Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

111. Your hair is ludicrous

Non credo di aver capito bene.

«Sorry, w-www-what?» balbetto.

Robert ripete: «You play doubles with Ivan.»

Spalanco la bocca. Lui mi guarda e scoppia a ridere.

«No!» protesto. «Io mi rifiuto di giocare il doppio con lui.»

«Ma perché? Sareste una coppia fantastica. Vi capite alla perfezione!»

«Ma lui ha un gioco orrendo! Non posso giocare con lui, se vedo troppi suoi dritti da vicino comincio a tirare storto anch'io!»

Robert sembra trovare tutto molto divertente, non la smette più di ridere. «Ti ho sentito, prima. Quando lui stava giocando la palla break, tu sussurravi le mosse. Di qua, di là, scendi! E lui lo faceva. Avete una specie di connessione, è evidente. Sarebbe stupido da parte nostra non sfruttarla.»

«Ma...»

«Ne ho già parlato sia con Derek che con Rico e sono entrambi d'accordo. D'altra parte il loro era un doppio di ripiego.»

«Ma...»

«Niente ma. È deciso.»

Robert accelera il passo e mi lascia indietro. Indietro e senza parole. Non posso far altro che seguirlo.

Quando Ivan arriva in spogliatoio, dopo le interviste di rito, l'accoglienza del gruppo è molto calorosa. Io sono ancora un po' scombussolato dalla notizia di Robert. Forse scherzava. Non sono cose che si possono decidere così, su due piedi.

Ma Robert decide di annunciarlo subito a tutti quanti. «Cambio di programma per domani. Il doppio lo giocano Ivan e Michele.» 

Ivan ha un sussulto. È serio. Serissimo. «Non è uno scherzo, vero?»

«P-p-purtroppo no» commento in italiano.

«Oh... mio... Diooooooooo!» Ivan pronuncia le parole a rallentatore e in crescendo. «Non ci credo! Non ci credo! Misha! Finalmente! Sono due anni che te lo chiedo! Due anni!» Gli altri ridono. «Doveva intervenire Robert! Santo Robert! Grazie! Grazie!» 

Robert ride. «Non l'ho fatto per farti un favore. L'ho fatto perché penso che abbiate ottime possibilità di vincere.»

«Grazie! Thank you! Spasibo! Danke! Gracias! Yes! Yay!» Sta saltando. Ivan sta saltando.

«Ti adora davvero» commenta Iraklidis. «Non ho mai visto qualcuno tanto felice.»

«Mi-sha dou-bles! Mi-sha dou-bles! Mi-sha dou-bles!» Ora sta cantando, oltre che saltellare.

«Davvero gli hai detto di no per due anni? Sei senza cuore» insiste Iraklidis, mentre Serrano e Thaler osservano la scena con un sorrisetto e gli occhi sgranati, e Rico con il suo solito sopracciglio alzato. 

«Dobbiamo studiare qualche strategia», dico, cercando di riportare ordine alla discussione.

Ivan smette di saltare e cantare, si fa serio, chiude gli occhi e fa un sospiro. «Vuole parlare di strategia. Succederà. Succederà davvero!»

«Io non sono un buffone» proseguo, «sono un giocatore serio e non voglio buffonate in campo. Capito?»

«Capito.» Ivan annuisce.

«Io non gioco per divertirmi. Gioco per vincere. Sono un professionista serio e voglio che lo sia anche tu. Capito?»

Ivan porta una mano alla fronte facendo un saluto militare. «Yes sir! Sissignore!»

Scuoto la testa. «Non sei serio, in questo momento.»

«Per niente» mi risponde con l'espressione più seria del mondo, mentre gli altri scoppiano a ridere.

Io però non sto ridendo affatto.

«Scusa, non riesco a essere serio adesso, sono troppo contento. Ma domani» stringe un pugno e me lo mostra, «gioco super concentrato e super serio. Come piace a te. Promesso.»

***

Online, sui siti specializzati, non fanno che parlare di noi. Di me e Ivan. 

Ci sono decine di video su YouTube che mostrano le interazioni in panchina tra noi due, coi sottotitoli in inglese. Un topic su Reddit Tennis intitolato When rivals become allies (Quando i rivali diventano alleati), dedicato proprio a uno di questi video, ha fatto già seimila like, che – sostiene Anna – sono una cifra altissima considerando il subreddit su cui sono stati pubblicati (traduzione: il tennis non interessa a nessuno). 

«E non hai idea di cosa si trova se navighi un po' l'hashtag Breshetnikov su Twitter e Instagram!»

«Mia zia mi aveva raccontato brutte c-c-cose, su quell'hashtag, parlava di fan che si fanno strane fantasie romantiche.»

«Esatto!» Anna batte le mani. «Ah, come le capisco! Siete così carini, insieme.»

Decido che non voglio approfondire, ma intravedo sullo schermo del suo cellulare una foto di me chino sullo schienale della panchina, che parlo vicino alla testa di Ivan, e dei cuoricini in sovrimpressione.

Giocherò il singolare come primo match del pomeriggio, e il doppio con Ivan sarà il primo match del serale.

Io e Ivan abbiamo una riunione tecnica tra mezz'ora, in cui discuteremo le tattiche insieme a Robert e Rico. Tutto davanti alle telecamere. Tanto ormai, balbettio più, balbettio meno...

Ivan oggi è serio, ma sembra davvero emozionato: noto che fa saltellare le gambe sotto il tavolo, mentre ascolta i suggerimenti tattici. Decidiamo le posizioni in risposta: io mi metterò in ad court, a sinistra, per sfruttare la mia eccellente risposta di rovescio sulle palle angolate.

Il singolare avrei dovuto giocarlo contro Kotzias, ma all'ultimo minuto McEnroe, il capitano del team World, ha deciso di cambiare giocatore e ha mandato in campo di nuovo Ford. Robert e Rico sono molto arrabbiati, e in effetti è una strategia un po' scorretta. Ma non ho paura. Ford ha un gioco molto regolare, non sarà difficile batterlo.

***

E invece ho perso. 

Due punti. Questo incontro valeva due punti, accidenti, e li ho persi! Ancora fatico a capire come sia potuto accadere. Ford ha giocato bene, certo, ma in una situazione normale l'avrei battuto con facilità. Il problema sono stato io. L'ho persa io, non l'ha vinta lui. Ho fatto parecchi gratuiti, errori tattici, doppi falli. 

Ero teso. 

Pensavo all'incontro che dovrò giocare con Ivan.

Sì, lo so, non è una giustificazione, non devo trovare giustificazioni. Ma è un dato di fatto che ci stessi pensando. Sentivo una strana tensione dentro allo stomaco. Vedevo Ivan a bordo campo che faceva il tifo per me e pensavo: tra poco scenderemo in campo insieme. E la tensione allo stomaco aumentava. Non sono abituato a sentirmi così, quando gioco.

Robert e Rico mi hanno consolato. «Non è niente» hanno detto. «Vinci stasera e vinci domani. La vinciamo lo stesso.»

Chiedo a Ivan se possiamo allenarci, nella pausa tra le due sessioni, se possiamo fare mezz'ora di palleggio. Robert e Rico si offrono di scambiare con noi, di fare una piccola simulazione di partita. 

È una prova. Io e Ivan dallo stesso lato della rete, insieme, per la prima volta, anche se solo per allenamento. È così strano vederlo qui. Mi manda in confusione. Robert, a un certo punto si arrabbia. «Non avevi detto di essere un serio professionista?» mi incalza. «È molto più serio Ivan, in questo momento!» Ha ragione. Cosa posso rispondere? Ha ragione. 

***

È il momento. 

Ci siamo scaldati insieme, in palestra, in silenzio. Usciremo sul campo insieme. Usciremo per secondi, dopo Kotzias e Stock che sono la coppia avversaria. Mentre aspettiamo, Ivan, che è accanto a me, mi tira per la manica della felpa. «Sono super emozionato! È una di quelle cose che voglio che succede e non voglio che succede, perché poi finisce, e non voglio che finisce.» 

Non so cosa rispondergli. Sono agitatissimo e le sue parole, non so perché, mi agitano ancora di più.

«Sono tanto, tanto contento» prosegue. 

«Sono c-c-contento anch'io» gli dico. Non so se è la verità, mi sento più teso che contento. Ma non mi sembra nemmeno una bugia. 

Ivan però non ci crede. «Non sembri contento.»

«Sono t-t-t-eso» ammetto. «Sto male.» Mi tocco la pancia. «Sto male qui. Non mi ricordo q-q-quando è stata l'ultima v-v-volta che sono stato c-c-così t-t-t...» Teso. Non riesco nemmeno a finire la parola.

«Perché?» Mi chiede, mentre lo speaker annuncia i nomi di Stock e Kotzias. Tra pochi secondi entriamo. 

Mi sta succedendo di nuovo. L'attacco di panico. Sto per svenire. Non lo so perché, riesco a dire, e mi sembra quasi che a parlare sia un'altra persona, qualcuno nella mia testa che non sono io.

There's someone in my head, but it's not me...

E d'improvviso, Ivan mi prende per le spalle e mi scuote. «Misha!» 

Emetto un gemito. 

«Guardami!» 

Lo guardo negli occhi. 

«C'è una cosa rotta, adesso, dentro la tua testa. Vero?» 

«C-Come fai a saperlo?» 

Annuisce. «Ho visto che si rompeva dietro i tuoi occhi.» Gli applausi per Stock e Kotzias sono finiti, lo speaker sta introducendo me e lvan. 

«Ti vergogni se mi tieni la mano?» mi chiede.

«Eh?» 

Ivan mi prende la mano e la stringe. Non capisco più niente. Non sento, non vedo, ma la mano di Ivan, la sua mano, quella sì, è l'unica cosa che percepisco in questo momento. «Ho un'idea per sembrare meno gay» dice, e lo sento come se l'avesse detto da mille chilometri di distanza. 

«Sorridi!» mi ordina. Poi tira su il braccio, e facendolo solleva anche il mio, di braccio, e usciamo così, con le mani strette e puntate verso il cielo, e io sorrido come mi ha detto lui. È una recita, ma dovermi sforzare per fingere un'emozione che in questo momento non provo mi aiuta, mi distrae dalla paura immotivata. Non mi fa uscire completamente dalla crisi, ma per lo meno mi fa stare in piedi. Arriviamo alla panchina tra gli applausi scroscianti, che sento a malapena. 

Appoggiamo i borsoni, Ivan mi fa cenno di avvicinarmi a lui, lo faccio e mi parla all'orecchio. «Conta» dice. 

Ci allontaniamo uno dall'altro e ci guardiamo, lui mi sorride. Io non so che espressione sto facendo. 

Si avvicina di nuovo a me. «Mi hai detto che sai contare uno dieci in russo e non mi hai mai fatto sentire. Conta in russo nel mio orecchio.» 

«Non c-c-c'e t-tempo, dobbiamo andare a rete.» 

Faccio per togliermi la felpa, ma Ivan mi tira a sé e avvicina la sua guancia al mio viso «Adesso! Bistra!» Mi ordina. Non so cosa significhi "bistra", ma capisco che è un qualche tipo di ordine, e funziona. Apro la bocca e sillabo: « Ras, dva, tri, citirie, piat, scest, siem, vosiem, deviat, desiat.»

Ce l'ho fatta. Ho contato fino a dieci in russo. E non ho nemmeno balbettato.

Guardo la rete. Kotzias e Stock sono già lì che aspettano con visibile impazienza. I sensi sono tornati. Odo il vociare del pubblico, vedo il campo, l'arbitro, i miei avversari. Ivan, vedo Ivan, che mi sta mostrando i pollici all'insù. Sento il cotone della felpa scivolare sulla pelle. 

La crisi è passata.

Mi sento ancora teso, ma a questa tensione sono abituato. È la tensione buona che mi mantiene attivo, vigile, competitivo durante tutti i miei incontri. 

Andiamo a rete. Insieme. Ascoltiamo le istruzioni che abbiamo ascoltato già centinaia di volte nella nostra vita. Non ho più paura, perché so che anche se dovesse esserci una nuova crisi Ivan avrà una soluzione per risolverla. 

Il riscaldamento serve a concentrarmi, a ripassare mentalmente le tattiche, le poche che abbiamo studiato. Abbiamo vinto il sorteggio e scelto di servire. 

Sono il primo. 

È il momento. 

«First set. Michele Bressan to serve, team Europe.» La folla è molto rumorosa. «Quiet, please» dice l'arbitro. 

Cala finalmente il silenzio. «Ready? Play.» 

Ivan è lì, a rete, davanti a me. I suoi capelli in tinta con la divisa.

Nello stesso campo. Con me.

Vado.

Parto benissimo, con un ace. Ivan viene verso di me e mi tende la mano aperta, batto la mia sulla sua. Mi chiede all'orecchio se al prossimo punto servirò esterno, ma gli dico di no: «Se lo aspettano. Gioco d-di nuovo centrale.»

Stock riesce a rispondere alla mia prima centrale, ma Ivan è pronto a rete e la chiude con una volée. È il primo punto che facciamo insieme, cinquanta per cento il mio ottimo servizio, cinquanta per cento la sua ottima volée. Pensarci mi causa una strana tensione nel petto. La stessa tensione che provo a vederlo lì, davanti a me, di schiena, in posizione d'attesa, i suoi capelli in tinta con la divisa.

Il primo turno di battuta va abbastanza veloce, e lo vinciamo a zero. 

Ora rispondiamo. Cambio campo, rapida bevuta e ci posizioniamo come prestabilito, io a sinistra, lui a destra. 

E sul primo servizio, la prima incomprensione. Rispondo io di dritto, e si crea subito l'occasione per una discesa a rete. Siamo lì entrambi, c'è uno scambio di volée prima con me, poi con Ivan e alla terza volée allunghiamo entrambi il braccio per riprendere una palla centrale, scontrando le racchette e perdendo il punto.

Era chiaramente una palla di mia competenza! Mi giro verso di lui un po' irritato, per rimproverarlo, ma la sua espressione causa in me una reazione imprevista.

Mi fa ridere.

Ha la testa incassata nelle spalle, le sopracciglia alzate e digrigna i denti in una specie di strambo sorriso di scusa.

Incredibile. Ho perso un punto e sto ridendo! Gli batto scherzosamente il piatto corde sulla testa, mentre torniamo a fondocampo. Abbiamo perso un punto, ma non importa: vinceremo il successivo.

Il successivo lo vinciamo davvero, ma il game va comunque agli avversari. E non ci sono sorprese nemmeno nel game seguente, in cui serve Ivan e perdiamo un solo quindici.

Andiamo a sederci. Prima panchina insieme. 

Ho giocato parecchi incontri di doppio, nella mia carriera. È un gioco che non mi piace, ma è un buon allenamento. La persona con cui li ho giocati più spesso è Daniele. Non avendo mai avuto un bel rapporto con lui, le nostre panchine erano lunghi silenzi interrotti solo da qualche mio appunto tattico o da sue prese in giro acide. I colleghi con cui mi capita di giocarlo sporadicamente, a questo o quel torneo, sono tutte persone con cui non ho confidenza, quindi, di nuovo, lunghi silenzi e poche parole, tutte incentrate sul gioco. 

Ma con Ivan è diverso. Ivan è mio amico. Come sarà la panchina con lui? 

Lo scopro subito. Appena ci sediamo e prende in mano la bottiglietta d'acqua, mi schizza, prima ancora di bere. 

Lo guardo. 

Lui beve, come se niente fosse. 

Ma è scemo? Mi ha bagnato tutta la maglietta! 

Mentre continuo a guardarlo, la sua espressione si rompe in una risatina che gli fa andare di traverso l'acqua. Ben gli sta! «Fai c-cosi con tutti i tuoi partner di doppio?» gli chiedo, sopra ai suoi colpi di tosse. 

Si schiarisce la voce e mi risponde: «Faccio così con tutti miei partner in generale.» Poi chiude gli occhi e contrae le sopracciglia in un'espressione melodrammatica. «No» scuote la testa. « No, fai finta che non ho appena fatto questa battuta orribile.» Alza gli occhi al cielo. «Orribile!» Ripete, enfatizzando la parola. «Spero che non ha sentito il microfono...» Mi guarda e socchiude gli occhi. Mi guarda per diversi secondi. «Ma tanto, tu non hai capito, vero?» 

In effetti non ci sto capendo nulla. Di quale battuta sta parlando? «No» prosegue, «non hai capito battuta. Lo vedo nei tuoi occhi.» Fa un sospiro. 

Io bevo, mi reintegro, prendo una gomma, ne offro una a lui, che la accetta volentieri. «Uh! Che buone! Sono quelle chewing-gum alla cannella!» Nel frattempo rifletto sulle sue parole. Faccio così con tutti i miei partner in generale. Così come? Scherzi da scuola elementare? No. Ha detto che era una battuta, quindi doveva esserci un doppio significato, o qualcosa di simile. 

E all'improvviso capisco. Credo di capire. No, non può aver inteso una cosa del genere. 

Mi avvicino al suo orecchio e copro la mia bocca con la mano, in modo che le telecamere non possano leggere il labiale. «Q-q-quella b-baaattuta era per caso una metafora dell'eiaculazione?» 

Ivan scoppia a ridere, una lunga risata che termina in un sospiro. «Ah, Misha non c'è nessuno che mi fa ridere così.» Poi annuisce. «Sì. Era proprio quello.» 

Annuisco anch'io, per nulla divertito. «Era d-davvero una battuta orribile.» In tutta risposta lui ride di nuovo proprio mentre l'arbitro chiama: «Time!» 

I due game successivi scorrono rapidi, e dopo due minuti e mezzo siamo già di nuovo in panchina. Stavolta ci Sono Rico e Robert che ci aspettano. Ci danno dei consigli. Robert ci fa notare che i nostri avversari lasciano scoperto il corridoio sul lato del vantaggio, quando Kotzias serve da destra. Poi mi esorta a giocare più liberamente. «Mi sembri un po' teso, un po' rigido» dice, e la cosa mi offende parecchio. Rigido io? Non me l'aveva mai detto nessuno! «Guarda Ivan, fatti coinvolgere dal suo gioco spumeggiante!» Ma quale gioco spumeggiante? Gioco scriteriato, semmai.

Torniamo in campo, io un po' nervoso per gli appunti di Robert, ma cerco di riconsiderarli in chiave positiva. Gioca più liberamente. Fatti influenzare da Ivan. L'ultima cosa che vorrei fare.

Non riusciamo a fare break nemmeno in questo game, ma per fortuna anche il game in cui serve Ivan se ne va abbastanza facilmente. Osservando il suo servizio dalla rete, dallo stesso lato, apprezzo ancora di più la sua capacità di piazzamento. 

Siamo in una situazione di stallo, però. Se non ne usciamo andremo al tie-break. Preferirei vincere con un break (che discorsi). Forse Robert ha ragione, sul fatto che sto giocando un po' teso. Un po' prevedibile, direi. Io e Ivan, però, abbiamo una buona intesa, sul campo. Capiamo bene quando spostarci, come coordinarci, in maniera istintiva. A volte mi fa dei segni dietro la schiena, a rete, per dirmi se vuole spostarsi o restare fermo, e io lo capisco prima ancora che me lo segnali. Riesco sempre a prevedere le sue mosse. Quando gioca contro qualsiasi avversario che non sia io. Quando gioca contro di me, non riesco a prevederlo quasi mai.

Anche a questo cambio campo c'è l'angolo al completo accanto a noi. Stavolta non ci dicono nulla di interessante, osservazioni sui pattern di servizio di Stock che avevo notato io stesso da solo. Rico ci esorta a essere più aggressivi, sento Rico e Robert discutere tra loro di alcune azioni. Mi dà un po' fastidio che siano qui, avrei preferito stare solo con Ivan.

«Time!»

Gioca più libero. 

Serve Stock. Sul cinque-quattro per noi. Un servizio cruciale: se facciamo break adesso, vinciamo il set.

Sono concentratissimo.

Risponde Ivan, scambia da fondo, Stock lo sposta mentre io salgo a rete, quindi mi sposto a destra, e con la coda dell'occhio vedo avanzare anche Ivan. 

È impazzito? Non è il momento di avanzare, questo! Ho l'istinto di indietreggiare un po' per coprire di più il campo, Ivan prende uno schiaffo di rovescio al volo, a cui però non riesce a imprimere molta forza, la butta addosso a Kotzias, che fa il cretino: salta e la prende sotto le gambe. Un colpo gratuito, sembra quasi l'abbia fatto per gareggiare con Ivan a chi è il più originale sul campo. Mi irrita. Stai scherzando, Nate? È Ivan il vero creativo! Tu sei solo un buffone, e le buffonate che sai fare tu, le faccio anch'io, meglio di te!

È con questi pensieri rapidi e confusi in testa, che mi ritrovo a rispondere con un colpo speculare: salto a gambe larghe, passo la racchetta dietro la schiena, in mezzo alle gambe e ribatto al volo la palla alla sinistra di Kotzias, sul corridoio che ha lasciato scoperto per fare quel colpo cretino.

La folla acclama con urla, applausi e «Oooh», ma la reazione che fa esplodere il cuore nel mio petto è quella di Ivan. Mi guarda spalancando la bocca, lascia cadere la racchetta e mette le mani nei capelli e facendo saltelli a gambe alternate. «Aaaah! Mishaaaa! Cosa hai fattoooo!» Si avvicina, e sento che sto ridendo. Sto ridendo di nuovo! È una delle cose contemporaneamente più cretine e più divertenti che abbia mai fatto su un campo da tennis. «È il colpo dell'anno! È il mio colpo preferito della storia del tennis!»

«T-tu ne hai fatti a centinaia!» ribatto, ridendo.

«Ma mai per rispondere al volo a un colpo uguale! Genio!»

Persino Kotzias e Stock sembrano divertiti, anche se hanno perso un quindici cruciale: Stock ci guarda con le mani ai fianchi, sorridendo e scuotendo la testa. Kotzias è serio, ma mi sta applaudendo con la racchetta.

Torniamo in posizione di risposta, e io mi sento euforico. Non mi sono mai sentito così, mai! Mi sento in grado di fare qualsiasi cosa.

Come questa risposta vincente di rovescio che ci porta sullo zero trenta.

«Misha on fire!» esulta Ivan.

Qualsiasi cosa! Gioca più libero. È questo che significa giocare liberi? È possibile giocare così anche fuori da un match di esibizione? 

E il punto successivo è zero quaranta, e abbiamo tre set point.

Vinciamo il set al primo. Saltiamo e ci abbracciamo. È bellissimo. Non mi sono mai sentito così su un campo da tennis, mai.

Torniamo alla panchina, e l'angolo ci aspetta, con batti-cinque, pacche, esortazioni, complimenti. «Quel colpo era folle!» commenta Robert, ridendo. Non so nemmeno io come l'ho fatto, gli rispondo.

Ci sediamo, sospiro, sospira anche Ivan. E subito dopo aver sospirato, mi scuote con violenza. «Wooo! Misha! Listen!» mi dice, anzi, mi grida. Indica il soffitto. «La canzone!»

Aggrotto le sopracciglia. Io non sento mai la musica che mettono durante i cambi campo. La escludo dalla mia percezione, la trovo una distrazione sciocca. Stavolta cerco di seguire le note, ma non le riconosco, è uno stacco strumentale, una chitarra. Mi è familiare, però. «Quale canzone?» gli chiedo.

«Wimbledon duemiladiciotto!» esclama.

Mi si ferma il cuore. 

La riconosco!

È Atomic, dei Blondie. Per un attimo mi viene quasi da piangere, e vengo investito da altra gioia, da altre emozioni sulla cima delle emozioni che già sto provando. 

Ivan comincia a cantare: «Ahaaa, make me toniiiight!» I suoi occhi brillano.

E con mia grande sorpresa, canto anch'io, a squarciagola, come quella sera: «Toniiiight, make it riiiiight!»

Ma non mi fa bene. Sento gli occhi sul punto di traboccare dalla commozione, e mi rendo conto delle telecamere. 

Credo di amarti, Ivan, anche se spesso ti odio. Credo di amarti e non voglio che lo capisca nessuno.

Questo momento è troppo intenso. Lo devo diluire in qualche modo.

L'unico modo che mi viene in mente è una presa in giro. I tuoi capelli sono bellissimi, sta per dire la canzone. Devo cambiare l'aggettivo. «Uuuh, your hair is ludicrous!» canto, con la mia voce stonata. I tuoi capelli sono ridicoli. 

Funziona. Ivan fa una comica espressione di offesa, che mi fa ridere e mi toglie quelle strane idee dalla testa. «My hair is what?» dice. Poi si gira verso gli altri, che stanno ridendo. «Avete sentito?» dice loro. Scuote la testa. «Non ti parlo più» mi dice, incrociando le braccia.

«Come on» gli do una piccola spinta. «Lo sai che odio i t-tuoi capelli.»

E il tuo dente storto, e i tuoi atteggiamenti esibizionisti, e i tuoi orrendi colpi bimani. 

No. Mi sono sbagliato. Io non lo amo. È stata l'emozione a farmelo pensare.

«Se non mi fai subito un complimento non gioco secondo set!»

«Mmm...» roteo gli occhi. «Ok. Approvo la scelta c-cromatica. La scelta del colore.»

Fa una smorfia. «È il massimo che posso avere da te.» Sbuffa. «Ok. Perdonato.»

«Time!»

Ivan balza in piedi, sorridendomi. «Andiamo a vincere il secondo set!»

***

E lo stiamo vincendo davvero. Serve Ivan. Sta per finire.

È stato un match folle, divertente, pieno di tutti quei colpi spettacolari che Ivan adora, pieno di intensità, di grinta, passione. Siamo stati sotto un break. Abbiamo rimontato vincendo un game lunghissimo con sei parità (sì, alla Laver Cup non c'è il deciding point sul quaranta pari, per il doppio, come invece nel tour). 

E adesso siamo avanti un break.

Non voglio che finisca. Per un attimo, spero quasi che Ivan serva male.

Ma è un pensiero stupido. Meschino. E per fortuna non lo fa.

Quindici zero. Quindici pari. Trenta quindici. Quaranta quindici. Troppo veloce. Non voglio che finisca.

Due match point.

Vado da lui, forse per l'ultima volta.

«Formazione a I?» mi chiede. «Ok.» rispondo. 

«La vinciamo, Misha! La vinciamo!»

Sì. La vinciamo!

La sua esortazione mi carica. Scendo a rete saltellando.

Ivan serve. Mi sposto a destra. Parte uno scambio, qualche colpo da fondo e poi Ivan scende a rete. È un batti e ribatti forsennato di volée, quando, per uscirne, Ivan alza un lob, con quel suo orrendo stile a due mani, un lob perfetto. 

Kotzias corre, la prende di spalle, in tweener, arriva comoda a Ivan, che fa una volée corta nel buco che si è formato, ma, forse per la tensione, non la piazza benissimo, Stock si è già buttato, con uno scatto prodigioso non solo riesce a prenderla prima che tocchi terra per la seconda volta, ma persino a rimetterla angolatissima, sul mio lato di campo.

Io però ho già capito. Sono partito con mezzo secondo di anticipo, sento le gambe bruciare per lo scatto, non ci arrivo, no! Devo arrivarci! La vinciamo, ha detto Ivan, vinciamo, prima persona plurale, mi tuffo, allungo il braccio, faccio oscillare il polso, è per te questo punto, Ivan, per te e per me.

La palla rientra, traiettoria lunga, fondo campo, con gli avversari a rete.

Sono ancora a terra, steso sulla schiena, la mia testa è rivolta in alto, ai riflettori, e sento la folla gridare, l'arbitro chiamare la fine del match, e vedo Ivan saltarmi addosso, sento il suo corpo sul mio, le sue grida di gioia nelle orecchie, e nel mio cuore e nella mia testa la gioia più grande che abbia provato in tutta la mia vita.

Note note note

Si fanno dichiarazioni importanti, qui! Si cantano canzoni inopportune! Michele pensa cose strane e poi cambia idea... Cambierà idea un'altra volta nel post partita?

Lo saprete giovedì!

Avete trascorso un bel Natale? Aperto tanti regali? Spero di sì! In questi giorni c'è poco viavai qui su Wattpad, ma io tengo duro e non vi mollo :)

Un bel grazie non me lo merito? Sapete come si dice in Inglese quando si vuole ringraziare tanto tanto tanto qualcuno? You're a star! Traduzione: sei una stella! Che poi si dice anche in italiano, ora che ci penso, ma è un tipo di complimento che credo usino solo le vecchiette coi bambini: sei proprio una stella, tesoro (segue strizzatina di guancia). 

Va be', 'sto divagando, tanto il messaggio subliminale l'avete capito ;)

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro