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42. La morte della bellezza

«Vi sembra l'ora di bussare a una camera d'hotel?» dice acido papà. Però si scansa per farli entrare.

«Scusa Misha, ti ho chiamato e ti ho scritto cento messaggi per sapere se eri sveglio... ma non leggi da oggi pomeriggio!» si giustifica Ivan. «Come stai?»

Gli rispondo facendo ondeggiare la mano.

«Ero quasi sicuro che fossi sveglio» dice Raffaele rivolgendosi a me. «So che hai avuto da fare fino poco fa... oh, ma stavate cenando?»

«Sta ancora cenando...» Papà chiude la porta.

Nel frattempo Ivan si mette a esaminare il piccolo tavolo imbandito, mentre con una mano dà delle carezze distratte alla testa di Sara, che gli ronza intorno scodinzolando. «Mmm... sempre cibo ospedale, tu» dice sollevando il coperchio sotto il quale mi aspetta il petto di pollo ai ferri che mangerò per secondo. Sara si lecca i baffi. «Pensavo che era il dolce...» aggiunge Ivan in tono deluso.

«Vanja, non essere invadente» lo ammonisce Raffaele, leggendomi il pensiero: avrei voluto dirlo io.

«Possiamo tagliare corto, per favore? Cosa volevi dire a Michele di tanto importante?» Papà incalza Raffaele incrociando le braccia.

Raffaele risponde a mio padre con una smorfia seccata, poi guarda me. «Volevo ringraziarti. Di persona.»

Quindi papà aveva già deciso. Lo aveva già detto a Raffaele.

Io non so cosa dire. Mi mette in imbarazzo che sia venuto qui solo per questo.

«Puzzi d'alcol» dice papà, annusando l'aria. «Hai bevuto? Hai fatto festa prima dell'astinenza che ti aspetta tra un paio di giorni?» 

Raffaele si gira stizzito verso mio padre. «Sai benissimo che è pericoloso smettere di punto in bianco. Non preoccuparti. Sono sobrio a sufficienza. Sono riuscito a controllarmi.»

Ivan si batte il petto. «Se non c'ero io, col cavolo...» Ride.

«Michele, ricomincia a mangiare» mi ordina papà.

Mi siedo al tavolo e prendo la forchetta. Ma non metto in bocca niente.

«Dico davvero, Michele. So che lo fai per Vanja, e non per me. Ma grazie. Non credo di meritarmi una cosa del genere» mi dice Raffaele.

«No che non te lo meriti...»
«N-non lo faccio per Vanja.»

Io e papà parliamo uno sopra l'altro, e ne sono felice perché, influenzato da Raffaele, ho chiamato Ivan con quel nomignolo orrendo. Spero non mi abbia sentito. «Per Ivan. Non lo f-fa-faccio per lui.»

«E allora perché lo fai, se posso chiedertelo?» Raffaele guarda mio padre. «L'hai convinto tu?»

Mio padre si indica facendo un'espressione sorpresa. «Iiiio?» Calca talmente tanto la parola che quasi non mi sembra lui. Non si esprime in modo così enfatico, di solito. «È Michele che ha convinto me! Io ero contrario.»

«E comunque devo ringraziare anche te» gli dice Raffaele. «Sergej e Irina mi hanno detto che vieni a Mosca per seguire la...»

«Non ti montare la testa e non pensare di esserti riconquistato la mia amicizia» lo interrompe papà. «Lo faccio solo perché non voglio che questi centomila euro vadano sprecati.»

Raffaele annuisce. «Non lo pensavo. Non mi aspetto che mi perdoni tanto facilmente, dopo che ho fatto il vigliacco e sono sparito senza dire niente a nessuno...»

«Non voglio parlare di quella bambinata, adesso. Hai detto quello che volevi dire, ora potete andare.» Si rivolge a Ivan con uno sguardo sprezzante. «A meno che non volessi dire qualcosa di fondamentale anche tu...»

Ivan alza le mani. «Io sono venuto per salutare Misha e per riprendere la ghitarra.»

«Bravo. L'hai salutato. La chitarra è lì.» Papà la indica, è appoggiata a una poltroncina. «Prendila, andate, e lasciatelo mangiare in pace.»

«Questa è camera di Misha. Decide Misha se sto qua o vado via. Non tu.»

Ivan non avrebbe dovuto dirlo. Mio padre scuote lentamente la testa. Poi si rivolge a me. «Come fa a piacerti questo arrogantello del cazzo?» Fa schioccare la lingua, poi si rivolge a Ivan. «E tu... ascolta Raffaele, non essere maleducato.»

«Sei tu maleducato» ribatte Ivan con un'espressione dura che non gli ho mai visto. Papà stringe le labbra. È infuriato, ma forse Ivan non se ne rende conto.

«Ivàn, smettila» interviene Raffaele. Stavolta non l'ha chiamato Vanja. L'ha chiamato Ivàn. Con l'accento sulla a. Allora è davvero l'accento giusto. «E anche tu, Nic... lascialo un po' decidere da solo, a 'sto poraccio.» Mi indica con un gesto della mano. «Hai sempre lo stesso vizio, sei iperprotettivo. Lo sei sempre stato.»

«Mi vuoi insegnare come crescere mio figlio? Dall'alto di quale esperienza?»

Raffaele stringe le labbra. Le sue orrende labbra secche e violacee. Sembra offeso a morte dalla frase di papà.

«Sei uno stronzo» dice Ivan. A mio padre. 

Sentirglielo dire mi toglie il fiato dai polmoni, mi mette paura, non so perché. Non ho mai sentito nessuno insultare mio padre così, tranne forse...

...la mamma, tanti anni fa...

Vedo papà contrarre tutti i muscoli, il viso gli si arrossa. Allora, mi viene l'impulso di dire una cosa, per distogliere la sua attenzione da Ivan, per stemperare questa tensione insopportabile. «P-p-prima mi hai deeeetto che stasera, se volevo, potevo passare la notte con Ivàn.» Con l'accento giusto.

Forse ho buttato benzina sul fuoco. Dio, come sono stupido!

«Cos...?» Mormora Ivan. E mi rendo conto solo ora dell'ambiguità sottesa alla mia affermazione. 

Ma decido di infischiarmene. Guardo mio padre a testa alta. Cosa farà? Per qualche istante sembra in difficoltà.

«Quindi siete davvero... tipo... fidanzati? È ufficiale?» sussurra.

La domanda quasi mi tranquillizza. Pensavo che mi avrebbe sgridato, che mi avrebbe ammonito a portare rispetto o qualcosa del genere. 

Ma è una domanda stupida. Non la sopporto più. Gli ho risposto un centinaio di volte, ma continua a non credermi.

E allora che non mi creda. «E se fosse?»

Lancio un'occhiata a Ivan che ha un'espressione tra il perplesso e il divertito. Anche Raffaele sorride, ma distolgo lo sguardo da lui perché non voglio vedere i suoi denti orrendi.

Papà invece è serissimo. «È o non è?»

Cosa devo dire? Non è. Ma ho così tanta voglia di dire che è! Solo per vedere che faccia fa. Solo per dargli fastidio. Mi sento un po' infantile e sciocco. Perché voglio dargli fastidio?

Guardo di nuovo Ivan, che alza un sopracciglio. Cosa significa quel sopracciglio alzato? Se dicessi che è, quando in realtà non è, lui potrebbe sbugiardarmi.

Ma non lo farebbe mai, se lo conosco un po'. Apro la bocca per dire: «È.»

Una singola lettera. Ma prima di dirla mi esce una specie di lungo respiro muto. Poi, dopo averla detta, la gola mi si chiude ancora di più. Sento il cuore in gola, e non è un modo di dire, sento davvero le vene che mi pulsano nel collo e mi ostruiscono la trachea.

Papà annuisce. «Be', lo immaginavo.» Sembra deluso. O meglio: rassegnato. Guarda Raffaele per qualche secondo, poi abbassa la testa. Alza le spalle. 

È una reazione che non mi aspettavo. Una reazione triste. Mi tremano le mani dall'agitazione. Sono sicuro che se mi alzassi in piedi, adesso, mi cederebbero le ginocchia.

Ivan ha gli occhi sgranati e la bocca tesa. Guarda mio padre, non me. Sembra preoccupato.

«Va bene. Me ne vado io, allora» dice infine papà in un bisbiglio quasi inudibile. Fa due passi verso la porta, poi si volta, si rivolge a Raffaele. «E tu cosa fai? Resti qui a reggergli il moccolo?» Il volume della voce è sempre bassissimo.

«Quindi lo fai per lui?» mi chiede Raffaele ignorando mio padre. Sta parlando con me. «Voglio solo sapere. Capire.»

«No» dico dopo un lungo silenzio. «Cioè, n-non solo. Cioè...» Sospiro. Odio parlare. Ma tutti stanno zitti e aspettano che continui. «Q-quel giorno io... lui... c-cioè, lui p-piangeva e mi... m-mi... cioè, non mi p-piace vedere le persone p-piangere... ma non è solo p-per quello, cioè... eh... mmm...»

Perché non mi interrompono? Perché mi costringono a parlare? Ma ormai che ho iniziato devo finire. 

Voglio finire. 

«Io... la p-prima volta che t-t-ti ho visto ho pensato che fossi un uomo d-disgustoso.»

Raffaele scoppia a ridere, mio padre borbotta: «Ma cosa ridi, coglione. Ha ragione!»

«Cioè, ssssenza offesa. P-però poi... t-t-ti ricordi q-quando mi hhhhhhai fatto vedere lo slice?»

«Sì?» dice Raffaele perplesso.

«Io... io ho p-peensato che fosse... una... uno dei g-gesti atletici più belli che avessi mai visto e... ho pensato: come è p-possibile che un uomo così b-brutto riesca a p-produrre t-tanta b-b-bellezza?»

«Non ci vai leggero, coi complimenti, tu...» commenta Raffaele con un sorrisetto.

«Sei anni che è morta, e hai ancora in testa tutte queste cazzate sulla bellezza.»

Le parole di papà sono una pugnalata. Come può tirare in ballo la mamma, adesso, così, di punto in bianco? Perché lo ha fatto? Sa che mi fa star male, parlarne. Pensarci.

Ma mi faccio forza e gli rispondo. «Quando è m... q-quando è... quando è m-m-m-morta la mamma, insieme a lei è morta tutta la sua bellezza. Quando Ivan mi ha detto che R-raffaele aveva t-tentato il suicidio io...»

«Hai rivissuto il sui... la morte della mamma» completa papà. Ma non è ciò che volevo dire.

«No! Non è quello.»  O forse sì, un po'. «Io...» mi rivolgo di nuovo a Raffaele. «So che esiste ancora d-della bellezza in te. Non voglio che muoia altra b-b-bellezza... io... voglio rivedere il tuo slice.»

Ma cosa sto dicendo? 

Ivan mi guarda con un'espressione che sembra quasi commossa.

Raffaele invece sembra incredulo. Fa una smorfia, socchiudendo gli occhi. «Sono solo un vecchio» dice. «Non gioco mai, e se gioco vado lento come una tartaruga. Quello che dici non ha senso.»

«È vero» interviene papà, cupo. «Non ha senso. Tua madre ci è morta, di troppa bellezza, vuoi fare la sua fine?»

«Sss... argh! Sssmettila di p-parlare di lei!» grido. Ansimo. Non voglio pensare alla mamma. E non voglio sentire teorie stupide sulla sua morte. 

La mamma è morta per un tragico errore, un dosaggio errato di medicinali, mentre era ricoverata in una clinica ortopedica. Daniele è convinto che si sia suicidata, e non mi è sfuggito il fatto che anche papà, poco fa, stava dicendo "sui", le prime tre lettere di suicidio, prima di correggersi e dire "morte". Lo pensa anche lui, quindi? Mi ha sempre raccontato del dosaggio errato, ma ci crede o no?

Be', non importa cosa credono papà e Daniele. Io sono sicuro che la mamma non si è suicidata. La mamma non mi avrebbe mai lasciato solo. Mai!

«Stavo p-parlando con Raffaele» proseguo, in tono più calmo. «Non voglio che muori, ok? Non importano le r-r-ragioni.»

Raffaele sta piangendo, me ne rendo conto solo ora. È un pianto sommesso. Tira su col naso e si asciuga una lacrima dalla guancia. «Ti prometto, Michele... che non saranno soldi spesi invano. Voglio...»

«Oh, finiscila con queste cazzate!» sbotta papà. Sbotta davvero. È rarissimo vederlo sbottare, alzare la voce. 

Raffaele stringe i pugni. «Io ho uno scopo, adesso. Per la prima volta in vita mia...»

«Mi hai detto le stesse cose, ventotto anni fa! Le stesse parole! Ti prometto Nic...» comincia a fargli il verso, a imitare una persona lamentosa. «Ti prometto che troverò uno scopo... ti prometto che non mi drogo più, e guardati! Guardati come ti sei ridotto!» La sua voce si è rotta, sulle ultime parole.

«Ti prometto che troverò, ti ho detto! E non l'ho trovato. Hai ragione. Ma adesso non devo cercarlo. Ce l'ho!» protesta lui.

«E quale sarebbe questo scopo?»

Raffaele alza lentamente il braccio e indica Ivan. «Voglio farlo diventare numero uno.»

Papà fa una breve risata sprezzante. Io non rido, ma penso sia un'impresa impossibile. Ivan fa finta di limarsi le unghie e ridacchia.

«Prima mi hai rinfacciato di non avere figli. Be', eccolo, il mio figlio adottivo. Anche se è stata un'adozione al contrario, è lui che ha adottato me. Lui...»

Raffaele si è fermato, perché Ivan in due passi gli è arrivato addosso e l'ha abbracciato. 

«Oh, che scena commovente...» li canzona papà. Si gira dall'altra parte per non guardarli, verso di me, ma sul suo viso non leggo scherno, leggo dolore.

Ivan stringe Raffaele, e mentre lo fa, per un attimo penso che piacerebbe anche a me. Essere abbracciato da qualcuno. Gli dice qualcosa in russo, e Raffaele fa una risatina.

«Mi avevano detto che i russi erano persone fredde...» borbotta Raffaele con il viso nascosto dalla spalla di Ivan, che è un po' più alto di lui.

«Sai che mi piace di essere originale» ribatte Ivan.

Papà sembra esasperato. Si avvicina a loro e prende Raffaele per un braccio, lo allontana da Ivan. «Sempre a fare melodrammi...» sputa fuori, trascinandolo verso la porta.

«Ehi!» esclama Ivan. «How dare you!» Li segue con fare combattivo, e mi rendo conto all'istante che devo fare qualcosa per fermarlo.

Mi alzo di scatto e corro verso di loro. Ivan ha già una mano sulla spalla di mio padre, ma io sono svelto, lo prendo per le braccia e lo trattengo. Ivan fa resistenza, allora lo tiro verso di me, e la sua schiena sbatte sul mio petto, i suoi capelli verdi mi finiscono sulla bocca.

Sara sta abbaiando.

Mio padre si gira verso di noi, tiene ancora Raffaele per il braccio. «Fatti i cazzi tuoi, ragazzino» dice a Ivan puntando l'indice verso di lui. Poi guarda me. Lo vedo da sopra la testa di Ivan (i  capelli ancora mi solleticano le labbra). Vedo i suoi occhi accusatori. I suoi occhi scuri come i miei. 

Mi guarda per qualche secondo e non dice altro. Esce insieme a Raffaele e chiude la porta, sbattendola.

Io e Ivan rimaniamo così ancora per qualche secondo, la sua schiena premuta sul mio petto, mi sento teso, non a mio agio, ma non ho il coraggio di muovermi, finché lui, per fortuna, non si libera di sua iniziativa e si volta verso di me. Mi fissa per qualche secondo con un grugno duro, poi accenna un sorriso. «E così sono il tuo boyfriend, eh?»

Sussulto, perché non ci stavo più pensando, a quella provocazione: non proverà mica a baciarmi di nuovo? Alzo le mani: «N-n-n...»

Mi interrompe con una spintarella. «Scherzo!» Ridacchia. «Ho capito tutto: tu volevi... mmm, come si dice... sfidare tuo papa!»

Annuisco. «Sc-cusa...»

«Ma no. Tu vuoi che io faccio tuo beard boyfriend? No problema!»

Scuoto la testa e sorrido.

«Però se devo essere beard devo passare la notte qui con te» aggiunge in tono grave.

«Eeeh?!» esclamo.

«Hai detto anche tu a tuo papà, Ivàn passa la notte qua.» Incrocia le braccia.

Io comincio a balbettare sillabe sconclusionate e lui si mette a ridere. «Come on! Devi capire quando scherzo! No, dai. Se vuoi ti accompagno mentre mangi il tuo cibo di ospedale e poi ti saluto.»

Annuisco. E sospiro di sollievo. Temevo di avergli lanciato per l'ennesima volta i messaggi sbagliati. Mi siedo di nuovo al tavolo e lui si siede accanto a me. Come quella mattina a Parigi. Anche quella volta si era autoinvitato. Mi guarda, mentre affondo la forchetta nella pasta, che ormai è diventata una colla fredda. Mi guarda con curiosità, ma cosa ci trova di interessante in me che mangio pasta fredda?

Metto una forchettata in bocca. La inghiottito a fatica. «F-fa schifo» dico, e lascio cadere la forchetta sul piatto.

«Sì che fa schifo, è cibo di ospedale!»

Rido. Poi chiamo Sara. Prendo il vassoio con il petto di pollo, lo taglio a pezzetti piccoli e lo rovescio sulle penne fredde rimaste, mescolo mentre Sara mi guarda attentissima, seduta, seria. Porto il piatto in un angolo della stanza, distante dal tavolo, perché so che le piace stare in pace, quando mangia, e lei mi segue scodinzolando. Appoggio il piatto, chiedendole di aspettare, mi allontano un passo, lei è obbediente, continua a stare ferma, ritta sulle zampe, a muso basso, pronta a scattare. E appena le dico: «Vai!» scatta. Si avventa sul piatto e comincia a mangiare di gusto. Com'è bella, buona e pura!

«Sei cattivo» commenta Ivan. «Cruel! Animal cruelty! Dai al povero cane il cibo di ospedale!»

«A me ssembra contenta...»

Ivan sorride. «E adesso? Cosa mangi tu?»

Mi lascio cadere sul divano. Dio, che mal di schiena! «Non so» gli rispondo. «Ho fame.» Ci penso un po' su. «Sai c-cosa mi andrebbe? Un dolce.»

«Siiiiì!» esulta Ivan, alzando un pugno in aria. 

«Lo vuoi anche tu?»

«Certo, non si dice mai no ai dolci!»

«P-puoi p-p-arlare tu col servizio in camera?»

Non serviva chiederlo, è già seduto sulla poltroncina accanto al telefono e ha la cornetta in mano. Digita lo zero.

«Aaaaspetta, non ho d-d-dec...»

«Yes, hello?»

Dicono qualcosa all'altro capo e lui porta una mano al cuore. Poi la mette sul microfono e mi sussurra: «Mi hanno chiamato Mister Bressan! Siamo sposati!» Non faccio in tempo a dargli dell'idiota, sta parlando di nuovo al ricevitore. «Sì, da, yes, eccomi. Here I am. I will have two hot dogs with mustard and ketchup, aside, please.»

«No» dico.

Lui alza la mano per zittirmi. «Yes... yes, please... Ok, can you tell me what desserts you have?» Mette la mano sul ricevitore e parla a me: «Misha scrivi, io ti dico dessert e tu dici me quello che ti preferisci, ok?»

Annuisco.

«Ok, sorry, can you reapeat? Ok... Cheescake with blueberries... Apple pie... Apple crisp... Lemon flavoured buttermilk pie... Banana pudding... and Sacher torte. Cosa vuoi Misha?»

«Cosa voglio? T-tutto!»

«A piece of everything!» dice entusiasta nel ricevitore.

Faccio di no con le mani, ma è scemo? Dicevo per dire! Ma ha già deciso. «Can you please bring some whipped cream with the sacher? Yes... yes! Thank you very much!» Chiude la chiamata.

«M-ma non possiamo m-mangiare tutto!»

«Ma sì... Un po' di quello, un po' di quell'altro, un po' io, un po' tu, e quello che non vuoi non mangia.»

«E gli hot dog?»

«Devi mangiare anche un po' di proteina, no?»

«Quella non è p-proteina, è junk food!»

«È junk food con proteina.»

Non si può discutere, con lui.

Restiamo in silenzio per un po'. Un silenzio imbarazzante. A cosa sta pensando? Al mancato bacio di ieri? Se ripenso al fatto che era solo ieri mi sembra quasi impossibile. Mi sembra siano trascorsi secoli. Mi sembra quasi un'altra era. Prima della mia finale. Prima della sconfitta.

La sconfitta a cui non stavo più pensando. Sono stati i primi dieci minuti della giornata in cui non ci ho pensato. E sono stati dieci minuti belli. Sono cominciati quando Ivan ha abbracciato Raffaele. 

«T-tu sei molto bravo a esprimere i tuoi sentimenti» dico.

«Uh?» Ivan mi guarda con un'espressione perplessa.

Prendo un respiro. «P-p-prima, con Raffaele... non ti sei fatto problemi ad abbracciarlo. E in generale, sei... ssssei sempre molto chiaro ed esplicito. Sembra... sssssembra c-che hai le idee chiare, che sai coooosa ti piace. Cosa vuoi. E quando lo sai lo rendi chiaro a tutti.»

Ivan annuisce pensoso. «Da, pravda... sì, è vero.»

«Io sono il contrario. N-n-non so c-c-cosa mi piace e non so cosa voglio. E non so esprimermi.»

Ivan inclina un po' la testa a lato, come fa sempre Sara quando non capisce cosa le sto dicendo. «Come possibile che non sai cosa vuoi?»

«Voglio vincere. Voglio d-diventare il numero uno. È l'unica cosa di cui sono sicuro. È l'unica cosa che voglio d-davvero.»

«Non è vero! Vuoi anche mangiare dolce» dice alzando un dito in aria.

Sorrido. «Non proprio... c-cioè, sì, vorrei, ma poi non so q-quando fermarmi. Penso di volerne ancora, e... e p-poi finisce che ne mangio troppo e vomito.»

«Vomito?»

«Sì, vomito. Puke.»

«So cosa vuole dire vomito. Vomiti sul serio?»

«Sì, q-quando mangio troppo.»

La sua espressione all'improvviso è preoccupata. «Ma sei... tipo... come si dice in italiano, aspetta...» Digita qualcosa sul cellulare. «Bulimìco?»

Sospiro. «S-si dice b-b-bulìmico. No. Non sono bulìmico. I bulimici sono quelli che si mettono le dita in g-gola per vomitare» Mimo il gesto. «A me viene spontaneo, perché esagero, mi riempio t-t-troppo lo stomaco.»

Ivan stringe le labbra. «Io credo che anche questo è tipo problema di bulìmico.»

Scuoto la testa. «N-n-non dire stupidaggini. Non sono bulimico.»

Annuisce, ma non sembra molto convinto. «Ok...»

«C-comunque, dicevo, appunto, che n-non so bene quanto ne voglio e cosa voglio... anche prima, mi hai d-d-detto i nomi di tutti quei dolci e mi sembrava di volerli tutti.»

«Quello è normale. Anche io li voglio tutti.»

Sbuffo. «Ok, fffforse ho scelto l'esempio sb-bagliato.» 

L'esempio giusto è lui. L'esempio giusto è quello che è successo ieri sera. «Ieri sera...» comincio. E resto in silenzio.

Lui capisce, forse, perché vedo un'ombra di imbarazzo nel suo sguardo che all'improvviso si fa sfuggente.

«T-tu mi hai d-d-detto che ho ffffatto d-d-delle c-c-c-cose...» Mi fermo, perché all'improvviso sto balbettando moltissimo. Prendo un gran respiro. Voglio davvero parlarne? No, ma allo stesso tempo sì. Sento il bisogno di chiarirmi, di spiegarmi. Forse a me stesso, prima ancora che a lui. «Ieri sssssera, mi hai detto che le mie azioni ti hanno fatto c-credere c-c-che io stessi c-c-c-cercando d-di ssssss...» Oddio, non ce la faccio. «Ssss...» Sospiro. «Hai capito.»

«Ssssseduce me? Come si dice seduce me in italiano?»

«Sedurmi.»

Batte le mani. «Vedi che sei riuscito a dire?»

Sorrido. Ivan è riuscito a ingannare la mia balbettanza.

Mi schiarisco la voce. «Ok. Il punto è... Io non ero sicuro di quello che p-pensavo e volevo ieri sera... cioè, nnnnon fraintendere, per favore... io nnnon volevo... cioè... mmmi rendo c-conto che lavarti i denti è stata un'azione strana, da p-p-parte mia.»

«Moooolto strana...» dice lui annuendo con gli occhi sgranati.

«Ma... avevo sognato tante volte di farlo...»

I suoi occhi assurdamente azzurri si sgranano ancora di più.

«Cioè, non fraintendere... quel tuo d-dente storto! Non lo sopporto! Mi ossessiona!» Perché gli sto dicendo queste cose?

«Quale dente storto?»

«L'incisivo. Il t-tuo incisivo frontale.» Scopro i miei denti e mi indico l'incisivo. «È ruotato. È storto!»

Lui si passa la lingua sul dente. «Ah questo? Ah... non mi sembrava che era tanto storto... È tanto storto?» Ora sembra preoccupato.

Scuoto la testa. «Credo che nessuno ci faccia caso. Io sì, però. Ho una specie di fissazione per le b-bocche, i denti... li guardo sempre, è la prima cosa che guardo in una p-persona, noto ogni minimo difetto.»

«E... e quindi?» Ivan sembra sempre più perplesso.

E quindi? Dove stavo andando a parare con questo discorso? Ah, già. «E quindi, ieri sera, mentre ti pulivo i denti, tu dicevi che facevo delle strane espressioni... Effettivamente mi sssono un p-p-po'... cioè, non p-proprio, solo un po'... mi sono un p-po' eccitato, mentre lo facevo.»

Abbasso la testa. Vorrei sprofondare.

«Cos...?»

Trovo il coraggio di alzare di nuovo la testa e vedo che Ivan ha la bocca spalancata.

Agito le mani. «Nononono, nnno. Nnnnon farti idee strane, non... cioè, mi succede spesso, con p-p-persone che normalmente non mi int-t-eressano da quel puuuunto di vista. È una cosa... cioè, t-ti ricordi q-quando ho scritto sul gruppo che non mi interessano i maschi e non mi interessano le femmine?»

Annuisce. 

«Io non è che non mi eccito mai. Ma mi succede solo così.»

«Così come? Quando lavi i denti alla gente?» Alza un sopracciglio, sembra preoccupato.

Scuoto la testa. «No. Mi succede se penso... alla bocca. Cioè... è una parte del corpo che trovo eccitante. E disgustosa. C-contemporaneamente.» Mi prendo la testa tra le mani. «Nnnon so p-perché ti sto dicendo queste cose, forse... cioè, voglio farti capire che io non so. Non so b-bene cosa voglio e c-cosa mi piace. Anche la bocca... è una parte del c-corpo che mi disgusta. Però mi eccita, pure. L'ho già d-detto. Non so neanch'io... p-perché e c-come mai, e nnnnon c-capisco... Non è che mi sono mai messo a ragionarci su... e questa è la p-prima volta che ne p-p-aaarlo con qualcuno.»

Ivan annuisce. Mi guarda serio. «E quindi l'altra sera eri eccitato?»

Sospiro. «Nnnnon ti fissare! Te l'ho detto solo p-p-perché... voglio spiegarti che... se q-qualche volta sembra che p-penso qualcosa di strano, forse è perché lo sto p-pensando davvero. Ma mi c-c-capita di p-p-pensarlo spesso, e di t-tante persone d-di cui poi non lo penso mai più. Ok? Tipo... ecco, p-per farti un esempio, una volta mi è c-capitato di pensarlo p-p-persino di Zadorov. Grisha Zadorov.»

«È un bel ragazzo, Zadorov!»

Scuoto la testa. «No. Ha una b-bocca orribile con i c-c-canini sporgenti e g-giallognoli.»

Ride. «Cosa sono canini?»

«Q-questi denti qui» mi indico i canini. «I denti a punta.»

Ride ancora. «Penso che sei l'unica persona del mondo che vede i canini di Zadorov!»

Abbasso la testa. «Sì, lo so... ti ho detto cose strane. Mi rendo c-conto che sono s-strane, però...»

«Io lo so... lo sapevo già che sei strano. Mi piace che sei strano.» Sorride.

«Non voglio essere ambiguo. Sai cosa vuol dire ambiguo?»

Fa una smorfia e scuote la testa.

«Ambiguo... fraintendibile...» Lo scrivo sul cellulare e glielo mostro. Lui lo scrive sul suo e cerca la traduzione.

«Ah... da, da... sì, ho capito. Aaaambiiiiguo. Capito.»

«Ecco. Non voglio essere ambiguo. Voglio essere chiaro. Sincero. Ok? Non voglio illuderti. Sai, D-d-da-aria... la tua ex, lei dopo il match contro Kuruchkin è venuta a parlarmi, fuori dalla sala stampa.»

Sembra stupito. «Ah sì? E cosa ti ha detto?»

«Mi ha detto di non illuderti. Don't give him false hope, mi ha d-d-detto. Mi ha d-detto che i miei comportamenti ti stavano dando false hope. False speranze. Io ho p-peeensato che mi stesse dicendo una stupidaggine, ma ora capisco che forse... forse davvero avevo avuto qualche comportamento ambiguo nei tuoi confronti. Di cui non mi ero reso c-conto. Perché io non so bene cosa voglio e... hai capito... »

«Quindi...» Ivan socchiude gli occhi, pensoso. «Quindi tu mi dici che non era prima volta, ieri sera... non era prima volta che pensavi cose sexy di me.»

Ma che razza di ragionamenti fa? «Non ho detto questo.»

«Sì. Hai detto che hai avuto comportamento ambiguo... e che forse non ti eri reso conto che volevi qualcosa da me.»

Scuoto la testa. «No. Cioè... forse... cioè no. No. Non voglio niente da te. Ok?»

Fa un mezzo sorriso e mi fissa in silenzio per qualche secondo. «Sono contento che vuoi essere sincero con me. Anch'io voglio essere sincero con te. Mi piaci e voglio baciarti.»

Scuoto la testa con violenza. «Hai detto una c-c-cosa che non farò mai in tutta la mia vita.»

«Cosa, baciarmi?»

«Non te in particolare. Baciare. In generale. Mi fanno schifo i baci.»

Ivan stringe le labbra, ma non sembra irritato, sembra incuriosito, sembra stia trattenendo un sorriso. «Allora era vero quello che diceva tua girlfriend Anna in intervista, che non la baci mai... baciavi mai...»

«Mai.»

«Ma perché? Hai detto che bocca ti eccita.»

«No. Ho detto che bocca mi eccita e mi disgusta. Sai cosa vuol dire disgustare? Vuol dire... bleah, schifo, puah, disgusting, si dice anche in inglese in modo simile.»

«Sì, ho capito. Ma... perché?» Fa un'espressione sognante. «I baci sono così belli... baciare una persona è la cosa più bella del mondo...»

«La b-bocca è sporca. I denti sono sporchi. La lingua è sporca. E c-c-comunica con l'interno del corpo.»

Sembra perplesso. «Però ti eccita...»

«Solo guardarla.»

«E mettere dentro spazzolino vibratore...»

Alzo gli occhi al cielo, ma mi viene da sorridere. «Anche metterci dentro il mio pene.» Oddio, che cosa ho detto?! Perché l'ho detto?! E non ho neanche balbettato! Lui scoppia a ridere.

«Ahaha, ma allora sei furbo!» Ride, ride di gran gusto, talmente tanto da far ridere un po' anche me, e mentre ridiamo bussano alla porta. «Oh, è arrivata cena!» Si alza in piedi, allegro. Sono contento di averlo fatto ridere con quella frase che in realtà non era una battuta ma una verità.

Entra il cameriere, Ivan tira fuori dei dollari dalla tasca. «No» gli dico. «Va sul mio conto.»

«Questa è tip per cameriere. Tu non lasci mai tips?»

Mi sento improvvisamente molto stupido, mentre il cameriere ringrazia Ivan.

Sul carrello ci sono dei vassoi coperti. Li apro tutti, mentre Sara, che intanto ha finito il suo pasto, viene a curiosare. «No, tu buona, hai già mangiato.» Ci sono i due hot dog e le torte. Dio come sono belle le torte! Ho l'acquolina in bocca.

«Mangiamo?» mi esorta Ivan.

Annuisco. Prendo l'hot dog. 

«C'è mustard e ketchup, prova con tutti e due un pezzetto e poi metti quella che ti piace di più!»

Seguo il suo suggerimento. Lo preferisco col ketchup. È buono. Ha un buon sapore. Mi piace! Lo mangio di gusto. Non vedo l'ora di assaggiare anche le torte!

«Quando abbiamo finito... ti va di stare ancora un po' q-qui? Con me?» gli propongo.

Ivan mi sorride. «Io sto con te anche tutta la notte, se vuoi.»

«Guarda c-c-che non ti b-b-bacio...» aggiungo, preoccupato.

Ride. «Va bene! Ti avevo già detto, tanto tempo fa... se vuoi essere mio boyfriend, great! Se vuoi essere solo friend, great lo stesso!»

Annuisco. «Non sono sicuro di poterti definire mio amico.»

Ivan fa una smorfia.

«Però mi p-p-piacerebbe» aggiungo, il cuore che mi martella il petto con violenza. «Mi piacerebbe p-p-pensare che ho un amico.»

«Il tuo amico Vanja.»

«Il mio amico Ivàn.»

Sbuffa. «Ok. Va bene anche Ivàn.»

Sorrido e guardo il carrello con le torte. Non vedo l'ora di mangiarle.

Insieme al mio amico Ivàn.

Note note note

Ed eccoci qua, siamo arrivati a un punto di svolta, la fine della prima parte della storia. Ricominceremo nel prossimo capitolo con un salto temporale di qualche mese. Cosa succederà? Come si evolveranno i rapporti tra i personaggi?

E che ne pensate di questa prima parte di storia? Vi è piaciuto il percorso? 

Ci rileggiamo lunedì. Oggi vi chiedo la stellina in modo molto semplice: se leggete da desktop, muovete il mouse fino a che la freccina non si sovrappone al disegno grigio a forma di stellina e fate clic; se leggete da laptop, percorrete lo stesso percorso col dito sul trackpad; se leggete da mobile, muovete quel ditone in prossimità del disegno, ecc. e toccatelo delicatamente col polpastrello. La procedura si può dire completata quando la stellina diventa di colore arancione. Grazie per la cortese attenzione.

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