123. Un messaggio per Misha
Ha i capelli scoloriti, e due centimetri di ricrescita scura. Non si è rifatto la tinta!
È la prima cosa che noto, prima ancora di capire chi è l'avversario. Chi è? Thaler! Lo hanno appena inquadrato, mentre si prepara a servire.
Quindi uno dei big three è uscito. A che punto sono del match? Daniele parlava di tie-break. Ma di che set? Non è ancora riapparso il punteggio in sovrimpressione.
Guardo Daniele, guardo papà.
«Michi, tutto bene?» dice Daniele.
«Ti avevo detto che stavi facendo troppo casino!» lo rimprovera papà.
Indico la TV.
«È la semi» dice Daniele. Faccio una smorfia, lo so che è la semi!
«Thaler - Reshetnikov. Sono al quinto e stanno per giocare il tie-break decisivo.»
Devo sedermi. Thaler ha già servito e vinto il primo punto. Devo sedermi. Devo guardarla da seduto, altrimenti svengo.
«Vuoi vederla?» mi chiede papà.
Annuisco. Papà si sposta e batte con la mano il materasso. Mi siedo accanto a lui.
Serve Ivan, ora.
Ivan non ha un buon record nei tie-break decisivi. E infatti, dopo aver fatto il primo punto per miracolo, sbaglia il secondo servizio e si fa fare un mini-break.
Mi viene da vomitare dal nervoso.
Vorrei essere lì a fargli coaching, come alla Laver Cup.
Thaler tiene i due servizi, nonostante abbia messo due seconde. Ivan non li ha giocati bene, ha fatto errori di nervosismo.
Perché ho voluto vedere questa cosa? Il primo tennis che guardo dopo mesi e mesi è una sconfitta che mi farà stare malissimo.
Primo servizio di Ivan. Ace!
Mi esce un rantolo di esultanza, mentre c'è il cambio campo.
Dai! Stringo il pugno. A cosa serve tutta questa mia tensione? A niente! Me ne sto qui seduto e non posso in alcun modo influenzare il risultato di questo incontro. E allora, perché lo guardo e mi tormento? Perché non aspetto semplicemente che finisca e guardo il risultato alla fine?
Non lo so. Vederlo mi dà l'illusione completamente irrazionale che il mio tifo, il mio coinvolgimento emotivo, possa influenzare Ivan in qualche modo.
Ivan riesce a tenere anche il secondo servizio e tocca di nuovo a Thaler sul tre quattro (leggo i punti come se fossero sempre di Ivan).
Il tre cinque è un ace di Thaler. Maledizione! Speravo l'ennesima seconda, e invece...
Sul punto successivo Thaler mette una seconda. Ivan risponde bene, ma Thaler prende comando dello scambio e comincia a tirare le sue tipiche sassate pesantissime, spostando Ivan a destra, sinistra, destra, contropiede! Sinistra di nuovo! Mio Dio, come fai a riprenderle tutte, Ivan? Alla fine Thaler ci riesce, a far punto, ma con qualsiasi altro giocatore avrebbe fatto vincente con uno a scelta tra i tre colpi precedenti.
E siamo tre-sei. Tre match point per Thaler, di cui però due sono su servizio di Ivan.
Ivan è tesissimo. Dai, dai! Non mollare! Vorrei svenire e risvegliarmi tra un minuto.
La prima di Ivan va in rete.
E anche la seconda! No! Che delusione, che pena infinita! Ha perso con uno stupido doppio fallo!
Aspetta... Perché cambia posizione?
E all'improvviso mi sento un idiota.
Agli Australian Open c'è il tie-break a dieci, non a sei come agli US Open! Che cretino! Rendermi conto di questo fatto mi riempie il cuore di un insperato sollievo. C'è ancora speranza. È sotto due mini-break, due! Sono tanti, ma ce la può fare.
Siamo sul tre-sette. Il servizio di Ivan stavolta è ottimo e lo segue a rete. Una scelta coraggiosa che paga. Quattro sette.
Serve Thaler, ora, mettendo l'ennesima seconda nervosa, e stavolta Ivan lo punisce. Un angolo stretto, un attacco, una volée magistrale. Alzo le braccia al cielo. Il primo mini-break è recuperato! Papà e Daniele stanno seguendo la gara in silenzio assoluto.
Cinque-sette.
E in trenta secondi è cinque-otto. Il punto successivo è un ace di Thaler.
Ma non importa.
Ci sono altri due turni di servizio su cui Ivan potrà recuperare. Deve solo tenere i prossimi due. Cambiano campo e serve lui.
E li tiene! Entrambi. E anche piuttosto rapidamente. Stringe il pugno, digrigna i denti. Come sembra stanco... Ce la puoi fare, Ivan. Io ci credo!
Sette-otto. Servizio Thaler.
Prima in campo. Scende a rete, ma Ivan gli tira un passante difficilissimo, basso, teso, Thaler lo riprende male e Ivan la chiude.
Lancio un grido e abbraccio papà. Mi abbraccia anche lui. Anche Daniele sta esultando. Ivan ha recuperato entrambi i mini-break e sono di nuovo pari. Otto pari!
Thaler non è il giocatore più freddo del mondo, tutt'altro. Si fa spesso prendere dal nervosismo quando deve chiudere. Sono sicuro che non metterà la prima.
Infatti non la mette.
Lo scambio sulla seconda è uno di quegli scambi infiniti fatti di colpi quasi vincenti, discese, pallonetti alti, traiettorie e recuperi folli. Thaler spinge come un matto, Ivan angola sempre di più. Alla fine, Thaler riesce a tirare su uno slice tesissimo di Ivan con uno dei suoi inconfondibili rovesci lungolinea. Ma Ivan l'aveva capito! E la riprende, non so come, e non so come la incrocia, tesissima, piattissima, sull'angolo.
È un vincente.
Ho una specie di singhiozzo. Non solo ha recuperato un minibreak, ora è uno avanti lui.
Nove-otto!
Match point! Lo sussurro senza voce, solo labiale. È Daniele a parlare per me. «Match point» dice.
Lo inquadrano. Saltella. Lui saltella sempre, non riesce a stare fermo. Papà appoggia una mano sul mio avambraccio. «Ce la fa» sussurra. Io annuisco. Sì, ce la fa. Lo so che ce la fa.
E poi Ivan fa una cosa strana. Una cosa che non gli avevo mai visto fare. Sceglie la pallina, la mostra a Thaler, se la preme prima sulla fronte, poi sul cuore... e sorride.
Sorride! Sì, perché lui gioca. Giocare, play. Come si diceva in russo? Non lo ricordo più. È un verbo bello. Così mi aveva detto Ivan. Voglio vincere giocando. Voglio vincere divertendomi.
E quindi serve. Senza nemmeno farla rimbalzare a terra, come fa di solito.
Thaler risponde in rete.
È un finale talmente anticlimatico, per tutta la tensione che avevo in corpo, che ci impiego diversi secondi a prenderne coscienza.
Ma appena ne prendo coscienza, l'emozione sale rapidamente, come un'eruzione, e mi fa esplodere in gola un grido ritardato.
È in finale. In finale!
«Sei contento» Papà mi guarda. Sorride. «Sei davvero contento!»
«Sì!» dico. Una parola che esce dalla mia gola roca e stentata. Ma esce. Papà ora sembra commosso, ha gli occhi lucidi.
«Peccato che non l'hai vista tutta» dice Daniele. «Partita dell'anno, per ora. Quasi cinque ore, lotta epica, guardati gli highlight, hanno fatto punti stupendi, tutti e due.»
La telecamera sta inquadrando l'orologio proprio adesso: quattro ore e cinquantasei minuti. Il punteggio è 4-6 7-5 6-3 6-7 7-6. Avrà corso chissà quanti chilometri! Ivan ha uno stile di gioco che lo fa correre tanto. Reggerà la finale? Contro chi la gioca? Apro la bocca per chiederlo, ma non ci riesco. Sono troppo sopraffatto dalle emozioni.
«Vuoi sentire l'intervista?» mi chiede papà.
«Sentila» dice Daniele.
Da come lo dicono ho l'impressione che Ivan dirà qualcosa su di me. L'ha già fatto? Nelle interviste precedenti?
Ecco che si avvicina al microfono. Felpa chiusa sotto al collo e orologio Lego ben visibile al polso. Che strana quella ricrescita così lunga...
Domande di rito. È stata una lotta incredibile, quali sono stati i momenti chiave, eccetera eccetera. Dalla seconda domanda vengo a conoscenza dell'avversario per la finale. Grković. Maledizione, il peggiore possibile. Gli Australian Open sono il suo regno, è il tennista che ne ha vinti di più.
Ma non sono queste le risposte che mi interessano. Se dirà qualcosa che mi riguarda, la dirà alla fine. Le domande a bordo campo non sono mai più di tre, massimo quattro.
Ecco. Finiscono gli applausi. Jim Courier, l'intervistatore, si appresta a fare l'ultima domanda. «E per finire... Nelle sei interviste precedenti hai concluso l'intervista con il verso di una canzone. Vuoi fare lo stesso anche oggi?»
Una canzone?
«Certo!» risponde Ivan sorridente. Si schiarisce la voce e recita.
«I find it hard to tell you, 'cause I find it hard to take.»
Porto entrambe le mani alla bocca. Ho riconosciuto queste parole. È un pezzo di Mad World dei Tears for Fears.
«E come sempre non vuoi spiegare cosa significa» dice Courier.
«Ho l'impressione che Michele sappia benissimo cosa significa» commenta Daniele, mentre sullo schermo Ivan sta scuotendo la testa.
«Ne hai già una pronta per la finale?» chiede Jim Courier.
«Purtroppo ancora no» risponde Ivan. «Ma spero di trovarla entro domenica.» L'ultima frase la pronuncia guardando dritto in camera.
Sta parlando con me!
Esco dalla stanza, senza neanche guardare papà e Daniele.
Ho capito... Credo di aver capito cosa ha fatto.
Mi chiudo in camera mia.
Vado su Youtube col mio iPad, sul canale degli Australian Open. Interviste e conferenze stampa. Ecco. Le interviste a fine match di Ivan. Le voglio guardare in ordine cronologico. Ma sono solo quattro! Contando che quella di oggi non l'hanno ancora caricata, ne manca comunque una...
Ah, ecco. Il primo giorno ha giocato su un campo secondario, quindi non l'ha fatta. Courier però ha citato sei canzoni. Sei! Quindi deve averla detta in conferenza stampa.
La prima conferenza.
Play.
Lo dice proprio in apertura. «Prima di cominciare con le domande vorrei fare una dichiarazione.» Si guarda intorno, annuisce. «Le parole non sono affatto necessarie, possono solo fare del male.»
I giornalisti gli chiedono cosa significhi, lui non dà spiegazioni. «Chi deve capire, capisce» dice.
E infatti io capisco. È Enjoy the Silence dei Depeche Mode!
Vado al video successivo, stavolta un'intervista a bordo campo. Vado alla fine. «Vorrei dire un'ultima cosa: e se la tua band comincia a suonare pezzi diversi, ci rivedremo sul lato oscuro della luna.»
Brain Damage, Pink Floyd.
L'intervista successiva.
«Realizza i tuoi sogni, prima che scivolino via.»
Ruby Tuesday, Rolling Stones.
E quella dopo.
«Ho poco tempo e troppa fame.»
L'ha detto in italiano, Il pescatore di Fabrizio De Andrè.
E quella dopo ancora.
«L'ambizione è un culto. Vorresti che la tua voce dominasse il tumulto.»
In francese, stavolta, Des ronds dans l'eau, Françoise Hardy.
E la sesta. La frase che ha detto oggi, da Mad World dei Tears for Fears. La riascolto.
«Faccio fatica a dirtelo, perché faccio fatica ad accettarlo.»
Mi sono tormentato per settimane sul modo migliore per ricominciare a comunicare, e lui ci aveva già pensato, e aveva trovato il modo perfetto per farlo.
Ha trovato la mia playlist e ha recitato una strofa da ogni canzone. Non è stato invadente, non ha chiesto a mio padre passamelo al telefono (e io so che ci ha parlato, con papà, lo so!), ha aspetto i miei tempi, mi ha mandato questo messaggio, e se vuoi vedermi lo sentirai, se non vuoi vedermi, puoi stare tranquillo nella tua ignoranza, nel tuo isolamento, caro Misha.
Mi tornano in mente le parole dello psichiatra: lo sforzo comunicativo deve essere bidirezionale. Io cosa ho fatto finora? Niente! Ha fatto tutto Ivan. È venuto a trovarmi. Mi ha convinto a prendere le medicine per curarmi. Mi ha fatto venire voglia di ascoltare musica. E adesso mi ha parlato di nuovo, attraverso la musica.
Ma so come rimediare alla mia immobilità.
Manca ancora una canzone. E Ivan ha detto che non ha ancora trovato una canzone per la finale.
Nella playlist ce n'è una settima, di canzone, che lui non ha citato e non citerà: è Atomic dei Blondie. Non l'ha citata perché l'abbiamo cantata insieme alla Laver Cup. Tutti sanno che è un nostro ricordo, se l'avesse citata tutti avrebbero capito che stava parlando con me. Invece, così, questi messaggi sono solo tra me e lui.
Quindi Ivan ha bisogno di una canzone.
Be', eccolo il mio messaggio per te, Ivan. Finalmente l'ho trovato.
Troverò la tua canzone preferita e la metterò in quella playlist.
——
Note note note ♫
Da quanto la aspettavate 'sta canzone preferita? Finalmente la scopriremo (forse)(ahah, sono sadica)! Ivan in finale secondo voi riuscirà a vincere? E Misha riuscirà a trovare la canzone in soli due giorni? Lo vedremo...
Avete qualche ipotesi sulla canzone? Potrebbe essere Highway Star dei deep Purple? O Stars di Simply Red? O A Sky full of Stars dei Coldplay? O Starlight dei Muse? Ok, ok, l'antifona l'avete capita...
Ci rileggiamo lunedì! La prossima settimana pubblicazione regolare con due capitoli. A presto!
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