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2. Misha

Disprezzo mio fratello Daniele. Ma il mio sorriso, mentre siedo a tavola con lui, è più cordiale e allegro che mai.

Lo disprezzo perché è un tennista fallito, uno scansafatiche rinunciatario che si appoggia a me per cercare di reinventarsi una carriera da doppista. 

Già. Nonostante io sia quinto nel ranking di singolare, papà mi costringe a giocare il doppio con lui. Dice che mi serve da allenamento per migliorare il mio gioco a rete. Zia Elena, invece, sostiene che serva a consolidare la mia immagine di bravo fratello e di famiglia unita nella passione per il tennis. 

È quest'ultimo il motivo per cui sto sorridendo. In questa sala ci sono troppe persone, non posso permettermi di esprimere con sincerità le mie emozioni. L'immagine è tutto, diceva Agassi. Lo dice sempre anche zia Elena, ha un poster nel suo ufficio.

Daniele ha venticinque anni, e in singolare viaggia intorno alla trecentesima posizione (non so e non voglio sapere la posizione esatta, non mi curo della sua non-carriera). Per ora anche in doppio sta ottenendo risultati mediocri e lui ovviamente dà la colpa a me. Peccato che i turni di battuta in cui ci fanno break siano sempre i suoi, perché ha un servizio lento e prevedibile. Io do sempre il massimo, quando scendo in campo. Sempre. Anche quando gioco lo stupido doppio.

«Vedi di impegnarti, oggi, e non farmi fare anche a me la figura di merda che hai fatto ieri» mi dice, visibilmente seccato.

Gli lancio una rapidissima occhiata da cui spero traspaia tutta la mia disapprovazione, ma in pochi secondi il mio viso è di nuovo sereno, perché con la coda dell'occhio ho visto arrivare il cameriere con la mia colazione: centocinquanta grammi di salmone cotto al vapore, ottanta grammi di riso integrale condito con un filo d'olio extravergine, e un'arancia. Ringrazio il cameriere con un cenno della testa e un sorriso.

Siamo nella sala da pranzo dell'hotel. Preferisco sempre fare colazione qui e non nella mensa atleti: l'atmosfera è più rilassata e la mia colazione è talmente semplice che non ho bisogno di uno chef specialista per farmela preparare.

Daniele, da bravo cialtrone, fa colazione con doppia brioche alla crema e caffè zuccherato. E poi ha il coraggio di dare la colpa a me se non riesce a combinare niente. Come fa ad allenarsi con solo zuccheri in corpo? Non glielo chiedo, perché ho già fatto questo errore una volta. Fa bene assumere carboidrati di mattina, mi risponderebbe, il corpo ha bisogno di energia. La verità è che preferisce dare ascolto alla sua pancia, piuttosto che ai nutrizionisti. Quei due chili di maniglie ai fianchi dovrebbero fargli sospettare che sta sbagliando qualcosa, ma no, lui continua con i suoi cornetti alla crema e i suoi centoventi grammi di pasta a pranzo e a cena.

«Ieri ti sei fatto proprio eliminare come un mona!» Ride. «Ah, perché non mi sono qualificato anch'io per il singolo? Cazzo, avrei potuto fare un turno più di te...»

Cerco di ricordargli che si è qualificato a uno slam solo una volta in tutta la sua vita e non ha passato il primo turno, ma Daniele si annoia sempre a sentirmi balbettare e interrompe la mia frase a metà, intuendo cosa voglio dire.

«Roland Garros 2013...» sospira, con un'ombra di malinconia negli occhi.

Non ha il diritto di essere nostalgico. Se ci avesse messo la metà dell'impegno che ci metto io sarebbe stato almeno un top 50 e gli Slam, i quattro tornei più importanti e prestigiosi dell'anno, se li sarebbe fatti sempre, perché i primi centoquattro giocatori della classifica si qualificano di diritto agli Slam.

Daniele alza le spalle, come per scrollarsi di dosso i ricordi. «Ma senti un po', cosa ti ha detto ieri il russo all'orecchio? Perché non me lo vuoi dire?» Si lancia l'ultimo pezzo di brioche in bocca. Ha la bocca sottile e dura di papà. La mia è più carnosa, come quella della mamma. Anche i miei occhi sono uguali a quelli della mamma, castano scuro e grandi, mentre quelli di Daniele sono sottili come quelli di papà e di un colore nocciola chiaro. Per il resto ci somigliamo abbastanza: entrambi abbiamo una simile forma del viso, squadrata, il naso un po' grosso, sopracciglia folte, e i capelli castani, che io porto tagliati corti e sempre ben pettinati, mentre lui sfoggia dei riccioli disordinati che gli coprono collo e orecchie. 

Faccio l'ennesimo falso sorriso e scuoto la testa. Non voglio rispondere.

«Cos'è, ti vergogni? Ti ha preso in giro perché b-b-ba-ba-ba...» Ridacchia.

Fingo di ridere anch'io, ma stringo la tovaglia per trattenere il manrovescio che mi stava per partire.

«Ti leggo negli occhi che vuoi uccidermi, cojòn» dice lui sottovoce. «Non sei un bravo attore.» Lui indossa un sorriso che, se non lo conoscessi, mi sembrerebbe il più sincero e affettuoso del mondo.

Continuo a ridacchiare, scuotendo la testa, come se mi avesse appena detto qualcosa di molto divertente.

Daniele finisce il caffè in poche sorsate e si alza bruscamente. «Bon. Ti lascio da solo, contento?» Sempre col sorriso.

Certo che sono contento. Posso finalmente godermi la mia colazione senza discorsi irritanti di sottofondo e senza dover fingere allegria.

Mangio in pace per qualche minuto.

C'è molta gente, nella grande sala luminosa dell'hotel, ma pochi tennisti. Anche se alloggiano quasi tutti qui, molti di loro mangiano in mensa. Alla mia destra ci sono gli Zadorov, i due fratelli tedeschi di origine russa, insieme al loro staff. Misha, trentaduenne, è un tennista mediocre che da un paio d'anni vivacchia in top 100. Grisha, invece, ha appena un anno più di me ed è in top 30. È in rampa di lancio, e non mi stupirebbe affatto vederlo a Londra alle Finals, a novembre, il torneo riservato ai migliori otto tennisti del mondo.

Chissà se anche loro due si odiano come me e Daniele. Chissà se Misha è invidioso di Grisha, come Daniele è invidioso di me.

Qualche tavolo in là, un po' più vicino alle finestre, c'è anche la numero tre del mondo, Adelaide Kahn. Mattinata di tedeschi. Parlano tutti piano, e il brusio di sottofondo è gradevole. Finché, all'improvviso, sento alle spalle un grido sguaiato: «Hey, Misha!»

Vedo lo Zadorov maggiore voltarsi con un'espressione stranita. Deve essere qualche ricco turista maleducato che vuole farsi una foto con lui. Chissà come mai con lui e non col fratello, che è più famoso.

«Hey! What's up?» Sento dei colpetti sulla spalla. 

Ah, quindi il ricco turista ce l'aveva con me. E mi ha scambiato per Misha Zadorov? O forse per Grisha e si ricorda male il nome?

Mi giro cercando di esprimere disappunto, ma senza intenti rissosi (sono un bravo ragazzo).

Reshetnikov.

Sorride. Col suo dente storto. 

E che pugno nell'occhio quei capelli verdi!

Con una mano tiene in equilibrio un vassoio, con l'altra si toglie due grosse cuffie dalle orecchie e le mette al collo. Sento musica distante provenire dagli altoparlanti.

Lascio che gli intenti rissosi mi deformino l'espressione facciale. Con lui non devo trattenermi. Non voglio trattenermi. Non mi interessa cosa potrebbe pensare un eventuale osservatore.

«Good morning, Misha!» dice allegro, sedendosi al mio tavolo.

Sono senza parole. Lo sarei anche se non fossi balbuziente. Cosa vuole da me, adesso? E perché mi chiama Misha? Non mi chiamo Misha! Si tratta forse di una forma di insulto? Una cosa sul genere: sei un tennista talmente inutile che nemmeno mi ricordo come ti chiami?

«È libero?» chiede, dopo essersi seduto. In italiano. Di nuovo. Conosce l'italiano? O sa solo qualche frase? Sposta i resti della colazione di Daniele e appoggia il suo vassoio. Tira fuori dalla tasca il cellulare e la musica che proveniva dalle cuffie si spegne.

Chi gli ha detto che può sedersi qui?

«Eeeew!» Guarda schifato nel mio piatto: «Cosa mangia? Cibo ospedale?» Ha un fortissimo accento russo.

Lui sul suo vassoio ha un toast al prosciutto, caffè, succo d'arancia e una fetta di torta al cioccolato.

Cibo sano, gli rispondo serio, balbettando appena.

Ma me ne pento immediatamente. Non avrei dovuto rispondergli. Avrei dovuto ignorarlo. Perché ho sentito il bisogno di rispondere?

«Anche mio cibo sano! Guarda!» dice sollevando il pane e indicando il prosciutto. «Proteina,» poi indica il pane, «carbo,» indica il succo, «vitamina,» e infine indica la torta con entrambe le mani e un'espressione trionfante: «e felicittà!» Lo pronuncia con due t. Poi, con un sorrisetto allegro, affonda la forchetta nella torta.

Sta mangiando.

Si è seduto al mio tavolo e sta mangiando.

Devo dire qualcosa. Devo mandarlo via.

Facendomi forza per superare gli inciampi e le esitazioni riesco a chiedergli se ha un suo tavolo.

«Da,» risponde, «ma mio fratello dorme e mio coach in hangover...» Fa uno strano gesto, si dà dei colpetti sotto al mento, con l'indice. «E io sono solo solino.» Fa una smorfia triste e dà un morso al toast.

Lo fisso incredulo. Lui nota il mio sguardo, rotea gli occhi, sorride, mette una mano davanti alla bocca e parla masticando. «Fì, lo fo cofa in tua tefta ora» dice. Inghiotte ciò che ha in bocca. «Come mai questo russo parla italiano? Mio coach italiano!» Porta un dito al mento, come se riflettesse. «Il mio coach. Lui parla russo orribile, allora io chiesto lui di imparare italiano, così parlo con Misha, gli ho detto. Sono tuo big fan! E lui mi impara. Si chiama Raffaele Novelli. Ex tennista. Conosci? Lui mi dice che conosce bene tuo papa.»

Ah quindi ha un coach? Ci eravamo informati, quando abbiamo preparato il match, e non ci risultava avesse un allenatore. Infatti non c'era nessuno nel suo box, durante l'incontro.

Raffaele Novelli... Il nome non mi è nuovo, ma non ricordo dove e quando l'ho sentito. Il cretino ha appena detto che papà lo conosce, forse l'ho sentito nominare da lui, qualche volta.

Ma non mi interessa. Con quei colpi orrendi che ha insegnato a Reshetnikov, deve per forza essere un allenatore scarso.

«Lui maestro in mio circolo, in Sankt-Peterburg!»

Ah, ecco perché gioca così male: il suo coach è uno stupido maestro di circolo.

Comunque, perché continua a parlarmi? Perché rimane seduto qui? Dopo avermi battuto e insultato? Spera di spingermi a reagire? Forse è un tipo rissoso e vuole fare a botte. Forse spera che i giornalisti presenti in hotel filmino qualcosa. Non ci deve sperare, non filmeranno niente. Chiunque si azzardasse a filmare un giocatore nelle aree private si vedrebbe il pass stampa revocato a vita. Ma lui è un dilettante, queste cose non le sa.

Alla fine, facendomi coraggio, gli chiedo cosa vuole da me.

«I like you» risponde lui, in inglese. È ha la sfrontatezza di sorridermi.

Continua a provocarmi.

«Why?» gli chiedo. Lo dico con sicurezza, certo di non balbettare. È una parola semplice, vocalica. Come vorrei che tutte le parole fossero così semplici da pronunciare.

Lui sbatte le palpebre rapidamente un paio di volte. Ha gli occhi sgranati. Sono chiari da far spavento. «Why cosa?»

Gli chiedo cosa spera di ottenere provocandomi.

«Io non ti provoca. Cosa dici? Mi piaci, voglio conoscere te!»

Gli ricordo che ieri mi ha insultato, gli chiedo con che coraggio viene a parlarmi. Credo di non aver mai balbettato tanto in vita mia. Sto pronunciando troppe frasi, troppe domande. Mi aspetto che mi interrompa da un momento all'altro, ma non lo fa. Non lo fa mai.

Reshetnikov mette le mani avanti. «Quando? Quando io ho insultato a te?»

Sembra talmente sincero, nella sua perplessità, che non capisco. Mi sta prendendo in giro o stamattina è caduto dal letto, ha sbattuto la testa e ha dimenticato quello che mi ha detto ieri a fine match?

Ho la sensazione che con le sue domande mi stia guidando in una trappola, nell'ennesima presa in giro, ma ormai non avrebbe senso interrompere il discorso, quindi, tra un balbettio e l'altro, gli ripeto l'insulto: vai a farti fottere.

Sorride. «Niet» dice. «No. Io non ho detto vai a farti fottere. Io ho detto: ti voglio fottere, mooolto differente. Molto. Tanto.»

Non mi sembra ci sia tutta questa graaaaande differenza tra vai a farti fottere e voglio fotterti. Devo cercare le sottigliezze di significato negli insulti, adesso? Non dico nulla di quello che penso, mi limito a scuotere la testa e a guardarlo cercando di fare un'espressione interrogativa.

Lui sospira. «Forse è uscito male, tu hai ragione. Sai adrenalina, eccitazione fine match, tutta quella roba lì... Ma non volevo quello insulto. Cioè, nu... non volevo insultare, ok? I didn't mean to insult.» Poi si ficca in bocca l'ennesimo pezzo di toast.

Continuo a non capire. Come può non essere un insulto una frase del genere? Mi sento a disagio, più che arrabbiato, ora. Non sono abituato a dialogare, in particolare con persone più o meno della mia età, perciò fatico a capire il sarcasmo e le prese in giro. Non sono abbastanza allenato. Ma sono certo che si tratti di una qualche forma, per me incomprensibile, di scherzo cattivo.

Non avrei dovuto parlare con lui. Mi sono lasciato trascinare, mi sono reso ridicolo con la mia balbuzie e con la mia inettitudine sociale.

Perché non se ne va? Perché non mi lascia semplicemente in pace?

Lui mi guarda masticando e scuote la testa.

Borbotta qualcosa in russo subito dopo aver ingoiato il boccone. «Ti ho già detto. Mi piaci, Misha. Mi piaci come gioca. Sei intresting... interessante. E last but not least sei figo. You're hot» dice con l'aria di chi sta sottolineando l'ovvio.

Io... lui... cosa?

Bene. Sono contento che abbia aggiunto questa specificazione, e per giunta confondendo di nuovo il mio nome con quello di Zadorov. Perché ora sono certo che si tratti di una presa in giro. La rabbia si sostituisce di nuovo al disagio e gli intimo di mostrare un po' di rispetto.

«R-r-r-r-re-re-respect?» mi chiede, imitando la mia balbuzie. Poi ride. «Respect, yo! You have some talent for beat, man! Dovresti fare rap! Quando smetti tennis, devi incominciare a fare rap.» E così dicendo, si mette a improvvisare un ritmo orrendo fatto di cacofonie vocali. Sembra si stia divertendo, e mi guarda sorridendo, come se dovessi divertirmi anch'io.

Mi sta di nuovo prendendo in giro per la balbuzie, non ci posso credere. Ha diciassette anni, ma come età mentale credo non superi i sette.

«Non ti piace rap?» mi chiede, forse notando la mia faccia disgustata. «Anche io non piacevo, poi ho trovato belli gruppi, hip hop, se vuoi ti passo playlist.»

Mi alzo in piedi, cerco con lo sguardo un tavolo libero e glielo indico.

«Cosa?» mi chiede lui, perplesso.

Noto con la coda dell'occhio qualcuno che si alza da un altro tavolo, gli indico anche quello.

Mi guarda con un sorrisetto. «Sai cosa puoi fare, anche, quando smetti tennis? Hostess su aereo!» Poi si alza anche lui e imita un avviso sonoro con la bocca. «Ladies and gentlemen, the emergency exits on the aircraft are located there, there and there!» dice imitando i miei gesti.

Non riesco a trattenermi dall'esclamare la mia incredulità. Non posso credere che tu mi stia prendendo in giro per la mia balbuzie, cerco di dirgli. Ma sono talmente agitato e arrabbiato, che non supero la p di prendendo. Non riesco più a parlare, ho la lingua annodata e il respiro mozzo. Mi siedo di nuovo, sconfitto. Che mi prenda pure in giro. Che ridere!

Invece mi guarda con aria interlocutoria e mi fa un cenno con la testa come per invitarmi a finire la frase.

Forse sto commettendo un errore, ma decido di accettare il suo invito. Respiro. E ci riprovo. E tra qualche esitazione, ma meno di quante pensavo, riesco a finirla.

«Ti offende per mie battute? Ti offende scherzo?» mi chiede, serio.

Gli dico che l'ultima volta che qualcuno ha scherzato sulla mia balbuzie è stato quando andavo in prima elementare. First grade, lo ripeto in inglese, perché penso che forse non sa cosa sia, la prima elementare.

Fa una smorfia che sembra sinceramente dispiaciuta. «Oh, mi dispiace. Quindi... quella è stata ultima volta che...» Fa un respiro. «Scusa, vado lento con frasi difficile... quella è stata l'ultima volta che qualcuno era sincero con te? Mi dispiace tanto.» E con un ultimo boccone finisce il suo toast.

Sincerità? Cosa c'entra la sincerità con i suoi scherzi infantili e crudeli?

Parlare con gli sconosciuti è sempre difficile, per me, ma questo Reshetnikov è la persona più incomprensibile con cui abbia mai avuto a che fare. Non riesco a capire i suoi discorsi e non riesco a capire le sue motivazioni.

«Ascolta, Misha. Io scherzo, ok? Io amo scherzi, prese in giro. Scherzo sempre.» Scherzare su tutto è una giustificazione, secondo lui? «E scherzare su problemi è modo bello per... take it easy con problemi. Scherza anche tu di me! Mio italiano orribile! Il mio italiano, vedi? Dimentico sempre il, lo, gli... Raf mi dice sempre che sembro russo stereotìpo di film brutti che parla senza... articoli! Ecco come si chiama. Articoli. Scherza anche tu, da? Così si fa, tra gli amici.»

Non è una cosa su cui scherzare, la balbuzie. È un problema che non posso risolvere. È un problema che non so neanche da che parte cominciare ad affrontare. Non gli dico tutto questo, gli faccio un riassunto del concetto in tre parole: non è facile.

«Nu, e quindi non posso scherzare? Non devo parlare di tua balbuzia e poi così forse tu dimentica che balbuzi e sei felice?» Scuote la testa. «Non ti piace... come si dice... sincero... honesty?»

Ne fa davvero una questione di sincerità, incredibile. Sta cercando di fare la figura del buono. La frustrazione di non poter dirgli tutto d'un fiato cosa penso di lui mi fa prudere le mani.

«Nessuno parla della tua balbuzia, da?» continua lui, e sembra quasi indignato. E perché dovrebbero parlare della mia balbuzie, vorrei chiedergli, ma lo lascio continuare.

«Fai tuoi bellissimi discorsi in sign language, e tutti batte le mani. Bravo! Ma sono solo stronzi... come si dice... hypocrites, stronzi ipocritici, che ha paura di parlare con te, che ti fa grande sorriso quando balbuzi, e pensa che sono le persone più buone del mondo perché non ti scherza e non ti ride e non ti... come dici... prende in giro, da? Am I right?»

E lui cosa ne sa di quel che pensa la gente di me?

«Ti fa congratulazione perché sei numero cinque, e hai solo diciannove anni, e giochi tanto bene, e hai il rovescio a una mano meglio di Straussler, e poi, quando ti giri, sai cosa ti chiama? Bressan numero cinque? Bressan rovescio a una mano? Bressan the next-gen wonder? No. Ti chiama: Bressan the stuttering tennis player. Ecco cosa ti chiama, ecco cosa sei per tutti. That's what you'll always be. Understand it and live better.»

Sembra quasi indignato, mentre pronuncia queste parole.

Non vorrei dargli questa soddisfazione, ma il suo discorso mi colpisce. Come un calcio nei testicoli. Non so nemmeno io il motivo, perché non è vero.

Sì, esistono persone che pensano di me quello che dice, che mi vedono solo come Bressan il tennista balbuziente. Ma la gente mi stima per come gioco. Quando gioco si dimenticano del mio difetto, quando gioco mi ammirano perché sono bravo, e basta.

E vedremo, sbruffoncello, quando sarò numero uno. Vedremo quando avrò vinto tutti e quattro gli Slam completando il traguardo del career slam, cosa che farò al più presto. Vedremo quanta gente sarà rimasta a pensare a me come Bressan il tennista balbuziente. Gli farò cambiare idea, a tutti gli stupidi che pensano questo. E quanto a te, ti farò rimangiare le tue prese in giro.

Ma tutto questo rimane chiuso nella mia testa, perché ci impiegherei qualche ora a dirlo.

Reshetnikov affonda il suo dente storto nella torta al cioccolato, come se nulla fosse. «Ma io? No, io non ti chiamo quello. Chiamerò, futuro. Non ti chiamerò così. Io ti chiamerò sempre Misha. Ti piace Misha? È un nome che mi piace molto. È corto per Michail, Michele, in russo» mi dice con un sorriso che sembra quasi sincero.

Prende un tovagliolo e scrive dei caratteri in cirillico: Миша.

Misha, scrive accanto.

«Misha» ripete.

Quindi non stava sbagliando il mio nome.

«Misha il mio amico. Ti va? O Misha il mio boyfriend, anche meglio.» Ride. «Forse sono troppo sincero per te?»

Ho la ragazza, gli dico. Lo dico in inglese, visto che lui ha detto boyfriend.

Lui fa spallucce. «Tutti sa che model girlfriends sono beard girlfriends. Tutti sa che Anna è tua beard. Tutti dice, sai? In spogliatoio, tutti parla delle beard di tennisti gay. Anche della tua. Ma scommetto nessuno ha mai detto in faccia a te.»

Abbasso gli occhi non per imbarazzo, ma perché non ho più lo stomaco di guardarlo.

Davvero lo dicono? Davvero lo sanno? Conoscono la menzogna?

Anna è davvero la mia ragazza di copertura. Una volta mi ha praticato una fellatio, sì, ma era una circostanza strana, e non ho ben capito perché l'ha fatto, perché non è la mia ragazza. Non ci frequentiamo, non ci parliamo mai. È la mia "beard". 

Ma non per la ragione che pensa lui.

Io non sono gay. E non sono nemmeno etero. Io non sono niente. Non mi interessano i rapporti umani e nemmeno quelli sessuali. Mi interessa solo il tennis.

Ma zia Elena, la mia manager, pensa che non vada bene per la mia immagine che io sia single. Perciò insieme al mio agente, Fernando (un ex tennista amico di papà che ora gestisce una delle agenzie sportive più importanti del mondo), mi ha trovato una ragazza. Anna Rossetti. Una modella siciliana. Una ragazza bellissima con la bocca a forma di cuore. Ma non è la mia ragazza.

Guardo il mio piatto e mi rendo conto che non sono nemmeno a metà della mia colazione. È passato troppo tempo, da quando ho iniziato a mangiare, sento il bisogno urgente di lavarmi i denti.

Lancio un'occhiata fugace al piattino vuoto di Reshetnikov. Vuoto e sporco di cioccolato. Mi ripeto mentalmente che devo mangiare sano perché sono un atleta, ma in questo momento sono così nervoso che vorrei ingozzarmi con tutte le brioches del bouffet.

Ma non gli rispondo. Non solo perché faticherei a parlare. Non gli rispondo perché mi rendo conto che sarebbe fiato sprecato. Che pensi pure che sono gay, non mi interessa. Pensi pure tutto ciò che vuole, di me.

E mi rendo conto di aver fatto un errore madornale, a parlare con lui. Mi rendo conto anche che erano secoli che non parlavo così a lungo con qualcuno che non fosse del mio staff. Mi rendo conto che, forse, non l'avevo mai fatto in tutta la mia vita.

Quando rialzo gli occhi vedo che sta scrivendo qualcosa sullo stesso tovagliolo su cui aveva scritto Misha. Me lo porge.

C'è un'altra scritta in cirillico, con una freccia e la traduzione in caratteri latini: Bаня <-- Vanja. Cosa diavolo significa? E sotto c'è quello che ha tutta l'aria di essere un numero di telefono.

«Quello è mio numero!» mi conferma lui, allegro. «Chiama se vuoi fottere, o se vuoi uscire insieme, appuntamento, bere qualcosa. O se vuoi parlare. Non mi importa che balbuzi. O se vuoi giocare doppio con me! Io adoro doppio. Anche tu adori doppio, lo so. Ieri hai perso apposta, vero? Per giocare meglio su torneo di doppio!» Ride.

L'ultima provocazione è la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso.

Appallottolo il tovagliolo con gesti vistosi, assicurandomi che mi stia guardando. Mi alzo in piedi, lo butto a terra, lo calpesto con il piede. Punto un dito alla mia destra, non so se c'è l'uscita in quella direzione, ma io conosco il significato dei gesti, so cosa significa questo gesto. Lo sanno tutti. Significa: vattene.

Lui mi guarda. Socchiude un po' la bocca. Ha la bocca umida, carnosa, e quel dente storto che fa capolino. Con gli occhi fa un'espressione incerta, quasi pietosa.

«V-v-vaaaai v-via! B-b-b-bastardo!» grido, con tutto il fiato che ho in gola.

Tutta la sala si gira verso di me. Gli Zadorov, la Kahn, i giornalisti, i turisti. Tutti.

Mi guardano. E sembra quasi che stiano per ridere.

Lascio il mio salmone a metà sul tavolo e sono infine io, ad andarmene.

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Note note note

Idem come ieri, siccome le note sono lunghe e magari vi stufate subito e non le finite, ve lo ricordo subito: non dimenticate di lasciarmi una stellina se la storia vi sta piacendo!

E ora a noi: finalmente conosciamo di persona il nostro caro Ivan/Vanja! Allora? Che ne pensate? Sfrontatello il ragazzo, eh? Come proseguiranno le interazioni tra questi due, secondo voi?

Avrete notato che Vanja porta al collo due cuffie, e nello scorso capitolo aveva una maglietta degli AC/DC... Be', ecco che inizia a farsi strada il secondo elemento portante di questa storia: la musica! Se non lo sapevate, Vanja Reshetnikov ha un profilo Spotify e uno YouTube (doppione per chi non usa Spotify), dove ha caricato molte delle sue canzoni preferite raccolte in playlist... playlist che avranno una grande importanza nel corso della storia. Le liste sono tutt'ora in fase di sistemazione (alcune sono ancora mezze vuote, delle specie di segnalibri in attesa di riempimento), e in ogni capitolo futuro in cui troverete una playlist nominata, vi invito ad andare ad ascoltarla, se vi va. Trovate i link nei commenti qui a destra, consideratele delle specie di anteprime di cose che prima o poi accadranno :-)

E... lo sapete che Play è anche il titolo di una canzone? Ebbene sì, circa una settimana fa, andreafailla94, che ha letto e betato tutta la storia, mi ha fatto una bellissima sorpresa! Ha scritto una canzone dedicata a questo romanzo!

Non so se esiste qualcosa di più lusinghiero, per uno scrittore, di ispirare altre opere con la propria. Mi ha dato il permesso di condividere con voi il testo, e lo farò sicuramente un po' più avanti (voglio prima finire di mettere "tutta la carne al fuoco", come si suol dire). Intanto uso questo angolino per ringraziarlo e fangirlare un po' 😍

*Glossario russo*

Innanzitutto, una piccola precisazione sulle parole russe che troverete nella storia. A parte i rari casi in cui verranno scritte, saranno per lo più pronunciate dai vari personaggi russi (principalmente Ivan, suo fratello Andrej e Daria, che scoprirete più avanti chi è). Siccome il pov è di Michele, italiano che non parla il russo, ho scelto di renderle con la loro pronuncia. Quindi in questo capitolo avete visto dei "Niet" al posto di "Net", per il "no", perché Michele sente "Niet" (e non sa come si scrive), e un "Michail" al posto di "Mikhail" per rendere la pronuncia della particella "kh" che si pronuncia come una specie di "C" aspirata.

"Da e Nu": juiceissweet mi ha spiegato che non esistono intercalari più comuni, nella lingua russa. Il primo, come penso tutti sappiate, significa sì, il secondo è più interlocutorio, tipo un "bene", o "allora" (cara beta, bacchettami se ho capito male). Li troverete parecchio nel parlato di Vanja.

"Fa uno strano gesto, si dà dei colpetti sotto al mento, con l'indice...": di questo ho trovato una gif animata

È un gesto super-tipico che i russi fanno quando parlano di bere e alcolici. Lo ritroverete anche più avanti nella storia :-)

*Glossario tennistico*

"I turni di servizio in cui ci fanno Break": il break è un concetto fondamentale del tennis, un po' come il gol a calcio. Un break è un game vinto in risposta. Come (forse) saprete, a tennis i game o giochi di servizio sono alternati: servo io e rispondi tu, poi servi tu e rispondo io, e via così. Vince il set chi fa almeno due game più dell'avversario. È molto più facile vincere un game in servizio che in risposta (chi serve è avvantaggiato perché decide la strategia, e perché il servizio è un'arma potente). Se ognuno vincesse il proprio gioco di servizio, si arriverebbe a 6 pari e si dovrebbe giocare un "tie-break" (traduzione letterale: "spezza parità"), ossia un game veloce speciale di cui vi spiegherò il funzionamento più avanti. Ma è più comune che un game finisca 6-4 o 6-3, e cioè che uno dei due riesca a vincere almeno UN gioco in risposta. Cioè: servi tu, ma il game lo vinco io perché sono più bravo (ahah). Quello è un break. Ho letteralmente "spezzato" il servizio dell'avversario.

"Singolare e Doppio": Ebbene sì, il tennis si può giocare anche due contro due! Ve lo siete mai chiesto a cosa servono i due corridoi che percorrono a destra e sinistra il rettangolo di gioco del singolare? È il campo allargato che si usa nel doppio! 

Ogni torneo ha sia il tabellone di singolare che quello di doppio (e gli slam hanno anche il doppio misto, femmina+maschio VS femmina+maschio). Il doppio è considerato da gran parte dei tennisti uno sport minore. I top player di singolare, con rarissime eccezioni, hanno solitamente un ranking molto basso nel doppio, perché non lo giocano quasi mai. Se lo giocano i motivi possono essere: 1- vogliono allenarsi (è davvero un ottimo allenamento per il gioco di volo a rete, come dice Michele); 2- scopi promozionali (leggi: il torneo di turno li paga per iscriversi al tabellone di doppio e fare un po' di pubblicità alla disciplina che altrimenti non viene guardata praticamente da nessuno); 3- Olimpiadi o Coppa Davis: nelle competizioni nazionali è richiesto un po' di patrio sacrificio; 4- Esibizioni: quando si gioca per cazzeggiare e divertirsi, non c'è niente di più divertente di un bel doppio!

Ricordate che il prossimo capitolo arriva domani!

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