128. Of cuuurs
Ivan mi sta facendo dei gesti.
Dei gesti senza senso.
Sono passati due giorni. Ne rimarrà altri due, prima di partire per Indian Wells.
E io non sono ancora riuscito a parlargli. A dirgli ti amo anche se non ti amo sempre. A dirgli gioca il doppio con me.
Fatico persino a scrivergli. Ogni tanto lo faccio. Ci riesco se sono scambi di battute su argomenti neutri, ma appena si arriva a parlare in maniera più intima, di cose a cui tengo anche solo un po' (come ad esempio la cucina, il tennis o i miei stupidi capelli azzurri), digito solo frasi brevi ed ermetiche o non scrivo affatto. Non lo faccio apposta! Non riesco a fare altrimenti. L'unico modo in cui riesco a comunicare è un modo poco chiaro.
Ora non capisco cosa stia cercando di fare.
Sbuffa. «Non vuoi parlare con sign language? Ho imparato apposta questa frase!»
Fa di nuovo quei gesti senza senso.
Allargo le braccia e scuoto la testa. Non capisco.
«Forse ho detto male? Ho cercato su YouTube come dire questa frase e ho messo insieme un po' di pezzi perché era frase lunga, però pensavo che capivi.»
Improvvisamente capisco davvero. Ma non il senso della frase.
Prendo l'iPad e scrivo. In che lingua l'hai cercato?
«In russo!»
Lo sospettavo. Mi hai detto qualcosa con la lingua dei segni russa, io uso quella americana.
Spalanca la bocca. «C'è lingua dei segni diverso in ogni posto del mondo?»
Annuisco.
«Ma perché? Io pensavo che era una cosa international!» Scuote la testa. Io non ho intenzione di fargli una lezione sul senso e sulle origini delle lingue dei segni. La mamma me ne aveva parlato, me l'aveva spiegato. È una storia interessante, ma troppo lunga da scrivere.
Sbuffa e fa spallucce. «Ok, nu. Siccome hai voglia di scrivere ti chiedo in altro modo. Sempre con segni, ma segni diversi.»
Prende il cellulare e va su Spotify.
Appena me ne accorgo il mio cuore va in tachicardia istantanea. So cosa sta per chiedermi, e non voglio che me lo chieda.
Ieri sera ho fatto una cosa. Ho aggiunto una canzone alla mia playlist. L'ho fatto dopo una serata passata a cercare di comunicare con Ivan. Gli ho fatto vedere tutte le foto che avevo scattato e che avrei voluto mandargli e non gli ho mai mandato: il pignarûl, la neve, l'insegna della casa, foto di Capriva, foto di me stesso che facevo cose. Lui mi ha chiesto cosa rappresentassero quelle foto, io non sono stato in grado di dirglielo. Voglio parlarti, Ivan, voglio dirti quello che penso e quello che sento. Ma non ci riesco.
La sera stessa, da solo a letto, mentre cercavo di addormentarmi, ero frustrato da questa mia incapacità comunicativa. E ho ripensato alla canzone. L'ho inserita nella playlist.
Ivan la sta indicando.
È God only knows dei Beach Boys.
Non so bene perché l'ho fatto. Era un messaggio per Ivan? Forse sì. Forse speravo se ne accorgesse. Adesso che se n'è accorto, però, sono terrorizzato. Cosa sta pensando di me?
Ivan continua a indicare la canzone. Batte il dito sullo schermo. È accigliato.
Io scuoto la testa.
Lui sbuffa. «Cosa vuol dire? Parla! Parla!»
Scuoto la testa di nuovo.
«Parla!»
«N-n-n...»
«Dai! Dimmi!» sorride.
«N-non so!» grido. Ansimo.
«Cosa vuol dire non so?»
Scuoto la testa.
«Di nuovo silenzio?»
Annuisco.
E allora lui fa una cosa strana.
Si mette a parlare in russo. Mi guarda e dice delle cose. Alcune sono domande. La maggior parte sono domande, lo capisco dall'intonazione e dal modo in cui mi guarda e gesticola. Ma non so cosa stia dicendo.
«Queste cose io ti ho detto per farti capire» dice alla fine. «Come ti senti se io parlo una lingua che tu non capisci? Ecco come mi sento io quando cerco di capire cosa vuoi dire. Insegnami qualcosa, Misha. Per favore.»
Mi guarda ancora per qualche istante, ma io resto zitto. E quindi lui se ne va con un'andatura triste.
***
Il pomeriggio sono solo. Si stanno tutti allenando: Daniele, Ivan e persino Andrej. Papà è lì con loro che li aiuta. Ivan voleva restare qui con me, sono stato io a implorarlo di andare al club con gli altri. Per due ottime ragioni: punto primo, è il suo lavoro e non può stare quattro giorni fermo, tra poco inizia Indian Wells. Punto secondo: mi pesa stare con lui senza riuscire a parlare.
Nel frattempo anch'io mi sono un po' allenato, ma nella palestrina che c'è qui a casa. Poi mi sono fatto la doccia e mi sono messo sul divano ad ascoltare un po' di musica.
Non passano neanche cinque minuti, e arriva Anna. Mi saluta con la mano. Tolgo gli auricolari.
«Hai dieci minuti?» mi chiede.
Annuisco.
«Volevo raccontarti una cosa. E forse tu apprezzerai. L'ho detto a mia madre e quella stronza non era contenta neanche un po'.»
«D-dimmi.»
«Io e Andrej ci sposiamo!» Sorride e sorrido anch'io.
«Q-quando?»
«Non lo sappiamo. Forse il prossimo anno, forse tra due, forse domani... ma ci sposiamo. Sono così felice!»
Sorrido. Non so cosa dire. Fatico un po' a parlare anche con lei.
«R-raccontami» le chiedo.
«Sai che gliel'ho chiesto io?» ride. «Ti va davvero di ascoltarmi?»
Annuisco, mi siedo più comodo.
«Ieri sera, eravamo a letto e avevamo appena fatto l'amore. E io ero così felice! Lo guardavo, ci guardavamo così, stesi uno vicino all'altro, gli accarezzavo il viso e gli faccio: perché non ci sposiamo? E lui...» Ride di nuovo. «Lui mi fissa, serissimo, non so come fa a stare sempre così serio quando fa lo scemo, sembra quasi che ci pensi un po' su, e poi mi dice: ma ti sembra il modo di chiederlo? E come dovrei chiedertelo? gli dico io, devo mettermi in ginocchio? Of course! Mi dice lui. Mi fa morire quando dice of coooourse, lo dice sempre con questa o strettissima che sembra: of cuuuurs.» Ride, per la terza volta, non potrebbe essere più felice. «Adoro il suo accento! Anche Ivan ha alcune parole che pronuncia sempre in modo strano?»
Ivan pronuncia tutte le parole in modo strano. Mulino la mano per esprimere il concetto.
«Io lo prendo sempre in giro. Poi lui ovviamente prende in giro me perché dice che pronuncio malissimo il russo. Probabilmente parlo russo con l'accento terrone, ahah!»
«P-parli russo?»
«Nah!» Fa un gesto sprezzante con la mano. «Due parole, quattro frasi. Me le insegna lui. So dire ti amo in russo! Si dice: ia tiebia liubliu.»
Anna è talmente intelligente che probabilmente entro un paio di mesi lo saprà parlare benissimo.
«Comunque, scusa, sto divagando. Dicevo... dov'ero arrivata? Ah sì: of cuuurs ti devi mettere in ginocchio, ha detto. E allora sono scesa dal letto, mi sono inginocchiata sul pavimento, lui era ancora sul materasso, gli ho preso la mano e gli ho chiesto: Andrej Sergeevic Reshetnikov, vuoi sposarmi? E lui: of cuuuurs!» Anna emette un urletto e porta le mani a pugno davanti alla bocca. «Io pensavo già di volerti sposare tipo il giorno che ci siamo baciati sul divano a casa mia, mi ha detto.» Sospira. «E allora perché non me l'hai chiesto prima? Be', perché aspettavo che me lo chiedessi tu, mi dice, io non sono tanto bravo a inginocchiarmi.»
Sorrido. «Sono c-contento p-p-per te» riesco a dire. Lei mi stringe una mano.
«E poi... e poi mi ha detto un'altra cosa, che penso sia la cosa più bella e romantica che mi abbiano mai detto. Era un po' in imbarazzo, a chiedermela, ha cincischiato un po' prima di cominciare, magari non sei d'accordo e pensi che è una scemenza, mi dice, ma mi piacerebbe molto se prendessi il mio cognome. Non la prendere come una cosa maschilista, non me ne frega niente che sia il mio cognome, se si potesse fare, prenderei senza problemi io il tuo. È solo che mi piace l'idea che ci chiamiamo allo stesso modo, mi fa sentire parte di una famiglia.» Anna mi sorride. «Non è una cosa tenerissima?»
Annuisco. «E c-c-coosa gli hai risposto?»
«Of course gli ho risposto di sì! Il mio cognome mi ha sempre fatto schifo, tra parentesi. Anna Rossetti... Rossetti! Ma si può essere più banalmente italiani di così? Anna Rossetti. Sembra il nome di un'impiegata di banca: sportello due, Anna Rossetti. Invece, Anna Reshetnikov... anzi, Reshetnikova, se non sbaglio. Anna Reshetnikova!» Lo sguardo di Anna si perde, sognante. «Senti come suona bene! Anna Reshetnikova! Ti fa pensare che sono una famosa ballerina classica, o un'eroina romantica che poi muore tragicamente suicida sui binari del treno.»
Spalanco gli occhi e Anna ride. «Scusa, ti ho appena spoilerato il finale del romanzo russo più famoso di tutti i tempi.»
Un romanzo che non ci tengo a leggere, se finisce così male.
«Anna Reshetnikova...» sussurra lei di nuovo. «Che poi ci sta proprio bene perché Anna è anche un nome russo. Non è bellissimo?»
Michele Reshetnikovo. Non suona tanto bene.
Devo smetterla di pensare a queste cose.
«Bene» dice Anna. «E adesso che ti ho raccontato i miei progressi in campo sentimentale, tocca a te.»
La richiesta mi lascia senza parole.
«Stai zitto perché hai di nuovo dimenticato come si fa a parlare o perché non hai niente da raccontarmi?» Alza un sopracciglio con aria maliziosa.
Continuo a stare zitto.
Anna mi prende le mani, mi fa un sorriso dolce. «Di cosa hai paura, Misha?»
Scuoto la testa.
«Ti dico io di cosa dovresti avere paura: dopodomani Ivan se ne va. E chissà quando lo rivedrai.»
Ciò che ha appena detto mi causa un piccolo attacco d'ansia, il ritmo del mio respiro accelera.
«No!» sbotta Anna. Mi stringe le mani con più forza. «La risposta non è un attacco di panico. La risposta è agire.»
«Io n-non n-n-n-n...» Prendo fiato. Scuoto la testa. No. Non riesco a parlare.
«Tu non?» mi incalza Anna.
«N-non c-c-ce la f-f-fac-c-ccio a...»
«A fare cosa? A parlare con lui?»
«A dirgli che...»
Lo amo.
«A dirgli che? Dillo! Dillo a me, e forse poi riuscirai a dirlo anche a lui.»
Scuoto la testa con tanta foga che quando mi fermo ho un po' di capogiro.
«Lui non ti aspetterà per sempre, la capisci questa cosa?»
Mi viene di nuovo l'affanno.
«Calmati, ragiona e agisci.» Il tono di Anna è sommesso e tranquillo.
«Non restare immobile. Lo so che è la cosa più facile, ma è anche la più stupida.» Mi sorride. «So che ce la puoi fare. Guarda dove sei arrivato e ricordati dov'eri qualche mese fa. Se sei riuscito a superare la tua depressione, puoi riuscire a superare anche questo blocco. Puoi riuscire a dirgli cosa provi.»
Anna ha ragione, ovviamente. Lo so benissimo che ha ragione.
Devo fare qualcosa.
Mi allontano da lei. Ho bisogno di stare un po' da solo e riflettere. Vado in camera mia.
Penso e ripenso alle parole di Anna, a tutto ciò che mi ha detto, anche alla proposta di matrimonio ad Andrej. Al fatto che lei sta persino imparando il russo.
Ivan ha imparato l'italiano, ha cercato persino di imparare la lingua dei segni, si è inventato mille modi diversi per comunicare con me, e io di passi verso di lui ne ho fatti pochissimi.
Non voglio solo parlargli, voglio capirlo, come lui cerca di capire me.
Nella mia testa comincia a formarsi un piano d'azione.
E per portare a termine questo piano mi serve innanzitutto una cosa.
Mi servono delle fragole.
——
Note note note ♫
Ci siamo! Ci siamo! Cosa avrà mai in mente Micheluzzo nostro? Sapete quanto tempo ha per realizzare questo benedetto piano? Quattro capitoliii 😱
E che ne pensate di Anna che si sposa con Andrej? Io come vestito da sposa pensavo a una roba così
Con tante belle stelline ricamate! Vi dice nulla? ;)
A giovedì!
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