103. L'ultima cosa che mi resta
Ho battuto Balducci, Takahashi, Molina (i primi due in tre set, l'ultimo in cinque). Ivan ha battuto Dupont e Straussler.
Ha battuto Straussler. Sull'erba. In un incontro eccezionale finito in quattro set. Straussler sull'erba in quattro set. Ormai è qui, Ivan, è arrivato tra i grandi.
Gli manca un match. Un match quasi impossibile: Milos Grković.
Grkovic è affamato, cattivo, inesorabile. Temo sia troppo per Ivan. Non avrò la mia finale, la mia vendetta. Ivan si sposerà, e per quanto lui voglia e ci provi, per quanto anche la stessa Daria ci provi, non credo riuscirò a mantenere con lui un normale rapporto di amicizia. Mi disturba troppo la loro vicinanza.
Mi resta solo la nostra rivalità, e voglio con lui ogni occasione di incontro, ogni occasione di rivalsa.
Mi tengo libero per guardare l'incontro. Sono in compagnia di Anna, nella sua camera del nostro appartamento, lo stesso dell'anno scorso, ma più vuoto: mancano Nicolò ed Elena.
Quando arrivo, dopo l'allenamento e i trattamenti, il primo set è già quasi finito: lo sta vincendo Grković, che serve sul 5-4. Trenta - quindici. Nemmeno il tempo di prendere una bottiglietta d'acqua dal frigo e sedermi ed è già finito. Lo vince Grković.
«Be', anche con Grković hai un paio di vendette da prenderti» commenta Anna, forse cercando di consolarmi. «È in vantaggio con te nell'head to head, no?»
Sì, lo è. Quattro a due. Ma non importa. Non voglio giocare contro Grković. «L'incontro non è finito» le rispondo.
Ivan si è messo l'asciugamano a coprirgli la testa. Fa saltellare forsennatamente le gambe, mentre è seduto a bordocampo, intorno a lui la solita esplosione di racchette, teli, borracce vuote. Detesto questa sua tendenza al disordine.
«Time!»
Si ricomincia. Guardo lo spettacolo con una strana tensione che mi contrae lo stomaco. Tra un'ora dovrei cenare, Gwen sta già cominciando i preparativi, ma non ho fame. Mi dovrò sforzare per mettere in bocca qualcosa.
I primi game sono già molto combattuti. Serve Ivan per primo. Grković porta Ivan a palla break nel primo e nel terzo game, ma lo fa anche Ivan con lui, nel secondo. Restano sul punteggio, e si cambia 2-1.
Hanno un gioco simile, in un certo senso. Sono entrambi due giocatori di indole difensiva, ma Grković è la regolarità fatta tennista, mentre Ivan è la follia, il disordine. Rimanda tutto, ma lo rimanda con traiettorie imprevedibili, angoli stretti, cambi di velocità inattesi. Ti fa impazzire, Ivan. Fa impazzire tutti.
Ma Grković è una macchina. Milobot, lo chiamano, e a ragione. È inumano, nella sua capacità di riprendere qualsiasi palla, le più impossibili, e rimandarla indietro, costringendoti a giocarne un'altra, un'altra, e un'altra ancora, fino allo sfinimento.
Ma sul quattro a tre accade qualcosa. Il peggior difetto di Grković: la sua irascibilità. Una risposta particolarmente stramba di Ivan lo innervosisce. Sbaglia e gli dà un quindici. Sul punto successivo Ivan gli fa un lob e Grković sbaglia lo smash. Ha sempre avuto difficoltà con i colpi sopra la testa, gli unici in cui dimostra delle debolezze umane. Ed è zero trenta. E nel giro di un'altro minuto Ivan ha preso il break.
Io e Anna esultiamo, ci abbracciamo.
Ma mi ricompongo subito. «È solo un b-break. E quello è Grković.»
Ivan serve per il set, e lo vince con facilità. Grković è nervoso.
«Ma si c-c-calmerà. È Grković. E ha solo perso un set.» Riesce sempre a ricomporsi, anche quando gli incontri sembrano finiti.
«Come sei pessimista» commenta Anna.
«No. Sono realista. Conosco Grković.»
All'inizio del set successivo, la cena è pronta. C'è del pollo arrostito, stasera, con un contorno di patate dolci e topinambur (un vegetale di cui ignoravo l'esistenza, prima dell'arrivo di Gwen). Sembra tutto delizioso, come sempre, ma stasera non ho fame. Potrebbe esserci davanti a me la torta al cioccolato più invitante del mondo, non riuscirei a mangiarla.
È Anna, la solita Anna, il mio angelo custode, che mi costringe a nutrirmi. «Devi giocare la finale, non puoi stare a digiuno.»
Mangio controvoglia, con lo stomaco chiuso, masticando nervosamente, e guardando il primo game andare a Ivan.
Mi sembra tutto irreale, troppo bello per essere vero. Anna esulta, ma io non mi fido di questi punti. Conosco Grković. L'ho visto recuperare incontri impossibili, vincere match in cui tutti lo davano per sconfitto. È ancora nervoso. A un certo punto grida qualcosa al suo angolo, occhi sbarrati. Grida in serbo, non lo capisco, chissà se Ivan lo capisce? Ivan parla qualsiasi lingua. Parla l'italiano, lo spagnolo, l'inglese, l'ho sentito parlottare francese. Chissà se il serbo somiglia un po' al russo? Se hanno delle parole in comune? Se non sbaglio usano lo stesso alfabeto.
Il secondo set prosegue, Ivan fa persino un secondo break, finisce 6-2.
«È fatta! È fatta!» esulta Anna. Poi indica il televisore. «Uuh! Guarda! C'è Andrej! Hanno inquadrato Andrej! Aspetta che lo chiamo.»
Anna lo chiama. Non lo inquadrano più, quando lui risponde. Anna sembra dare questo incontro già per finito, ma Anna non conosce bene Grković. È lo stesso Andrej a dirglielo, al telefono, e lei protesta: «Ma perché siete tutti così pessimisti?»
All'inizio del quarto set, Grković mi dà ragione. Salva delle palle break sul suo servizio, e fa break a zero a Ivan sul servizio successivo.
A zero.
Ivan sembra sottosopra per il break. Non se l'aspettava. Lo inquadrano in panchina, coi suoi occhi di ghiaccio sgranati, fissi nel vuoto, le gambe che continuano a saltellare forsennatamente.
Suonano alla porta.
Il rumore mi fa uscire dallo stato di trance in cui stavo guardando l'incontro.
Io e Anna ci guardiamo. «Chi può essere?» mi fa Anna.
Mi viene in mente solo una persona: Nicolò.
«Non andare» le dico.
«Fammi vedere chi è.»
Anna va allo spioncino. «È tuo fratello!» mi sussurra.
Daniele? Cosa vuole adesso? Non ci parlo da secoli. Ma ogni volta che l'ho incrociato, nei vari tornei, mi lanciava occhiatacce. Per la storia di Nicolò, suppongo. Quest'anno non ho nemmeno alloggiato nella sua casa di Miami durante la tappa del Sunshine Double. Sapevo che Nicolò era lì e non volevo incontrarlo.
Daniele suona di nuovo. Bussa, persino, con foga.
Sono io ad andare alla porta. «Sto g-g-guardando la semi» gli dico.
«Fammi entrare. Ne guardiamo un pezzo insieme» mi risponde cupo.
Lo faccio entrare. «Se vuoi p-parlarmi di tuo p-p-padre, io non...»
«Mio padre?» sbotta lui. «Mio?!» Batte un piede a terra. «Nostro!»
«Io non voglio p-p-più...»
«Sono venuto a parlarti proprio di lui.»
«Allora te ne p-p-p...»
«No. Resto.»
Detesto Daniele. Detesto che mi interrompa sempre. Lo ha sempre fatto, da quando siamo piccoli. Non mi lascia mai finire le frasi, è un tale prepotente.
«Michele non ne vuole parlare» si intromette Anna.
«Michele ha bisogno della babysitter che gli fa da interprete?» la provoca lui.
«Michele sa p-p-parlare d-d-da solo» dico. Anna sbuffa e incrocia le braccia. Ma resta lì accanto a noi.
«Ti rendi conto di quanto sta soffrendo per questa situazione? Ieri, tirandogli fuori le parole con le pinze, ho scoperto che l'hai persino incontrato in ospedale. Ma non lo hai visto quanto è a pezzi?» mi dice Daniele.
«Ci si è messo lui in q-q-questa s-s...»
«Era un cane! Un cane, cazzo! Per quanto potessi volerle bene, è più importante un cane di un essere umano? Del tuo unico genitore in vita?!» grida.
Che bassezza. Tirare in ballo la mamma. Che bassezza degna di un essere spregevole come mio fratello.
Apro la bocca per parlare. Indico la porta. Vai via, vorrei gridare, ma non riesco a far uscire suoni dalla mia gola.
Daniele non si ferma. «Gli sta morendo il migliore amico sotto gli occhi, cazzo!» La sua voce si incrina. «E oltre a questo sta male anche per te! Ma come puoi essere così crudele?!»
«Vattene!» dice Anna. «Michele non ha bisogno di questi stress emotivi prima di una finale. Se fossi un buon fratello lo sapresti, e saresti venuto a parlargli lunedì.»
«Oooh, il prezioso Michelino deve essere protetto» dice lui in tono lamentoso. «Il pooovero Michelino balbuziente, pooovero, povero Michele, chiudiamolo in una teca di vetro, difendiamolo dai bambini cattivi che lo prendono in giro, dal papà che cerca solo di prendersi cura di un povero cane che stava soffrendo perché il poooovero Michelino non riesce a tirare fuori le palle e portarcelo lui, dal veterinario!»
Spregevole, schifoso, insensibile bastardo! Mi tappo le orecchie con le mani, ma sento lo stesso. Sento Anna che gli dice vattene e lo spinge fuori, e lui che continua a parlare. «Sì, tappati le orecchie! Fai la scimmietta! Ignora i problemi come hai sempre fatto! Fai finta che la mamma sia stata portata via da un angelo e non si sia ammazzata! Fai finta che i problemi non esistano!»
Scappo in camera mia, mentre Anna lo fa uscire, gridandogli addosso e insultandolo come merita di essere insultato. Continua a infangare il nome della mamma! Continua a raccontare quella storia falsa e orribile! Perché lo fa? Cosa gliene viene? Non è vero, non è vero che si è ammazzata! La mamma non mi avrebbe mai fatto una cosa simile! La mamma non mi avrebbe mai lasciato solo! È stato un incidente, un incidente! Lei non voleva ammazzarsi, è stato un errore, stava prendendo le medicine, dopo l'intervento, e ha sbagliato i dosaggi. Perché Daniele continua a dire quelle cose? Perché?
«Michele, con chi parli?»
«N-n-non s-s-s-stavo p-p-p-parlando.»
«Sì... stavi dicendo delle cose... incidente, medicine... stavi...» Anna sospira. «È andato via.» Scuote la testa. «Che stronzo. Che pezzo di merda.» Si avvicina a me. «Vieni qui, vieni.» Mi abbraccia. «Se vuoi dormo con te, stasera. Lo dico ad Andrej, gli spiego cos'è successo, non avrà problemi.»
«No» le rispondo. «Vai da lui. Dormi con lui.» Questo abbraccio mi sta facendo già stare meglio.
«Magari lo invito qui, va bene? Dorme qui a casa nostra, ti va? Non mi piace l'idea di lasciarti solo, stanotte.»
Annuisco. «Se gli va, ok. Ma domani lui g-g-gioca la sua finale di wheelchair, non so...»
«Non credo che gli cambi qualcosa dormire qui o nel suo appartamento. Lo invito. Ok?» Mi dà un'ultima stretta e mi guarda, tenendomi per le braccia. «Torniamo di là a vedere la part... ah, no, scusa, l'incontro.»
Sussulto. L'improvvisata di Daniele mi aveva fatto per qualche minuto dimenticare tutto. L'incontro di Ivan, e persino il fatto che dopodomani giocherò la mia finale. «Andiamo!»
Scatto in piedi, corro di là con le gambe molli e lo stomaco pesante, pensando ancora alle cose orribili che Daniele ha detto sulla mamma.
Quando arriviamo in soggiorno il quarto set è da poco finito, ed è andato a Grković.
E, ancora peggio, Ivan è già sotto di un break nel quinto.
Sento le braccia cadermi ai fianchi. «C-cosa ti avevo detto? Mai dare p-per morto Grković.»
Morto. Morta. La mamma.
La mamma non si è ammazzata... No, non pensare alla mamma!
Anna porta per un attimo le mani alla bocca. Poi stringe le labbra. «Ma non è ancora finita. L'hai detto anche tu prima, no? È una cosa che adoro del tennis: che non è finita fino all'ultimo punto. Che fino all'ultimo punto, anche se sei sotto di sei game, puoi sempre rimontare e vincere.»
Chiudo gli occhi e prendo un respiro. Pensa all'incontro. Al tennis. Il tennis è sempre stato il mio rifugio felice.
«Il gioco infinito» sussurro. Che infinito non lo è più, perché hanno tolto l'oltranza.
Ma pensarlo mi dà speranza. Perché ciò che ha detto Anna è sempre vero, oltranza o non oltranza: fino all'ultimo punto non è finita.
Non voglio pensare più a Daniele, e alle cose sgradevoli che ha detto. Voglio pensare solo al tennis, adesso, a questo incontro, e alla finale. Alla finale con Ivan. Deve essere con Ivan.
Sta servendo Grković, per il match. La regia inquadra Ivan, durante i lunghi preparativi di servizio. È chino col busto, ondeggia leggermente a destra e a sinistra, le sopracciglia un po' aggrottate, la fascetta leggermente storta sulla fronte, i capelli viola sudati, incollati alla pelle. Lo sguardo concentratissimo. I suoi occhi sono così chiari. Come fanno a essere così chiari? Sembrano finti. Sembrano due pezzi di vetro. Due schegge pronte a ferire l'avversario.
Risponde profondo, ma Grković non si fa sorprendere. Che scambio! Che lotta! Non finisce mai. Mi ritrovo seduto sull'orlo della poltrona, le dita avvinghiate ai braccioli, e quando Ivan finalmente chiude la terza volée, il mio grido di esultanza esplode. È solo un quindici, ma Ivan non è morto. Ivan è più vivo che mai. Il punto è stato talmente bello e intenso, che persino Grković applaude, battendo la mano con la racchetta. È scurissimo in volto.
Il secondo punto è uno scambio lungo quasi quanto il precedente, ma va a Grković.
I punti proseguono e si alternano fino alla parità. Grković ha salvato una palla break.
Serve e sbaglia la prima.
Sbaglia anche la seconda!
Esulto, anche se non è sportivo esultare sui doppi falli. È nervoso. Ha capito che Ivan è lì. Che può ancora farcela.
Salva il break, servendo un ace. Insolito per Grković, non ne fa molti.
Ma il punto successivo va di nuovo a Ivan. Una risposta fulminante. Una risposta degna dello stesso Grković.
Dai, Ivan, dai! Puoi farcela. Ce la farai.
È di nuovo palla break.
Niente prima.
La seconda entra. Ed è ottima. Ma la risposta di Ivan lo è altrettanto.
Dai, Ivan, dai! Mi resta solo questa rivalità. È la cosa più bella della mia vita, in questo momento.
Ivan attacca, scende a rete, Grković fa uno dei suoi soliti lob. Dio, quanto odio i pallonetti di Grković! Sono così brutti, noiosi da riprendere, infidi. Ivan indietreggia, la schiaccia, ma la schiaccia piano, gli ritorna un'altra palla a campanile di Grković, Ivan la schiaccia di nuovo, saltando, saltando altissimo come non mai, sembra quasi un giocatore di basket, salta e schiaccia, fortissimo, troppo forte per chiunque al mondo per riprenderla.
La pallina rimbalza in campo e schizza via, finisce tra il pubblico.
Ha fatto controbreak! Ha recuperato un match che stava per finire!
Mi aspetto che esulti, ma non lo fa. Si limita a stringere il pugno, e i denti. Serve lui, ora, per andare sei cinque.
Serve e lo fa meravigliosamente. Serve più forte del solito, più preciso. Mette solo prime, e anche se Grković risponde a tutto (perché è Grković, e Grković risponde a tutto), il primo punto lo manda in rete, sul secondo Ivan gli fa una combinazione servizio e dritto, sul terzo un serve and volley da manuale, e sul quarto, dopo uno scambio lungo e combattuto, chiude con un dropshot imprendibile: Grković si rotola sull'erba nel tentativo di rimandarla indietro, ma riesce solo a sfiorarla con la punta della racchetta.
Ivan è di nuovo avanti.
E nell'ora successiva perdo traccia del tempo, del mondo, di me stesso. Faccio un tifo insensato, grido, piango ed esulto davanti allo schermo. Gli suggerisco i colpi da giocare, e spesso lui li gioca, come se mi leggesse nel pensiero, o lo leggessi io a lui. Anna se ne stupisce: «Come facevi a sapere che avrebbe fatto quella giocata?» Intelligenza tattica. Forse io e Ivan abbiamo più cose in comune di quanto pensassi.
Sono arrivati all'oltranza, o meglio, questa oltranza fasulla che si fermerà sul dodici pari. Grković serve sul dodici undici per Ivan. Se fa questo game vanno al tie-break, e Grković ha un record spaventoso sui tie-break decisivi, mentre per Ivan sono un punto debole.
«Breakkalo» sussurro. «Breakkalo adesso.»
Ma Grković serve bene. Solido. Freddo. Arriva a 40. A un punto dal tie-break.
«Breakkalo, Ivan. Breakkalo» ripeto.
Ivan guarda il suo angolo, mentre cambia lato del campo. Stringe le labbra. Chiude gli occhi. Si mette in posizione e fa un grande respiro.
Grković lancia la pallina. «Serve esterno» sussurro. Ivan mi ascolta. Molla la seconda mano, allunga il braccio sul suo rovescio. La impatta, quasi un rovescio piatto a una mano, un colpo che non è suo. Ma come lo gioca! Che saetta! La pallina entra in campo sul lungolinea, ed è una risposta vincente. «Sì!» esulto.
Quaranta quindici.
Cambio di posizione.
Grković lancia. «Esterno di nuovo.» E di nuovo Ivan mi ascolta. Si sposta in anticipo, la impatta di dritto, il suo orribile dritto a due mani, ma Grković stavolta è pronto. Parte lo scambio. Milos, Ivan, Milos, Ivan, Milos. «Corri, è un dropshot!»
Ivan scatta, in anticipo, ci arriva, Grković è già a rete, gli alza un pallonetto, ma Ivan è riuscito a indietreggiare, la schiaccia lontano.
Quaranta trenta.
«Ma siete in contatto telepatico, tu e Ivan?» mi chiede Anna.
Non le rispondo. Sono troppo concentrato sul servizio successivo di Grković.
Lo sbaglia. Deve giocare una seconda.
«È al corpo!»
Ivan risponde sempre bene al corpo, perché gioca naturalmente con i gomiti molto stretti. La angola benissimo, profonda, Grković la riprende ma il suo colpo finisce fuori.
«Deuce! Deuce!»
«Sbaglio o è a un punto dal match point?» mi chiede Anna.
«A due punti dal vincere! Due punti!»
Grković, stranamente per i suoi standard, ha già servito. Lo scambio è partito. «Vai contropiede!» dico. E Ivan lo fa. Ma Grković aveva capito tutto e la riprende con facilità. «Adesso spostalo a destra!» E Ivan lo fa. Ma Grković è velocissimo, si allunga come un elastico. «A sinistra, fallo correre!» Lo fa! «Ancora più stretto! Fai un dritto a sventaglio!» Lo fa. E lo sventaglio è troppo angolato anche per Grković. Non riesce a riprenderla.
Anna grida, con un tono di voce acutissimo. «Match point! Match point!» Grido anch'io, sopra di lei, vocali insensate.
Ci afferriamo le mani a vicenda.
Silenzio.
Grković si prende tutto il tempo e anche un secondo in più, ma l'arbitro non gli dà warning.
«Sulla T.»
Ivan mi ascolta. La riprende. È corta. Grković gioca una combinazione per chiuderla, ma Ivan è veloce, si allunga, scivola sull'erba, la tocca, alza un campanile, un colpo alla Grković, che gli dà il tempo di riposizionarsi, e lo scambio parte, lottato, ferale.
Ed ecco un colpo di Grković più corto degli altri, appena più corto, un tennista qualunque sarebbe rimasto in posizione, ma io so che Ivan ne approfitterà. «Attacca!» Lo fa, sapevo che l'avrebbe fatto. Siamo in comunicazione telepatica, Anna ha ragione. La palla ritorna. «Non farla rimbalzare! Togligli il tempo! Schiaffo al volo!»
Non è un vero schiaffo, perché Ivan lo gioca a due mani, ma è una volée piatta, spinta, angolata, che si stampa vicino alla riga di fondo, Grković è dal lato opposto del campo, e non ci arriva.
Il boato della folla, Ivan che grida al cielo.
Si batte il cuore, si volta verso il suo angolo e indica. Si batte il cuore e indica di nuovo.
C'è Daria, nel suo angolo, ma io so che quel gesto non è per lei. È per Raf.
Sto gridando. Sto gridando? Sì, sto gridando! Sta gridando anche Anna. Ci stiamo abbracciando, con le guance schiacciate una sull'altra e i visi rivolti alla tv.
Ivan è corso verso la panchina, dopo aver stretto la mano a Grković. Ha preso il cellulare dal borsone.
E dopo qualche secondo il mio cellulare squilla.
Ivan ansima nel ricevitore. «Ho vinto.»
«Ho visto.»
«E vincerò domenica.» Si volta verso il campo, guarda davanti a sé, lo sguardo arrabbiato, la telecamera lo inquadra. «Mi senti? Mi vedi? Vincerò. E stavolta non vincerò solo per me, vincerò anche per Raf. Hai capito?» Il suo labiale è leggermente in anticipo rispetto a ciò che sento nel telefono.
«Non ti lascerò vincere.»
«Non devi farlo!» Fa un sorriso e chiude la chiamata.
Non lo lascerò vincere.
Questa rivalità è l'ultima cosa che mi resta.
——
Note note note ♫
Michele strapazzato su più fronti. Michele a un passo dal crollare. Adesso ci si mette anche Daniele, con rivelazioni sul passato che forse ci aspettavamo ma che non per questo fanno meno male.
E quindi: rematch. Bressan - Reshetnikov, finale di Wimbledon 2019 (che in realtà è stata tra Djokovic e Federer e passerà alla storia come la finale più spezzacuore della storia per i fan di Federer). Come finirà secondo voi? Lo saprete già giovedì.
La settimana scorsa ho scritto delle note talmente lunghe che tra una cosa e l'altra mi sono dimenticata di ricordarvi la stellina, parbleu! 😱
Ma voi siete stati talmente bravi che me l'avete lasciata lo stesso. E allora sapete che faccio? Sono io a lasciarla a voi, stavolta ⭐️⭐️⭐️
E se proprio proprio volete ricambiare, non mi offendo.
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