109. Essere numero uno
Toronto, Rogers cup. Il primo dei due Mille americani che precedono gli US Open.
Dovrei allenarmi. Ho prenotato un campo tra due ore e mezza.
Dovrei alzarmi dal letto, fare colazione, lavarmi i denti e andare a fare l'ora e mezza che ho prenotato con Takahashi.
Ma non mi va.
Sono il numero uno del mondo, avrò diritto a prendermi un giorno di pausa, ogni tanto, no?
Tutti sgomitano per allenarsi con me.
Ho una lista d'attesa. La gestisce Anna. Come tutto il resto.
Cosa dirà Takahashi se non ci vado? Be', che dica quello che vuole. Sono il numero uno del mondo, non sono io a dover fare favori a lui, che è... che numero è Takahashi? Dieci? Dodici? Ho perso traccia della classifica.
«Michele, la colazione è pronta» mi fa Anna, dall'altra stanza.
Non voglio alzarmi. Perché dovrei alzarmi? Non ho voglia di alzarmi. Non ho voglia di fare nulla.
Anna bussa alla porta.
Mi giro nel letto e do le spalle alla porta.
Che si apre. «Ehi, Michele... stai ancora dormendo?»
Posso starmene qui, prendermi una pausa. Domani gioco il primo turno, qui a Toronto. Tanto lo vinco uguale anche se oggi dormo. Gioco contro Samuel Willan che sta ancora faticando a trovare la sua forma dei tempi d'oro, dopo il lungo stop per infortunio. Lo batterei anche a occhi chiusi. Sono il numero uno del mondo.
«Ehi, Michele, mi rispondi? Sei vivo?»
La mano di Anna mi scuote.
Perché ti sei uccisa, mamma?
«Michele, non fare il cretino.»
Mi torna in mente all'improvviso, nei momenti più inaspettati.
In realtà non mi abbandona mai. Anche quando non ci penso, il pensiero è sempre lì, nascosto, che aspetta solo di salire alla superficie della mia coscienza.
Non l'ho detto a nessuno, quello che mi ha rivelato mio padre. Non l'ho detto a Ivan e nemmeno ad Anna. Non ne ho più parlato nemmeno con papà. Vorrei dimenticarmene per sempre.
«Michele!» Anna mi sta scuotendo adesso, con forza. Devo risponderle?
Mi giro, la guardo.
Lei mi guarda. Sembra preoccupata. «Ma stai bene?»
«N-n-non voglio alzarmi.» Faccio una fatica incredibile a pronunciare queste parole.
«Stai male? Cos'hai?»
Alzo le spalle.
Lei inclina la testa. «Stai facendo i capricci?»
«No.»
In tutta risposta, mi toglie il lenzuolo di dosso, con un gesto brusco. Poi mi spinge, brutalmente, e quasi mi fa cadere dal letto. «Alzati. Hai una sessione con Takahashi tra due ore e venti. Non puoi mangiare troppo a ridosso dell'allenamento.»
Sbuffo e mi alzo.
«Ho una bella notizia per te» dice, mentre andiamo verso la sala da pranzo della suite. «Hanno annunciato l'ultimo partecipante alla Laver Cup.»
«Mh...» mormoro. La Laver Cup.
Quest'anno la gioco, l'ho saltata il primo anno per infortunio, e l'anno scorso perché mi ero già impegnato col torneo di San Pietroburgo che si gioca nella stessa settimana.
«È Ivan!» esclama lei battendo le mani.
La notizia mi sorprende. Mi riscuote dal mio torpore. «Ma non è p-p-possibile!»
«Good morning, Misha.» È Andrej, che mi ha appena salutato. Era nell'altra stanza, già seduto al tavolo imbandito. «Thanks for the breakfast.»
Gli faccio notare che non sono stato io a invitarlo a colazione, quindi dovrebbe ringraziare Anna, non me.
«Sei sempre molto gentile coi tuoi ospiti» aggiunge lui, in inglese.
«Sei un maleducato» aggiunge Anna, in italiano, rivolta a me.
Ma perché? Cosa ho detto? È la verità. Non l'ho mica invitato io!
Ma non è della colazione che voglio parlare, adesso. Ivan. Ivan alla Laver Cup. «Ivan gioca San Pietroburgo» dico, parlando Inglese per non escludere Andrej dalla conversazione.
«No, non lo gioca» risponde Anna. «Te l'ho detto, viene alla Laver Cup.»
«Ma lui ci tiene tanto al suo torneo di casa! Come è possibile che...»
«Perché la federazione tennistica russa ci tiene tanto che lui non lo giochi. Lo hanno anche invitato a non andare alla Kremlin Cup» borbotta Andrej.
Davvero? È sempre il solito problema con il fatto che è bisessuale?
«E perché non mi ha detto niente?» chiedo.
Andrej fa cadere la forchetta nel piatto, che rimbalza su uno dei soffici pancake preparatici da Gwen. «Aspetta un attimo... gliel'hai detto tu che gioca la Laver Cup?!» inveisce contro Anna.
«Non ho resistito» si difende Anna, alzando le mani. «Lo vedevo triste e volevo tirarlo su di morale!»
«Ivan si arrabbierà tantissimo, voleva farti una sorpresa» mi dice Andrej. Poi alza le spalle. «Be', comunque era una sorpresa del cazzo.»
«Dai, dai, niente musoni» dice Anna. Poi si infila tra me e Andrej, che siamo seduti sullo stesso lato del tavolo, tira fuori il cellulare. «Voglio fare un selfie con voi e postarlo su Instagram.»
«Odio i selfie» commenta Andrej cupissimo. A me stanno indifferenti, quindi non dico niente.
Anna estrae il cellulare, tende il braccio davanti a sé e sorride nell'inquadratura. «Eddai, fatemi un sorriso!» ci esorta. Ma a me non va tanto di sorridere. Non so se sono contento o meno che Ivan venga alla Laver Cup. Cinque giorni a stretto contatto. E lui, poi, dopo un mese o poco più, si sposerà. L'idea mi mette a disagio.
«La foto fa più ridere se tu sorridi e noi stiamo seri» dice Andrej. Non capisco perché dovrebbe far ridere, a ogni modo Anna la scatta così, con lei che sorride e io e Andrej molto, molto seri. Poi la pubblica e scrive nella didascalia: È bello fare colazione con due numeri uno musoni.
Già. Siamo due numeri uno. Io di tennis, Andrej di wheelchair tennis.
Sono il numero uno, mamma. Hai visto? Sono diventato numero uno, proprio come dicevi tu.
***
Non so cosa abbia avuto da lamentarsi Takahashi. Sono arrivato un quarto d'ora in ritardo, ma dovrebbe già essere contento di aver potuto palleggiare con il numero uno del mondo. Poi, siccome mi sentivo un po' anchilosato sugli spostamenti laterali, gli ho chiesto di allenarmi un po' il movimento, tirandomi palle alternate. Gli ha dato fastidio. Sono qui per palleggiare, non per farti da sparring, mi ha detto. Be', palleggia uguale, cosa gli cambia? È un allenamento anche per lui, mica gli ho chiesto di tirarmi le palle dal cestino...
Mi sto facendo massaggiare da Ethan, ora, e la seduta è quasi finita.
«Fatto!» esclama, dandomi una pacca sul quadricipite. Mi aspettavo durasse ancora un po'. «Andiamo.» Mi esorta.
Gli dico che ho bisogno di sciogliere ancora un po' i muscoli delle spalle, e mi stendo di schiena sul lettino.
«Il nostro turno è finito. Se vuoi ti massaggio ancora un po' in camera. C'è Hiraclidis che ha prenotato dopo di noi.»
«Chiama il direttore del torneo e digli che sposti Hiracidis in un altra saletta» gli dico. Il direttore accetterà di sicuro. Si è fatto in quattro per compiacermi, ha risposto positivamente a tutte le richieste che gli ho fatto. Incredibile quante cose cambiano, quando sei il numero uno del mondo. Non mi ero reso conto delle implicazioni di questo fatto, mentre stavo a Capriva, subito dopo la fine di Wimbledon. Faticavo persino a rendermi conto di esserlo. Il numero uno.
Ma me l'hanno fatto capire, quando sono venuto qui a Toronto. Al torneo, all'hotel. Il modo in cui mi trattano. È diverso. Incredibile quanta differenza faccia una singola posizione in classifica.
«Non è giusto nei confronti di Hiraclidis» mi dice Ethan.
In che senso non è giusto? Io sono il numero uno, lui il numero sei. Quando ero classificato più in basso mi è capitato di dover spostare impegni e allenamenti per far spazio ai big three o semplicemente persone meglio classificate di me. Ora è il mio turno.
Ma Ethan ha rimesso a posto i suoi unguenti e gli asciugamani. Mi lancia la tuta. Mi costringe a uscire, in pratica. «Andiamo?» mi esorta, quando nota che non mi va di rivestirmi. Non ho intenzione di rispondergli. Sono molto arrabbiato con lui. È un mio dipendente, e dovrebbe fare ciò che gli dico. Dovrebbe pensare a me, non a Hiraclidis.
Ethan sospira. «Va be'. Fai quello che vuoi. Ma lo farai senza di me.»
E se ne va. Devo assolutamente parlare con Anna di questa insubordinazione, non è un comportamento accettabile! Se io ti dico di fare qualcosa la devi fare, ti pago per farlo.
Dopo cinque minuti bussano alla porta. È Hiraclidis, molto infastidito, che mi chiede cosa ci faccio ancora qui dentro. Non mi sono neanche rivestito. Sono rimasto qui seduto sul lettino, a pensare a niente.
A pensare alla mamma, a dire il vero. Lei mi diceva sempre che sarei diventato il migliore del mondo. Ora lo sono e dovrei esserne felice. Ma non lo sono. Non riesco nemmeno a farmi obbedire dai miei stessi dipendenti.
«Ehi, mi ascolti?» sbotta Hiraclidis. Mi sventola una mano davanti alla faccia. «Che droga hai preso?»
L'insinuazione mi infastidisce. Mi alzo dal lettino e mi rivesto rapidamente, mentre il suo fisio cambia la copertura del lettino e Hiraclidis si va a stendere.
Uscito dalla saletta, mi ritrovo da solo. Come faccio a tornare in hotel, adesso? Di solito sono Anna o Ethan che si preoccupano di prenotare il taxi. Devo chiedere a qualche addetto del torneo se mi forniscono un mezzo.
Incrocio una ragazza, sembra una hostess, pochi metri fuori dalla saletta. «Hi, sorry, I need a ride t-to the hotel.»
Mi sorride. «Sure, Mr. Bressan!»
Che bel sorriso che ha. I denti sono candidi, deve aver fatto qualche trattamento sbiancante, e ha una bocca molto ben disegnata: carnosa senza essere eccessivamente grossa, contornata nettamente, con delle cuspidi morbide. Porta un po' di lucidalabbra, niente rossetto.
Mi vengono in mente storie che ho sentito negli spogliatoi, vanterie di altri giocatori, su ragazze sedotte con un sorriso, qualche parola e l'ostentazione del proprio posto in classifica. Io sono il numero uno. Chissà se questa ragazza mi trova attraente per questo motivo?
No. Non dovrei fare questi pensieri, adesso.
Be', ma perché no? Sono solo e triste, e avrei voluto un'altra mezz'ora di trattamento che non ho avuto. Se questa ragazza mi praticasse una fellatio, be', penso che mi tirerebbe su di morale e mi metterebbe un bel po' di endorfine in circolo, endorfine che avrebbe dovuto mettermi in circolo Ethan coi suoi massaggi.
Sì, ma come posso chiederglielo? Non è che posso dirle: mi puoi fare una fellatio?
O sì? In fondo, se non vuole me lo dice e tutto a posto. No? Però no, mi mette in imbarazzo chiederle una cosa simile. Mi sta chiedendo in che hotel alloggio. Dio, che bella bocca che ha. Mi sento già un po' eccitato. Potrei dirle questo. Sì, ok, glielo dico: hai una bocca bellissima.
Mi fissa incerta per qualche secondo, poi sorride e distoglie lo sguardo con aria imbarazzata.
***
Si chiama Alison.
Ha le ginocchia nude sul pavimento del bagno, e la cosa mi sta disturbando al punto da non farmi godere appieno la fellatio che mi sta praticando. Mi sta tenendo le cosce con le mani e usa solo la bocca sul mio pene, ma non è molto brava, l'erezione entra solo fino a metà lunghezza. Vorrei spingere un po' col bacino, possibile che non riesca a inserirlo un po' di più? E le ginocchia. Le ginocchia sul pavimento sudicio. Che schifo.
Ok, in realtà il bagno sembra ben pulito. Ma è pur sempre un bagno, accidenti.
No. Non ci pensare, Michele, chiudi gli occhi e cerca di avere in fretta un orgasmo. Altrimenti rischio di perdere del tutto la concentrazione e afflosciarmi.
***
Io e Alison ci siamo dati appuntamento stasera dopo il match con Willan, che ho vinto facendo più fatica del previsto. Ma ho vinto. 7-5 3-6 7-6. L'appuntamento è in camera mia.
Appena entra cerca subito di baciarmi sulla bocca. E ti pareva! Gliel'ho detto che non mi piacciono i baci, non se lo ricorda più? Glielo faccio notare. Sembra un po' offesa. «Ok, ok» mi dice, «non ti scaldare...»
Fa qualche commento banale sul mio incontro, mi fa i complimenti, la ringrazio. Non è che abbia tanta voglia di parlare. Non è una ragazza molto interessante, ora mi sta raccontando della sua giornata. Cosa ci sarà mai da sapere? Fa la hostess, un lavoro molto stupido. Non mi interessa sapere quanti miei colleghi ha accolto all'ingresso del torneo, quanti si erano dimenticati le credenziali e bla bla bla... Che noia. Non potrebbe farmi un'altra fellatio? Pensavo fosse venuta qui per questo.
«E quindi... cosa vuoi fare?» mi chiede con un sorriso che mi sembra sottintendere qualche messaggio sessuale.
«Be',» mi schiarisco la voce, «quello che hai fatto ieri mi è piaciuto molto.»
«E come hai intenzione di ricambiare?»
La domanda mi lascia spiazzato. In che senso "ricambiare"? La devo pagare?
Lei aggiunge: «Se non vuoi baciarmi sulla bocca, immagino non vorrai baciarmi nemmeno là sotto.»
Ugh! Ma perché nessuno sembra trovare disgustosa quanto me l'idea di mettere la bocca su un sesso femminile? L'ho visto, come è fatto. E l'ho sentito, con le dita, quella volta che ho toccato Anna. È contorto, pieno di pieghe, bagnato... è disgustoso! Per lo meno un pene ha una superficie regolare, ed è asciutto, prima dell'eiaculazione. Sì, d'accordo, esce un po' di liquido pre-eiaculatorio, ma in quantità nemmeno lontanamente paragonabili. Capisco che la lubrificazione abbia una sua utilità durante il rapporto sessuale, infatti non mi disgusta l'idea di inserirvi il mio pene, ma la mia bocca è un discorso completamente diverso.
Se mi puntassero una pistola alla tempia e mi dicessero: scegli se praticare un cunnilingus o una fellatio, altrimenti ti ammazziamo, sceglierei la seconda senza esitazione.
Poi mi laverei molto bene i denti.
«A cosa pensi?»
Scuoto la testa.
Lei mi sorride. «Hai un condom?»
Scuoto la testa.
Sospira. «Per fortuna ci ho pensato io.»
***
È stesa, sotto di me. Non mi piace questa posizione. Sono eccitato, trovo questa situazione piuttosto eccitante, trovo eccitante la prospettiva di penetrarla, ma non trovo eccitante il fatto di dover mirare l'ingresso. Vorrei aiutarmi con le mani per sentire dov'è il buco, ma mi mette in imbarazzo l'idea di toccarle la vagina.
«Tutto ok?» mi chiede.
«Ehm... preferirei se stessi sopra tu.»
Ride. «Ti piace essere cavalcato, eh?»
Sguscia via, mi ribalta, e si siede su di me. Sta strofinando il suo sesso sul mio. Chiudo gli occhi. È molto piacevole. Anna aveva fatto qualcosa di simile. «Al numero uno dominatore piace essere dominato» dice.
Cosa significa? In che senso mi sta dominando? A me non sembra proprio. Sta facendo tutta la fatica lei e io mi faccio servire, non mi sembra una posizione di dominio!
Ma non mi dà il tempo di protestare, perché inserisce rapidamente il mio pene nella sua vagina.
Oh! Ricordo bene questa sensazione. Con la bocca non è affatto così avvolgente. Ma, non so perché, con la bocca mi eccita di più. Sento che se avesse usato la sua bocca sarei già sul punto dell'eiaculazione, invece così mi ci vorrà un po'. Alison ha un bel viso, e una bocca stupenda, ma non ha un bellissimo fisico. È minuta, magra e senza forme. Ha il seno molto piccolo. Quello di Anna è più bello, mi ricordo che trovavo ipnotico il suo rimbalzare su e giù, mentre si muoveva su di me.
Devo godermi le sensazioni. Chiudo gli occhi.
Chissà come sarebbe penetrare Ivan. Mi piacerebbe se facesse la stessa cosa che sta facendo Alison. Chissà se la penetrazione anale attiva è molto diversa, in termini di sensazioni fisiche, rispetto alla penetrazione di una vagina.
Quella passiva lo è, e parecchio. È una cosa completamente diversa.
No, non pensare a Ivan. Non pensare a San Pietroburgo. Alla sua camera, alle sue mani, a quella sensazione ingombrante e dolorosa, ma allo stesso tempo piacevole.
Apro gli occhi. Guardo Alison. Fisso la sua bocca. Mi godo le sensazioni fisiche.
Con il preservativo tutto quanto è più attutito, ma non potrei mai farlo senza. Mai!
Brava, continua, è molto bello. La tengo per i fianchi, cerco di spingerla a muoversi più veloce. Lei sta gemendo. Mi danno un po' fastidio, tutti questi mugolii, ma non mi lamento.
I gemiti di Ivan non mi davano fastidio, anzi. Lui ha una voce così bella. Vorrei che mi parlasse ancora, in russo, come quella sera in discoteca, non capire niente, percepire solo il suono, la vibrazione, il tono, così dolce, e immaginare che possa significare le cose più belle del mondo.
L'orgasmo mi coglie quasi di sorpresa, mentre penso a Ivan. Lei continua a muoversi ancora un po', dopo la mia eiaculazione, ma se n'è accorta? Ora sì, se n'è accorta, si stende accanto a me, mi prende la mano e la inserisce tra le pieghe della sua vagina.
Cosa si aspetta che faccio?
«Su!» mi esorta, dopo parecchi secondi di immobilità. «E poi tra qualche minuto ricominciamo.»
«Eh?» dico. Tolgo la mano. «No, no. Sono stanco.»
«Dai! Sei un atleta, non riesci a farlo una seconda volta? Io non sono venuta!»
Ci metto qualche secondo a capire che "non sono venuta" (came) è l'espresione slang che significa "non ho avuto un orgasmo". La conoscevo, ma non sono abituato a usarla o sentirla.
«Mi dispiace» le dico. «Grazie di tutto, adesso dormiamo.»
«Grazie di tutto?!»
Perché si inalbera? Pensavo di essere educato, a ringraziarla.
«Non puoi lasciarmi così!» protesta.
«Così come?»
«Non venuta!»
Sbuffo. Ma cosa pretende questa ragazza da me? Pensavo fosse contenta di aver avuto questa opportunità: un rapporto sessuale col numero uno del mondo! Invece si lamenta. Non posso esagerare con queste cose, devo dosare le mie energie. Già è eccessivo, per i miei standard, il fatto che abbia avuto due orgasmi in due giorni. Ora vorrebbe farmene avere due in un'ora? È pazza. Non si rende conto della fatica che faccio? Del fatto che strapazzarmi troppo potrebbe rovinarmi il torneo?
«Resta qui a dormire» le propongo. Mi piace l'idea di avere qualcuno nel letto. Sono stufo di dormire da solo, con la carota.
«Così poi magari domattina ti faccio un altro pompino?» mi dice.
Ci penso su. Sorrido. Non è una cattiva idea. «Be', forse domani mattina potrei...»
Mi interrompe tirandomi una cuscinata. «Ero sarcastica. Stronzo!»
Mi tolgo il cuscino dalla faccia. Sta raccogliendo le sue cose, molto rapidamente. Si riveste. È arrabbiatissima. Ho deciso qualcosa di sbagliato? balbetto.
Lei mi fissa con uno sguardo tra il sorpreso e l'arrabbiato. «Non capisco se sei stupido o stronzo. In ogni caso, non voglio più avere a che fare con te.»
Esce dalla stanza sbattendo la porta, non aveva neanche finito di rivestirsi.
Mi lascio cadere sul materasso.
E quindi sono di nuovo solo.
Sarebbe stato meglio non fare niente, questo rapporto mi lascerà solo ricordi sgradevoli.
Mi alzo, vado a prendere la carota, mi ributto a letto e la abbraccio.
Mamma, dove sei?
Perché mi hai lasciato?
***
«Vieni qui.» Anna mi guarda. Braccia conserte. Sopracciglia aggrottate. C'è anche mio padre che osserva la scena. È stato lui a chiamare questa specie di riunione. È molto serio. Da quando ci siamo riappacificati, è la prima volta che viene nella mia suite. Ormai non fa più parte del mio staff, ci incontriamo a pranzo, di solito, insieme a Daniele, che è sembrato molto felice della riappacificazione, mi ha persino chiesto scusa di aver esagerato nei toni, la sera della semifinale di Ivan. Papà non è nemmeno venuto al mio incontro con Willan, perché contemporaneamente giocava anche Daniele, e dà sempre la precedenza ai suoi incontri.
«Cosa succede?» chiedo.
Anna stringe le labbra e punta un dito a terra. «Vieni. Qui.»
Mi avvicino.
Mi arriva uno schiaffo. Non è uno schiaffo forte, molto meno forte di quello che mi aveva dato la notte del nostro rapporto. Ma mi sorprende molto. Mio padre fa una risatina. Mi tocco la guancia. Ma cosa...?
«Questo era da parte di Alison Samson. Ti dice niente questo nome?» chiede Anna.
«Oh. Ehm...»
«È andata a lamentarsi da tuo padre minacciando denunce e interviste scottanti. E siccome anche tuo padre, come te, ha la sensibilità di un elefante, ho dovuto parlarci io. Per fortuna Nic ha avuto l'intelligenza di capire che era meglio se ci parlavo io, e non ha fatto molti danni.»
Anna lancia un'occhiataccia a mio padre, che alza le mani. «Mi sono persino trattenuto dall'insultarla e darle della succhiasoldi.»
«Però intanto le hai detto di non fare la vittima e che non era successo niente.»
«Perché non era successo niente.»
«Tu psicologia femminile proprio zero assoluto, eh? Non vi è servita a niente l'esperienza con me?» Sospira. Si tira dietro le orecchie un ciuffo di capelli e si rivolge di nuovo a me. «Comunque. Per colpa di questa cosa ho perso due ore, stamattina, due ore! Dovevo andare a una riunione con i tuoi sponsor e ci ho mandato Vinnie.»
«Ma p-p-perché?»
«Perché? Mi chiedi perché?!»
Annuisco. Lei alza di nuovo la mano, come se volesse tirarmi un altro schiaffo, ma è solo una minaccia. «Perché l'hai usata! Te la sei scopata e ciao, grazie tante, puoi andare.»
«Ma n-n-non è vero!» Guardo mio padre, che sembra stranamente quasi divertito dalla scena.
«Correggimi se sbaglio: ti sei fatto fare un pompino in bagno al tennis center?» mi chiede Anna.
«È stata lei a...»
«E poi la sera successiva, quando lei ti ha chiesto di ricambiare, l'hai scopata senza preliminari e... non guardare tuo padre! Non te lo sto dicendo davanti a lui per umiliarti, le sa anche lui, queste cose, gliele ha dette lei per filo e per segno! Dicevamo: senza uno straccio di preliminari e poi dopo qualche minuto le hai detto che eri stanco e volevi dormire?!»
«Ero d-d-davvero st-t-tanco. Avevo g-g-giocato contro Willan.»
Anna scuote la testa. «Non riesci proprio a vedere il problema, eh?»
Non so cosa dire. Sento che qualsiasi cosa dirò peggiorerà la situazione. Quindi meglio che non dica niente.
«Il problema è sempre lo stesso. Sei un bambino. Sei egocentrico ed egoista come un bambino. Soddisfi i tuoi capricci e non pensi alle altre persone.»
Mi sembra un'osservazione ingiusta, dopo tutto quello che ho fatto per lei. E anche per Ivan.
Anna accenna un sorriso. «Non lo sei sempre. Con le persone a cui vuoi bene sei la persona più altruista del mondo.» Sembra quasi mi abbia letto il pensiero. Si fa di nuovo seria. «Ma devi ancora crescere parecchio. E finché non cresci, ti prego, astieniti dai rapporti occasionali.»
«Sagge parole» commenta mio padre.
«Anche perché non ho intenzione di consolare tutte le ragazze che ti scopi per evitare che ci facciano causa.»
Abbasso gli occhi.
«Perché l'hai fatto, Michi? Io ti conosco, tu non sei il tipo da una scopata e via.»
Non so cosa rispondere.
«Forse essere diventato numero uno e ricevere tante attenzioni non ti sta facendo bene» continua Anna. «Anche Ethan si è lamentato, ieri. Dice che pretendi cose che non ti spettano.»
Sbuffo. «Anc-cora quella storia di Hiraclidis...»
«Non ti montare la testa, Michele. E non fare i capricci.» Anna mi mette una mano sulla spalla, alzo gli occhi. Mi sorride. «Dai, è tutto a posto. Tutto si è risolto, per fortuna. La ramanzina te la dovevo fare. Adesso ti va se ci mangiamo qualcosa insieme per i cavoli nostri? Mi sembra che tu abbia bisogno di sfogarti un po', ti vedo stressatissimo.»
Annuisco. Anche se non è che mi vada tanto di "sfogarmi". Cosa dovrei dirle? Non mi va di parlare. Non mi va di fare niente, in questo momento.
«Nic, questo era un messaggio subliminale per dirti che è meglio se vai a farti gli affari tuoi, adesso.»
Mio padre accenna un sorrisetto. «Sai, penso che saresti proprio una brava madre» le dice.
Mamma...
Non ho più chiesto a mio padre quello che avrei voluto chiedergli al funerale di Raffaele. La mamma ha lasciato scritto qualcosa prima di togliersi la vita? Un messaggio per me?
Ho paura della risposta. Ho paura che la risposta sia no. O, ancora peggio che abbia lasciato scritto o detto qualcosa di brutto. Qualcosa di brutto su di me.
Se ci fosse ancora la mamma, tutto questo non sarebbe successo. Non mi sarei sentito solo, non avrei sentito il bisogno di approcciare quella ragazza. Ci sarebbe stata la mamma e mi sarebbe bastata lei.
Mamma, dove sei?
Perché mi hai lasciato?
—
Note note note ♫
Un paio di giornate nella vita del nuovo numero uno del mondo. Non un bello spettacolo. Michele è sempre più solo e sempre più triste, e all'orizzonte non si vedono soluzioni.
Intanto però c'è una prospettiva interessante: la Laver Cup! Sapete cos'è? La competizione più bella del mondo 😍 (tranne quest'anno, il 2021 è stata 'na sola di zero carisma sociopatici: aridatece i big three!). L'unica competizione del mondo in cui è possibile vedere scene come queste:
https://youtu.be/fsqoBJekrsg
Ne approfitto per avvisarvi, per chi non l'avesse notato, che ho pubblicato negli extra un capitoletto dedicato all'analisi del capitolo "Ti ho sempre odiato e ti odierò per sempre": ho notato un po' di confusione e incomprensione nei commenti, spero che possa esservi utile come guida. Non escludo, a breve, di fare qualche piccola modifica a quel capitolo, niente di trascendentale, solo piccole aggiunte per rendere più chiaro qualche passaggio, senza dire troppo (perché ci tengo davvero tanto che non sia troppo esplicito). Se dovessi farlo lo segnalerò in nota.
Tra qualche giorno è Natale! Avete fatto l'albero? E avete messo una bella stellona in cima?
E in cima a questo capitolo? E ai due scorsi - che non avevo scritto niente perché non mi sembrava il caso? Suvvia, rimediate e fate piovere stelline! È lo spirito natalizio che lo richiede!
A giovedì!
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