18. Come un ragazzino qualunque
Maledetto Reshetnikov.
Inaffidabile, sfaticato, codardo di un Reshetnikov!
Si è ritirato. A due ore dall'inizio del match!
Problemi al ginocchio. Patetico!
Io al posto suo avrei giocato. Avrei fatto qualche infiltrazione, mi sarei imbottito di antidolorifici e sarei sceso in campo.
Ma lui no. Figuriamoci! Ho capito che tipo è: un bamboccetto viziato. Raffaele ha detto che è uno che non si arrende mai. Ma solo ora capisco il senso di quella frase: non si arrende quando si tratta di rompere le scatole agli altri. Quando si tratta invece di fare un piccolo sacrificio personale, molla al primo dolorino. Uno con un atteggiamento simile non avrà mai una buona carriera. Ennesima conferma.
E così mi ritrovo oggi a giocare, senza essermi correttamente preparato, contro Paul Piotrowsky, ripescato al posto di Reshetnikov come lucky loser: tennisti che hanno perso all'ultimo turno di qualificazione che vengono sorteggiati e inseriti in tabellone quando qualcuno si ritira dal torneo all'ultimo momento.
E come se non bastasse sto perdendo.
«Time!»
Ci credo che sto perdendo. Sono due notti che praticamente non dormo. Per giunta, passo i cambi campo a pensare ai miei problemi, anziché a come raddrizzare questo match. Ho perso i primi due set, vinto il terzo, e nel terzo game del quarto set mi sono fatto fare break.
E invece di pensare a come fare controbreak penso a Reshetnikov.
Uno a due, serve Piotrowsky.
Concentrati, Michele!
Michele, non Misha. È il mio nome.
Perché sto pensando a quello stupido soprannome, adesso? Ecco che mi sfila accanto un servizio. Un ace.
«Fifteen love.»
Concentrati! Potrebbe essere una delle tue ultime occasioni di vincere qualcosa. Perché se avessi contratto una malattia da Anna... no, no, no! Non pensare ad Anna e alla sua vita sessuale promiscua. Il match.
Riesco a rispondere alla seconda. Un paio di scambi ed è una stecca a farmi perdere il punto.
«Thirty love.»
Oggi ho perso completamente il dritto, mi succede spesso quando mi innervosisco. Mi tolgo la gomma di bocca, la avvolgo nella carta argentata e la metto in tasca (destra).
Altri due punti molto rapidi e il game si conclude a zero per lui.
Uno a tre, tocca a me servire.
Adesso tiro un ace anch'io. Sulla T, l'incrocio centrale delle righe.
Lo faccio.
«Fifteen love.»
Hai l'incontro in pugno, Michele. Non è finito finché non è finito.
Camminiamo sul lato opposto del rettangolo. L'erba sotto i miei piedi è già consumata: siamo sul campo due.
La prima di servizio finisce in rete. Un respiro. Faccio una seconda in kick.
«Fifteen all.»
Sono un idiota. Perché ho fatto una seconda in kick? Avrei dovuto farla in slice! Il kick sull'erba salta pochissimo. Mi ha fatto una risposta vincente. Mi sono fatto fare una risposta vincente da questo scarsone, best ranking centoventi. Potrebbe passare il primo turno a uno slam a mie spese credo per la prima volta in vita sua. Cosa dirà la stampa? Bressan in crisi, esce al primo turno in due Slam successivi.
Doppio fallo.
«Fifteen thirty.»
Mormorii della folla. Certo che faccio doppio fallo, se penso a cosa scriveranno i giornali anziché concentrarmi sui colpi.
Dai, pensa all'incontro. Un punto alla volta.
Mi entra finalmente una prima, scambiamo sull'incrociato, Piotrowsky insiste sul mio dritto, perché oggi sto sbagliando tantissimo di dritto e lui, che sarà anche scarso ma non è scemo, l'ha capito. Rilassato, Michele, guarda la pallina, colpisci nello sweet spot. Io colpisco nello sweet spot, il centro del piatto corde, ma prendo la palla nel punto sbagliato della sua traiettoria di discesa e la butto in rete.
«Fifteen forty.»
Due break point. È finita. La mia carriera potrebbe essere finita.
Con quest'altro doppio fallo.
«Game Piotrowsky. Piotrowsky leads four games to one, two sets to one.»
Piotrowsky leads. Piotrowsky conduce. Che vergogna.
Vado a sedermi. La folla mormora sempre più rumorosamente.
Bevo il primo integratore.
Già immagino il titolo: Michele Bressan, una giovane carriera rovinata da una malattia sessualmente trasmissibile.
Due mesi. Dovrò stare due mesi con questo peso sul cuore. In attesa di un test che dia un responso negativo o positivo.
La zia, l'altra sera, quando gliel'ho raccontato, ha cercato di tranquillizzarmi. Mi ha detto che è improbabile contrarre una malattia con un solo rapporto. E le risulta che Anna avesse un partner fisso, cosa che riduce i rischi.
Improbabile, ma non impossibile.
Bevo il secondo integratore.
Il pericolo doping, invece, quello almeno l'ho scampato. Ieri mattina appena sveglio ho fatto un test privato, procuratomi da Ethan, (che per ora non ha detto nulla a papà) e sono risultato negativo alla cocaina. «Ma pensa un po'» ha commentato zia Elena coi risultati in mano. «Allora è vero che non l'hai presa. Credevo mi avessi raccontato la storia della contaminazione ambientale come scusa preventiva. Pensavo ne avessi presa un po' e ti fossi inventato una cazzata, tipo Gaillot quando aveva detto di avere cocaina in circolo perché aveva baciato una tipa che aveva sniffato.»
Due cose mi hanno stupito delle parole di zia Elena: la prima, e meno importante, è che anche lei come Anna non crede alla versione di Gaillot. Sono io a essere ingenuo o è davvero una scusa poco credibile?
La seconda e che abbia pensato che io avessi assunto di mia volontà della droga. Se l'ha pensato mi crede più debole e stupido di quanto non sia. È una cosa che non farei mai, nemmeno sotto tortura.
«Time!»
Prendo la gomma alla cannella, mentre mi alzo.
È di nuovo ora di giocare. Ma io non ce la faccio più. Vorrei solo scappare. E ibernarmi per i prossimi due mesi.
***
Ho preso un breadstick. Uno sei!
Ho perso 6(2)-7, 4-6, 7-5, 1-6.
Contro Paul Piotrowsky.
Non ho perso molti punti (avevo fatto solo due turni, qui, l'anno scorso), ma sto iniziando a essere preoccupato per la race to London, ossia i punti totali che avrò accumulato a fine anno e che mi consentiranno di accedere alle Finals di Londra. Ok, ho i mille punti di Madrid, i 500 di Acapulco (i miei due trofei dell'anno), i 360 punti dei quarti all'Australian Open e i 360 della semi a Roma. Al Sunshine Double non ho fatto molto bene: ottavi a Indian Wells e ho saltato Miami per un fastidio muscolare. Anche sul rosso non ho fatto granché, Madrid e Roma a parte (ma considero Roma una sconfitta, avrei voluto e dovuto vincerlo e fare doppietta con Madrid). Sono sesto, per ora. Ma per quanto?
Sto male. Mi sento così stupido.
***
Questa è la mia terza notte insonne. Mi dispiace soprattutto per Sara, che mi sente agitato e si agita anche lei. Salta costantemente su e giù dal letto, viene ad acciambellarsi accanto a me, la sua schiena contro la mia gamba, io l'accarezzo un po', poi mi rigiro nel letto perché comincio a stare scomodo e lei scende giù.
Avanti a ripetizione.
Stanotte, a tenermi sveglio, ci si mettono anche il dispiacere per la sconfitta e le parole amare di papà. Che è venuto a sapere della storia con Anna, ovviamente: lei ha rotto il fidanzamento di copertura e Fernando ha trascorso un'intera giornata a trattare con lei per evitare che vada a raccontare storie strane alla stampa. Anna aveva firmato un non disclosure agreement, prima che la nostra finta relazione cominciasse, ma non si può mai sapere. Per fortuna facciamo parte della stessa agenzia.
Anna ha raccontato a Fernando tutto ciò che è successo, dipingendomi come un "bambino pazzo isterico" (parole sue).
Fernando l'ha riferito a papà, che poi ha discusso anche con la zia e con Ethan dei test per le std e tra una cosa e l'altra papà è venuto a sapere anche del test antidoping.
Quest'ultimo aspetto si è rivelato inaspettatamente positivo: papà ha intenzione di usare il possesso di droga da parte di Anna come arma di ricatto, in caso a lei venisse in mente di dire qualcosa.
Prima di lasciarmi andare a (non) dormire, papà mi ha fatto un piccolo discorso.
«Michele» mi ha detto, «perché non hai usato il preservativo?»
Non gli ho davvero risposto. Gli ho detto che sono stato stupido.
«Ti ha convinto lei?» ha insistito lui.
Ho scosso la testa e gli ho detto che semplicemente non ci ho pensato.
«No. Tu hai pensato. Solo hai pensato con il cazzo anziché con la testa.»
A questo punto l'ho abbassata, la testa.
Ma papà mi ha rimproverato: «Guardami negli occhi quando parliamo. Ti vergogni?»
Allora l'ho rialzata, anche se il suo sguardo mi faceva male.
«Michele...» ha detto lui, e il suo tono era stranamente comprensivo. «Non siamo bestie. Siamo esseri dotati di raziocinio e autocontrollo. Non ti sto dicendo di non scopare. Hai diciannove anni, è normale che tu abbia voglia di scopare. Ma se decidi di farlo devi farlo con raziocinio.» Si è battuto un dito sulla tempia, stringendo le labbra. «Qualsiasi pulsione, qualsiasi desiderio può essere controllato. Pensi che io non l'abbia mai fatto? L'ho fatto. Non è difficile. Basta che ti ricordi che non sei una bestia, ma un essere umano. E non un essere umano qualunque! Sei il numero cinque del mondo!»
Numero sei, ora.
«E invece ti sei fatto abbindolare come un ragazzino qualunque...»
Ho annuito. Papà ha sempre ragione. Dovrei ascoltarlo di più.
«Non devi mai più rischiare di mettere incinta qualcuna, capito? Mai più!»
Questa frase mi ha stupito: era quella la sua preoccupazione principale? Non le malattie? Le malattie sembrano non preoccupare nessuno, solo me.
«Ti è andata di lusso con Anna, che la pillola la prende davvero! Sai quante ragazze ci sono, là fuori, che non aspettano altro che farsi mettere incinte da uno ricco e famoso?»
Gli ho chiesto perché qualcuna dovrebbe voler fare una cosa simile.
Papà ha scosso la testa. «Sei così ingenuo, Michele... Un figlio significa che sarebbero legate a te per sempre! Significa soldi senza lavorare e prime pagine sui giornali!»
Non avrei mai immaginato che potessero esistere persone disposte a generare un essere umano, con tutto il fardello che ciò comporta, per uno scopo simile. Ma ora che papà me l'ha detto... non mi sembra implausibile.
«Ricordati, Michele: tu hai il controllo. Tu! Col tuo cervello. Il controllo di te stesso, delle tue pulsioni, delle tue emozioni e dei tuoi sentimenti.»
C'era tristezza nei suoi occhi, forse delusione nei miei confronti? Mi ha guardato in silenzio per qualche secondo e si è alzato.
«Come un ragazzino qualunque...» ha borbottato andandosene.
Sara sale per l'ennesima volta sul letto, mentre ripenso alle parole di papà.
Non ne posso più. Che ore sono?
Prendo il cellulare dal comodino: l'una e dieci. Pensavo fosse più tardi.
Come un ragazzino qualunque.
Quanto ha ragione! Io penso sempre di essere speciale, ma in questi giorni mi sono comportato da ragazzino qualunque. Poco più che un adolescente, uno dei milioni di adolescenti con pensieri banali, problemi banali. Comportamenti banali. Gusti banali.
Sono triste e tormentato per colpa di una ragazza, in fondo i miei problemi possono essere ridotti a questo.
Sono il protagonista di una stupida canzone d'amore.
Le stupide canzoni di Reshetnikov.
Le canzoni che ti guardano dentro e ti parlano al cuore... com'è che aveva detto? Non ricordo più.
Cosa fanno le persone banali quando sono tristi? Credo proprio che ascoltino le loro banali canzoni.
Be', è quello che farò anch'io.
Ho gli auricolari di Reshetnikov.
Non so perché me li sono portati dietro. Non lo so davvero. Avrei dovuto lasciarli a Capriva, invece all'ultimo secondo li ho infilati in valigia, nascosti in mezzo ai vestiti.
Quando la valigia è passata sotto lo scanner in aeroporto ho avuto un momento di terrore, di paura che papà notasse la scatolina sotto i raggi X. Per fortuna papà si disinteressa sempre delle operazioni di carico e scarico bagagli, lascia tutto in mano a Rodolfo.
Mi faccio strada fino alla valigia aiutandomi con il bagliore del cellulare: non voglio che si veda luce filtrare sotto la porta. Stanno dormendo tutti, ma non si sa mai.
Trovo subito gli auricolari. Li indosso, sotto lo sguardo vigile di Sara che è scesa dal letto per curiosare cosa stessi facendo. Ho letto che i cani hanno una visione notturna molto migliore rispetto agli esseri umani.
Accedo a Spotify e scorro l'elenco delle playlist di Reshetnikov. Stasera sono una persona banale e questo è ciò che mi merito: lasciarmi andare a un piacere banale, a emozioni preconfezionate.
Cosa ascolta la gente banale quando è triste? Musica allegra, suppongo. Reshetnikov mi aveva consigliato quella playlist "che ti fa venire voglia di ballare", ma quelle canzoni non mi mettevano allegria.
Mi siedo sulla poltroncina accanto all'unica finestra della camera. Appena lo faccio i piedini di legno producono un rumore acuto strisciando a terra; è un suono debole, ma nel silenzio della notte sembra assordante.
Cerco di non preoccuparmene. La stanza accanto alla mia è quella di zia Elena, papà dorme in fondo al corridoio e ha il sonno pesante: non si accorgerà che sono ancora sveglio.
Forse Reshetnikov ha creato qualche playlist con la parola "felice" o "felicità" nel titolo. Digitando "happy" nel box di ricerca non appaiono playlist, ma qualche titolo di canzone.
La prima si intitola Happy, Pharrel Williams. Mi assicuro che gli auricolari siano connessi al telefono e premo play, proprio mentre Sara decide di acciambellarsi sotto di me. Le faccio il solletico al fianco con le dita dei piedi. Ascolto la canzone per mezzo minuto e decido che non mi piace. Questo tizio canta in falsetto, non mi piace il falsetto.
La seconda sembra proprio quello che fa per me. Si intitola Don't worry, be happy. Bobby McFerrin. Più esplicito di così. Premo di nuovo Play.
Parte la musica. Deve essere un pezzo famoso perché sono certo di averlo già sentito. Ha un ritmo rilassante, una melodia gradevole. Ma ascoltarlo mi lascia indifferente. Non mi mette allegria.
Provo il terzo. Happy together. The turtles. Il nome del gruppo è simpatico, forse è un gruppo che fa musica buffa.
E invece no. Mi sembra persino triste, lo interrompo quasi subito.
È evidente che procedendo a caso non troverò niente. Non so neanche cosa devo cercare!
Allora mi viene in mente una cosa che ha scritto Reshetnikov nella lettera che accompagnava questo iPod: "chiamami e chiedi consiglio a me".
Visualizzo il suo numero in rubrica. Non l'ho salvato per chiamarlo. L'ho fatto perché se lo sciagurato dovesse mai trovare il mio numero e decidere di chiamarmi, saprei che è lui e non risponderei.
Clicco sul numero e il mio telefono apre la sua scheda. Mi invita a chiamare. Perché lo sto facendo? Lui mi ha dato il suo numero perché vuole provarci con me. Ma a me lui non interessa, non dovrei chiamarlo.
Adesso però ha la ragazza. Daria. Quindi forse non è più interessato a me in quel senso. Quindi forse posso chiamarlo, non ci sarebbe nulla di male.
Il mio dito clicca la cornetta verde.
È martedì notte, starà dormendo.
Suona libero.
E stanno dormendo anche tutte le persone in questo appartamento, non posso parlare!
Continua a suonare libero!
Ma cosa diamine sto facendo? Sono impazzito?!
«Misha, sei tu?»
Mi sembra che il cuore mi esploda nel petto. Come ha fatto a capirlo?! Lui non ha il mio numero! O forse qualcuno gliel'ha dato?
Chiudo la chiamata senza dire niente.
Sono un vero cretino.
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Note note note ♫
Ommiodddioooh! Misha ha chiamato Vanja! Quale demone l'ha posseduto per spingerlo a compiere un passo tanto avventato? E adesso cosa succederà? Secondo voi può finire così?
Detto ciò, vi chiedo scusa per avervi ingannati nelle note dello scorso capitolo: vi invitavo a dare il pronostico di un incontro che già sapevo non si sarebbe giocato 😁
Dovremo aspettare ancora un po' per il rematch... e nel frattempo, vediamo se riusciamo a farli interagire in qualche altro modo.
Buon fine settimana a tutti, ci rileggiamo lunedì e... non scordate la stellina!
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