanno trasmesso...

«Fidati» prosegue. «Lavoro da quindici anni con le modelle, ne ho conosciute a pacchi. Tutte uguali.»

Durante il servizio fotografico sono amareggiato da ciò che mi ha detto Filippo. Ero stato così felice e quell'uomo ha guastato tutto, facendomi venire il dubbio che in realtà a quelle ragazze di Sara non gliene fregasse niente.

Dopo due noiose, estenuanti ore di scatti senza senso (sono vestito elegante, ma in metà delle foto ho una racchetta in mano, come se potessi giocare a tennis conciato in questo modo), mi lasciano finalmente andare. Trovo zia Elena e Anna che parlano in quello che mi sembra un atteggiamento amichevole, e Anna è vestita (shorts e maglietta). Mi avvicino. Anna mi sorride. 

«Sono stato stupido a licenziarti. S-scusa.» 

Considerando l'imbarazzo che sto provando, non capisco come sia possibile che quasi non abbia balbettato. 

Lei sembra colpita dalla mia frase. «Sono io che devo chiederti scusa» mi risponde. «Ti ho teso un agguato e poi non ce l'ho fatta ad affrontarti.»

«Un agguato?» 

«Sapevo la data del tuo servizio fotografico e ho fatto di tutto per organizzare un mio photoshoot contemporaneo al tuo. La verità è che non sapevo neanch'io cosa volevo fare. Da un lato volevo chiederti scusa, perché mi rendo conto che quel giorno a Londra ho oltrepassato un limite...»

Annuisco a queste parole.

«Dall'altro volevo mandarti anche a fanculo perché mi hai licenziato tramite Elena, senza neanche concedermi una parola di spiegazione.»

«Se lo sarebbe meritato, il vaffanculo» commenta la zia. 

«Però quando ti ho visto non ho avuto il coraggio di fare nessuna delle due cose. E quando mi hai detto di Sara...»

La interrompo. Devo chiederle una cosa: «Lllle tue c-c-colleghe, prima, ci stavano p-p-provando con me?» 

Anna mi fissa alzando le sopracciglia e sbattendo rapidamente le palpebre un paio di volte. «Perché me lo chiedi? Ti piaceva qualcuna?» 

Le spiego cosa mi ha detto Filippo. «T-tu sei più brava di me a leggere le intenzioni d-delle persone» aggiungo alla fine. 

«Non è che sono più brava di te: io sono capace, tu no. È diverso.» Zia Elena ride. «Comunque no» prosegue Anna. «Non stare a sentire Filippo. Fammi indovinare, ti ha detto che noi modelle andiamo dietro solo ai soldi?»

«E alla fama» aggiungo. 

Anna fa un sorrisetto. «Tipico di Filippo. Be', ha ragione.»

La sua conclusione mi stupisce, mi sembrava che il suo discorso stesse andando in una direzione diversa.

Ma il suo discorso non è ancora finito. «Una diventa modella perché le piace esibirsi, apparire. Siamo molto competitive e determinate. E spesso siamo disposte a tutto, pur di riuscirci...» Il suo sguardo si fa triste. Sta ricordando tutti gli uomini con cui è andata a letto per ottenere un po' di fama? È una storia triste, e mi intristisco anch'io, a ripensarci. 

«Ma siamo anche esseri umani» conclude, «e ti posso assicurare che oggi le mie colleghe non avevano secondi fini, quando sono venute a consolarci. Solo uno psicopatico non proverebbe pena per una povera cagnolina malata.» Fa un sorriso triste. «Dalle una carezza da parte mia, quando arrivi a casa, stasera.»

Sorrido e annuisco. Poi mi viene un'idea. «A-aaaspetta! Vuoi vederla? Chiamo papà e gli chiedo di inquadrarla!»

«Dai, lo fai domattina da casa» dice la zia prendendomi per un braccio. «Dobbiamo andare, adesso, sennò perdiamo il volo.» 

«Il volo è tra due ore» le faccio presente. «Ci vorrà un minuto.» Ho già il telefono in mano e faccio partire la chiamata per papà. Non risponde. 

«Dai, non importa.» Anna mi batte una pacca sulla spalla. «Mi farebbe davvero piacere sentirti, domani. Mi chiami e me la mostri tu, ok?»

Le prometto che la chiamerò. 

«E se...» comincia lei, senza finire.

«E se?» la incalzo. 

«E se... dopo che la porterai... insomma, se vuoi parlare, qualsiasi cosa, chiamami.» Mi sorride. 

«G-grazie.» 

Ci salutiamo con un rapido abbraccio. 

In taxi verso l'aeroporto riprovo a chiamare papà, che continua a non rispondere. Forse è al telefono con qualcuno? Un po' lunga, come telefonata... Gli scrivo un messaggio: Dove sei? 

Arrivati all'aeroporto, ancora nessuna risposta. Controllo se ha perlomeno letto il messaggio, ma le spunte sono ancora grigie. Ma vedo che si è connesso a Whatsapp, l'ultima volta quattro minuti fa. Quindi ha volutamente ignorato il mio messaggio? Il pensiero che non voglia parlarmi mi avvolge di angoscia lo stomaco. «Zia, p-puoi chiamare papà?» 

«Perché?» 

Le spiego che mi sta evitando. Lei ridacchia. «Ma no, stupido! Avrà da fare.» 

Ma io insisto, e quando la accuso di non volerlo chiamare perché mi stanno nascondendo qualcosa, sbuffa e cede: «E va bene! Dio, come sei infantile, a volte.» 

Sta col telefono all'orecchio per una trentina di secondi, prima di chiudere. «Non risponde. Te l'ho detto, avrà da fare.» 

«C-certo! Sa che sei c-con me, e per quello c-c-che non ti risponde!» 

«Mmm...» mugola la zia, annoiata. «Non ti fissare su delle palesi cazzate.» Poi prende di nuovo il telefono e lo porta all'orecchio. Pensavo stesse provando a richiamare papà, ma dopo pochi secondi la sento parlare di interviste con chissà chi.

Scrivo di nuovo a papà: perché non rispondi né a me, né alla zia? E dopo un minuto aggiungo: Come sta Sara? Dopo un altro minuto, finalmente mi arriva una risposta. Ma non è una risposta soddisfacente: Scusa, ho da fare. 

Come sta Sara? Ripeto. Stavolta non si fa problemi a mostrarmi che l'ha letto, ma non risponde, 

«Zia, sai qualcosa di Sara?» 

La zia sbuffa. «Michi, stai tranquillo.»

Non è una risposta. 

I minuti seguenti sono un crescendo di domande, messaggi e angoscia. «Michele, smettila!» sbotta la zia a un certo punto. «Il mondo non gira intorno a te! Non devi sempre pensare che ci siano complotti ai tuoi danni!» 

Mi sta facendo un'accusa insensata. Ok, è vero che ogni tanto sono un po' paranoico, ma c'è qualcosa di concreto in questa situazione, nel modo ostinato in cui entrambi sembrano non volermi rispondere, che mi fa pensare al peggio. 

La chiamata di papà arriva mentre stiamo facendo il check-in. «Michele. La zia mi ha detto che stai montando un casino.» 

«Come sta Sara?» gli chiedo, prima che possa finire ciò che vuole dirmi. 

«È per questo che ti chiamo. Non volevo agitarti senza motivo durante il viaggio, ma se devi agitarti comunque, tanto vale che te lo dico subito.» 

Perdo la sensibilità a tutte le estremità del mio corpo, e il cuore si accartoccia, la gola si ostruisce, prima di sentire l'ovvio, orribile, tragico finale.

«Sara è morta.» 

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Note 

In questi capitoli mi sembra superfluo commentare, quindi mi limito a darvi appuntamento a venerdì.

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