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113. Come in un sogno

Ivan emette un gemito, ha un singulto. lo lo stringo di più. Sposto la mano dal collo al petto, e con l'altra gli afferro l'inguine. Lo sento ingrossarsi nel mio palmo.

Voglio più pelle.

Infilo una mano sotto la maglietta e l'altra nelle mutande, il suo pene riempie la mia mano, e appena glielo afferro, finalmente, Ivan reagisce, dopo che era rimasto stranamente immobile fino a questo momento. La sua mano mi afferra il polso, quello infilato nelle mutande, lo stringe.

E lo sposta.

Lo tira fuori.

«No» dice.

Come sarebbe a dire: no? È una parola che non accetto e non capisco. Divincolo il braccio dalla sua presa e cerco di abbracciarlo di nuovo, ma la reazione di Ivan stavolta è violenta. Mi tira una gomitata in pancia che mi leva per un attimo il fiato.

«Niet! Bliat!» ruggisce. «Capisci cosa vuol dire no?»

Si gira a guardarmi, io mi tengo il diaframma, ritrovando a poco a poco il respiro. Guardo la sua evidente erezione attraverso i pantaloncini.

Non capisco. Non riesco a capire. Lo indico. «M-ma tu sei eccitato.» 

«E allora?» mi risponde. «Quello che vuole il mio cazzo è diverso di quello che voglio io.» 

No. Non è possibile. Quello che sento io è quello che sente lui. No? Non è così?

«Ma io...» Sono un po' affannato, e non solo a causa della gomitata. «lo t-t-t-ti voglio.» 

La sua risposta è sempre uguale. «E allora?» E il suo sguardo è sempre più duro, il suo sguardo è un muro contro cui si sfracella la mia volontà. 

«Non m'interessa cosa vuoi tu. Io non voglio» aggiunge.

«Ma...» Perché? Lui mi vuole! Non è possibile... Non è possibile... «Io ti voglio...» Ripeto. Non riesco a dire altro. 

«Non ti ricordi cosa ha detto tuo papà a Raf nel bosco?» 

Scuoto la testa. Di cosa sta parlando? Perché tira fuori quell'episodio, adesso? 

«Non importa quanto vuoi una cosa. Una cosa non succede solo perché vuoi che succede.» 

Resto senza parole. Anzi no. Ne ho due. Una domanda: «Perché no?» 

«Io amo Dasha. Ti sei dimenticato che mi sposo a dicembre?» 

Si sposa. No, non l'ho dimenticato. Ma pensavo di fargli cambiare idea. Non può sposare Daria. Non può!

«La amo» ripete. «Hai capito? lo la amo!» Batte un piede a terra. «Tu sai cosa vuole dire amore? La amo!»

No. Io non so cosa vuol dire amore. È questo il problema? E se gli dicessi che lo amo? Lascerebbe Daria per me? 

Potrei provare. Prima l'ho pensato, per un attimo, non so neanch'io perché. Ivan ha ragione, non capisco i confini di questa parola, però cosa mi costa dirlo? Forse se lo dico lui lascia Daria e sta con me. Forse lo amo davvero, lo voglio tutto per me. Non è questo l'amore? 

E quindi apro la bocca, ma il respiro mi si strozza in gola. Ho la lingua sul palato, appoggiata agli incisivi pronta a dire la T. Ma non riesco nemmeno a respirare. 

No. Ricominciamo. Prendo una boccata d'aria. Forse se comincio con una parola diversa riesco a proseguire la frase. «Ivan... io...»

E di nuovo, la gola mi si stringe, non riesco a respirare, mi sembra di soffocare. Lui si avvicina a me, mette una mano sulla mia spalla. «Cosa c'è? Cosa vuoi dire?» mi chiede in tono comprensivo. «Stai male?» 

Scuoto la testa, ma è una bugia: sì che sto male. Perché non mi vuole? Perché vuole Daria? «Io p-pensavo...»

Lo sguardo di Ivan si addolcisce. «Cosa pensavi? Dimmi.» Preme le labbra tra loro fino a sbiancarle. «È per la canzone?» mi chiede. Scuote la testa lentamente, a occhi bassi. «Hai ragione, Misha. Non dovevo cantare la canzone. Quella canzone ha troppa emozione dentro e ti ho fatto pensare strano. Scusa.»

Non ci stavo neanche pensando, alla canzone. Pensavo a Daria. Solo a lei. «Io... io...» Respira, Michele, respira. «Non voglio che sp-p-posi Daria.» Riesco infine a dire. 

Ivan sospira, scrolla la testa. «Misha, tu cosa vuoi?» 

«Te» rispondo, rapido e secco. 

«Ok. Ma cosa vuoi? Cosa vuoi da me?»

Lo guardo senza riuscire a dire niente.

«Ti ricordi...» Abbassa per un attimo lo sguardo, ma solo per un attimo. «Quella sera a San Pietroburgo, quanto ti ho chiesto: dimmi cosa vuoi, non avere paura di cosa vuoi. Ti ricordi?»

Annuisco. «V-voglio te» rispondo.

«No. Non voglio sapere questo. E non voglio sapere neanche se adesso tu vuoi scopare. Io voglio sapere: tu cosa vuoi in... come si dice... in tempo lungo? Vuoi relazione con me? Come vuoi stare con me? Cosa pensi di futuro? Perché non vuoi che sposo Dasha? Dimmi! Spiegami cosa hai nella testa adesso.» 

Muovo la testa una volta a destra, una a sinistra, molto lentamente. Non lo so. Non lo so di preciso. 

«Non lo sai, vero?» dice, dando voce ai miei pensieri.

«Io...» Cosa posso dire? Come posso dirlo? Ti amo? Cosa mi costa dirlo, anche se non so se è vero? «St-to bene con te.»

Ivan accenna un sorriso. «Anch'io sto bene con te, ma solo quando siamo amici.»

«Non ti è piaciuto quello che abbiamo fatto a San Pietroburgo?» le parole scivolano fuori dalla mia bocca con incredibile facilità.

Lui batte un piede, di nuovo. «Da, ciort! Sì! Ho pensato tanto! Ma tu? Quando ti ho chiesto, a Capriva, hai mai pensato a Piter? Tu mi hai detto: qualche volta. Qualche volta! Se tu vuoi veramente stare con me non pensi solo qualche volta! Cosa vuoi, Misha? E...» Emette una specie di ruggito. «Ma perché ti chiedo queste cose? Io non voglio stare con te! Non voglio! Ti ho già detto a Piter: questa è prima e ultima volta. Ti ricordi?»

Annuisco. «Hai detto che faccio sempre q-qualcosa che ti fa stare male e che rompo tutte le emozioni nella t-tua testa.»

È lui ad annuire, ora, e si guarda i piedi mentre lo fa.

«Ma io... io ad-desso...» Io adesso? Cosa voglio dire? Che sono cambiato? Che non gli romperò più le emozioni nella testa?

«Tu adesso cosa?» mi esorta lui in tono stanco.

È cambiato qualcosa da San Pietroburgo, sì. Ero rassegnato all'idea che non avrei mai avuto una relazione normale con Ivan. Nemmeno la volevo. E a dire il vero non sono sicuro di volerla neanche adesso, una relazione. Però ora non sono rassegnato, sono disperato, perché lo vorrei tutto per me. È la stessa cosa che volere una relazione? Non sono sicuro che sia la stessa cosa.

Cosa posso fare per averlo? Per strapparlo a Daria? 

E se gli dessi un bacio? Non vorrei darglielo, se ci penso mi disgusta, ma pur di non farlo andare via lo farei, forse. Farei questo sacrificio.

«S-s-se vuoi...» Fatico a proseguire.

Ivan sospira. «Misha non puoi cominciare cento frasi e non finire nessuna! Dimmi! Cosa vuoi dire? Io ascolto.»

«P-puoi... cioè... t-t-t-tu vuoi b-baciarmi?»

Ivan si incupisce. «No» dice secco. «Perché mi chiedi? Tu vuoi?»

Chiudo gli occhi e scuoto la testa. No. No, accidenti!  Non posso farlo.

«E allora perché mi chiedi?» ripete. Allarga le braccia. «Non capisco! Non capisco cosa vuoi dire!» La sua voce si è alzata.

Le braccia gli cadono ai fianchi, le sue spalle si incurvano. «O forse sì. Forse capisco. Tu pensi che io non voglio stare con te perché tu non vuoi baciarmi. Da? Ma non è quello, Misha! Non mi frega niente di un bacio!» Abbassa un angolo della bocca. «Cioè... no, dico una bugia se dico che non mi frega niente, perché lo sai che il bacio è una cosa importante per me. Ma... Se è solo il bacio, io posso imparare, da? Anche se voglio tanto, posso imparare a... come si dice... posso accettare, posso dire: ok va bene, tu sei così e sei ok così, con questa cosa che non vuoi. Ma non è solo quello. Perché tu adesso forse vuoi scopare, ok? Poi domani vuoi solo essere amico e dopodomani ti faccio schifo per qualche motivo che chi lo sa, e poi scopiamo di nuovo, ma se ti bacio per sbaglio in posto sbagliato che schifo, ti viene da vomitare. E poi un giorno sei contento, e un giorno ti incazzi che vinco io e non vuoi più parlare con me e...» Si prende la testa tra le mani e la scuote. «Io non posso stare così! Capisci?» 

Io ti amo. Se lo dico forse cambia idea. Se riesco a dirlo. Anche se non è vero. O forse è vero. Non lo so.

«E invece Dasha... lei mi ama, mi ama sempre, e con lei sono sempre felice, sempre. Voglio che lei mi fa felice e voglio che io faccio felice lei. Io la amo! Perché lei è intelligente, bella, coraggiosa, mi fa ridere e calcia il culo a tutti. Ed è la persona che amo di più nel mondo, dopo te.»

Ho un sussulto, a queste parole, Ivan abbassa lo sguardo, come se l'avessi colto in fallo. «Vado a farmi la doccia» aggiunge, frettolosamente. «Non mi segui, stai qui.»

Scappa via. Ho l'impressione che scappi via, e io sto qui, come ha detto lui. Mi lascio cadere seduto sulla panchina. Anche se non mi avesse ordinato di stare qui, non avrei avuto la forza di seguirlo.

Mi rimbombano in testa le sue ultime parole: la persona che amo di più al mondo. No, non al mondo. Ha detto nel mondo, un piccolo errore, anche se in realtà non è un vero errore, non si usa ma allo stesso tempo non è proprio sbagliato. La persona che amo di più nel mondo dopo te.

Dopo me.

Vado da lui, adesso, e gli dico, anche tu sei la persona che amo di più nel mondo, che è vero in senso relativo, non esiste altro essere vivente a cui io tenga di più. Ma non so se è vero in senso assoluto. Non capisco, non capisco i confini di quella parola! Vorrei un dizionario che lo spieghi, ma io l'ho cercata la parola amore sul dizionario, e dice che può indicare un'ampia varietà di sentimenti che spaziano dall'affetto alla passione. Ma non è vero! E se è vero, che senso ha?

Delle parole in tedesco mi riportano alla realtà, mi accorgo di avere le mani tra i capelli, quando Thaler entra nella stanza. Sta parlando al telefono con qualcuno e appena mi vede si interrompe. «Hey, everything alright?» Tutto bene?

Buona domanda. No, non credo.

Mi sta ancora guardando. Ah, già, devo rispondere. Trovo la forza di annuire debolmente. Lui esita un attimo, sembra voler dire qualcos'altro, farmi altre domande, forse, ma poi per fortuna desiste. «Ok» dice con aria un po' imbarazzata, e ricomincia a parlare al telefono in tedesco, sparisce in uno dei bagni.

Se Ivan non mi avesse rifiutato, forse Thaler ci avrebbe sorpresi mentre facevamo sesso. È una prospettiva che dovrebbe spaventarmi, ma mi lascia indifferente.

Ivan esce dalle docce dopo parecchi minuti, capelli bagnati, un asciugamano in vita, uno sulle spalle.

Si asciuga, si cambia, Thaler esce dal bagno (sempre al telefono). Silenzio tra noi. Ivan se ne va, senza dirmi altro.

Io resto lì. Seduto. Resto lì per un'altra mezz'ora almeno, e non so quando riuscirò a trovare la forza di andare a lavarmi.

***

La Laver Cup è finita. Abbiamo vinto.

Avrei dovuto giocare l'ultimo match, il match decisivo, ma ho detto a Straussler che non ce la facevo. Si è un po' risentito, perché era evidente che non avessi problemi fisici. È stato Molina a giocare al posto mio, ed è riuscito a strappare una vittoria molto spettacolare, al tie-break decisivo.

Ho esultato con gli altri. Li ho abbracciati, ho finto di essere felice. Ma mi sento come morto, dentro. Alla fine anche Straussler deve essersene accorto, perché nel bel mezzo dei festeggiamenti mi ha chiesto se tutto fosse ok. Gli ho detto di sì e non ha insistito.

Nello spogliatoio mi costringono a bere champagne dalla coppa. Normalmente avrei trovato la pratica stomachevole, assumere una bevanda che non mi piace da un contenitore a cui hanno attinto altre sei persone. Ma sono talmente spento che lo faccio, come se dovessi assumere una medicina. Come aveva detto Ivan a San Pietroburgo: bevi la vodka come se dovessi prendere una medicina.

E l'effetto che mi fa e proprio quello di una medicina, una di quelle che causano sonnolenza e capogiri. 

No, a dire vero una medicina del genere non l'ho mai presa: mi sento un po' confuso e ancora più triste di prima. È davvero una sensazione sgradevole. Raffaele si metteva volontariamente in uno stato come questo ogni giorno della sua vita? Era stupido? Perché lo faceva? E io ho bevuto molto meno di quanto bevesse lui. Forse la chiave è questa. Se bevo di più avrà un effetto positivo. Possibile? Ha senso? Forse no. 

Ma voglio provarci. Non mi sono mai ubriacato in vita mia e ho appena deciso che è un'esperienza che voglio fare. Forse l'ho deciso perché sono già ubriaco? Non so se lo sono. Non credo. Non mi sento molto diverso dal solito, solo un po' assonnato e meno reattivo. È come con l'amore. Non so se sono innamorato. Non so se sono ubriaco. Non conosco i confini dell'amore e dell'ubriachezza. 

Ovviamente non posso ubriacarmi subito. Finiti i primi festeggiamenti, bagnati di champagne e acqua della doccia, andiamo in conferenza stampa. Io non ho tempo di lavarmi i denti come vorrei, quindi prendo la mia solita gomma, almeno per abbassare il pH della bocca. 

Spero non mi chiedano nulla, non voglio parlare. Anna mi ha mandato, via messaggio, qualche suggerimento di risposta alle domande più "scottanti" che potrebbero farmi. Ma che te le mando a fare? leri hai fatto un'intervista a braccio che è stata la più bella della tua carriera! Alla fine del messaggio ha aggiunto l'emoticon del bacio. 

Le risposte che mi ha scritto non le ho neanche lette. Sono rimasto per dieci minuti a fissare l'emoticon del bacio. Il bacio che non ho mai dato a Ivan e che mai gli darò. Ivan si siede proprio accanto a me, in sala stampa, alla mia destra (a sinistra c'è Robert).

«Misha, stai bene?» mi chiede sottovoce. Annuisco. Lui scuote la testa. «Non ho capito se è una cosa tipica di italiani o se io conosco unici due italiani stupidi che non dice mai chiaro se stai bene o se stai male» commenta, irritato. «Anche Raf diceva sempre sto bene, sto bene, quando si vedeva che stava male.»

Non ho modo di rispondergli di nuovo, perché cominciano le domande.

Ce n'è qualcuna anche per me. Ovvio, sono il numero uno del mondo. Sono il giocatore più importante, in un certo senso. Dovrei sentirmi al centro di tutto, e invece mi sento totalmente fuori posto.

Ma rispondo alle domande. Sono domande banali. Sono domande facili, come quasi tutte le domande dei giornalisti. 

E per fortuna sono brevi. L'attenzione è rivolta soprattutto a Robert e Rico, sono loro due i veri protagonisti di questa manifestazione.

***

L'occasione di realizzare il mio proposito di ubriacarmi arriva al party di festeggiamento. Si tiene in un piccolo locale, tutto prenotato per noi. Ci sono un bar, dei tavolini, e un ampio spazio vuoto in mezzo, una specie di pista da ballo. Sembra una piccola discoteca, ma la musica è un po' meno forte, rispetto all'unica vera discoteca in cui sono stato.

C'è la squadra al completo e ci sono anche persone estranee al gruppo: alcuni allenatori, alcuni membri dello staff, alcune mogli e fidanzate (tra cui Daria), una manciata di ragazzi e ragazze che non conosco, e per finire anche Anna e Andrej.

Non manca l'alcol, non mancano le gare di bevute. Il gruppo mi spinge a partecipare e lo faccio. Ivan non si unisce al gioco, resta in disparte con Daria.

Mi fanno bere Rum and Cola, e trovo il sapore dolciastro del cocktail più gradevole, no, forse sarebbe meglio dire: un po' meno disgustoso di quello dello champagne e molto meno disgustoso di quello della vodka. È più forte dello champagne, però, e brucia nel petto come la vodka che avevo bevuto a casa di Ivan.

«Non esagerare, non sei abituato» mi ammonisce Anna al terzo giro. Non serve che me lo dica. Ne ho già abbastanza. C'è chi continua. Come fanno? Sembrano sobri e felici, io mi sto sentendo male. Dio, che esperienza orribile, perché l'ho fatto?

Iraklidis mi scuote e mi dice qualcosa, cosa? Boh. È proprio ciò che gli dico: «Boh.» È una risposta che lo fa ridere. Vederlo ridere fa venire da ridere anche me. È una risata strana, distaccata dalla mia volontà. È tornato, di nuovo lui, quel qualcuno nella mia testa che non sono io, è lui che sta ridendo. Come quell'uomo che ride nella canzone dei Pink Floyd.

Voglio ucciderlo, quel qualcuno nella mia testa, è tutta colpa sua se sono così, se non voglio baciare Ivan.

Dov'è Ivan?

Sta ballando con Daria. Ride.

Ho un po' di mal di mare. Sto sognando? No. Sono qui, in questo locale semibuio, con troppo alcol in circolo e qualcuno nella mia testa che non sono io.

Daria gli dà un bacio.

Un bacio sulla bocca.

Mi lecco le labbra.

Un bacio.

Un bacio con Ivan.

E se lo facessi? Adesso?

Vado e lo bacio davanti a tutti.

Lo penso solo perché sono ubriaco. Ora sì che li capisco, i confini dell'ubriachezza. Ora sono sicuro di essere ubriaco. Lo capisco.

Sarà così anche per l'amore? Un giorno ti amerò, Ivan, e lo capirò.

Un giorno vorrò baciarti.

Quel giorno è oggi.

La rivelazione mi colpisce, mi causa un'incontrollabile risata.

Penso alle labbra di Ivan sulle mie, alla sua lingua nella mia bocca, e improvvisamente non capisco più perché ho sempre trovato questa prospettiva disgustosa.

Non è disgustosa, è eccitante! Ho già il cazzo un po' duro.

Voglio baciarlo. Come mi accade, ogni tanto, nei sogni. La condizione in cui mi trovo sembra un po' quella di un sogno, sì. Un sogno in cui tutto si realizza e tutto va bene.

È deciso. Vado da lui e glielo dico: Ivan, voglio baciarti.

Note note note

Il titolo forse sarebbe dovuto essere: come in un incubo. Ivan dice di non volere Michele e di amare Daria, ma si lascia andare a qualche parola di troppo. E alla fine Michele dice di volerlo baciare... secondo voi lo farà? Come finirà questa scena?

Intanto, nel capitolo scorso ho ricevuto parecchie minacce di morte e atroce tortura se non avessi fatto finire bene la scena tra Michele e Ivan. Allora, facciamo così. Prendete un bel martellone stile cartoni animati Warner anni '60, e datemelo forte sulla crapa. Le vedete le stelline che stanno ruotando vorticosamente intorno alla mia testa? Catturatele e lasciatemele in cima al capitolo, così siete contenti voi che avete potuto vendicarvi e sono contenta io che ho il capitolo tutto stellinato: win win!

Ci rileggiamo nel 2022! Buon anno a tutti in anticipo e a lunedì!

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