129. Pocosessuale
All'inizio avevo pensato di chiedere aiuto ad Anna, ma ho capito che la cosa più giusta da fare, stavolta, era arrangiarmi da solo.
Quindi ho chiesto aiuto a Google. Dove comprare fragole vicino a Capriva. Come immaginavo, il risultato più vicino è il piccolo supermercato del paese. Non è distante, ci andrò a piedi. Mi servono dei soldi, però. Dovrei davvero imparare a gestirmeli da solo.
Adesso non è il momento adatto a iniziare, però. Quindi li chiedo in prestito ad Anna, che è ancora seduta sul divano dove l'ho lasciata un quarto d'ora fa (sta leggendo un libro).
Va a prendere la sua borsa in camera e mi chiede quanto mi serve e cosa devo prendere.
«Una c-c-cosa per Ivan.»
«Guarda che puoi dirmelo, giuro che non gli dico niente.»
Scuoto la testa. Non voglio che faccia commenti e magari mi metta dubbi in testa. Voglio decidere tutto da solo.
Lei fa un mezzo sorriso. «Ok mister mistero. Allora ti do cento euro che è tutto quello che ho nel portafogli. Pensi che ti basteranno?»
Annuisco e la ringrazio.
«In bocca a lupo, Michi. Sono sicura che ce la farai, a fare qualsiasi cosa tu abbia intenzione di fare» mi dice porgendomi le banconote. «E occhio a non perderle, queste!»
Mi vesto, infilo i soldi nella tasca interna del giubbotto. Oggi non fa particolarmente freddo. La cuffia di lana in testa è un po' eccessiva. Ma se non la metto tutti vedranno i miei stupidi capelli colorati.
Esco in cortile. Il sole di febbraio risplende basso in mezzo a un cielo azzurro come i miei capelli. Lo prendo come una specie di segno del destino, anche se non credo al destino. Mi tolgo la cuffia e la butto a terra, sul porticato.
A piedi per le strade del paese, le poche persone che incrocio mi guardano. Sento i loro occhi addosso. Come fa Ivan a sopportare sempre tutte queste attenzioni? Che domande, a lui piacciono, perché è un esibizionista.
In pochi minuti arrivo al supermercato. È davvero piccolo. È la prima volta in vita mia che entro in un posto simile, di solito ci va papà, a fare la spesa. Il reparto frutta e verdura è proprio all'ingresso. Cerco le fragole senza successo.
Forse si trovano su uno scaffale diverso? Devo chiedere a qualcuno. Accidenti! Speravo di riuscire a completare questa transazione senza dover parlare.
Quella vecchia mi sta fissando. Sta fissando i miei capelli, sicuramente. Che vergogna, perché non ho tenuto la cuffia?
«Scusa, ma tu non sei mica il figlio dell'Aldo Quaiat?» mi fa.
Scuoto la testa. Chi diavolo è questo tizio, adesso?
«Ah... scusa, hai una faccia... che mi sembrava di conoscerti.»
«Ma è Michele Bressan, il tennista!» esclama un uomo.
Ecco, lo sapevo!
«Sono veri i capelli?» mi chiede, ridacchiando. Sta ridendo di me. Ok, me ne vado. Venire qui da solo era un'idea stupida e me ne rendo conto solo adesso.
«Stai bene, ninin?» mi chiede la vecchietta.
Non sono in grado di rispondere a questa domanda.
Ma me ne fa un'altra. «Stavi cercando qualcosa?»
Sì. A questo so rispondere. «F-f-fragole.»
«Fragole?» dice lei. Fa una risatina. «Ma non è stagione!»
Che c'entra? Non è nemmeno stagione di pomodori, ma ce ne sono diverse varietà in esposizione. Perché i pomodori sì e le fragole no?
«Guarda,» mi dice, «ci sono i kiwi, le mele, le pere, arance, mandarini...»
«M-mi ssssservono le f-f...» Dio, com'è difficile parlare!
La signora non aspetta la fine della parola. «Prova ad andare in un fruttivendolo, magari lì le trovi.»
«Sì, qualcosa di importazione, o di serra» aggiunge l'uomo che poco prima aveva riso di me.
«E d-dove lo t-t-trovo?»
«A Cormons» dicono all'unisono.
«Sì, a Cormons ce n'è uno in piazza...» La signora si mette a elencare tutti i fruttivendoli di Cormons, facendomi anche delle specie di recensioni: questo è buono ma ladro coi prezzi, quest'altro ha roba di prima qualità, quest'altro è poco fornito e quest'altro ancora cerca sempre di rifilarti la roba marcia. Quante cose di cui stare attenti e di cui non avevo la minima idea!
La ringrazio ed esco dal supermercato a mani vuote. E adesso? Come ci vado a Cormons? Prendo un taxi? Ma qui non ci sono taxi, se ne chiamo uno arriva da Gorizia tra minimo mezz'ora.
Proprio mentre mi pongo questo problema, vedo passare un autobus sulla statale. Sicuramente c'è un autobus che porta a Cormons! Devo solo scoprire come e dove prenderlo. E per farlo, chiederò di nuovo aiuto a Google.
Autobus Capriva Cormons mi porta sul sito dell'ATP Gorizia? Non ci credo! La compagnia di autobus del goriziano si chiama ATP? Come l'ATP tour? È un altro segno del destino in cui non credo!
Ah, no. È APT, le ultime due lettere invertite.
Consulto gli orari, c'è scritta la via dove si trova la fermata e c'è un autobus ogni venti minuti. Ce n'è uno che passa tra cinque minuti! Se faccio una corsa forse lo prendo, la fermata è proprio qui sulla statale, dopo la curva.
Potevo anche evitare di correre, l'autobus arriva in ritardo di cinque minuti. C'è un'altra persona che aspetta con me alla fermata, una ragazza molto giovane. Mi lancia delle occhiate.
Salgo dietro di lei, e la vedo inserire un piccolo biglietto all'interno di un cubo giallo, che lo risucchia e lo risputa dopo pochi secondi emettendo un "bip".
Non ho mai preso un autobus, ma mi è familiare il concetto di: biglietto dell'autobus. E adesso? Cosa succede se mi siedo senza biglietto? Il conducente se ne accorgerà? Forse posso comprarne uno da lui?
L'autobus parte e io sono ancora in piedi. Mi reggo a un sedile per non cadere.
E metti che mi dice di scendere? No! Non posso rischiare che mi faccia scendere!
«Sedersi, prego» dice il conducente.
Ok, mi siedo. Me l'ha detto anche lui. Mi siedo qui, nel primo sedile dietro di lui.
«Ha l'abbonamento?» mi chiede.
«Q-quale ab-b-b-bonamento?» rispondo.
Lui fa una smorfia e mi guarda dallo specchietto retrovisore. «Vuoi fare il fur... Aspetta un attimo, sei mica quel tennista? Bressan? Sei tu? Con quei capelli non ti riconoscevo!» La sua espressione sospettosa si è trasformata in un sorrisone.
«S-sono io.»
«Graaande!» esclama lui. «Dai, facciamo che sei ospite mio, oggi, corsa gratis, ok? Però devi fare un selfie con me prima di scendere. Ok?»
«O...ok?»
«Graaande!» mi sorride. «Se sale il controllore gli dico io che è tutto a posto. Ok?»
«Il c-cooontrollore?»
«Ma sì! Quello che controlla i biglietti!»
Esiste una persona il cui unico compito è controllare biglietti dei passeggeri di un autobus? Il mondo è un posto strano.
Il viaggio è abbastanza breve, per fortuna, e costellato di «Graaande!» esclamati dal conducente.
Alla fine, prima di scendere nella piazza centrale di Cormons, faccio un selfie con lui come promesso. Ed ecco che l'immagine di me coi capelli azzurri comincia il suo viaggio nell'internet.
Ok. E adesso? Non ricordo dove si trovano i fruttivendoli segnalatimi dalla signora. Devo chiedere a qualcuno.
Non c'è molta gente in giro. A qualche metro da me vedo un quintetto di miei coetanei (a occhio e croce), tre ragazzi e due ragazze. Uno indossa un giubbotto rosso ed è seduto su uno scooter, le due ragazze hanno lo stesso identico taglio di capelli, lisci, lunghi, con la riga in mezzo, l'unica differenza è che una è bionda l'altra mora. Sono sedute su una panchina. Accanto alla bionda sulla panchina, che le tiene la mano, c'è uno dei tre ragazzi, ha la testa rasata e un piercing sul sopracciglio. L'ultimo ragazzo è seduto a terra, capelli castano chiaro, lunghi e raccolti in un codino.
Mi stanno guardando. Mi hanno riconosciuto? O mi fissano semplicemente perché ho dei capelli strani? O perché li sto fissando anch'io? Prendo un respiro: se solo il coraggio si potesse respirare...
Mi avvicino. Loro continuano a guardarmi. Mi schiarisco la voce. «Serve qualcosa?» dice uno dei ragazzi, quello seduto sulla panchina che tiene per mano la bionda.
«Capelli fighissimi» commenta la ragazza mora, ma non capisco se sia sincera o sarcastica.
«Mh, s-s-s-sa...» Non riesco a finire la parola. Loro si guardano con aria perplessa.
«Problemi?» dice il ragazzo sullo scooter.
Mi mangiucchio un labbro.
«No, aspetta!» esclama il terzo ragazzo, quello seduto a terra che era rimasto in silenzio fino a questo momento. Mi indica con gli occhi sgranati. «Ma tu sei coso... Bressan! Michele Bressan!»
«Cazzo è vero!» esclama la ragazza bionda. «Coi capelli blu non l'avevo riconosciuto!»
«È vero!» «È lui...» commentano gli altri due ragazzi.
«Chi saresti, scusa?» mi chiede la ragazza mora, quella che aveva fatto i complimenti ai miei capelli.
«Cazzo Eli, ma dove vivi?» le dice la bionda. Eli? Si chiama Elisa? «È tipo il tennista più famoso di tutti i tempi!»
Be', non proprio.
«E cosa ci fa a Cormons il tennista più famoso del mondo?» dice con un'aria assolutamente non impressionata.
«È di Cormons! Certo che sei proprio ignorante...»
Veramente sono di Capriva. Non la correggo.
«Cioè mi stai dicendo che a Cormons vive il tennista più famoso del mondo e io non lo sapevo?»
«È famoso tipo Valentino Rossi, Federica Pellegrini...» prosegue la bionda. «Possibile che non l'hai mai sentito nominare?»
«Aspetta...» dice la ragazza mora guardandomi. «Ora che ci penso mi sembra di aver sentito parlare di te. Sei quel tennista gay, no?»
Eh? «N-n-n...»
Lei stringe gli occhi. «Non sei tu? Avevo letto un articolo che parlava di un tennista gay coi capelli colorati.»
Ah, ecco.
Ti confondi con un mio amico, dico, balbettando moltissimo.
«Ma ha bevuto?» chiede sottovoce il ragazzo seduto sulla panchina.
«No, scemo! È balbuziente! Non lo sai?» gli risponde la bionda sussurrando.
Sento il bisogno di dire qualcosa per alleggerire l'imbarazzo: scusate, quando parlo con persone che non conosco balbetto molto più del normale. Ovviamente balbetto tantissimo, per dirlo, ma loro sono pazienti e aspettano che finisca la frase.
Il ragazzo col piercing è un po' arrossito, mentre parlavo. «Scusa, sono un cretino» dice.
Scuoto la testa. «No, non p-preocc-cu-cuparti.»
«Ma cosa ti serviva?» chiede il ragazzo sullo scooter.
«Devi accendere?» dice quello a terra.
Accendere cosa? chiedo.
Ridono tutti.
«Non penso che fumi» osserva la ragazza mora. «Non puoi fumare e giocare a tennis, no?»
Ah. Pensavano che avessi bisogno di accendere una sigaretta? Ma come può essergli venuta in mente una cosa simile?
Cercavo un fruttivendolo, riesco infine a dire.
Il tizio sullo scooter fa una faccia come se gli avessi appena chiesto la soluzione a un'equazione matematica. La ragazza bionda si batte un dito sul mento. Quella mora dice di conoscerne uno che però è molto distante da qui. Per fortuna il ragazzo seduto a terra ha le idee più chiare. «Ma siete un branco di mona, ce n'è uno qua vicino, duecento metri dopo quella strada, giri a destra, poi la prima a sinistra...» Sbuffa. «Facciamo prima ad accompagnarti.»
«Sei sicuro? Io non mi ricordo un fruttivendolo in quella strada. Quando ci sei stato? Sicuro che non eri fumato?» gli chiede il ragazzo sullo scooter.
«Probabilmente sì» risponde l'altro.
Ridono tutti. Mi sento molto a disagio perché non trovo la battuta divertente. Sempre che fosse una battuta.
Però sono molto gentili. Mi ci accompagnano davvero. Dico loro che non serviva.
«Tanto ci stavamo cagando il cazzo. E poi dopo sai che storia che raccontiamo che abbiamo accompagnato Michele Bressan dal fruttivendolo!» dice il ragazzo coi capelli lunghi, quello che prima era seduto a terra. «Ti chiederei un selfie come prova, ma sono filosoficamente contrario ai selfie.»
«Io che non me la tiro, invece, sono favorevole» ribatte il proprietario dello scooter. «Ci facciamo un selfie?» mi chiede.
Mentre camminiamo per le vie di Cormons, mi metto in posa con tutti, tranne che con il ragazzo dai capelli lunghi, filosoficamente contrario – ma cosa significa? Poi loro si mettono a chiacchierare, e io resto un po' in disparte, indietro di qualche passo.
La ragazza mora, però, dopo un po' si avvicina a me per dirmi qualcosa. «Guarda! Ho trovato l'articolo che avevo letto!» dice mostrandomi il suo telefono. «Parlava degli atleti internazionali che hanno fatto coming out e c'era tutto un pezzo dedicato a Ivan Reshetkov.» Non correggo né il nome (che ovviamente ha pronunciato con l'accento sulla I) né il cognome. Sullo schermo c'è una bella foto di Ivan coi capelli rosa-viola. Era il periodo di San Pietroburgo. Quanti ricordi! «Sai,» prosegue la ragazza, «mi interesso di questi temi perché sono...»
«...pansessuale» completano tutti in coro. «Stavo contando i minuti prima che lo dicessi» aggiunge uno dei ragazzi. «Ci tiene tanto a farlo sapere a chiunque.»
«Certo che ci tengo! » ribatte lei in tono fiero. Mi fa sorridere. Mi ricorda un po' Ivan.
Cosa significa pansessuale? le chiedo.
«Una persona che è potenzialmente attratta da qualsiasi essere umano a prescindere da qualsiasi cosa: maschio, femmina, cis, trans, agender, genderfluid...»
Non capisco più della metà delle parole che ha appena pronunciato. Non le faccio domande in merito, ma mi sembra che la definizione calzi a pennello su Ivan, anche se l'ho sempre sentito autodefinirsi bisessuale.
Io sono esattamente il contrario. Non mi attrae quasi nessuno. Forse potrei definirmi pocosessuale.
Sì, penso proprio che sia la definizione giusta per me: pocosessuale.
«E lo conosci a Ivan?» mi chiede la ragazza pansessuale.
«Eli, non rompergli le palle» si intromette la ragazza bionda.
«Non mi rompi le s-scatole. Sì, è un mio caro amico. È a c-c-casa mia in questi giorni.»
La ragazza mora spalanca la bocca. «Qui dice che è russo!»
Annuisco.
«È venuto apposta qui a trovarti dalla Russia?»
Le spiego brevemente che sono stato poco bene per un periodo, non ci vedevamo da tanto e quindi è passato a trovarmi in una pausa tra tornei.
«Woooow» esclama lei in tono sognante.
Il ragazzo coi capelli lunghi sospira. «Sappi che l'Elisa ha appena deciso che tu e questo Ivan state insieme.»
«Sono una bella coppia» dice lei seria. A me viene da ridere.
«Fino a un minuto fa non avevi idea di chi fosse Michele Bressan, questo russo a malapena sai che esiste e hai deciso che sono una bella coppia.» Il ragazzo coi capelli lunghi scuote la testa. Mi guarda. «Non prendertela, lei vede coppie ovunque. Tipo è convinta che io e Sandrino stiamo insieme.»
«Sandrino sarei io.» Il ragazzo col giubbotto rosso, quello che prima era seduto sullo scooter, alza la mano.
«Vi siete baciati davanti a tutti!» protesta lei.
«Eravamo bevuti ed era un bacio a stampo» ribatte Sandrino.
Anch'io ero ubriaco, l'unica volta che ho desiderato baciare Ivan. Mi sfioro le labbra per un attimo, soprappensiero, appena me ne accorgo ritraggo la mano.
«C'è chi narra di aver visto spuntare una lingua» commenta Elisa in tono cospiratorio, levandomi dalla testa pensieri che mi stavano un po' agitando. Tutti ridono (tranne Sandrino) e mi unisco anch'io alla risata.
Finalmente tra una presa in giro e l'altra, arriviamo al negozietto. Chiedo al fruttivendolo se ha fragole e lui scuote la testa. «Non è ancora stagione. Ma sicuro il mio fornitore ha qualcosa d'importazione. Se aspetti due minuti lo chiamo.»
Annuisco speranzoso.
«Per quando ti servono?»
«D-domani» rispondo.
«Ok. Ti avviso subito che ti costeranno un po'.»
«Non è un p-p-problema.»
«Le stai comprando per Ivan?» mi chiede Elisa, sottolineando la domanda con dei battiti rapidi delle ciglia.
«C-come fai a saperlo?»
La sua risposta è un sospiro. Fa per dire qualcosa, mai la interrompo perché mi squilla l'iPad.
«Indovina chi è?» dico.
«Ivan!» esclama lei tutta contenta. Questa ragazza mi sta davvero simpatica, mi mette di buonumore.
Rispondo alla videochiamata e appare sullo schermo il volto preoccupato di Ivan.«Misha, dove sei?»
«Ciaaaaooo!» Elisa si mette vicino a me e saluta lo schermo. Ivan sembra perplesso.
«Oh... ciao? Anna ha detto che sei uscito ma non sa dove sei andato. Chi è questa ragazza?»
«È geloso!» sussurra Elisa. Poi, rivolta allo schermo: «Non ti preoccupare! Michele è uscito per comprarti le fragole!»
Per fortuna avevo prontamente cliccato sull'icona del muto alla parola "Michele".
«Misha, perché hai messo mute?» dice Ivan in tono sospettoso.
«N-non d-dire niente d-d-d...»
Elisa porta entrambe le mani alla bocca. «Ho rovinato la sorpresa?»
«Sei veramente una rincoglionita» dice lo pseudo fidanzato di Sandrino.
«Misha, mi preoccupo se non accendi subito audio del telefono!»
«Ma ti chiama Misha come Misha Collins? Perché tu sei tipo Castiel e lui è il tuo Dean Winchester?» mi chiede Elisa, parlando di persone che non conosco.
Non le rispondo. E nonostante le proteste di Ivan, non accendo nemmeno il microfono, e faccio bene perché dopo pochi secondi arriva anche il fruttivendolo ad annunciare a voce altissima che posso venire qui a comprare le fragole domattina. Il negozio apre alle sette.
«Mishaaa...» dice Ivan spazientito. «Dimmi dove sei!»
A Cormons, gli scrivo.
«Dice che è a Còrmons...» Lo pronuncia sbagliato, con l'accento sulla prima o. Credo che Ivan stia parlando con Anna o con mio padre. «E come sei andato a Còrmons? E perché sei andato a Còrmons?»
«Si dice Cormòns! Come Cojòns» lo corregge Sandrino (ma c'è ancora il muto quindi Ivan non sente).
«Poverino, si preoccupa, lui...» commenta intanto Elisa.
Rispondo a Ivan: In autobus. E non ti posso dire perché.
«In autobus?» ripete Ivan, con un tono di voce esageratamente sorpreso. «Michele Nicolovic Bressan in autobus?» Il tono è sempre più sconcertato, ma si capisce che è scherzoso. Scuote la testa. «Ok, nu. Dimmi indirizzo, vengo con la macchina di papà. Kolia, posso prendere la tua macchina?» Sento mio padre rispondere di sì e mi rendo conto che Ivan ha trovato un soprannome anche a mio padre. È un segno che sono diventati amici? «Ok, dimmi indirizzo» mi esorta Ivan.
Ma adesso devo parlare col fruttivendolo. Quindi scrivo a Ivan di aspettare, e lo saluto con la promessa di richiamarlo entro cinque minuti.
Mi metto d'accordo col fruttivendolo per domattina e gli lascio un acconto («Ma sei pazzo? Con cento euro ne compri venti chili, di fragole!» Ne ho lasciati cinque), poi mi faccio riaccompagnare dai ragazzi in piazza, e qui finalmente scrivo a Ivan, come promesso, per dirgli dove mi trovo.
Quando arriva dopo dieci minuti, con la Lancia Delta che un tempo era di Raffaele e che è passata in eredità a papà, i ragazzi sono ancora lì, e ovviamente vogliono dei selfie anche con lui.
«Non hai più i capelli colorati?» gli chiede Elisa.
«No, perché basta uno con capelli strani in coppia» ribatte lui. Elisa a momenti sviene.
«Siete bellissimi» ci saluta, mentre saliamo in macchina. «Siete la mia coppia preferita. Giuro che da oggi comincerò a seguire il tennis!»
Ivan ride, mentre accende il motore. «Chi erano quelli? Cosa fai qui a Còrmons?» mi chiede.
«S-s-si d-d-di-diiice C-c-cormòns. Aaaaccento ah... alla f-fine.»
Ivan ha le mani sul volante. Macchina ferma. Si volta con gran lentezza verso di me. A parte il "non lo so" dell'altro giorno è la prima frase che gli dico a voce. Che frase stupida!
Lui non commenta il fatto. Non rimarca. Ma i suoi occhi brillano di gioia. «Cormòns» dice. «Cosa ci facevi qui a Cormòns?»
Avere la prospettiva di una soluzione per riuscire a dirgli le cose più importanti ha sbloccato qualcosa nella mia testa. È bastata la prospettiva. Non ho ancora la soluzione pronta, ma so come fare. E le parole tornano a fluire. Oggi per parlare di sciocchezze. Domani... chissà.
Ce la farò. Sono ottimista. Avrò le fragole e ce la farò.
Balbetto moltissimo e gli spiego che non conoscevo quei ragazzi, ma che mi hanno aiutato dandomi delle indicazioni perché dovevo prendere una cosa.
«Sei furbo. Parli ma non dici niente» commenta. Sorride, ne sembra felice. «Non hai detto cosa hai fatto a Cormòns. Cosa dovevi prendere?»
«N-non p-p-posso d-dirtelo.»
«E perché? Oh... oooh, aspetta! È regalo per compleanno?»
Faccio roteare la mano aperta: circa.
«E dove è?» mi lancia un occhiata. «In tasca?»
Scuoto la testa. «D-devo t-t-tornare domani a p-p-p-prenderlo.»
Lui schiocca la lingua. «Nooo, Misha! Io domani non faccio allenamento perché voglio stare tutto il giorno con te! Siamo stati poco insieme, troppo poco. Non puoi andare via. Non voglio il regalo. Fai questo regalo: resta con me. È l'ultimo giorno.»
Stringo le labbra. Ma io devo prendere le fragole. Devo! Sono la mia chiave di apertura, l'unico modo in cui sento di poter riuscire a dirgli qualcosa.
«È così importante questo regalo?» mi chiede.
Annuisco.
Sospira. «Ok. Possiamo fare così? Che ti porto in macchina, poi tu vai a prendere questa cosa da solo e poi se vuoi nascondi in qualche posto così non vedo e poi torniamo a casa inisieme?»
Ci penso su.
«Non voglio che prendi l'autobus e stai un'ora per andare e una per tornare...»
In effetti nemmeno a me va di prendere di nuovo l'autobus.
«Ok» acconsento.
Mi risponde con un sorriso.
***
La sera, dopo cena, mi rigiro nel letto ripensando alle parole di Ivan: Siamo stati poco insieme, troppo poco.
È vero. Ed è tutta colpa mia e delle mie difficoltà comunicative.
Dopodomani se ne andrà.
Durante le notti che Ivan ha trascorso qui, ho pensato diverse volte che avrei voluto dormire con lui. Sono sicuro che se fossi andato in camera sua mi avrebbe accolto a braccia aperte, ma io mi sentivo a disagio, sia all'idea del contatto fisico, sia all'idea che lui avrebbe cercato di parlarmi, di instaurare una comunicazione.
Mi sono appena alzato dal letto. Me ne rendo conto solo dopo averlo fatto.
Cosa voglio?
Esco in corridoio, scalzo, in mutande e maglietta. Fa freddo.
La porta della camera di Ivan è chiusa.
Vedo la mia mano sulla maniglia.
No, non posso entrare così.
Che ore sono? Credo le undici. Probabilmente già dorme.
Busso?
Resto con la mano a mezz'aria per un minuto buono.
E alla fine la faccio cozzare contro il legno.
Toc toc.
Perché ho bussato? Cosa voglio da lui adesso?
«Sì?»
Apro uno spiraglio.
«Misha, sei tu?»
È la stessa domanda che mi aveva fatto quando l'ho chiamato per la prima volta. Anche la situazione è simile. Anche allora facevo fatica a parlare e non sapevo bene perché avevo provato il desiderio di entrare in contatto con lui.
«Entra» mi esorta. Accende la piccola luce sul comodino.
Entro e mi chiudo la porta alle spalle.
Mi avvicino al letto.
Non dico niente. Non ho il coraggio di dire niente.
«Vuoi dormire qui?» sussurra.
Annuisco, con lo stomaco contratto.
Apre le coperte.
Esito.
«Non ci provo con te» mi dice, forse per rassicurarmi. «Ma se tu vuoi provare con me non ti dico no, eheh!» Mi fa l'occhiolino e io sorrido.
Mi avvicino e mi infilo tra le coperte, mettendomi di schiena rispetto a lui. Spengo io stesso la luce.
«Che freddo» dice Ivan. «Non è legale avere questo freddo in casa! Ho visto prima termomètro: diciannove gradi! Ma siete scemi? Menomale che tuo papa mi ha dato questa piumina.»
Non lo correggo dicendogli che si chiama piumino, ma ridacchio per l'errore.
«P-pensavo che ai russi p-p-piacesse il freddo.»
«Non in casa!»
Anche questo è uno scambio di battute che abbiamo già avuto.
Apro la bocca per dirgli di avvicinarsi a me, ma non ne ho il coraggio. Però ho il coraggio di girarmi verso di lui e abbracciarlo.
«Bravo» dice. «Hai capito messaggio nascosto nel mio rant.»
Sentire il suo calore e il suo odore che impregna le coperte mi fa quasi piangere dalla nostalgia. Quanto mi erano mancate queste sensazioni.
Ho per un attimo l'impulso di parlare adesso, dirgli quello che sento, ma non lo faccio. Mi servono le fragole, mi servono l'erba e le reti abbassate di Wimbledon.
E soprattutto mi servono le parole.
Non ho ancora trovato le parole giuste.
Ma sono sicuro che le troverò.
——
Note note note ♫
E dunque Misha è ancora in cerca delle parole giuste, però intanto è riuscito a dirne qualcuna, ed è un passo avanti. E un altro passo incredibile è stato uscire da solo, interagire con delle persone, qualcosa di impensabile anche solo un mese fa. Quanti progressi! Secondo voi queste parole quali saranno?
Altri commenti per il capitolo di oggi non ne ho, se non ricordarvi che ne mancano solo tre alla fine, tre come le stelle della cintura di Orione che nelle notti d'inverno ricordano a tutti i lettori di lasciarmi un segno d'affetto in cima al capitolo (manca poco alla fine e le mie idee di stellinaggio stanno iniziando a fare pena, me ne rendo conto)
Ci rileggiamo lunedì!
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