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62. Adin, dva, tri

Montecarlo. Barcellona. Madrid. Roma. Parigi.

È la primavera europea sulla terra rossa, che tutti gli amanti del tennis veloce detestano e tutti i fan di Molina adorano.

A me piace la terra. È la superficie su cui sono nato, quella su cui il mio rovescio in top spin si esprime al meglio, anche se in generale il mio gioco d'attacco è più adatto al veloce.

Mi piace. Mi piace scivolare, mi piace correre come un forsennato a recuperare dropshot, mi piace persino ritrovarmi sporco a fine giornata, sui pantaloncini, nei calzini. Non so perché, ho come l'impressione di aver lavorato più sodo, quando lascio tracce di polvere rossa in spogliatoio.

L'anno scorso ho vinto Madrid. Voglio assolutamente difendere il titolo. E voglio vincere anche Montecarlo, Roma e ovviamente il Roland Garros. Non credo ci sia riuscito mai nessuno, a parte Molina. Ivan, via messaggio, qualche giorno fa mi chiedeva: se proprio dovessi rinunciare a uno di questi tornei, quale sarebbe? (l'aveva scritto molto peggio di così). Nessuno, ho risposto. Poi dopo un po' di insistenze ho ammesso: Montecarlo.

Montecarlo non si capisce bene perché sia un Mille e non un Cinquecento. Probabilmente perché hanno (e danno) tanti soldi. Ma il tabellone è piccolo e il club ha solo uno stadio degno di tal nome. 

Però è un club davvero stupendo, con quella distribuzione digradante dei campi e la vista mozzafiato sul mare.

E poi come trattano bene i tennisti! Non so, forse mi trattano bene perché sono un tennista Rolex, e la Rolex è il main sponsor del torneo. A ogni modo, sto benissimo, qui. Mi i rilasso sul letto della mia suite insieme a Sara, guardando il mare. 

Sono solo. È da dopo gli Australian Open che papà ha deciso di lasciarmi di nuovo solo. Non mi ha dato spiegazioni, ma da Dubai in poi ha sempre prenotato camere separate. Ne sono felice, sto meglio, così.

Sara è un po' mogia. Ho l'impressione che non si sia ancora ripresa al cento per cento dopo l'operazione. Domani ho già deciso che mi ritaglio un'oretta e la dedico completamente a lei. La porto nel giardino dell'hotel e la faccio stancare a furia di rincorrere palline: lei adora rincorrere palline!

La vista dalla finestra della suite è davvero stupenda, la stanza ha una parete interamente in vetro, con un piccolo balcone antistante. Mi piacerebbe che Ivan fosse qui, ma ha (giustamente) preferito giocare un Duecentocinquanta la scorsa settimana (Marrakech) e questa settimana si riposa. Lo rivedrò a Barcellona dove gli hanno dato una wildcard, un accesso diretto al tabellone senza necessità di qualificazione. È numero quarantadue del mondo, grazie al quarto a Indian Wells e alla semi di Marrakech, e per poco non è entrato in tabellone di diritto.

Fernando ha cercato parecchie volte di convincere mio padre a comprare un appartamento qui per prendere la residenza a Montecarlo e pagare meno tasse, ma papà si è sempre opposto: «Non voglio fare il Valentino Rossi» gli risponde ogni volta che Fernando tira fuori l'argomento. Non ho idea di cosa significhi: Valentino Rossi non è un motociclista?

A ogni modo, residenza o non residenza, non sarebbe male vivere qui. Chissà se anche a Ivan piacerebbe. Lui è così legato alla sua Russia. Mi dice sempre che San Pietroburgo è la città più bella del mondo. «E vergognati che non hai visto niente quando hai vinto torneo!» mi dice sempre. «Devi tornare e ti porto nei posti più belli!»

Non credo che ci tornerò mai. Forse visiterò la città di Ivan dopo la fine della mia carriera. Ma al Duecentocinquanta di San Pietroburgo, perché mai dovrei tornarci? È un torneo minore che si svolge in un periodo di calendario morto, subito dopo gli US Open. Un'ammazzata di fuso orario giustificabile solo se ti servono punti o se ti pagano un sacco di soldi (cosa che spesso fanno, c'è da dire). Il torneo, per altro, è uno spettacolo volgarissimo, con tutte quelle ballerine e gli ingressi con le racchette luminose... ma cosa pensano che sia, un torneo di tennis o una discoteca?

«Potrei venire a Mosca, magari, tra un paio d'anni quando mi scade il contratto con Vienna» gli ho detto una volta. Il torneo di Mosca, la Kremlin Cup, è un Cinquecento.

«Anche Mosca è bella, ma San Pietroburgo è la meglio di tutte. Non dirlo a Dasha che si offende. Lei pensa che Mosca è meglio. Classico di tutti i moscovici.»

«A p-p-parte che in italiano si dice moscoviti, p-p-probabilmente loro dicono lo stesso dei pietroburghesi.»

«Sì» ha ammesso Ivan. «Ma c'è grande differenza!»

«Cioè?»

«Che abbiamo ragione noi pietroburghesi!»

È impossibile discutere con Ivan.

***

Non avrei mai dovuto dire a Ivan che se avessi dovuto rinunciare a un torneo sarebbe stato Montecarlo: sono uscito al secondo turno. E non è stato neanche un giocatore particolarmente forte, a battermi: Marko Lavic. Rovescio a una mano con buoni colpi, a suo agio sulla terra, ma assolutamente parecchie categorie inferiore a me. Ha giocato l'incontro della sua vita, per poi perdere miseramente al turno successivo.

A Barcellona ho rivisto Ivan e i suoi nuovi capelli sfumati: blu sulla cima della testa, verde acqua sulle punte. Ma lì è stato lui a uscire al primo turno, eliminato da Derek Thaler (sorteggio sfortunato), che poi ha eliminato anche me in semifinale.

A Madrid Ivan non c'era, e io ho difeso il mio titolo, vendicandomi della sconfitta di Barcellona e battendo proprio Thaler in finale. Il povero Thaler era devastato: aveva sconfitto nientemeno che Molina in semi, giocando per altro un gran bel match, in due set, esuberante dal primo all'ultimo punto. Era certamente sicuro di alzare lo scettro del suo primo Master Mille. E invece sono stato io ad alzare il mio terzo. Tre Mille e uno Slam a vent'anni: sono numeri da dominatore assoluto del prossimo decennio tennistico.

E ora Roma. Come volano le settimane! Mi sembra ieri che guardavo il panorama di Montecarlo. Domani comincia il torneo, io gioco il mio primo match martedì.

Ivan è qui. Alloggia nel mio stesso hotel, dove sto rientrando proprio ora dopo un'estenuante pomeriggio a firmare autografi all'interno dello stand Adidas, al Foro. Roma per gli italiani è massacrante: il presidente della FIT, ci costringe a partecipare a un milione di eventi diversi. E poi si lamenta che l'ultimo italiano a vincere è stato Panatta negli anni Settanta. Dovrebbe pensare di più al nostro benessere psicofisico.

Con me c'è Anna, che è entrata a tutti gli effetti nel mio staff. Ha preso molto sul serio il suo ruolo di fashion consultant: alla players' dinner dell'altra sera mi ha vestito a meraviglia. Non so come abbia fatto: ero convinto che le giacche eleganti mi calzassero tutte male. «È perché non hai mai trovato il taglio giusto per mettere in risalto le tue possenti spalle!» (Ho l'impressione che ci fosse del sarcasmo in quel "possenti", anche se ho effettivamente le spalle molto larghe).

Anna non si occupa solo di vestire me, mio padre e mia zia. Zia Elena se l'è accaparrata come assistente personale, al posto di Rodolfo, che era stato licenziato alla fine dell'anno scorso (mi spiace per lui, ma era davvero scarso). «Così mi imparo ad assumere gente per ragioni sentimentali!» ha detto un giorno la zia. E grazie a questa affermazione ho scoperto che zia Elena aveva una relazione con Rodolfo. Non ne avevo idea! Anna mi ha dato dell'ingenuo: «Si capiva lontano un miglio che Rodolfo era il suo boy-toy! L'avevo capito io quando ero la tua beard e li avrò visti insieme sì e no due volte.»

Zia Elena è entusiasta di Anna: «Si dà un sacco da fare, è intelligente e ha una sensibilità innata per capire cosa tira e cosa no.»

Entriamo nella hall dell'hotel, di ritorno dal Foro, e Anna mi sta tenendo a braccetto. Non mi piace stare a braccetto con le persone, ma la lascio fare. Pensano tutti che stiamo insieme, e stavolta per davvero. Io non nego né confermo e lei nemmeno. Stare con me le dà visibilità, e so che il suo sogno è diventare famosa: sono contento di aiutarla. Sono contento di aver fatto pace con lei, dopo tutto l'astio che c'è stato. Ho riflettuto su quello che ha detto di me ad Andrej, la sera della cena. Mio padre e Ivan pensavano che si volesse solo approfittare di me, ma ora so che è stata schietta.

«Oddio, chi è che canta? È Modugno?» dice Anna con un'espressione tra il perplesso e il divertito.

«Non è M-modugno, è Ivan» la correggo, riconoscendo all'istante la sua voce.

Anna ride. «Modugno è l'autore della canzone! Non la conosci? È tipo la canzone italiana più famosa di tutti i tempi! Voolareee...»

«Mmmi è familiare, in effetti...»

«Andiamo!» Anna mi trascina in direzione della musica. 

E solo ora, avvicinandomi, sento bene  cosa sta cantando Ivan. È proprio quella canzone, e quando Anna diceva che è famosissima sono certo non mentisse, perché la conosco persino io.

Spuntiamo in una piccola sala con tanti divanetti. Ivan siede su una poltrona con la sua fida chitarra in braccio. Ci sono Andrej, Raffaele, e un po' di tennisti e tenniste italiani che sembrano molto divertiti: Balducci, Sarri, Di Stefano, la Servillo, la De Vincentis e la Turus.

Ivan sta facendo il buffone, imitando una voce stile cantante d'opera, e finisce il verso proprio quando entriamo. «Oh, ciao Misha!» esclama, mentre ancora sta terminando l'ultimo arpeggio alla chitarra. Stanno tutti ridendo.

«Un russo che canta in italiano non l'avevo mai sentito!» esclama Balducci.

«Ti è piaciuta la mia performance?» Ivan mi chiede.

Scuoto la testa. «Non mi piace il c-canto lirico.»

Ridono tutti, Ivan compreso.

«A Misha piace i Pink Floyd, no Volare!» dice, e percepisco dal tono che mi sta prendendo un po' in giro. «Mi fanno requests: canta canzone italiana! Ma io non ricordo parole di canzone italiana, allora canto questa che conosce tutto il mondo! Vuoi fare request anche tu?»

Scuoto la testa. Mi imbarazzerebbe ascoltarlo cantare davanti ad altre persone.

«Perché ti chiamano Misha?» si intromette Francesca Servillo, rivolgendosi a me.

Ivan glielo spiega.

«Fighissimo... posso chiamarti Misha anch'io?»

Allargo le braccia: «Se p-proprio vuoi...»

Non è che abbia tutta questa confidenza con lei, sarà la seconda o la terza volta che ci scambio due parole. Mi piace il suo stile, è una delle poche donne a giocare il rovescio a una mano.

Il mio soprannome gira di bocca in bocca e ho la sensazione che sia appena diventato il mio nome ufficiale anche tra gli italiani.

Guardo l'orologio: sono le dieci e mezza, devo andare a letto anch'io.

I presenti si sono già messi a chiacchierare d'altro, Anna compresa che si è andata a sedere su un divanetto tra Andrej e Raffaele. Parlano dei turni che dovranno giocare, del torneo. Ivan gioca il primo contro Kohler, e credo lo perderà. La terra è una superficie su cui fa ancora molta fatica, mentre Kohler, al contrario, ci si trova a suo agio col suo bel rovescio monomane molto toppato.

Siamo sullo stesso lato di tabellone e per incontrare me dovrebbe arrivare ai quarti. La vedo molto difficile. Non sarà qui che otterrò la mia tanto agognata rivalsa.

«Buonanotte a tutti» dico. Poi, rivolto ad Anna che sta parlando con Andrej: «Tu resti?»

Sta ridendo, ci mette qualche secondo a rendersi conto di me. «Eh? Ah, yes! Sì, io resto ancora qualche minuto!» Mi sorride. «Non ti preoccupare, faccio pianissimo, quando torno.»

Faccio una smorfia.

«Giuro, non mi senti neanche entrare!»

Annuisco. «Va bene.»

Non mi ha nemmeno sentito, si è rimessa di nuovo a chiacchierare.

***

Sono passati quattro giorni ed è accaduto l'impensabile.

Ci incontreremo ai quarti. Io e Ivan.

E metterò finalmente un uno nel nostro head to head.

Anna aspetta che Sara trovi il suo angolino sul materasso, poi spegne la luce, rimbocca la coperta leggera, si avvicina a me e si stringe al mio braccio. «Buonanotte.»

«'Notte.»

Già, dormiamo insieme. Ogni notte. È stata lei a propormelo, a Barcellona, una sera che, a suo dire, sembravo più triste del solito. «Vuoi che ti tengo compagnia? In modo innocente, giuro che non ci provo!»

Ho accettato subito, e con gioia. È così bello dormire insieme a qualcuno... E c'è sempre anche la piccola Sara a tenerci compagnia, sopra o sotto la coperta.

Anche Anna sembra felice. «Mi sembra di essere tornata ai tempi dei pigiama party alle medie!» mi ha detto una sera, mentre chiacchieravamo un po' al buio, prima di addormentarci. Poi si è sconvolta perché non sapevo cosa fosse un pigiama party.

«Teso per domani?» mi chiede.

«P-per niente!»

Oggi ho vinto brillantemente il mio secondo turno contro Adam Strehler, sul Pietrangeli: gli organizzatori cercano sempre di mettere qualche nome importante sul Pietrangeli, durante i primi turni. È il campo a cui si accede col ground pass, quindi prezzi più popolari. Non mi piace giocare lì: c'è troppo viavai nelle file alte. Troppa confusione.

«Bugiardo...»

Sospiro. «Ok... un po'. Ma lo batto. Sono più forte di lui.»

«Posso fare qualcosa per farti rilassare?»

Una fellatio, è la prima cosa che mi passa per la testa. No! Perché ci ho pensato? Abbiamo dormito insieme per due tornei di fila e non ho mai avuto neanche il minimo pensiero sconcio. Perché adesso mi viene in mente? Perché penso sempre al sesso prima dei match importanti?

«Tipo, ti ricordi quando mi hai fatto i grattini e contavi le pecore?» precisa lei.

«Non c-c-contavo le pecore, contavo i numeri.»

«Va be', il concetto è quello. Vuoi? Lo faccio volentieri.»

Ci penso un attimo: l'idea mi alletta. «D-d-davvero lo faresti?»

Nemmeno mi risponde. La sento uscire dalle coperte e sedersi con la schiena contro la testiera. «Devo mettermi così, no? Gambe incrociate e cuscino sulle gambe, e tu ti metti con la testa sul cuscino. Giusto?»

È già in posizione. «Sì» rispondo mentre appoggio già la testa sul cuscino, a pancia sotto. «In quante lingue sai c-contare?»

«Oddio... fammi pensare...» dice, cominciando a farmi quelli che lei chiama "grattini". Mi piace questa parola, è simpatica. Penso che la adotterò. «Italiano e inglese di sicuro. E anche francese. Tedesco no, so dire solo ein, zwei, drei... Spagnolo, mmm... unos? dos? No... spagnolo no. Ah, sai che so contare fino a tre in russo? Ras, dva, tri!» Ride.

«Non si dice ras» la correggo. «Si dice adin.»

«Uuuhm... no, si dice Ras. Sono sicura, lo ripeteva continuamente Andrej quella sera, quando mi lanciava le palline: Ras, dva, tri!»

«Non è p-possibile! La mamma mi ha insegnato adin, dva, tri.»

Litighiamo un po', poi lei prende il cellulare. «Guarda, qui dice che abbiamo ragione tutti e due: si dice sia ras che adin... però quando si conta si dice ras, quindi ho ragione io.»

Questo errore mi turba. Possibile che la mamma si fosse sbagliata? Non è che ha capito male Anna? Devo chiedere a Ivan.

Comincia a contare, e conto insieme a lei, ma non riesco a togliermi dalla testa l'idea che la mamma abbia fatto un errore.

Dopo qualche minuto Anna si ferma, lasciandomi a pronunciare un "five" da solo. «Ti sento agitato, dice. Vuoi che ti faccio un massaggio? Un massaggio ai piedi, vuoi?»

«Ai p-piedi?»

«Sì, è molto rilassante!» Mi sposta delicatamente la testa e facendosi luce col cellulare mi scopre le gambe.

«Ti avviso che ho i piedi molto c-callosi» le dico.

Ride e comincia a massaggiarli energicamente. «Sembrano di cuoio!» Commenta.

«Hai idea di q-q-quanto li strapazzo? Comunque sono puliti.»

«Lo so. Mi piace molto che sei così pulito. Non è una cosa scontata. Sai che alle superiori stavo con uno che si cambiava le mutande una volta a settimana?»

Mi esce un verso di disgusto.

«Che schifo, eh? Era il più figo della scuola, ma gli puzzavano sempre le ascelle. Uno schifoso!»

«E p-p-perché ti ci sei messa, se puzzava?»

«Era figo. Era una conquista, una preda ambita. Un trofeo, capisci? Non pensare male di me, ho sempre avuto un po' questa smania di apparire, di farmi ammirare.»

«Io non potrei mai stare con una persona sporca» commento.

Anna sospira. «Ho visto anche di peggio. Almeno quel ragazzo era bello. Sono stata con uomini che puzzavano ed erano pure brutti. Vecchi, laidi, grassoni sudati con l'alito pesante.»

Faccio un'altro verso di disgusto. «T-t-t-ti prego smetti, mi viene da vomitare.» Non scherzo: quando ha menzionato il particolare dell'alito ho trattenuto un conato. «Ma p-p-perché l'hai fatto?»

Anna ci mette un po' a rispondere. Sento dal tocco distratto sui piedi che sta riflettendo. «Sempre per lo stesso motivo. Faccio sesso con uomini potenti per ottenere in cambio qualcosa. Favori. Regali. Contratti. Comparsate in tv...»

«Menomale che non d-devi più farlo» commento.

Mi sorride. «Grazie a te.»

Anna continua a massaggiarmi in silenzio. E mentre lo fa mi tornano in mente i numeri. Possibile che la mamma si fosse sbagliata? Forse non è stata colpa sua, forse gliel'hanno insegnato male. Oppure è Anna ad aver capito male e ha detto una sciocchezza. Vorrei chiederlo a Ivan, è l'unica persona che conosco che potrebbe darmi una risposta certa sulla questione, ma mi sembra fuori luogo scrivergli la sera prima del nostro incontro per una sciocchezza simile. E domani sarà ancora più fuori luogo.

Quindi dovrò aspettare.

Adin, dva, tri. Adin, dva, tri.

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Note note note

Questo capitolo è molto transitorio, me ne rendo conto. Ma mi serviva una "pausa" per introdurre il prossimo incontro. 

È ricominciata la stagione sulla terra ed è quasi passato un anno dall'inizio della storia. Quante cose sono successe! E quanti progressi!

Nota sul capitolo scorso: come avevo accennato, inizialmente alla cena c'era anche Daria e succedevano cose un po' diverse. Una differenza importante era che alla fine Anna e Andrej erano da soli in spiaggia e Michele origliava tutta la loro conversazione, nascosto dietro la siepe (Ivan non c'era proprio). Ho sistemato il capitolo inserendo Ivan e Michele, ma non l'ho fatto al meglio perché diversi vostri commenti mi hanno fatto notare che Michele sembra non essere presente, troppo escluso dal dialogo, e hanno notato anche un'eccessiva durezza di Andrej nel parlare di lui. Mi è stato molto utile per capire come sistemarlo ulteriormente: ho addolcito qualche frase di Andrej per farlo sembrare meno cafonazzo (ce n'era in particolare una in cui dava a Michele dello "stronzo infantile", ora gli dice "bambino viziato") e inserito qualche interazione in più con Michele (nulla di esagerato, qualche cenno della testa, una parola, o anche solo la semplice consapevolezza di non saper cosa dire). Grazie a tutti per avermi aiutato col work in progress :)

Per il saluto di quest'oggi, volevo evocare una lettrice:  Chiiara_stella ! Ho notato che viene sempre evocata da Allemarcopolo accanto alle note, quando si parla di stelline, perciò mi sono fatta l'idea che sia una specie di fatina generatrice di stelline: mi affido a te, Chiara Stella, invoglia i lettori a lasciarmi tante stelline

A venerdì, per un capitolo molto movimentato!

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