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29. Vincerò gli US Open

«Raffaele ha t-t-tentato il suicidio» aggiungo. 

Resto immobile, nonostante papà mi stia tirando per il braccio.

Papà chiude gli occhi. Fa un respiro. «E a me e a te perché dovrebbe fregarcene qualcosa? E cosa dovremmo fare nello specifico, di grazia?»

Reshetnikov cerca di intromettersi. «Misha, non...»

«Ancora questo nomignolo del cazzo?» sbotta papà. «Mio figlio si chiama Michele. È italiano, non russo.»

Reshetnikov fissa mio padre negli occhi per qualche secondo. «Se tuo figlio non vuole che lo chiamo Misha allora non lo chiamo.»

Spalanco gli occhi davanti alla sua faccia tosta: gli ho detto per mesi che voglio essere chiamato Michele e ho ceduto a questo nomignolo solo per esasperazione! Nemmeno a me piacciono i nomignoli. 

Ma non commento, anche perché papà ha già ricominciato a parlare. «Comunque, solo per curiosità, cos'ha fatto stavolta il coglione? Che cosa si è inventato per attirare l'attenzione?» Schiocca la lingua. «Cinquant'anni e la testa di un ragazzino di quindici...»

«Era ubriaco per strada. Non ho capito dove, a Piter. Ha rotto la bottiglia e si è tagliato wrists con... pezzi di vetro.» Ivan mima il gesto di tagliarsi i polsi, e due grosse lacrime strabordano fuori dai suoi occhi. Ricomincia a singhiozzare. «E poi l'hanno trovato con wrists tagliato e hanno portato in ospedale, e... e... ospedale ha chiamato me perché io ero suo emergency number, perché lui non ha famiglia, è solo...» Singhiozza ancora. «E io lasciato lui solo per un mese... tutta colpa mia...»

Rivedo nella mia testa la scena di Daria che abbraccia Ivan, e per un attimo vorrei abbracciarlo io stesso, per consolarlo, cercare di farlo smettere di piangere.

Non so perché mi è venuto questo impulso. Mi è già passato. Non faccio niente. 

È papà a fare qualcosa, una cosa che non mi aspettavo. Si avvicina a Ivan e gli mette una mano sulla spalla. Anche Andrej sembra stupito dal gesto, lo fissa alzando le sopracciglia. Povero Andrej, non credo stia capendo molto di questa conversazione.

«Ivan, ascolta» dice papà quasi sottovoce. «Ascolta il consiglio di una persona più vecchia di te, con più esperienza di te e che a Raffaele lo conosce centomila volte meglio di te: non ne vale la pena di soffrire per lui.»

Ivan tira su col naso e si asciuga gli occhi col dorso della mano. «Tu hai soffrito tanto per lui, vero?»

So che è fuori luogo, e che fino a pochi istanti fa vederlo piangere mi causava pena, ma la parola "soffrito" mi fa scappare una risatina.

Papà mi lancia uno sguardo arrabbiato, Ivan uno incuriosito.

Cerco di spiegarmi. «S-soffritto è olio c-con cipolla. Oil and onion. On the stove.» Poi imito il gesto di mescolare con un cucchiaio e faccio con la bocca il rumorino della cipolla che soffrigge, o almeno ci provo, e Ivan si mette a ridere, mentre Andrej commenta, serio: «Sembra delizioso. Ma di cosa diavolo state parlando?»

Ivan si asciuga gli occhi con le dita. «Oh, Misha, hai visto? Hai riuscito di fammi ridere!»

«Hai fa-faaaatto tutto da solo» gli faccio notare.

Chi non si sta divertendo affatto è papà, che guarda alternativamente me e Ivan scuotendo la testa con disprezzo. «Siete in confidenza, vedo...»

Il sorriso di Ivan si smorza. È ancora triste, sotto il sorriso. Come potrebbe non esserlo? Sono triste anch'io. «Qual è parola giusta?» mi chiede.

«S-s-sofferto» dico.

«Sofferto» ripete lui. Poi guarda papà, serio. «Tu hai sofferto tanto per Raffaele?»

Papà stringe le labbra. «Io ho provato a tirarlo fuori, sai?»

«Lo so. Lui mi ha parlato di te. Mi ha detto che tu hai salvato la sua vita.»

Papà fa una smorfia di scherno. «E che altre cazzate ti ha raccontato?»

«Niente. Non ha mai voluto dire. Ha detto solo che tu sei una persona buona, che eri suo migliore amico e che hai salvato la vita a lui.»

Sono stupito. Quante cose Ivan sa di mio padre e di Raffaele? Quante non ne dice?

Papà alza le spalle. Sembra un po' a disagio, ma continua a parlare. «Come ti ho detto, ho provato a tirarlo fuori. A farlo disintossicare. E pensavo di esserci riuscito.» Fa una smorfia sofferente. «E lui te lo fa credere, sai? Ti illude! Ah, ti prometto, Nic, da oggi sono un uomo nuovo. Non mi drogherò mai più.» Batte il piede a terra. «Cazzate! Solo cazzate! Non è cambiato quando aveva ventitré anni, non cambierà adesso che ne ha cinquanta.»

Ivan sta di nuovo piangendo.

«Cosa vorresti fare? Come pensi di salvarlo?» Papà si rivolge a me. «Come pensate di salvarlo?»

«Misha non c'entra.»

«Ivan v-vuole pagargli un ricovero in uuuuna d-delle migliori cliniche di riabi-bilitazione del mondo. Ma non ha i soldi. Quindi gliela p-p-p-pago io. Gli serviranno c-circa ce-ceeentomila euro.»

«Hah!» Papà batte le mani e fa una breve strana risata, una reazione davvero insolita per lui. Poi si fa improvvisamente serio. «No.»

Mi ci vuole tutto il coraggio che ho per ribattere: Sì. Ripeto la S forse una decina di volte.

Papà non dice niente. Mi fissa. Mi fissa e basta, con un'espressione grave e delusa, come fa spesso per farmi capire che sto sbagliando.

Di solito funziona e obbedisco a ciò che mi chiede. Ma di solito sono d'accordo con lui, vedo il mio errore, la mia stupidità.

Oggi no. Oggi ho ragione io.

«S-sono soldi miei. Lo pago io.»

Papà alza le sopracciglia. «Sono soldi tuoi?» Sillaba molto lentamente.

Annuisco. «Li hai s-s-sempre gestiti tu. Ma li ho guadagnati io.»

«Ma li gestisco io. E mi sembra che fino a ora li ho gestiti molto bene. Li ho reinvestiti tutti nella tua carriera. E sta funzionando.»

«N-non li hai reinvestiti t-t-tutti. Prendo circa c-c-cinque milioni all'anno in sponsor e...»

«Ti ricordo che Nike e Barilla ti hanno mollato...» mi interrompe papà.

Scrollo le spalle. «Ok, q-quanti ne p-prendo adesso? Tre? D-due? Sono c-comunque tanti, e ho g-guadagnato qu-quindici milioni in carreer prize money. E sto per guadagnare t-tre m-m-milioni e m-mezzo di dollari qui agli US Open.»

«Hai intenzione di vincere?» dice mio padre.

«Sì» dico. E non sono mai stato tanto convinto in vita mia. «Vincerò gli US Open.»

Ivan mi guarda a bocca aperta.

Andrej alza un sopracciglio. «Ho capito bene? Hai detto che vincerai gli US Open?»

«Yes!»

Solo in quel momento mi accorgo che ci sono altri tennisti, nella sala. E mi guardano tutti. Michele Bressan il malato di mente, il maniaco dell'igiene, quello coi problemi. Sono sicuro che lo pensano.

Ma non mi interessa. Guardo tutti a testa alta. «I wwwwill win the US Open.»

In un angolo della stanza c'è Molina, che è ovviamente il favorito, essendo il numero uno. Mi guarda serio per qualche secondo, non è uno che interagisce molto. Poi si limita ad alzare un sopracciglio e ricomincia a fare l'esercizio cardiocircolatorio che stava facendo.

«Ok» dice papà alzando le mani. «Se vinci gli US Open, coi soldi che ti daranno, tolte spese e tasse, puoi farci quello che vuoi. Anche pagare la clinica a quel caso umano disperato di Raffaele Novelli.»

«Lo fai davvero, Misha?» mi chiede Ivan con gli occhi colmi di lacrime e speranza. Nadezhda.

«Sì. Lo faccio.»

Vincerò gli US Open.

E pagherò la clinica a Raffaele.

Note note note

Anvedi Misha come si ribella! E Nic cede. Come andrà secondo voi? Li vincerà questi US Open? La pagherà 'sta clinica a Raffaele? Ci vorrà un po' per saperlo.

Nota di servizio: in caso non l'abbiate ancora vista, nella raccolta "L'Ultimo Desiderio extra" ho pubblicato una fanart, un bellissimo aesthetic dedicato a L'ultimo Desiderio realizzato da stormofstars7. È l'ultimo capitolo pubblicato. Andate a darci un'occhiata e fate i complimenti all'artista :)

Intanto vi saluto, ci rileggiamo lunedì, e innescate tante reazioni di fusione nucleare per accendere un firmamento di stelline!

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