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50. Il mio sonnifero

Ho avuto la mia vendetta  su Molina. L'ho battuto. Cinque set. I primi quattro combattutissimi, nel quinto lui è crollato. Ha avuto problemi fisici, era evidente. Ma è Molina, e non si ritira da un match a meno che non stia morendo. Perciò il risultato finale è stato: 7-6 5-7 6-7 7-6 6-2. 

Sono in finale. La mia seconda finale Slam consecutiva. Ero il terzo favorito. Il secondo l'ho appena battuto e me ne manca uno.

Straussler gioca la sua semi domani, contro Sung-Ho Gwan, il ragazzo coreano che l'anno scorso ha vinto le next-gen finals. Ha fatto un gran torneo, sorprendendo tutti (anche me), ma non penso riuscirà ad avere la meglio su Straussler.

Straussler l'ho battuto agli Us Open. Posso farlo di nuovo. Gwan l'ho incontrato due volte in tour (ho vinto entrambi gli incontri) e diverse volte nel circuito junior, dove mi ha battuto qualche volta, ma solo perché ha due anni più di me. Conto di battere anche lui, dovesse essere il mio avversario.

Vincerò il mio primo Slam. Ne sono certo.

***

Non riesco a dormire.

Ieri sera, dopo Molina, ero distrutto e mi sono addormentato nell'istante in cui ho appoggiato la testa sul cuscino.

Stasera è diverso. Sono ancora un po' fiacco da ieri, ma ho fatto un allenamento leggero e non ho sonno. È mezz'ora che fisso il buio. Sono le dieci e mezza. Alle undici comincerò a preoccuparmi, ora sono solo un po' seccato.

Penso al match che mi aspetta domenica. Alla finale.

Ha vinto Straussler. Ovviamente, aggiungerei. Gwan aveva un mezzo infortunio a un piede, ma a prescindere da questo, Straussler l'avrebbe battuto comunque. È finita in tre set. Molto rapida. Di sicuro si è stancato molto meno di me, però io ho un giorno di riposo in più: domani è tutto dedicato alla finale femminile.

Penso alle strategie. Ne abbiamo già iniziato a discutere oggi, studiando qualche punto del match di Straussler contro Gwan e dei match precedenti. Non è stata una discussione piacevole perché papà e Lazlo hanno litigato. È dall'inizio del torneo che ho notato attrito tra di loro: papà continua a dire che Lazlo si è montato la testa, durante i mesi in cui è stato il mio unico allenatore. Secondo papà, adesso pensa di poter fare quello che gli pare. Dal canto suo, Lazlo proprio oggi ha rinfacciato a mio padre di volersi intromettere troppo. Sei stato un buon allenatore per lui, ma devi capire che ho più esperienza di te ad alti livelli.

Hanno continuato a discutere con toni sempre più accesi e alla fine mio padre ha minacciato di licenziarlo e Lazlo lo ha mandato a quel paese dicendogli che è un maniaco del controllo.

Tutto a discapito della mia seduta tecnica. 

Mio padre poi ha rimediato studiando un po' di materiale con me qui in camera. Ma io avrei voluto anche il parere di Lazlo. Non posso dirlo a papà, ma sono stato bene questi tre mesi da solo con Lazlo, Armando ed Ethan. Mi sembra di essere cresciuto tatticamente. Con papà mi sento sempre un po' costretto, frenato in schemi poco flessibili.

Ma non penso solo all'incontro. Penso anche a Ivan. Poco fa ho allungato un piede verso destra, soprapensiero, aspettandomi di trovare la sua gamba.

Ma la sua gamba non c'era.

La sua gamba probabilmente è nel letto di quel ragazzo. Quel Franzisco. Uno junior spagnolo insopportabile. Non lo dico per gelosia, non mi interessa con chi fa sesso Ivan. Lo dico perché è davvero insopportabile. È un mingherlino, giocatore mediocrissimo (ho visto qualche suo colpo su YouTube), con due labbra oscene. Oscene nel senso che sembrano uscite da un film porno: troppo carnose. Talmente gonfie da sembrare rifatte. E ha sempre un'espressione imbronciata che gliele fa sporgere ancora di più e sembra stia per mettersi a piangere. Lo detesto. Ma tanto non deve piacere a me, deve piacere a Ivan.

Ciò non toglie che lo detesto.

Uff. 

Provo a contare.

U-no. Du-e. Tre-e.

Mi alzo e prendo la carota. La abbraccio. Affondo il naso nel peluche e inspiro: non ha odore. Non so perché mi aspettavo di sentire erba spezzata, pane e mela cotta.

L'odore della mamma l'ho dimenticato. Non l'avevo mai associato a qualcosa, era l'odore della mamma, e basta. 

Dopo la sua morte, per anni ho ritrovato riverberi del suo odore in vari angoli della nostra casa: una vecchia coperta, un vestito rimasto per sbaglio in un armadio. Ogni volta l'odore era più lieve, ogni volta cercavo di inalarlo, farlo penetrare nei miei polmoni, e associarlo a qualcosa, per non dimenticarlo. Per non dimenticare mai. 

Ma non ci sono riuscito. E infine l'ho dimenticato.

Perché? Perché mi ha lasciato?

No. Non ci pensare. Non voglio pensarci.

O-one, two-o, thre-e...

***

Ieri sera mi sono addormentato dopo mezzanotte (l'ultima volta che ho guardato l'ora era da poco passata). Stasera sono appena le dieci, ma già so che non riuscirò a chiudere occhio.

Domani è il giorno della mia seconda finale Slam, ma sono nervoso forse anche più della prima volta.

Ho scritto a Ivan se mi poteva consigliare delle canzoni rilassanti, mi ha risposto che lui non ascolta musica noiosa. 

Dopo dieci minuti mi ha riscritto: prova quartetti d'archi. Non li trovi in mie playlist, fai ricerca generale.

Ho provato Vivaldi. Ma dopo dieci minuti tutto quello sviolinare mi stava dando sui nervi.

Alle dieci e mezza spunta sulla porta mio padre. «Fai un po' di meditazione» mi suggerisce.

Ci provo. Non sono mai stato bravo a meditare.

Alle undici sono più sveglio che mai. Mi alzo per andare in bagno, anche se non è che mi stia scappando. Faccio comunque un po' di pipì. Mi lavo mani e viso.

Alle undici e mezza ripenso a un gesto che ho visto oggi tra Ivan e quell'odioso sedicenne spagnolo con le labbra a salsiccia. Sono riservati in pubblico. Stavano parlando in uno dei corridoi che portano al garage, e a un certo punto Ivan gli ha scostato un ciuffo di capelli dalla fronte. 

Una sciocchezza. Immagino abbiano fatto ben di peggio. Sesso, sicuramente. Forse Franzisco ha praticato a Ivan una fellatio con le sue labbra ipertrofiche che in effetti mi sembrano molto adatte a praticare fellatio. Anche se io non le sopporterei, sul mio pene: mi danno l'impressione di essere gommose.

O forse è Ivan che sta praticando una fellatio a lui. Mentre il mio pene si sta inturgidendo, mi rendo conto di quanto sia stupido, infantile e inopportuno pensare al sesso orale la sera prima di una finale Slam.

Ivan forse ci sarebbe persino stato, se glielo avessi chiesto, durante una delle sei notti in cui ha dormito con me. 

Ma in quelle notti non ero eccitato. Perché adesso lo sono? Perché mi sto masturbando pensando alla bocca di Ivan sul mio pene?

La mia mano è asciutta, però. Mi sputo sulla mano e ricomincio. Sto facendo rumore? Forse è meglio se vado in bagno. 

Ci vado. Chiudo la porta a chiave, mi sputo di nuovo sulla mano e ricomincio. 

La sensazione è completamente diversa. Ricordo le due brevi fellatio di Anna: la bocca è molto più bagnata, è diversa nella forma e nel senso di avvolgenza.

Chissà se la bocca di Ivan sarebbe diversa. È un po' più piccola di quella di Anna. Chiudo gli occhi e immagino di toccarla. Sto per eiaculare. Dio, Ivan, vorrei finire nella tua bocca.

Adesso mi sento uno schifo. Vorrei sapere quanti tennisti si sono masturbati la notte prima di una finale Slam. Secondo me nessuno. Dov'è la mia furia agonistica? Che cosa sono, un ragazzino? No, accidenti! Sono un uomo. Un atleta! Un futuro numero uno!

Mi pulisco e pulisco quel po' di sperma che è finito sul lavandino. Mi lavo le mani. 

Esco e trovo mio padre sveglio. «Non riesci a dormire?»

Scuoto la testa.

«Ho sentito che ti sei masturbato. Non so se è stata una buona idea, adesso sarai ancora più agitato. Inoltre non sottovalutare il calo testosteronico... la smetti di fare il bambino? Togliti le mani dalle orecchie!»

«E tu non mi p-p-pa-parlare di queste c-cose!» Sbotto.

Dio che vergogna, mi ha sentito!

«Non stavo origliando, se vuoi saperlo. Non è colpa mia se hai fatto tutto quel casino! E comunque sono cose naturali, non ti devi vergognare.»

«Sono cose private!» Sto gridando.

Papà stringe le mascelle. Sembra riflettere sulle mie parole. Non dice nulla, però. Abbassa lo sguardo.

Mi lascio cadere seduto sul letto con un sospiro. Vorrei sprofondarci dentro.

«Va bene» dice papà. «Non volevo farlo ma penso sia l'unica soluzione. Chiamo Ivan.»

Non faccio in tempo a dirgli di no, ha già il telefono all'orecchio. Il mio telefono. Mi alzo per cercare di fermarlo, ma ecco che parla. «No, non sono Misha» dice. «Sono Nicolò, il padre di Michele... no, non gli è successo niente, è qui con me. Ti ho chiamato io perché sono sicuro che lui non avrebbe mai voluto farlo...» Annuisce, ascolta. «Ivan, tu sai bene che non mi stai molto simpatico...»

Si pronuncia Ivàn, non Ìvan, penso.

«...nonostante questo, mi dispiace per quello che ti ha fatto penare quel rincoglionito di mio figlio... sai benissimo di cosa sto parlando.»

Ha sentito? Ha sentito quello che Ivan mi ha detto mercoledì sera?

«...Ti devo chiedere di venire qui, Michele non riesce a dormire.»

«Non serve!» grido, per farmi udire da Ivan, ma papà mi fa segno di stare zitto. «Non l'ho mai visto tanto tranquillo e felice come le sere che ha dormito con te» gli dice.

«Passamelo!»

«Michele mi ha detto che eri riuscito a farlo addormentare anche la notte prima della finale degli US Open.»

«Passamelo!» ripeto.

«Grazie. Va bene, eccolo.»

Papà mi passa il telefono. «Tra dieci minuti arrivo!» dice Ivan.

«Non serve che vieni, ha d-deciso tutto mio papà. Io non volevo chiamarti.»

«Sei arrabbiato con me?»

«No!»

«E allora vengo.»

«Non sei con Franzisco?»

«Franzisco è tornato in Spagna ieri, hanno eliminato da torneo junior. Ma guarda che vengo anche se c'era lui.»

Quindi hanno davvero passato un paio di notti insieme...

«E non è geloso?»

Ivan ride. «E perché deve essere geloso?» 

Già. Infatti. Perché? E perché l'ho detto davanti a mio padre?

«Franzisco non so neanche se lo vedo più...» aggiunge Ivan in tono un po' mesto. «Ho conosciuto un po' meglio, è noioso... mi ha detto che vuole che mi faccio biondo! Secondo me non gli piace che ho capelli blu.»

Neanche a me, se è per questo. I capelli colorati attirano troppo l'attenzione. Ma non glielo dico.

«N-non serve che vieni, davvero» gli dico.

«Shush! Sono già fuori di camera mia. Arrivo!»

E chiude la chiamata.

Sospiro.

È qui dopo cinque minuti. Ha la chitarra con sé.

«Ok, ragazzi. Vi lascio da soli» dice papà.

«D-dove vai a dormire?» gli chiedo.

«E dove vuoi che vado? Da Raf.»

«Raf ha una singola con un letto largo...» osserva Ivan grattandosi il mento.

Papà lo guarda per qualche secondo con un'espressione oltraggiata. «Ragazzino impertinente! È ovvio che dormo per terra!»

Ivan si mette a ridere.

«Che stronzo» borbotta papà chiudendo la porta mentre esce.

Ivan alza le mani. «Tuo papa non piace scherzi... cosa vuol dire impernitente?»

«Impertinente» lo correggo. «Significa... mmm... t-t-tipo sfacciato. Che non hai rispetto... no, forse irrispettoso è un po' peggio. In inglese d-d-direi cheeky!»

«Yes! I'm a cheeky bastard!» Sembra soddisfatto della definizione.

«Non dovevi venire.»

«Sì che dovevo.» Appoggia la chitarra al muro. «Questa se vuoi dopo ti canto ninna nanna.»

Sbuffo. «Ecco p-perché non volevo che venissi. Mio padre mi t-t-tratta come un bambino. E adesso anche tu!»

Ho alzato un po' la voce. Non avrei voluto farlo.

Ivan mi guarda senza dire niente.

«Anche l'altra sera, mmmmi hai detto che ci abbracciavamo c-c-come due bambini. Perché? Le p-p-persone adulte non si abbracciano?»

«Non volevo dire quello...» Abbassa lo sguardo.

«Le p-persone adulte devono per forza fare sesso? Tutte? Sempre? Non esiste altro t-t-tipo di rapporto? Io non sono interessato ai rap-p-p-porti sessuali. Cioè, a volte mi capita di sì, ma di solito no.»

Perché ho dovuto aggiungere l'ultima frase?

«Sai cosa penso?» Mi dice infine.

«Cosa?»

«Non voglio essere uno psicologista, però... tu sei sempre... sempre stato solo, da?»

«Non ho mai avuto uuuna relazione sentimentale, se è q-q-questo che intendi. Ma non sono solo: ho mio p-p-padre, mia zia...»

«Ma non hai amici.»

La sua osservazione mi lascia per un attimo spiazzato. «E q-q-questo cosa significa?»

«Che non sai... non... non ti offende se ti dico bambino, ma sei come bambino, cioè, impara da zero a... a comunicare con le persone, a capire e fare che gli altri capisce te.»

«Sì, be'... lo so. Cioè, mmmmi rendo c-c-conto di non saper interagire coi miei c-co-coetanei perché non ci sono abituato.»

Si batte un pugno sul palmo della mano. «Ecco!»

«Però non voglio una nnnninna nanna. Non sono bambino fino a q-questo punto... E mio padre non avrebbe d-d-dovuto farti venire. Non sei il mio sonnifero!»

«Vuoi che ti leggo storia? Come a US Open?»

Il cuore mi fa una capriola, appena me lo propone, ma cerco subito di smorzare il mio entusiasmo. «Anche questa è una cosa da bambini.»

«Non è vero! Tutti ama le belle storie! E anche a me piace... piacerebbe che qualcuno mi legge una storia. È sempre bello ascoltare storie, da bambino, da grande, da vecchio...»

Sorrido.

«E ti ho visto che faccia hai fatto quando ti ho detto!» Mi indica. «Sembrava che avevi appena vinto Aussie Open! Se vuoi, non ti vergognare di dirmi.»

Sospiro. «Non mi vergogno. P-p-però... non mi sembra g-g-giusto! Perché fai tutte queste cose? Ti pago? D-d-dovrei pagarti! Mi stai facendo una specie di t-t-trattamento medico psicologico!»

«Sono tuo amico, no?»

Il mio cuore accelera, quando lo dice. Mi siedo sul materasso.

«Io p-p-però non lo sono per te. Perché non ti ho mai letto niente. E non t-t-ti ho mai aiutato a dormire. E non ti ho mai c-c-cantato una canzone.»

Ivan ride. «Sai... io ho tanti amici. Cioè. No. Ho pochi amici veri, tante persone che conosco e vado d'accordo. Nessuno ha mai letto storie a me e nessuno ha aiutato mai me a dormire. Però li chiamo amici lo stesso.»

«Però scommetto c-c-che neanche tu hai mai letto loro una storia, o aiutato loro a d-d-dormire...»

«No. Ma quello che voglio dire... si può fare amici in tanti modi diversi. A me piace che con te è un po' strano. Mi piace. Sul serio mi piace.» Si siede accanto a me. «E facciamo così: prossima volta leggi tu storia a me.»

Mi indico il petto con le mani. «Io? C-c-con la mia balbettanza?»

«Sì! Leggiamo un libro insieme, ti va? Scegliamo uno che ci piace e leggiamo un po' a testa. Un po' io, un po' tu... Sei andato avanti con Metrò 2033?»

«No... però mi stava p-piacendo un sacco!»

«Allora stasera leggo da dove eri arrivato... Vai! Sotto coperte!»

Mi infilo sotto il lenzuolo (non la coperta) e questa familiare sensazione di attesa mi riempie di una gioia così profonda che non so se potrei mai trovare le parole adatte per ringraziarlo, per esprimere la gratitudine immensa che provo per lui in questo momento. Vorrei che i baci non mi facessero così schifo, perché vorrei dargli un bacio.

«Sai... mi piace se questa diventa la nostra routine. Che ogni volta che hai finale Slam, la notte prima io ti leggo una storia per farti dormire.»

Piacerebbe anche a me. Ma non lo dico.

«E poi» aggiunge, «quando faccio finale Slam io, però, tu mi leggi storia!»

«T-t-tu non farai mai una finale Slam. A meno che nnnnon si infortunino tutti i tuoi avversari uuuno di fila all'altro.»

Ride. «Vedrai, vedrai... Comincio?»

Annuisco.

Si schiarisce la voce. «Aspetta. Prima di cominciare posso chiederti un piacere?»

«C-chiedi e basta.»

«Posso dormire qui, dopo che ti addormenti?»

«E... q-q-quella storia c-c-che stai... c-c-cioè... che...»

«Che sto con cazzo duro?»

Perché deve essere così volgare?

«No, non ti preoccupa!» fa spallucce. «Sto a posto, giorni scorsi ho divertito molto, eheh! E poi ho sonno.»

«Ok. Allora va bene.»

«Vengo subito sotto, allora, così non ti do fastidio se entro in letto.»

Si sveste e rimane in maglietta e boxer (come sempre) e viene sotto. Poi cerca la storia sul cellulare. «Pronto?»

Mi giro verso di lui. «Ti dà fastidio se ti tocco con la gamba? C-c-così?» Allungo una gamba verso le sue.

«No.»

«Giura... giura che non...»

«Che non mi viene cazzo duro? No! Vuoi toccare cazzo e controlli?»

Tiro indietro la gamba di scatto e lui scoppia a ridere. «Scherzo! Devi capire quando scherzo! Rimetti la gamba, su!»

Non so se fidarmi, ma la rimetto. Il dorso del mio piede contro il suo polpaccio.

«Allora... ricominciamo la storia di Artyom e Sasha e company... ecco!»

Ivan comincia a leggere e io chiudo gli occhi.

Domani gioco la mia seconda finale Slam. 

«Sei bello quando sorridi.»

Lo sta dicendo a me? Non lo so. Mi sto già addormentando.

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Note note note

Ma che maleducato Michele che si addormenta appena Vanja comincia a leggere! Uff...

E quindi, finale number two. Come finirà secondo voi? Lo saprete venerdì!

Prima di salutarvi, volevo scrivere due righe su un commento che diversi lettori hanno fatto alla fine dello scorso capitolo: "se Vanja amasse davvero Michele non l'avrebbe mai lasciato, avrebbe aspettato". È un punto di vista che ammiro molto, perché è puro e idealista. Una persona che pensa in questo modo vede l'amore come qualcosa di assoluto e indissolubile. Se non ci fosse anche in me una parte di questo genere di idealismo, non avrei mai scritto l'Ultimo Evocatore e messo al centro della storia il motto Omnia Vincit Amor. Ma c'è l'ideale, e c'è la realtà. Michele è una persona difficile, che ha immensi problemi relazionali e non sa (ancora?) vivere la propria emotività e la propria sessualità. Da lettori ancora non potete sapere se Vanja ama Michele o se semplicemente gli piace ed è attratto da lui. A prescindere da ciò, comunque, dal suo punto di vista Michele potrebbe anche non uscire mai da questo stato emotivo in cui si trova. Vanja si rende conto che se dovesse intraprendere una relazione sentimentale con Michele, adesso, sarebbe una relazione che gli causerebbe solo sofferenza, perché Michele è un immaturo. Perciò non c'è da biasimarlo se cerca di dimenticarlo con un'altra storia (che, come abbiamo visto, per ora è stata solo un'avventura). Il comportamento biasimabile Vanja ce l'ha, semmai, nei confronti del terzo incomodo, che si ritrova a essere un ripiego. E sì, da questo punto di vista io Vanja lo biasimo parecchio: ma come ben sapete non mi piacciono i personaggi perfetti.

Detto ciò, oggi vi faccio la solita richiesta in modo più semplice del solito, ma in russo, per restare a tema (grazie Juiceissweet per la traduzione): Зажги звёздочку - Zažgi zvëzdočku, che significa: accendi una stellina (o accendi stellina, come probabilmente tradurrebbe Vanja).

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