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3. Coming out

Sara si è appena stesa sul letto accanto a me.

Le sorrido, la chiamo con un gesto, lei si avvicina e si appoggia sul mio petto. Poi comincia a leccarmi il viso e io mi metto a ridere mentre le arruffo il pelo castano, ormai un po' bianco ai lati del muso.

Papà mi dice sempre di non farglielo fare, che questo è il suo modo di dominarmi, che dovrei farle capire che sono io il padrone e lei non può fare quello che vuole con me. Ma io la adoro, non ci posso fare niente. Adoro quando mi dimostra così il suo affetto. È il mio cane da ormai undici anni, la mia bassottina a pelo ruvido. Mi segue ovunque.

Sento la voce di papà, dalla stanza accanto, come una vibrazione sommessa e profonda. Emerge dal silenzio, inesorabile nella sua calma spietata.

Tutto il mio staff personale (papà, zia Elena e il suo assistente Rodolfo) è radunato nella mia suite a due stanze che abbiamo adibito a quartier generale. Io sono scappato di qua, nella camera in cui dormo, quando ho capito che non sarei riuscito a discutere con papà. 

Lui non vuole giustificazioni da parte mia. E devo ammetterlo: ha ragione.

In questo momento sono tutti e tre occupati a decidere quale sia la miglior reazione alla catastrofe d'immagine che è successa stamattina. In collegamento telefonico c'è persino Fernando, il capo della mia agenzia di rappresentanza, che si scomoda in prima persona solo per le questioni davvero importanti.

Papà è furioso e non lo biasimo. Sono stato così stupido! Ovviamente c'era qualcuno che ci stava filmando con un telefono. I "rivali" next-gen a un tavolo, insieme, che parlano... che spettacolo! 

Detesto che ci definiscano "rivali", quando è così evidente che ci separano parecchi livelli. Lui ha vinto un match contro di me. Uno! Può capitare a tutti di battere qualcuno più forte. Non è un singolo incontro che fa una rivalità.

Mi consolo pensando che tutto questo blaterare di rivalità finirà presto. Con quello stile e con quei colpi, Reshetnikov non andrà da nessuna parte. Dubito che riuscirà mai ad arrivare in top 100.

Ma la mia sconfitta purtroppo è ancora fresca. Siamo al primo turno dello Slam e la stampa ha poco di cui parlare.

Quindi era ovvio che il mio sfogo di rabbia al ristorante finisse su ogni singolo sito tennistico del pianeta terra, con la mia voce ben udibile, e la mia balbuzie più ridicola che mai.

Avrei dovuto saperlo. Avrei dovuto fare più attenzione.

Sono stato stupido.

Ci sono talmente poche registrazioni pubbliche di me che parlo (e balbetto), si contano sulle dita di una mano e risalgono tutte a quando ero piccolo. Nelle conferenze stampa comunico sempre con la lingua dei segni americana, è un accordo che ho dai tempi del circuito junior: c'è un interprete a ogni conferenza e, più o meno da quando sono diventato top 10, persino nelle interviste in campo post-match (in precedenza queste interviste mi venivano risparmiate).

È stata un'idea di zia Elena. Io conosco la lingua dei segni americana da quando sono bambino. È la mamma che me l'ha insegnata. Ha scelto quello americana e non quella italiana perché è più diffusa. Parlavo spesso così, insieme a lei, e alla fine dei suoi giorni era quasi l'unico modo in cui lei comunicava.

La mamma non era sorda. Aveva imparato la lingua dei segni per me, e me l'aveva insegnata per darmi una via di scampo ai miei inestricabili garbugli vocali.

Papà inizialmente era contrario, perché diceva che quella via di scampo non mi avrebbe mai fatto guarire. «Ma a posteriori la cosa si è rivelata una buona mossa di marketing» è ciò che commenta sempre zia Elena.

Un uomo balbuziente proietta l'immagine di una persona debole e stupida, sostiene sempre la zia, mentre la lingua dei segni è una forma di comunicazione rispettabile. Secondo lei mi fa apparire più intelligente. Inoltre, sono effettivamente più rapido con le mani che con la bocca, soprattutto in situazioni stressanti e quando c'è molta gente che mi ascolta.

Ma ora esiste questo video dove impreco (cosa che non faccio mai, penso fosse stata la terza volta in vita mia in cui dicevo una parolaccia), grido, e insulto la persona che mi ha appena sconfitto. Quindi non solo ridono della mia balbuzie, pensano anche che io sia un tipo che non sa perdere.

È un disastro.

«Conferenza stampa! C'è la conferenza post-partita di Reshetnikov!» Zia Elena apre la porta della mia camera con una spallata e tiene in bilico su una mano un laptop aperto. Mi tiro su a sedere sul letto e Sara scende con un balzo.

La zia si siede accanto a me e appoggia il laptop sul materasso. «Oh, che palle! Ma come mai è così lento il wi-fi di questo hotel? Cinque stelle stocazzo...» Zia Elena ha studiato a Roma e ha assimilato qualche espressione tipica del Centro Italia, anche se la sua città di origine è Genova.

È la sorella di mia madre, e la ricorda, nell'aspetto. È più bassa e rotonda nel fisico, ma a parte quello si potrebbe pensare che fossero gemelle, non sorelle. Hanno gli stessi occhi grandi e scuri, quasi identici ai miei, lo stesso nasino arcuato, e le stesse labbra, le stesse bellissime labbra piene e rosse che però la zia ha guastato e avvizzito con tutte le sigarette che fuma.

Le somiglianze si fermano qui. Il fumo non è l'unico comportamento radicalmente diverso tra di loro. Anche negli atteggiamenti e nel carattere erano l'opposto. 

La mamma era slanciata, elegante e bellissima. Esprimere bellezza era la sua massima aspirazione: era bella ed elegante quando giocava, quando parlava, camminava. Tutti i suoi movimenti sembravano parte di una splendida coreografia. Zia Elena, invece, è bassetta, goffa e frettolosa. Si muove sempre a scatti, in modo scoordinato.

Sono diverse anche caratterialmente: la mamma era sempre buona, dolce, malinconica, calma, così calma che riusciva a tranquillizzarmi con un solo sguardo, come per magia. Zia Elena è l'opposto: è sempre pervasa da un'allegria un po' nervosa, sempre in movimento, sempre a fare qualcosa, studiare qualcosa, analizzare qualcosa.

Zia Elena è il genio della famiglia. Da ragazza giocava a tennis piuttosto bene, anche se non aveva affatto un bello stile (a differenza della mamma), ma non ha mai tentato la strada del professionismo perché era più interessata a terminare l'università. Ha due lauree, una in psicologia con specializzazione in psicologia sociale, e una in statistica. E un paio di anni fa ha conseguito un master in data science. È la mia manager: organizza la mia vita personale, si occupa di analizzare la mia immagine sui social media, e secondo le letture pianifica i miei eventi sociali, le mie dichiarazioni in sala stampa. Costruisce la mia immagine pubblica, insomma. Gestisce tutti i miei profili social. Papà la stima molto. Dice sempre che senza di lei avremmo almeno la metà di contributi sponsor.

Fuma molto, e so che in questo momento ucciderebbe per una sigaretta, ma sa che a me disgusta vedere la gente che fuma (la trovo una pratica poco igienica, oltre che poco salutare), quindi se ne astiene. Per compensare, sta mordendo una penna, cosa che trovo altrettanto disgustosa, ma non glielo dico: quante mani sudice avranno toccato quel tubicino di plastica?

La sala della conferenza appare finalmente sullo schermo, giusto in tempo per vedere Reshetnikov che prende posto a sedere davanti ai microfoni, con i suoi ridicoli capelli verdi. Anche oggi ha le cuffie al collo: deve essere una di quelle persone patetiche che non riesce a vivere senza una colonna sonora. Io invece non ascolto mai musica. Non mi piace. Come dice anche papà, è una distrazione sciocca per gente sciocca.

Reshetnikov ha vinto anche il secondo turno, contro Frederick Thiarè. 

Come ha fatto? Thiarè è un giovane tenista afroamericano con bei colpi potenti e una mano delicatissima. È superiore a Reshetnikov, in tutto: stile (a rete, soprattutto), tecnica, forza fisica, esperienza. Non ho visto il match, forse anche Thiarè si è fatto innervosire dalla sua arroganza, proprio come me.

E quindi mi toccherà, almeno per un giorno ancora, vedere la sua faccia strafottente in hotel, perché anche io e Daniele abbiamo passato il primo turno in doppio, contro Alexey Dudnik e Mickhail Kruchinkin (altri due russi, l'ATP tour è pieno di russi).

I giornalisti si congratulano con lui per la vittoria. Gli chiedono le sue impressioni sul match, solite domande noiose da conferenza stampa.

«Gli chiederanno del video, ci metto la mano sul fuoco. E noi non siamo riusciti a raggiungerlo per dargli istruzioni. Cosa dirà?» Zia Elena sembra preoccupatissima, sta distruggendo la penna con i denti. Distolgo lo sguardo perché non riesco a evitare di figurarmi mentalmente microscopici pezzetti di plastica sudicia che si spezzano e le finiscono in gola.

Il video in cui impreco è uscito stamattina, il match di Reshetnikov contro Thiarè era previsto appena un'ora dopo, nel primo turno giornaliero. Zia Elena ha provato a contattarlo, per accordarsi su una versione di ciò che è successo, in caso gliel'avessero chiesto in conferenza. Il problema è che lui non ha uno staff. Ci sono solo il suo allenatore ufficioso e sconosciuto (non riesco più a ricordare il suo nome... Gabriele qualcosa?) e un altrettanto sconosciuto fratello maggiore (altrettanto irraggiungibile). Quindi è solo, e probabilmente decide tutto da solo. E chissa cosa dirà quando (e se) gli chiederanno del video.

Le domande sul match continuano. Reshetnikov scherza molto, i giornalisti sembrano divertiti. Qualcuno gli fa delle osservazioni tecniche sul suo dritto bimane, lui dice di averlo sempre giocato così, da quando era piccolo, perché gli dava più stabilità e gli consentiva di angolare meglio. Sembra fiero di essere autodidatta. 

Quanto si vede che è autodidatta... Sembra un dilettante, uno appena uscito da un circolo di tennis e capitato per caso a uno Slam. Da un circolo di tennis del secolo scorso. No, meglio: di un'altra dimensione.

Ho studiato i suoi colpi in video e mi sono reso conto che il suo dritto è in realtà una specie di secondo rovescio: sposta la destra in alto sul manico, prima di colpire.

Non ho mai visto nessuno colpire così, non so come sia potuta venirgli in mente una follia simile.

Nel frattempo, Sara torna da me. La prendo in braccio. Tu sì che ti meriti tutte le attenzioni del mondo, non quello stupido ragazzino.

Arriva una domanda sul suo colore di capelli. Significa che siamo alla fine. Le domande stupide di natura personale arrivano sempre alla fine.

Lui scherza anche su quello, figuriamoci. Dice che siccome si è presentato sulla terra rossa coi capelli verdi, per i tornei sul verde li tingerà di rosso. Ride esibendo il suo dente storto.

Anche i giornalisti ridono: sono contenti di aver trovato il nuovo buffone dell'ATP. Finché non si stuferanno dei suoi scherzi, come si sono stufati di quelli di Milos Grković e delle sceneggiate in campo di Nathan Kotzias. Si stufano sempre.

«One last question, Ivan. I think you've seen the trending video...» Un'ultima domanda, penso che avrai visto il video di tendenza...

«Ci siamo! Ci siamo!» zia Elena, nella concitazione, lascia cadere la penna a terra. Alza il volume del laptop. Sara comincia a scodinzolare freneticamente, io la accarezzo sulla testa per calmarla.

Reshetnikov aggrotta le sopracciglia e chiede spiegazioni. Sembra ignaro di tutto. I giornalisti gli spiegano di cosa stanno parlando, viene fatto il mio nome, qualcuno gli mostra un palmare e lui lo guarda con un sorrisetto vagamente imbarazzato. Dice qualcosa in russo, poi aggiunge: «I'm so sorry...»

Gli chiedono cosa abbia fatto per farmi arrabbiare così, se secondo lui ero ancora nervoso per la sconfitta. Lo sapevo che i giornalisti avrebbero cercato di dare la colpa a me, accidenti!

Reshetnikov scuote la testa. «No, no, no,» dice, «I'm very sorry for this. I take all the blame, really. It was all my fault.»

Si sta prendendo la colpa. Bene. Ma che scusa inventerà?

«Per ora non ha detto nulla di male...» sussurra zia Elena mordendosi una pellicina sull'indice. Perché sente il bisogno di mettere cose sporche in bocca? Che schifo.

«Why? What did you do?» lo incalzano i giornalisti. Cosa hai fatto?

«Well... I was hitting on him and I think I hit a bit too hard.»

Zia Elena volta la testa di scatto verso di me. «Ci ha provato con te? Hit on you? Ho capito bene?»

Io non so cosa rispondere. Perché ha detto quella cosa?

Ci ho riflettuto, sulle sue parole di ieri mattina, sei figo, mi piaci e bla bla bla, e sono giunto alla conclusione che si trattasse di uno scherzo. Che volesse solo mettermi in imbarazzo. Perché continua a farlo? Non capisce che i giornalisti lo prenderanno sul serio?

Nel frattempo, in sala stampa si è levato un forte brusio.

«I'm sorry...» dice il giornalista. E tossisce. «I think there may be something lost in translation, here...» Pensa che Reshetnikov si sia espresso male. Tutto intorno risatine. Il giornalista gli chiede se non intendesse invece dire «hit with him», palleggiare con lui.

«No,» ribatte Reshetnikov, «hit on him» insiste.

«Hit him?» Picchiarlo? Il giornalista non si arrende. Non vuole crederci.

Reshetnikov sbuffa. «No, no, no...» Si guarda un po' intorno, come se riflettesse. «How do you say...» dice qualcosa in russo «you know... I was... trying to seduce him, like... hey, I like you! Let's have a date! Did I use the wrong words?» Ride.

Ride, il cretino, con quello stupido dente storto in bella mostra, mentre il brusio in sala stampa si fa più intenso.

Guardo zia Elena, che sta molto lentamente scuotendo la testa. Sembra ipnotizzata. «Ma sta scherzando?» mi chiede in un sussurro. «O ci ha davvero provato con te?»

Apro la bocca e a fatica le spiego che sì, l'ha fatto, ma pensavo mi stesse prendendo in giro. E penso che lo stia facendo anche adesso.

In quei dieci minuti che ci impiego a dirlo, i giornalisti gli hanno chiesto se si trattasse di un coming out. E lui, come se nulla fosse, ha risposto: «No it's not! All my friends knows I'm bisexual!» Non lo è, tutti i miei amici sanno che sono bisessuale!

I giornalisti sembrano estasiati. Parlano di notizia bomba. Gli dicono che è il primo tennista dell'ATP ad aver fatto coming out in attività.

Lui è visibilmente divertito. Dice che non ne aveva idea e che la cosa gli sembra impossibile: nemmeno un gay su un migliaio di persone?

Ride ancora. Ma non fa altro che ridere?

Il suo dente storto. Non posso fare a meno di guardare quello stupido dente. Attira la mia attenzione persino più dei suoi capelli fluorescenti. Mi chiedo se riesca a pulirlo bene. Gli servirebbe uno spazzolino monociuffo per raggiungere il piccolo spazio obliquo all'interno della bocca.

Un giornalista parla di momento storico.

«Really? I didn't think it was such a big deal!» dice Reshetnikov, non credeva fosse una cosa tanto importante. Aggiunge che se l'avesse saputo lo avrebbe annunciato in modo più divertente, ad esempio con un'orchestra sinfonica in sottofondo.

Che stupido buffone.

Ma i giornalisti non pensano che sia uno stupido buffone. Lo adorano. Come è possibile? È così infantile e sbruffone ed esibizionista e fuori controllo. E il suo inglese è pessimo. Quasi quanto il suo italiano.

«Ecco cosa succede quando non hai un manager» dice zia Elena, cupa. Esatto. Nessuno che gli spieghi come ci si comporta.

«Questo sarà un bel problema per te, Michi, perché...» Zia Elena non finisce la frase: qualcuno in sala stampa ha pronunciato il mio nome e lei si zittisce per ascoltare.

Non abbiamo sentito la domanda, ma udiamo la risposta di Reshetnikov.

«Bressan? Oh, god... I don't know, really. Why don't you ask him?» Perché non lo chiedono a me... cosa?

Mormorii nella stanza. Cosa gli avranno chiesto?

«But if you want my opinion,» continua Reshetnikov (no nessuno vuole la tua opinione), «I don't think he is gay. I mean... look at me...» Si indica, e aggiunge che se io fossi stato gay non avrei mai rifiutato un bocconcino come lui.

«Merda!» impreca la zia. «Lo sapevo! Pensano che tu sia gay.»

Protesto: non lo sono. E zia Elena mi guarda con sospetto. Perché mi guarda con sospetto?

La zia mi prende per le spalle, con un gesto un po' brusco che spaventa Sara. La poverina sguscia via dalle mie gambe andando a stendersi sul materasso alle mie spalle. 

«Ascolta, Michi» mi fa la zia. «Sai che a me puoi dire tutto. Non lo racconterei mai a nessuno, nemmeno al papà. Se sei gay...»

La interrompo per ribadire che non lo sono.

Lei annuisce, ma non sembra convinta. «E allora perché non hai mai mostrato interesse per le ragazze? Perché abbiamo dovuto trovarti Anna? So che non ti piace parlare di questi argomenti, ma... devi capire che...»

Abbasso gli occhi. Devo capire cosa?

Sì, è vero. Odio parlare d'amore o di sesso.

Sforzandomi, cerco di spiegarglielo: è un argomento che non mi interessa. Il sesso, l'amore. Non mi interessano. Mi interessa il tennis, non ho tempo né energie da perdere per instaurare relazioni con chicchessia.

Del resto - questo non glielo dico, lo penso e basta - anche se volessi instaurare un rapporto con qualcuno, come potrei? La gente si annoia, con me. Parlo troppo lentamente. E la parola è fondamentale, nei rapporti umani.

Ma non importa. Perché, come ho detto, non mi interessa. E mi disgusta un po', persino. Non tanto il sesso quanto i baci. Respirare l'alito di una persona estranea, assaggiare la sua saliva. Mi viene il voltastomaco solo a pensarci.

«Certe pulsioni hanno bisogno di essere sfogate, ogni tanto...» insiste lei.

Sto per ribattere che non sono argomenti di cui voglio discutere, ma mi accorgo che papà è in piedi sulla porta. Da quanto?

«Michele si masturba regolarmente due o tre volte al mese a seconda delle esigenze. Gliel'ho consigliato io stesso.»

Abbasso la testa e avverto un'ondata di calore alle guance. Sono arrossito. Perché ha dovuto dirlo? Vorrei sotterrarmi. A zia Elena non dovrebbe interessare.

«Masturbarsi e avere una relazione non sono la stessa cosa» dice la zia.

«Per voi donne è diverso, siete più sentimentali» ribatte papà. «A noi uomini il sesso può bastare. Michele! Non ti vergognare! Sono cose sane e naturali.» Mi ammonisce, alzando appena appena il volume della voce. Vorrei mettere le mani sulle orecchie, ma rimango immobile.

Non è la prima volta che mi parla con tanta leggerezza di argomenti simili, mi ci sono quasi abituato. Quasi. Ricordo ancora l'imbarazzo della prima volta. Avevo quattordici anni, e di punto in bianco, durante una cena, papà, con la massima naturalezza, ha cominciato a dire cose del tipo: sicuramente avrai cominciato a sperimentare con la tua sessualità,  è una cosa sana e naturale, tutti i ragazzi della tua età lo fanno, fa bene alla salute se fatto con moderazione, ti consiglio di farlo regolarmente, ma non più di due o tre volte al mese in periodo di torneo. Ho ascoltato senza batter ciglio, ma avrei voluto sprofondare nella sedia. E da quel giorno, ne parla ogni volta che pensa ci sia qualcosa che non va. Se mi vede stanco mi chiede se mi sono masturbato troppo. Se mi vede nervoso, mi invita a farlo.

Ma non aveva mai sollevato l'argomento davanti alla zia!

«Ha ragione a vergognarsi» dice proprio zia Elena, in mia difesa. «Non dovresti parlare così alla leggera di questioni intime.»

Voglio andare via. Basta, per favore. Che imbarazzo!

«Ci sono ben altre cose di cui ti dovresti vergognare» dice papà guardandomi coi suoi occhi sottili e accusatori. La voce gli trema leggermente. È un brutto segno. Significa che è davvero arrabbiato.

Del mio sfogo di rabbia, dico. Avrei dovuto controllarmi, lo so.

«Non solo» ribatte. «Di quello che hai fatto per sedurlo.»

Spalanco gli occhi: sedurlo? Io?

Mi indico, ma non faccio in tempo a ribattere alcunché, papà prosegue. «Sì, tu, cretino! Cosa gli hai detto? Ti sei mostrato amichevole? Gli hai fatto credere che ci stavi?»

Scuoto la testa: no! Dico, indugiando sulla N. Ha fatto tutto lui. Non so perché se l'è messo in testa.

«Sei un ingenuo. Probabilmente l'hai fatto senza rendertene conto.»

Provo a insistere: Reshetnikov è stupido, invadente, insensibile e molesto. Ha fatto tutto lui, ci ha provato, sì, ma io non gli ho dato corda nemmeno per un istante.

Non riesco a dire tutto, mi fermo a "ci ha provato" perché papà mi interrompe di nuovo. «Smettila di giustificarti. Ti conosco» dice. Fa un'espressione delusa che mi riempie di vergogna e dispiacere. «E so quanto sei incapace a farti capire. È stata sicuramente colpa tua.» Scrolla la testa. «Non voglio neanche immaginare le cazzate che devi aver detto per fargli credere che può approfittarsi di te...»

Papà ha ragione.

Io non so comunicare con le persone. Ho sicuramente sbagliato qualcosa.

Mi sento così stupido. Talmente stupido che un conato nervoso mi stringe lo stomaco. 

Lo trattengo a fatica.

***

Note note note

E siamo arrivati al primo capitolo veramente inedito. Un bel coming out! Che ne pensate? Non sarà all'altezza di quelli di Claudio, ma... non era male, dai. E che ne pensate del padre di Michele che consiglia al figlio di masturbarsi regolarmente? No, non è una famiglia normale.

Conosciamo anche Sara, la bassotta a pelo ruvido di Michele che ha e avrà un ruolo importante nella sua vita. Eccola qui! Non è simpatica con quei baffoni da distinto signore? 😍

*Miniglossario tennistico del capitolo*

"il suo dritto è in realtà una specie di secondo rovescio": Per il gioco di Ivan, mi sono ispirata allo stile unico e inimitabile di una tennista taiwanese, Su Wei Hsieh. Se volete farvi un'idea, vi metto un video coi suoi colpi più divertenti. È uno spettacolo UNICO, e lei è adorabile. Gioca in modo talmente strambo che credo persino qualcuno che non segue il tennis possa vedere l'assurdità nei suoi colpi e nelle sue tattiche. È un gioco, confesso, estremamente difficile da immaginare al maschile... ma volevo che Vanja fosse unico, e lei è il giocatore, maschio o femmina, più unico e inimitabile che mi viene in mente. Immaginatela maschio, più potente, più veloce e con una straordinaria capacità di difesa... e avrete Vanja :-)

https://youtu.be/Fx8r3f4ecLE

Un po' di pausa, stavolta. Il prossimo capitolo arriva venerdì! Cari saluti a tutti e non dimenticate la stellina!

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