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131. Una nuova grammatica

Il sole è già basso all'orizzonte.

Tra pochi minuti usciremo, quando arriveremo al campo probabilmente starà tramontando.

Mi sono preparato.

Ho chiesto a Ivan mezz'ora di tempo da solo, per farlo. 

Per preparare le fragole ci ho messo solo cinque minuti. Le ho lavate sotto l'acqua corrente, asciugate per bene, ho tolto le foglie e le ho messe nei bicchieri di plastica – di plastica proprio come quella sera. Poi ho sigillato i bicchieri con della pellicola. La panna la aggiungerò quando arriviamo lì, se l'avessi messa prima, nel giro di cinque minuti si sarebbe formato un guazzo disgustoso.

Ciò che mi ha preso molto più tempo, più di quanto pensassi, è stata la ricerca delle parole. Mi sono fatto aiutare da Google, e ho incontrato difficoltà inaspettate.

Ma le ho trovate. Probabilmente sono un po' sbagliate. Ma non importa. Lui capirà. Sono sicuro che capirà.

Ci incamminiamo, ben caldi nei nostri giubbotti. Ivan ha una sciarpa rossa e una cuffia di lana dello stesso colore acceso. Io ho la sciarpa e la cuffia di Anna. La sciarpa azzurra dell'amicizia.

Ivan è impaziente. Ha capito che sto per dargli il famigerato regalo e non sta nella pelle: cammina saltellando, guarda il mio zaino ogni dieci secondi e ogni tanto fa dei sorrisetti tra sé e sé. 

Tutta questa aspettativa non mi piace. Ho paura che resti deluso. Si aspetta chissà cosa e io gli tiro fuori due miseri bicchieri di plastica con delle misere fragole. 

«Mi porti al grande albero?» mi chiede. 

Annuisco. 

«Sono contento che mi porti là. E un posto tanto speciale per te.» 

Lo è. E uno dei miei posti preferiti al mondo, insieme alla camera di Ivan a San Pietroburgo e al campo Diciotto di Wimbledon.

La vista della collina è nascosta dai vigneti fino a circa cento metri di distanza, e quando finalmente spuntiamo dalla stradina sterrata che divide due campi, Ivan lo vede. 

Dapprima non sembra capire bene: socchiude gli occhi, tira un po' il collo in avanti, sussurra qualcosa in russo. «Hai... hai fatto tu quello?» mi chiede indicando il finto campo. 

Sorrido e annuisco. 

Lui fa una risatina. «Ma... ma è... campo Diciotto?» 

Sorrido di nuovo e annuisco di nuovo. 

Ivan ride ancora, allarga le braccia e fa una giravolta su se stesso, nuvolette di vapore si condensano davanti alla sua bocca aperta. Poi porta le mani al petto. «Per me?» mi chiede camminando all'indietro. 

Annuisco vigorosamente. Poi aggiungo: «P-p-per noi.» 

«Andiamo!» mi prende la mano con entusiasmo e mi trascina. Facciamo gli ultimi metri di corsa, io cerco di tenere fermo lo zaino con la mano libera per paura che le fragole si trasformino in un frullato. 

Quando arriviamo sotto la quercia, Ivan fa un'altra giravolta, prende un gran respiro e guarda il tramonto all'orizzonte. «Bellissimo! Bellissimo!»

È felice e sono felice anch'io. Non so se esiste qualcosa al mondo che mi rende più felice del vedere felice Ivan.

«E in backpack cosa c'è?» Si alza in punta di piedi come per sbirciare.  «Mentre camminiamo sentivo rumore... tin tin tin... tipo metalo.» Con una ele.

Sentiva la bomboletta di panna che andava a sbattere contro il tupperware di vetro in cui ho inserito i bicchieri con le fragole.

Apro il "backpack", lo zaino. Ho portato anche una vecchia coperta per sederci e per prima cosa stendo quella, vicino alla riga di bordocampo.

Ivan si siede. Non smette un secondo di sorridere.

Poi quando tiro fuori le fragole fa un piccolo urlo in falsetto. «Lo sapevo!» esclama. «Quando ho visto campo pensavo: in backpack ci sono fragole con panna! Ma non hai messo panna?»

Estraggo anche la panna.

«Aaaah! Bene bene bene!» Si sfrega le mani guantate. 

Tolgo la pellicola dai bicchieri, cospargo le fragole di panna montata (quella di Wimbledon è liquida, ma fa lo stesso), poi metto due cucchiaini di plastica nei bicchieri. Ivan fa per prendere il suo, ma io lo fermo mostrandogli il palmo aperto. 

Faccio finta di avere qualcosa in mano, e fingo di agitarla davanti ai suoi occhi.

«Oh sì!» dice lui. «Come posso dimenticare virtual vodka!»

Quindi fingo di svitare la bottiglietta di vodka immaginaria, la verso sui bicchieri e ne prendo uno in mano.

Non sono bravo come lui a fare i brindisi, alzo il bicchiere verso di lui e dico la cosa a cui tengo di più. «A Ivan Sergeevic Reshetnikov.»

Lui ride e fa cozzare il suo bicchiere contro il mio. «Che preciso!»

E mangiamo.

Mangiamo le fragole guardando il tramonto. Avrei voluto fosse notte, come a Wimbledon, ma il tramonto è bello. Mi ricorda la prima sera a San Pietroburgo, quando tutto era rosa e i capelli violacei di Ivan sembravano colorati apposta per intonarsi alla scena.

Gli tolgo la cuffia dalla testa e guardo i suoi capelli corti color cenere: la luce dona loro dei bei riflessi rosati. Ivan sarebbe contento di avere un po' di colore addosso, se solo potesse vedersi.

«Be'?» dice. E mi toglie la cuffia anche lui. «Wow!» esclama guardandomi. «I tuoi capelli sono bellissimi in tramonto! Diventa quasi viola.»

Sorrido.

È il momento. 

È arrivato il momento.

Prendo l'iPad e leggo un'ultima volta la frase per essere sicuro di ricordarla a memoria.

Sì, la ricordavo.

«Cosa leggi?» mi chiede inclinandosi verso di me. Che impiccione! Nascondo lo schermo di scatto, con le mani che mi tremano dallo spavento. Non voglio che lo veda in anticipo e pensi che sono un cretino e l'ho scritto male o ho sbagliato tutto. Sì, sicuramente ho sbagliato tutto. Farò una figuraccia, è stato così difficile! Ma non posso dirlo in altro modo, devo dirlo così.

Gli scrivo una cosa, prima di cominciare (su un altro file, ovviamente). La scrivo per far prima, a voce ci impiegherei mezz'ora. Devo dirti una cosa. Quando comincerò a dirtela potresti pensare che è finita subito, ma è una cosa un po' lunga. Ti dico io quando è finita, per favore non interrompermi prima che sia finita. Ok?

Ivan legge con un sorriso incerto. «Una cosa? Cosa devi dire?» Fa un piccolo sbuffo nervoso. «Ok, ok, non interrompo, giuro. Vai, vai.» Mi esorta anche con un cenno delle mani.

«Ivan.» Scuoto la testa. No. Ricomincio. «V... Vanja.»

Mi guarda, serio, occhi sgranati. Muove impercettibilmente la testa in un cenno di assenso.

«I...» No. Non ci riesco. 

È sbagliato. È sicuramente tutto sbagliato.

Cioè, il primo pezzo sono sicuro che è giusto, perché online si trovano parecchie pagine che spiegano come si dice e persino come si pronuncia.

Ma il primo pezzo è la parte più ovvia!

Il secondo pezzo, che è la parte più importante, ho fatto una tale fatica a comporlo, mettendo insieme parole che probabilmente insieme non ci possono stare e...

Scrollo di nuovo la testa.

Basta paranoie.

Lo guardo.

E anche se è sbagliato?

Lui continua a parlarmi in italiano, sbagliando frasi, parole, pronunce, dimenticandosi buona parte degli articoli, eppure non gliene frega niente, mi parla, si fa capire, e se non capisco glielo chiedo e si spiega in un altro modo.

Lui non ha paura di sbagliare. Perché io dovrei averne? 

«Ia...» 

Ok, devo prendere fiato.

Ancora non ha capito. "Ia" potrebbe essere qualsiasi cosa, no? Esistono parole in italiano che cominciano per ia? Oddio, non me ne viene in mente nessuna! Ah sì, iarda. L'unità di misura. E anche ialuronico, come l'acido. Ma che razza di frase può cominciare con ialuronico o iarda? Vanja, iarda è la traduzione italiana della parola yard. Potrei dirgli questo e far finta di niente.

Scrollo la testa per la terza volta. Ma cosa mi invento? Sto diventando scemo.

«Vanja» dico di nuovo.

Lui aspetta. È pazientissimo. Io mi sarei già rotto le scatole.

Guardalo, com'è serio! Chissà cosa pensa.

Chiudo gli occhi.

Non ce la faccio a guardarlo.

Ho la gola stretta.

Dai, Misha, ce la puoi fare!

Della seconda parte non ho la minima idea della pronuncia. Della prima ho trovato le istruzioni online, ma la seconda mi toccherà dirla così come si legge in italiano, e probabilmente in russo si pronuncerà in maniera talmente diversa che lui non capirà niente!

Ma no, no. Sì che capirà. Io lo capisco quando lui pronuncia male le cose in italiano, no? Sì che lo capisco.

«Ia... t-tiebia... liubliu» Oddio l'ho detto!

Non posso guardarlo. Cosa starà pensando? Ok, lo guardo. È immobile, serio e silenziosissimo.

«I...» 

Ok, ora la frase continua. Deve aspettare. Ha capito che non è finita. Ma gli tremano un po' le sopracciglia. Io abbasso di nuovo lo sguardo, perché adesso viene la parte più difficile.

«I... inogda...» Ogni parola me la ripeto in mente, prima di dirla, me la ripeto e riesco a dirla senza balbettare. «...ja... nenavidet... tiebia...» Tiebia era uguale, quindi sapevo come pronunciarlo, ma le altre due parole non ne ho idea. Ho le guance in fiamme per la vergogna.

«...No... ja... liubliu... nenavidet... tiebia.» Sospiro. «Ok, era tutto sbagliato, vero?»

Ivan fa un rumore strano con la bocca, come se avesse trattenuto il fiato fino a questo momento e avesse ricominciato solo adesso a respirare. 

E prima che possa alzare la testa per guardarlo, mi abbraccia. 

Mi abbraccia, mi stringe, io ho le braccia davanti al corpo, le appoggio al suo petto, appoggio la fronte alla sua spalla e mi lascio abbracciare. «Non mi dici se era sbagliato?» gli chiedo, la voce ovattata dai suoi vestiti.

«Da, da» dice, «sì che era tutto sbagliato.» Mi allontana, mi tiene per le spalle e mi guarda negli occhi con un'intensità tale che potrebbe perforare una lastra di acciaio. «Era sbagliato pronuncia, frase tutta strana, ma sai cosa? Da oggi in poi quella frase in russo si dice come hai detto tu, preciso uguale a come hai detto tu, scriviamo una nuova grammatica, nuovi libri di regole, è giusto come hai detto tu.»

«M... ma hai c-c-capito? Cosa hai capito? Magari ho d-detto uuu...»

Mi interrompe. È davvero raro che lo faccia. «Ti amo, e qualche volta ti odio, ma amo odiare te.»

Annuisco. «Sì, hai capito bene.»

Ivan mi bacia. Mi bacia sulla guancia, appoggia la fronte alla mia tempia. «Mi insegni il russo?» gli chiedo, abbracciandolo a occhi chiusi.

«Vuoi imparare il russo? Vuoi che ti insegno io?»

«Sì. C-c-così tu capisci me e io capisco te.»

«Va bene. Ti insegno. Hai già imparato da solo la frase più bella del mondo.»

«Che era sbagliata.»

«Ma no, ti ho detto: da oggi è giusto come hai detto tu.»

Rido.

Lui si allontana da me, mi guarda, ma sempre tenendomi per le spalle, cingendomi con un braccio. «E allora hai capito l'amore, finalmente?»

Annuisco. «L'ho capito il g-g-giorno che ti ho visto vincere gli Aussie Open. Quello che non capivo era... come è possibile che lo amo, se odio così tante cose di lui? Perché d-devi sapere che io odio quando sei troppo esibizionista, e odio il tuo d-disordine, e i tuoi capelli troppo chiassosi, e quel mmmmmmaledetto d-d-dente storto, e però amo odiare queste cose, e quando ho ascoltato quella c-c-canzone dei Beach Boys, ho capito, che... che I may not always love you, ma I love you lo stesso.» Scuoto la testa. «Non so se ha senso, ma è così.»

«Ha senso. Anche io odio che sei ossessionato di igiene, e troppo preciso, e maglietta nei pantaloncini...»

«Pensavo ti piacesse la maglietta nei pantaloncini.»

«No, è orribile. Però la amo, uguale. È sempre così, penso. O forse è così solo per me e per te, e ci siamo trovati che noi amo... am... amàmo?»

«Amiamo.»

«Amiamo in modo uguale.»

Rido. Ride anche lui. Ridiamo. Mi trema il respiro da quanto mi sento felice.

«E c'è un'altra c-c-cosa che volevo dirti... che volevo chiederti» dico.

«Qualsiasi cosa mi chiedi è sì.»

«No, aspetta. È...» Sento il bisogno di allontanarmi un attimo da lui. Mi libero dal suo braccio, mi siedo dritto di fronte a lui, a un metro e mezzo di distanza. Lo guardo. «È una cosa c-c-che... se vuoi mandarmi a q-q-quel paese ti capisco, perché è una cosa che tu mi hai chiesto un mmmmigliaio di volte e io ti ho sempre detto di no.»

Ivan sorrideva, ma la sua espressione cambia, si fa di nuovo seria, come prima, quando aspettava che gli facessi la mia stupida dichiarazione in russo. «Dimmi.» La sua voce è più bassa del normale.

«Io vorrei... vorrei...» Eddai, non è mica una cosa difficile, questa! «Vorrei giocare il doppio con te.»

L'espressione di Ivan non cambia. 

Resta impassibile per qualche secondo. «Oh» mormora infine. Un "oh" secco, brevissimo. Sembra quasi ci sia rimasto male. Ecco: lo sapevo che mi diceva di no!

Ma dopo qualche istante comincia pian piano a ridere, e la risata aumenta di intensità. «Ma sì! Sì che voglio giocare il doppio con te! Quando vuoi? Indian Wells? Chiediamo wildcard?»

«Ma no, sono fuori allenamento!» Sospiro. Sono felice che abbia detto sì. «Sai, non so q-q-quando avrò voglia di giocare di nuovo il singolare. Non so nemmeno se ne avrò mai più voglia. Ma di questo sono sicuro: voglio giocare il doppio con te. Mi allenerò, p-p-perderò i miei chili di troppo, tornerò in forma e vinciamo un torneo insieme.»

«Ma no! Un torneo? Uno solo? Io voglio vincere Slam! Tutti quattro Slam in doppio!»

Rido. «Ok! Io ci sto!»

Le risate si spengono e Ivan sospira, sorridendo.

Io però ripenso alla faccia delusa che ha fatto poco fa e mi viene un dubbio: non è che mi sta dicendo di sì solo per farmi un favore? In fondo lui, adesso che ha vinto uno Slam, vorrà concentrarsi sulla sua carriera di singolare e non avrà molta voglia di giocare il doppio.

Non voglio che giochi con me solo per farmi un favore. Perciò glielo dico. «Sei sicuro d-di voler davvero g-giocare il doppio, ora che sei un vincitore Slam?»

Lui sgrana gli occhi. «Misha! Giocare il doppio con te è la cosa più bella del mondo! Sì che voglio!»

«P-prima, però, appena te l'ho detto, hai fatto una faccia strana. Cioè... per un attimo ho avuto l'impressione che ci fossi rimasto mmmale.»

«Ah...» Esita. Ridacchia. «No, era una scemenza!»

«Cosa era una scemenza? Avevi pensato a q-qualche possibile problema? Dimmi!»

Fa un sospiro «Ma no... è... Avevo pensato... Ok, hai ragione, sincero.» Fa una risatina. «Adesso mi viene da ridere se ripenso, ma quando mi hai detto ti devo chiedere una cosa che io ti ho chiesto cento volte e tu hai sempre detto no... cioè, il contrario, tu hai chiesto cento volte... cioè tu nel senso di io: Vanja ha chiesto cento volte e Misha ha sempre detto no, uff, sto facendo il discorso troppo lungo!»

«Cosa avevi p-pensato?» lo incalzo.

«Be io sul momento pensavo, oh! Wow! Adesso mi chiede di baciarlo!» Ride. «Eh, che stupido, mi pensavo cose strane.» Scuote la testa, guardando la coperta.

Baciarlo?

Ivan ha un'espressione sorridente, serena. «Ti ricordi quando a Ginevra ti dicevo che bacio è importante, ma posso accettare se fosse solo quello, ma tu sei difficile e non posso accettare che tu sei difficile?»

Annuisco, ma una parte della mia testa sta ancora pensando all'idea del bacio.

«E poi ti ricordi che avevo detto anche che volevo pensare bene e capire se voglio stare con te? Ecco. Io ho capito, adesso: voglio stare con te. Io sono stato lontano e ho pensato a te, tu che stavi male, io che volevo... che avrei voluto aiutarti e starti vicino e non sapevo come, e stavo male anche io per questo, ma non pensavo più che non riuscivo, e non pensavo più che avevo paura. Non pensavo alle emozioni nella mia testa, pensavo alle emozioni nella tua testa, e pensavo sempre: come? Come faccio? Come posso stare vicino a  lui? E finalmente ho capito, Misha. Che sono scemo. Perché ti amo e non posso amare nessun altro come te. Tu sei difficile, è vero, e sei per sempre difficile, e so che non sarà mai tutto facile con te, ma io sono pronto, adesso. Voglio stare con te e voglio stare con le tue cose difficili e amare le tue cose difficili. E non mi importa anche se non ci baciamo mai. Cioè, io non smetto di pensare che vorrei baciarti, non ti posso dire una bugia su questo. Ma se tu non vuoi, io sto con te tutta la vita così, perché io senza di te è la cosa peggiore che c'è nell'universo.»

Non ho parole per dire quanto mi rendono felice le sue parole. Ma non sono solo queste parole, è tutto ciò che ha fatto per comunicare con me in questi mesi, mi fa sentire amato in un modo in cui non mi sono mai sentito amato, e mi esplode il cuore dal desiderio di mostrargli quanto il suo amore mi riempia di gioia. Perciò lo abbraccio, come lui mi ha abbracciato poco fa. 

Ma mentre lo abbraccio, col mento appoggiato alla sua spalla, sento che questo abbraccio non è abbastanza, c'è un'idea che continua a galleggiare tra i miei pensieri e tra le mie emozioni.

Sto pensando alla sua fronte sulle mie labbra, stamattina.

Alle sue labbra sulla mia guancia, poco fa.

«Sì» mi ritrovo a dire, prima ancora che la parte razionale del mio cervello abbia elaborato tutti gli stimoli e i pensieri confusi che stanno ancora vagando nella mia testa.

«Sì? Anche tu vuoi stare con me?» mi chiede, accarezzandomi la schiena.

Mi allontano da lui, lo prendo per le spalle. «No.» Scrollo la testa. «Cioè, sì, ma... sì, v-voglio stare c-con te, ma... volevo dire sì a... a... q-quell'altra cosa.»

Ivan sembra incredulo. Ha un'espressione di sorpresa, quasi di speranza. Poi si incupisce. «Quale altra cosa?»

«Io... q-quello che... che mi hai sempre c-chiesto e t-ti ho sempre d-d-detto di no.» Faccio un sospiro. «Non il d-doppio, l'altra cosa.» Perché non ho il coraggio di dirlo esplicitamente?

«Vuoi...»

Annuisco.

«T-t-tu vuoi...» Ivan ha balbettato. E non per prendermi in giro. Ha balbettato davvero.

E io annuisco di nuovo.

«Vuoi baciarmi?»

Annuisco una terza volta, con maggior vigore.

E mi stupisco di me stesso.

Ma non del me stesso presente. Mi stupisco di ciò che ho sempre pensato. 

Mi stupisco di notare solo adesso questo cambiamento. Di notare solo adesso questo nuovo desiderio.

E ci penso, ci penso profondamente, ripenso a quando mi faceva schifo l'idea, alla repulsione che provavo, e penso: è Ivan. Lo amo. Mi ama. E voglio sentire la sua bocca sulla mia. Voglio con lui il contatto più intimo che abbia mai avuto con qualcuno. Lo voglio e mi sembra quasi una cosa naturale, di una normalità disarmante. Voglio baciarlo. Voglio baciarlo davvero.

«Sì, voglio baciarti.»

Le parole restano sospese davanti a noi, come la nuvoletta di vapore che sale molto lentamente dalla mia bocca al cielo.

Il suo petto si agita in maniera vistosa. Ivan chiude la bocca, e vedo il suo pomo d'adamo salire e scendere in gola. «Hai bevuto di nascosto?»

Annuisco. «Sì, la virtual vodka.»

Ha una breve esplosione di riso, poi è di nuovo serio. «Sei... sei sicuro?»

Annuisco di nuovo. 

«P-perché dici questo adesso?» mi chiede. «Perché non... ieri, due giorni fa, una settimana fa...»

«Perché me ne sono accorto solo adesso.»

«E sei sicuro.»

«Sono sicuro.»

Gli esce dalla gola un piccolo gemito. «Oh, Misha» dice. «Questo è davvero il giorno perfetto.»

Si avvicina a me, e io mi rendo improvvisamente conto di avere la bocca asciuttissima. «A-aaaaspetta!» dico.

«Ecco, lo sapevo. Hai cambiato idea. Non importa, Misha, giuro, se non vuoi non...»

«No! No! V-v-voglio! Ma scusa. Devo bere.»

Per fortuna avevo portato anche una bottiglietta d'acqua. La stappo e ne prendo qualche sorso. «Scusa, non so perché ma...» Deglutisco. «Nehhh!» È la miglior riproduzione della specie di verso che mi esce dalla bocca. Aiuto, non ho più controllo di me stesso e delle mie corde vocali! «Vuoi?» gli chiedo porgendogli l'acqua.

«No, cioè, non so... sì, ok, bevo un poco anch'io.»

Beve un sorso, ma sembra quasi che mi stia solo facendo un piacere.

«Tutto ok?» mi chiede dopo aver bevuto.

Annuisco rapidamente.

Ecco. Si avvicina di nuovo.

«Sicuro?» Mi guarda con timore.

«Ma sì!» Le sue continue domande cominciano a darmi fastidio. Non sono semplicemente sicuro. Sono impaziente.

Si avvicina piano piano.

Entrambi teniamo gli occhi aperti, e lo vedo sempre più sfocato, come quella sera a Wimbledon, dopo il picnic. Le nostre bocche sono chiuse, sento il suo respiro caldo sulla mia pelle fredda. 

Lui appoggia una mano alla mia guancia, avverto il ruvido della lana. La ritrae. Dopo qualche secondo la sua mano è di nuovo lì, ma stavolta la pelle è nuda. Ha le dita un po' fredde.

Faccio lo stesso. Mi tolgo i guanti e appoggio la mia mano sulla sua guancia, le dita sull'attaccatura dei capelli sopra alle orecchie.

Lui inclina un po' il viso.

E nello spazio di un secondo, le sue labbra morbide sono appoggiate alle mie.

— —

Note note note

Quando ho iniziato ad abbozzare questa storia, ho avuto subito chiara in mente una cosa: doveva parlare di solitudine e comunicazione. Volevo fosse la storia di un ragazzo solo, che non sapeva comunicare, e nel corso dei capitoli avrebbe imparato a farlo: il viaggio dell'eroe di Michele sarebbe stato questo, e non c'è nulla di più eroico dell'affrontare e sconfiggere nemici interiori.

Tutto il resto è venuto di conseguenza: la balbuzie, il suo rapporto di attrazione-repulsione nei confronti della bocca, il co-protagonista di un'altra nazionalità, le lingue diverse (russo, italiano, friulano, lingua dei segni). E nella mia mente sapevo che la storia sarebbe finita così, con Michele che fa un ultimo salto nel buio e dichiara il suo amore in una lingua che gli è sconosciuta, l'inizio dell'apertura verso un nuovo mondo tutto da esplorare. Non sapevo ancora le parole che avrei usato, ma sapevo che sarebbero state nella lingua del co-protagonista e che sarebbero state un po' sbagliate, perché anche questo è un passo di crescita, verso l'accettazione dell'imperfezione e della fallibilità.

Ho rotto tantissimo le scatole alla mia beta russofona Juiceissweet per cercare di rendere la frase sgrammaticata in modo verosimile e la ringrazio di avermi sopportata con pazienza. Il risultato è quello che leggete nel testo:

Ya tiebia lyublyu, i inogda ya nenavidet tiebia, no ya lyublyu nenavidet tiebia.

È scritto un po' male, nel modo in cui Michele lo pronuncia e non con la trascrizione fonetica corretta.

Il modo giusto di dirlo sarebbe stato: 

Я тебя люблю и иногда я тебя ненавижу, но я люблю тебя ненавидеть

Trascritto in alfabeto latino:

Ya tebia lyublyu i inogda ya tebia nenavizu, no ya lyublyu tebia nenavidet'

Fine della piccola lezione di russo, così potete fare anche voi le vostre dichiarazioni d'amore stile Misha!

Ah, va be, il bacio neanche lo commento: ho aspettato l'ultimo capitolo! Mi autoincorono imperatrice dello slow burn, con questa bella corona piena di stelline (ma guarda un po' la subliminale coincidenza)

E a proposito di bacio, ci tengo a segnalare a chiunque non l'avesse già vista, che ho pubblicato sugli extra una piccola fanfic a fumetti in cui la sempre bravissima Kiritsub0 aveva immaginato un possibile primo bacio tra Misha e Vanja. Vi lascio qui sotto uno dei sei disegni che ha realizzato... sugli extra trovate anche le altre vignette e il momento clou ;) 

A lunedì per il gran finale!

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