75. Un piccolo cuore
Per prima cosa siamo stati dal veterinario.
Siccome non ho la patente, mi sono fatto accompagnare, ma non dalla zia come avevo fatto le volte precedenti, ci sono andato con papà. Volevo che dicesse al veterinario, davanti a me, che avrebbe potuto raccontarmi tutto. Tutta la verità.
E il veterinario l'ha fatto. Mi ha confermato ciò che già avevo capito, e cioè che non c'è più niente da fare, e le cure che le sta somministrando servono solo a placare il suo dolore.
«Ne sente molto?»
«Per ora no, ma probabilmente peggiorerà in fretta.»
Gli ho detto che è inappetente e che non vuole più camminare, mi ha risposto che è normale e mi ha consigliato di darle cibo umido per invogliarla a mangiare un po' di più. Già le do cibo umido, purtroppo. Gli ho chiesto quanto le resta. «Non lo sappiamo, di preciso. Un mese, forse due.»
Allora gli ho chiesto informazioni sull'eutanasia, e se lui pensava fosse il caso. Papà si è stupito molto di questa mia domanda. L'ho visto da come ha reagito quando l'ho fatta e me l'ha confermato, poi, in macchina, mentre tornavamo a casa. «Se decidi di farlo sarà una scelta molto matura e molto umana» mi ha detto, col tono di voce di chi non credeva che avrei mai trovato il coraggio per farlo. Sembrava quasi commosso.
A ogni modo, il dottore non è stato molto risoluto, nella sua risposta sulla questione. «È un atto di pietà nei confronti del cane» ha detto. Grazie tante, lo sapevo anch'io. «È una soluzione che può essere presa in considerazione, se le cose dovessero peggiorare.» Alla mia domanda: peggiorare quanto? Quand'è che diventa opportuno? lui ha cincischiato. «È una scelta che spetta al padrone.»
Siamo tornati a casa a metà mattinata, ho provato a farla mangiare quello che c'era, ma come previsto ha rifiutato la scatoletta. La sua pappa è a base di riso e salmone, allora ho chiesto a papà se poteva andare a comprare del riso bianco (io lo mangio sempre integrale, ma bianco è più digeribile) e del salmone fresco.
Ho trascorso tutta la giornata con lei, come mi ero ripromesso. Ho trascorso la fine della mattinata ad adattare una carriola di mio nonno per costruire una specie di trasportino, usando una cassa di latte vuota e un vecchio cuscino. Ci ho fissato sopra anche un parasole, fatto con un ombrellino da pioggia, di quelli piccoli retraibili, per farla stare all'ombra. Ne è uscito un attrezzo brutto a vedersi ma funzionale. Sara ci stava sopra volentieri.
All'ora di pranzo è tornato papà con la spesa, e ho preparato da solo il salmone per me e lei. È stato stupendo vederla mangiare! L'odore del salmone fresco l'ha ingolosita e ha sbocconcellato di gusto la sua porzione.
Nel tardo pomeriggio l'ho portata a fare una lunga passeggiata con la carriola modificata. Ricordo come, appena l'anno scorso, era entusiasta di correre con me in mezzo ai campi, a fiutare piste di lepri o altri odori selvatici, a inseguire farfalle e tendere agguati a minacciosi rami secchi, e fare infiniti su e giù lungo i filari delle vigne.
Oggi, niente di tutto questo.
Ma quando mi sembrava che mostrasse curiosità per qualcosa, mi fermavo e l'adagiavo a terra. Il più delle volte non ha fatto altro che accucciarsi e star ferma, ma ci sono state un paio di occasioni in cui il suo vecchio istinto di cacciatrice l'ha spinta a curiosare in qualche buco o seguire per qualche metro un odore interessante.
Ci siamo fermati sotto la grande quercia dove l'anno scorso ho ascoltato per la prima volta le canzoni di Ivan. Fa molto caldo, le cicale che friniscono fanno un gran rumore, tutto intorno, ma all'ombra dell'albero, complice una lieve brezza, non si sta male.
Mi sento un po' sciocco, ma ho portato gli auricolari anche oggi. Ho bisogno di un po' di quello sciocco conforto a buon mercato che solo la musica sa dare.
Ho portato anche un'altra cosa: una pallina vecchia. Una di quelle un po' sporche di terra rossa, per cui Sara andava matta.
Gliela scuoto davanti agli occhi. Ma lei non reagisce. «Sara! Pallina!» esclamo, cercando di infondere entusiasmo nella voce. Non gliela voglio far rincorrere, ovviamente, ma ho pensato che potrebbe comunque divertirsi a vederla rimbalzare.
Ma non le interessa. Si sposta, persino, va ad accucciarsi mezzo metro più in là, camminando lentamente con quelle sue gambette corte. Gira un paio di volte su sé stessa, e con uno sbuffo si accuccia. Oh, Sara. Come sei bella, piccola, innocente, pura.
Non è giusto, quello che le è successo. I cani dovrebbero essere immortali. Non è giusto che soffrano e muoiano. Dovrebbero essere delle creature magiche, che quando nasci una di loro ti sceglie e poi sta con te per sempre e ti rende sempre felice. E se tu viaggi, per lavoro o per piacere, lei ti segue senza soffrirne.
Sara ha sempre patito un po' i viaggi, nonostante abbia sempre potuto tenerla con me in cabina, essendo lei di taglia piccola. Ma le pesavano l'immobilità forzata, i fusi orari, l'andirivieni... Se fosse colpa anche di tutto questo stress, che si è ammalata? Non lo saprò mai con certezza, ma è un altro tarlo che mi roderà per sempre.
Non adotterò un altro cane, non finché continuerò a fare il tennista. Lo vorrò, so già che lo vorrò, per colmare il vuoto lasciato da Sara, ma non sarò così egoista. Non voglio far soffrire un altro animale. Resterò solo, fino alla fine della mia carriera. E poi, a trentasette, trentotto, trentanove anni, quando sarà il momento, non ne adotterò solo uno, ne adotterò dieci! Andrò al canile, e sceglierò cani che nessuno vuole adottare, quelli anziani, quelli brutti, quelli di grande taglia, per regalare loro un po' di anni di felicità.
Questa prospettiva, anche se distante nel tempo, mi dà un po' di conforto.
Ed è arrivato il momento di cercare altro conforto nella playlist.
Ricordo ancora quando ho chiesto a Ivan di suggerirmi canzoni con nadezhda, speranza, e lui mi aveva suggerito un po' di titoli. Me li ero scritti, avevo provato ad ascoltarli, ma non mi erano piaciuti molto.
E non mi piacciono nemmeno stavolta. Troppo sentimentali. Anche Ivan aveva usato questo aggettivo. Troppo sentimento. E delle canzoni aveva detto: «Ascolto solo quando mi sento melodrama mode.»
«Cioè sempre?» avevo detto io. Non era una battuta, volevo essere caustico, ma lui aveva riso. Se glielo ripetessi oggi la intenderei come una battuta.
No, oggi no, non siamo più amici, io e lui. Se gliel'avessi ripetuta un mese fa. Più corretto.
Lui mi aveva detto che a volte, quando si sente giù di morale, gli piace ascoltare metal. Ricordo bene la parola, l'avevo trovata strana. Cerco Metal nella sua collezione, e trovo una playlist che si intitola proprio così, semplicemente. Metal.
La faccio partire.
Dio, che confusione! C'è un ritmo forsennato, chitarre pesantemente distorte (credo sia proprio il termine corretto, ho sentito Ivan usarlo, in inglese) e il cantato è esagerato anche quello: in alcune canzoni e troppo acuto, in altre sembra un ruggito, in altre ancora un grido.
Ne ascolto diverse senza finire nessuna. Non mi piacciono, ma capisco perché Ivan le trovi di conforto, nella tristezza: tirano fuori la rabbia, sono uno sfogo violento.
Allora, non sapendo cos'altro ascoltare, cerco le canzoni che mi ha fatto conoscere lui. La sua ex canzone preferita, Life on Mars, e quella dei Rolling Stones che era piaciuta tanto a me, Ruby Tuesday. E poi le canzoni che cantava quella notte a Londra: alcune non le avevo mai ascoltate. E anche quella canzone d'amore che si intitolava... come si intitolava? Ricordo un pezzo del testo e lo cerco online, diceva: "the way I feel when I'm in your hand"... Eccola! Si intitola Because the night, Patty Smith. Una donna? Davvero? Se non l'avessi saputo, avrei pensato che era un uomo con la voce un po' alta. Che voce interessante. Anche la musica è bella, peccato che il testo parli d'amore, e in un modo che non mi piace, per giunta. Ma la musica, Dio com'è bella.
Mi avvicino a Sara, mentre ascolto questa canzone. Lei mi guarda. Posso starti vicino? Ti do fastidio se ti accarezzo? È lei a chiamare il contatto: si rotola su un fianco e dà delle zampate all'aria. È il suo modo di dirmi: accarezzami il pancino. Le sorrido. Ma allora ce l'hai ancora qualche desiderio, un po' di voglia di vivere. Finché l'avrai starò con te, piccolina.
La canzone finisce, e accarezzando Sara ne ascolto altre. Ne ascolto qualcuna dalla playlist italiana Roba che piace a Raf. E che piaceva anche a Ivan. Me l'ha detto: le canzoni che Raf mi ha suggerito e che non mi sono piaciute, non le ho messe in playlist.
È interessante ascoltarle: pezzi di cultura italiana che piacciono a Ivan. Forse possono dirmi qualcosa di lui. Perché penso a lui? Io lo odio. Non potrò mai perdonarlo e non potrò mai affrontare l'idea che lui sia meglio di me.
Ma non voglio pensarci, ora. Ascolto qualche canzone, mentre continuo ad accarezzare Sara, che ora si è appisolata. Sono tutte interessanti, in un modo o nell'altro: alcune sono divertenti, alcune strane, altre misteriose. Quando parte Un'emozione da poco, la stoppo: non voglio pensare a mio padre.
Mi torna in mente, allora, la canzone che mi piaceva da piccolo. Sono giorni che ci penso, a intermittenza. Provo a cercare online "canzone pescatore". Quante canzoni possono esserci che parlano di un pescatore? Il primo risultato è: Il Pescatore, Fabrizio De Andrè.
Fabrizio De Andrè! Il suo nome è un muro che si rompe nella mia testa, un ricordo che esplode. Sì! È lui! Lo ricordo all'improvviso, ricordo la copertina del CD della mamma: una faccia dura col ciuffo sul viso.
La faccio partire da YouTube, e già alle prime note il cuore accelera. Ricordo la mamma che la canticchiava piano. Ricordo la nostra camera da letto in accademia, negli Stati Uniti, io tornavo dagli allenamenti, stanco morto, e lei mi chiedeva, con la lingua dei segni: cosa ha imparato, oggi, il mio piccolo campione? E io, allora, trovavo sempre l'energia per raccontarle gli esercizi che avevo fatto, e in quali modi avevo battuto o superato gli altri bambini che si allenavano con me.
La mamma veniva molto di rado ad assistere ai miei allenamenti, papà glielo impediva: diceva che mi distraevo troppo, se c'era lei a guardare. E aveva ragione. Se c'era la mamma a bordo campo, strafacevo per cercare di impressionarla, e finivo per fare le cose in modo frettoloso e impreciso. Non mi concentravo abbastanza.
E così stavamo insieme solo di sera. Ufficialmente, i miei dormivano in una stanza e io e Daniele avevamo due camere separate, ma il novanta per cento delle notti la mamma dormiva con me e non con papà. E quando sentiva nostalgia dell'Italia, ascoltava De Andrè.
Mi manca la mamma. Mi mancherà allo stesso modo, Sara? Ivan mi manca in un modo totalmente diverso.
Certo che mi manca in modo diverso, lui è ancora vivo. Che cose stupide che penso, ogni tanto.
Però in un certo senso anche Ivan è morto, per me. È morto l'Ivan con cui amavo stare. Non ci sarà mai più.
Ma allora perché mi sorprendo a pensare che vorrei chiamarlo, avere il suo supporto, un suo abbraccio, come se nulla fosse cambiato?
La canzone finisce. Mi stendo a terra, e Sara si avvicina al mio viso, comincia a leccarlo. Chiudo gli occhi e la lascio fare.
È molto meticolosa. Mi lecca gli occhi chiusi, il naso, la bocca. Non mi fa schifo. So benissimo che ha leccato cose disgustose, a terra o sul suo corpo, ma non riesco a provare disgusto. Solo affetto e tenerezza.
Quando si stanca di leccarmi, si accuccia, qui, accanto alla mia testa.
Mi levo gli auricolari: basta con la musica.
Voglio ascoltare solo il respiro di Sara, e sentire con la mano il battito del suo piccolo cuore.
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Note note note ♫
Di solito quando scrivo una storia mi immedesimo nelle emozioni dei personaggi e soffro e rido con loro, però mi capita molto raramente di arrivare al punto di commuovermi. In questa storia mi è capitato due volte, e una delle due è stata alla fine di questo capitolo. L'altra non ve la rivelerò a storia in corso, ma alla fine di tutto.
Grazie di continuare a leggermi anche in questi momenti difficili.
A mercoledì.
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