48. играть
«Oddio, sei tu che gli hai appena scritto?»
Distolgo lo sguardo dallo schermo per guardare la Karneyenka e mi accorgo che sto sorridendo. «Eh?» mi esce.
«Gli hai appena scritto?» Ripete. «È per quello che ha sorriso?»
Si intromette la Peeters: «Sei adorabile» (o siete adorabili, non so, l'inglese non distingue tra singolare e plurale con you).
«Cosa gli hai scritto?» Insiste la Karneyenka rubandomi il cellulare di mano.
«Ehi!» La afferro per le braccia per farmelo ridare, ma la Peeters comincia a darmi degli schiaffetti sulle mani rimproverandomi: «Le ladies non si toccano in questo modo!»
La Karneyenka fa schioccare la lingua: «Tch... ladies!»
Ma il rimprovero della Peeters funziona: mi fa tentennare. La Karneyenka si libera e si rotola sul divanetto, addosso alla Peeters. «Qual è il codice?» Chiede.
Per fortuna lo schermo si era bloccato.
«Huh! Messaggio da... Rompi? Chi è Rompi?»
Non ho mai cambiato il nome di Ivan in rubrica. Per fortuna ho tolto le anteprime dei messaggi dalla schermata di blocco, quindi vedono solo il destinatario.
«È un qualche tipo di adorabile soprannome?» dice Nate Kotzias prendendo in consegna il mio cellulare.
Mi alzo dal divano, implorando Kotzias di ridarmi il telefono, ma lui e i suoi scagnozzi cominciano a lanciarselo tra di loro, finché non interviene mio padre, che afferra Nate per un braccio (il telefono era appena tornato a lui) in modo brutale, sbraitando: «Smettila di prendere in giro mio figlio!»
Il suo sguardo è feroce, e ha alzato la voce, cosa che non fa quasi mai. Kotzias non reagisce in modo aggressivo, sembra quasi spaventato. Gli ridà il telefono. «Relax, man...»
Papà lo riprende e viene da me: «Ti basta come dose di prese per il culo quotidiane? Possiamo andare?» Mi ridà il telefono con un gesto spiccio e lo seguo fuori dalla stanza, lungo i corridoi che portano all'esterno.
Scuote la testa. «Possibile che non capisci? Quelli vogliono solo prenderti per il culo... sei un'attrazione, per loro!»
«St-t-tavano solo sssscherzando» ribatto.
«Ti stavano prendendo in giro» ribatte lui. «Non stavano scherzando insieme a te, stavano scherzando a tue spese!» Stringe le labbra. «Sono un branco di maschi e femmine alfa, e non vedono l'ora di poter pisciare in testa allo sfigato di turno.»
Restiamo in silenzio qualche istante, arriviamo a una delle uscite. «Nooooon sono sfigato» dico. «Sono un f-f-finalista Slam. Sono il numero q-q-quattro del mondo.»
Papà mi guarda negli occhi. «No. In campo non sei sfigato. In campo sei un numero uno, un dio, un eroe. Ma fuori dal campo loro ti vedono solo come un ragazzino balbuziente immaturo.»
Non so cosa ribattere. L'auto ci aspetta già, probabilmente papà ha allertato l'autista quando il match stava finendo. Saliamo.
Prendo il cellulare e leggo finalmente ciò che mi ha risposto Ivan.
Mi piacierebbe passare la note con te ❤️
Sorrido.
Ma mio padre sa come smorzare il mio entusiasmo. «E non ti sognare che ti lascio la camera anche stanotte. Se il tuo fidanzatino vuole venire, stasera ci sono anch'io.»
***
Ho cercato di convincere mio padre a lasciarmi andare da Ivan (lui sta in singola) ma non me l'ha concesso. «Hai scopato l'altro ieri,» ne è ancora convinto, «ti sei sfogato, adesso concentrati sul torneo.»
Ho spiegato a Ivan la situazione, che ci potevamo vedere solo in camera mia, con mio padre presente nell'altra stanza comunicante, e ha detto che non importava e sarebbe venuto ugualmente.
Sono quasi le dieci quando bussa alla porta.
Apro. Ha gli occhi arrossati.
«Come stai?» Gli chiedo facendolo entrare.
«Bene» dice, «ho cenato con Andriusha e Raf... Raf era più triste di me dopo match e per fare felice lui mi sono fatto felice io, ahah! Ah, e poi ho incontrato anche Glush e Arquette e abbiamo parlato un po', e anche loro mi hanno dato un po' di felicità.»
Ok. Va bene Andrej e Raffaele, ma l'informazione su Glushakov e Albin-Arquette mi causa una fitta di fastidio. Non so perché. Volevo essere solo io a consolarlo!
Del resto, lui è un tipo espansivo e ha tanti amici, ed è normale che...
«Oh Misha, non è vero, sto merda!»
Scoppia a piangere davanti a me e mi si butta tra le braccia. Lo stringo e il mio cuore trabocca di felicità. Oggi va bene essere più alti. Metto una mano dietro la sua nuca e premo dolcemente la sua fronte sulla mia spalla.
E mentre lo faccio, capisco quanto sono schifosamente meschino.
Non sento empatia col suo dolore. Sono solo felice del fatto che lo sto consolando.
Sono uno schifoso meschino.
«Che cosa hai detto su Raffaele?» È mio padre che ci importuna. Ivan si allontana un po' (ma continua a tenermi abbracciato) e guarda verso di lui. Fa un piccolo mugolio.
«Hai detto che era triste? E l'hai lasciato da solo?» Mio padre sembra molto arrabbiato.
Ivan tira su col naso. «Ma no... all'inizio, sai,» Ivan si allontana da me, e sto odiando mio padre, in questo momento, «all'inizio era triste, sai, diceva... ho fallito, ti dovevo preparare meglio... io però ho detto lui che era stato bravissimo e avevo sbagliato solo io, e poi abbiamo un po' scherzato e giocato e alla fine era contento. Ho chiesto: sicuro tutto ok Rafa? E lui dice: tutto ok!»
Mio padre scuote la testa. «Sei veramente un coglione. Ma non lo conosci?»
«Uh... well...»
«Sei un coglione. Devo fare sempre tutto io...»
E così, senza aggiungere altro, con Ivan che chiede inascoltato spiegazioni, papà prende la tessera apriporta e se ne esce dalla stanza.
Anzi no, rientra dopo pochi secondi, col cellulare all'orecchio. «Non vi sognate che vi lascio da soli. Torno tra poco... Pronto Raf? Dove sei?» Ed esce di nuovo, parlando al telefono.
«Merda... ho fatto disastro?» Ivan mi guarda preoccupato, mentre torniamo in camera. «Dovevo stare con Raf? Ma mi pareva che era tutto a posto. Lui... lui rideva, quando abbiamo andato in camera.»
Faccio una smorfia. «Non lo so... non c-c-conosco Raffaele.»
Ivan sospira e si lascia cadere sul letto. Scuote la testa, sconsolato. «Tutta colpa che Raf non parla mai chiaro quando chiedi come stai! Come stai? Stai male? Se stai male dici male, da? Niet! Lui sempre tutto bene!» Sbuffa sonoramente. «E lui dice che noi russi è sempre troppo rompipalle quando chiedi come stai e inizia a spiegare cosa va e cosa non va... Se chiedi come stai io dico come sto sincero, da? Se non vuoi sapere come sto non chiedi! Uff... Adesso sono preoccupato per Raf... Aspetta, lo chiamo.»
Lo chiama. Parlano un po' in italiano e un po' in russo. Da ciò che capisco gli chiede come sta, e Raffaele mi sembra che lo rassicuri. Durante la telefonata mio padre arriva da lui. E alla fine Ivan ha un'aria tranquilla, quando lo saluta.
«Non mi serve l'infermiera, ha detto.» Ride. Poi si morde il labbro. Sospira. È già triste. Siede tutto ingobbito. «Oh, Misha, ma tu stai così ogni volta che perdi?»
Alzo le spalle. Sono in piedi davanti a lui. «Non lo so... com'è che ti senti? D-d-descrivimelo. Anche in inglese, se in italiano non trovi le parole giuste.»
Aggrotta le sopracciglia. «No» dice, «adesso le trovo». Ci pensa su un attimo. «Mi ricordo quella volta che mi scrivi... che mi hai scritto che quando perdi hai buco in pancia. Ecco, io uguale oggi: sento buco in pancia. Ripenso a cosa ho sbagliato e buco in pancia si allarga. Penso potevo fare così e mi sento stupido e buco in pancia si allarga ancora di più. E sono arrabbiato. Con me e con Daniil. Odio Daniil!»
«Ah già... ma cosa t-ti ha detto d-durante il match che ti ha fatto arrabbiare così t-t-tanto?»
Scuote la testa. «Ma niente... era incazzato che avevo fatto underarm, e mi dice a rete cazzata su rispetto, io ero nervoso e ho detto brutte parole per rispondere... brutte, ero... avevo buco in pancia, e buco in pancia non mi fa pensare e mi fa diventare cattivo e overreact. Poi ho chiesto scusa in spogliatoio... ma ancora lo odio, un po', sai? Se penso di lui sto male. È odio brutto, che non è colpa sua... Lo odio che è passato di turno lui invece che io. È odio tipo... tipo invidia. Mi... come si dice...» prende il cellulare, cerca sul dizionario. «Consumare? Ha senso? Odio che cons... consumo?»
«Consuma» lo correggo. «Sì, ha senso. Ed è esattamente c-c-come mi sento io ogni volta che p-p-perdo.»
E finalmente la sento, l'empatia con lui. Sto male insieme a lui.
«Ogni volta?» Sembra incredulo.
Mi siedo accanto a lui. «A volte un po' meno, a volte di più, cioè... Diciamo così: sto sempre male, e certe volte sto malissimo. Non ci sono volte che sto poco male.»
Con la coda dell'occhio lo vedo scuotere la testa (sto guardando in basso, davanti a me). «Ma come fai? Come fai a vivere così?» mi chiede.
Alzo di nuovo le spalle. Non so cosa rispondere.
«E quando passa?»
«Al prossimo match.»
Fa un gemito. «No. Non voglio stare così. Se devo stare così non gioco più a tennis.»
«No!» Alzo la testa e lo prendo per una spalla. «Cosa dici? D-d-devi stringere i denti, migliorare e c-c-cercare di non perdere. È questa l'unica soluzione p-possibile!»
«Io gioco a tennis perché mi diverto. Mi piace. Sono felice in campo. Oggi...» Il suo sguardo si perde. «Oggi era differente. Ho cominciato che ero contento come sempre, ma più andavo avanti, più c'era rabbia e... tipo una specie di fame. Volevo giocare contro te, e più andava avanti più sentivo questa... questa fame, è la parola giusta, fame! Fame che mi fa stare sempre più male e sempre meno divertente e sempre più voglia di vincere. Io non voglio giocare così! Io... si chiama gioco! Giocare a tennis. Play tennis. Come play musica. Play guitar. Play è verbo bello, di felicità! In russo è uguale, si dice Igrat, sia per tennis che per musica. Igrat! Giocare! Giocare è cosa che fa stare bene, non cosa che fa stare male!»
Dice le ultime frasi in tono rabbioso. Vorrei fare qualcosa per farlo stare meglio. Vorrei tanto, ma non saprei cosa, perché quando io sto come lui non c'è niente che mi faccia stare meglio.
Niente.
«Domani gioco doppio con Dudnik... voglio vedere come sto. Se gioco felice o sento ancora questa rabbia. Questa fame. Forse no, perché non ho obiettivo.»
«Non vuoi vincere?»
«Sì, certo» risponde. «Ma non... non desperato come oggi. Voglio vincere come sempre, che se non vinco è uguale ok, perché vincerò prossima volta.»
«Se p-prendi così le competizioni non vincerai mai niente. Niente di importante, per lo meno. Perché t-t-troverai sempre dall'altra parte della rete un avversario più affamato di te che ti vorrà sbranare, e ci riuscirà.»
Ivan annuisce. «Mi piace questa metaphor. Come si dice in italiano?»
«Metafora.»
«Metafòra.»
«No, metàfora. Accento sulla A.»
Annuisce di nuovo.
«Ho semplicemente ssseguito la metafora sulla fame che avevi f-fatto tu» aggiungo.
Continua ad annuire. «Ho deciso» dice. «Ho deciso che voglio provare di diventare numero uno giocando felice.»
Senza volerlo scoppio a ridere.
«Perché ridi?»
«T-tu non diventerai mai numero uno.»
«Perché no?»
Rido ancora. «Lo dici c-come... come se fosse facile! Come se un c-c-cretino q-q-qualunque si possa svegliare una mattina e d-deciderlo. Ci vogliono sudore e sacrificio e anni e anni di d-d-dedizione assoluta. Tu non hai nessuna di queste cose. E hai uno stile t-t-troppo fuori dal normale e troppi difetti irrisolvibili. La p-prima volta che ti ho visto pensavo non saresti mai potuto arrivare neanche in top 100. Ora ci sei arrivato, e mi sono ricreduto. Se ti impegni, se ti d-d-d-dedichi totalmente, testa e corpo al tennis, puoi entrare in top 50. Forse anche top 40. Non di più.»
Ivan mi fissa in silenzio per diversi secondi, respirando profondamente. «Wow» dice. «Un anno fa pensavi no top 100. Oggi pensi top 50. Tra un anno pensi top 10!»
Sembra così entusiasta. Io scuoto la testa, sorridendo. «Non lo penserò mai.»
«Diventerò numero uno, ti giuro!»
Rido. «Sei peggio di un bambino.»
«Non sono un bambino, so che posso diventare numero uno. E mi diverto, intanto. Posso vincere Slam e...»
«Se d-d-diventi numero uno... anzi no, se vinci anche solo uno Slam mi tingo i capelli azzurri, come i tuoi.»
Ivan spalanca bocca e occhi! «Mishaaaaa! Tu sei genio!» Mi prende per le spalle. «Genio, genio genio! Lo sai che mi hai appena dato motivazione super per vincere Slam? Adesso voglio vincere Slam e diventare numero uno per vederti goluboj.»
Rido. «Ti sembra una buona motivazione?»
«È una buonissimissima motivazione!»
«Scusa... ora che ci penso, goluboj non significa g-gay?»
Fa un sorrisetto e alza un sopracciglio. «Sì, anche!»
«Ok...» dico, «ma se io divento g-goluboj, tu devi farmi vedere i tuoi capelli al naturale.»
«Mio colore topo?»
«Tuo colore weimaraner!»
«Ma così mi muori voglia!»
«È esattamente il mio scopo.»
«Stronzo!» Lo dice ridendo, quindi non mi offendo. Anzi, mi diverte, perché so di esserlo un po', in questo momento.
«Lo dico p-p-perché devi trovare la motivazione dentro di te.»
Ivan sorride. «Pensi al mio bene, quindi.»
Penso al suo bene? Sì, forse sì, anche se in realtà in questo momento sto scherzando, su questo argomento. Lui non diventerà mai numero uno.
«Posso dormire con te?» Mi chiede. Non sequitur.
Annuisco.
«Sono stanco morto, sai?» Aggiunge. «Dopo la partita... mi sono addormentato senza sapere, su letto di fisio. Mi fa male tutto, tutto, e domani mi fa ancora più male, lo so già.»
«Hai fatto un b-bel cooldown per ridurre l'acido lattico?»
Annuisce. «Sì, crioterapia, cooldown... Dimitri mi insegna bene» dice. Si sta già togliendo i pantaloni della tuta. Ora anche la felpa. Lo faccio anch'io, e con grande naturalezza ci infiliamo sotto le lenzuola. Dormo sempre con l'aria condizionata a una temperatura piuttosto bassa, per conciliare meglio il sonno, cosa che ha causato grandi lamentele da parte di Ivan, la prima sera qui. Io l'ho preso in giro dicendogli che pensavo i russi sopportassero bene il freddo. «Non in casa» mi ha risposto seccamente l'altra sera.
Poi però non si è più lamentato, mentre stavamo abbracciati, perché era confortevole e non faceva troppo caldo.
Ora siamo stesi uno accanto all'altro e non ci abbracciamo.
«Sai che ho d-d-dormito abbracciando la carota, ieri notte?»
«Mh? Uh? Oh... mi ero addormentato, scusa, cosa hai detto?»
«Dormivi già? Non era passato neanche un minuto!»
«Scusa, stanco morto.»
Forse è meglio che non abbia sentito. Era una frase imbarazzante.
«Cosa hai detto?» Ripete. Insiste.
«Posso abbracciarti?» Gli chiedo. E di nuovo, come l'altra sera, mi si ribalta lo stomaco e mi si mozza il fiato. Non capisco la natura di questa improvvisa paura.
«Sì! Fammi cucchiaio» dice.
Cucchiaio? Cosa significa? È un'espressione russa mal tradotta?
Si gira su un fianco e mi dà le spalle. «Vieni» dice.
Mi avvicino e lo cingo da dietro. Lui passa il braccio sopra al mio.
«Vieni più vicino» sussurra.
Mi stringo di più a lui, incastro le ginocchia dietro alle sue, pelle contro pelle, la fronte contro la sua nuca, il naso sul collo, dove la spina dorsale si infila nel cranio. Inspiro.
E sento il suo odore nelle narici.
Mi fa venire in mente l'odore di Sara, terra bagnata e biscotto. Quello di Ivan è simile e diverso. Meno pungente, più dolce. C'è del verde, dentro, tipo erba stropicciata, e pane caldo appena sfornato, e mela cotta. Per un attimo, per un istante fugace vorrei morderlo. Un istante che passa subito.
«È bello fare little spoon» dice. «Di solito faccio sempre big spoon.»
Non capisco cosa sta dicendo. Ho sonno anch'io.
***
Papà torna in camera che è mattina presto. Ivan non si sveglia, io sì, appena. Ho un braccio addormentato. Sto ancora abbracciando Ivan come ieri sera. Appare ai piedi del letto, papà, mi guarda un attimo. Ci guardiamo, mentre cingo Ivan, a letto. Non ho la forza di spostarmi, di far finta. Non riesco a decifrare l'espressione di mio padre. Seria. Forse un po' triste.
Sparisce in corridoio senza dire nulla, camminando piano.
Io mi giro a pancia in su, massaggiandomi il braccio che era rimasto schiacciato per parecchie ore.
Anche Ivan si gira, lui a pancia sotto. Mugugna piano e a tentoni mi cerca, appoggia il braccio sul mio petto. Io gli prendo la mano. E sento che sto sprofondando di nuovo nel sonno.
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Note note note ♫
Sta per arrivare l'estate ed è tempo di vacanze. Magari leggendo questa storia vi è venuta voglia di visitare la Russia? Be', se state meditando di farlo, per favore, non fatelo. Per lo meno non in questo periodo. Discutendo con la beta Juiceissweet , che la situazione in Russia la conosce molto bene, abbiamo pensato che fosse il caso di mettervi in guardia dell'atmosfera politica sempre più repressiva, soprattutto nei confronti delle persone LGBT: la Russia purtroppo non è un paese di tanti Vanja (cit. la beta). Ultimamente, poi, si aggiunge un inquietante clima da Guerra Fredda tra diverse repubbliche dell'ex blocco sovietico (avete sentito dell'aereo dirottato a Minsk per arrestare un nemico politico di Lukashenko?) e tra l'Europa e queste nazioni. Non è un periodo sereno. Se volete vedere Mosca o San Pietroburgo meglio un bel video su YouTube!
Fatta questa doverosa premessa, veniamo al capitolo! Il titolo sarebbe dovuto essere il sottotitolo del libro. Esattamente come l'inglese "play" anche il verbo russo "играть" (Igrat) significa sia giocare che suonare o performare. Non è bello? È la rappresentazione perfetta della poetica del tennis di Vanja :)
Ci rileggiamo lunedì, e vi saluto con un anagramma facilitato (in grassetto le lettere della parola più importante). La frase è totalmente senza senso, lo so (non sono mai stata molto brava con gli anagrammi, e per giunta ho dedicato poco tempo a prepararlo):
Saltami nel dente inclinato!
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