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102. Doppio misto

Non ho vinto Roma. Sono uscito al primo turno.

Non ho vinto nemmeno il Roland Garros. Sono arrivato ai quarti e mi sono fatto battere da Thaler. Che poi ha battuto anche Grković in semi e si è fatto battere dal solito Molina in finale. La semi di Grković significa che lui è sempre davanti a me. Il numero uno deve ancora arrivare.

È cominciata l'erba. La meravigliosa stagione sull'erba. 

Ma giocare in queste condizioni mentali non è facile. Raffaele non sta bene. Segue Ivan, lo allena. Ci sono giorni in cui sembra in forma, altri in cui è un rottame. Ivan mi dice che gli sta pagando le migliori cure esistenti, ma in certi casi non bastano tutti i soldi del mondo per salvare la vita a qualcuno. Gli ho detto che se gli serve qualcosa posso pagarglielo io, ma mi ha risposto che ormai non ha più problemi di soldi. Non è più come agli US Open di due anni fa.

Gli ha persino regalato una macchina, un regalo di cui all'inizio ho faticato a capire il senso. Sta morendo, e avrebbe bisogno di altro, di cure, di affetto. Poi mi sono reso conto che anche un regalo può dare gioia e affetto, anche un regalo come un'automobile. Forse non lo capivo perché non mi sono mai interessato alle automobili, le considero un mezzo di spostamento, non ho mai nemmeno preso la patente, e fatico a distinguere un modello dall'altro. 

È un'auto strana, non una sportiva lussuosa come una Ferrari o una Porsche. È una vecchia Lancia degli anni '80, una Lancia Delta Integrale. È stata una delle prime macchine di Raffaele, quando era ancora un ragazzo, quella a cui è stato più affezionato. Ivan ha girato mezza Europa per trovarne una in condizioni eccellenti e l'ha persino fatta restaurare ulteriormente (mi ha spiegato dei dettagli tecnici che in tutta franchezza ho già dimenticato). A me sembra solo una macchina vecchia, dal design vecchio, ma Raffaele la adora. È rosso fuoco, con una striscia nera che corre lungo il cofano e sul tettuccio. 

Un pomeriggio, ad Halle, trovo finalmente qualche minuto per parlare con Raffaele in tranquillità. Era da un po' che volevo farlo. «Due anni fa mi avevi promesso che avremmo fatto qualche p-p-palleggio insieme» gli dico.

«Vuoi farlo ancora?» mi chiede.

Annuisco.

«Ok. Ti giuro... ti prometto che trovo dieci minuti. Prima di Wimbledon. Te lo prometto.»

Lo ringrazio.

«Quest'anno voglio che Ivan ti batta in finale, a Wimbledon» mi dice.

«No» gli rispondo. «Devo vendicare la sconfitta d-d-dell'anno scorso.»

«Non sarà la stessa cosa, senza l'oltranza.»

Già. Gli slam hanno tolto l'oltranza, da quest'anno. Gli Australian Open hanno introdotto un tie break a dieci punti sul sei pari. Wimbledon un tie-break a sette punti sul dodici pari: in pratica, oltrepassato il sei pari al quinto set, ti fanno andare avanti di un altro set, e poi se non riesci a chiuderla c'è il tie-break. Non ci saranno più partite estenuanti e lunghissime come la mia semifinale con Ivan, o la Ivory-Matthieu del 2010. Niente più 70-68. Niente più 26-24. Quante cose cambiano e muoiono, rimangono un ricordo del passato, per sempre. Anche la Coppa Davis è finita. L'anno scorso si è giocata l'ultima edizione coi gironi nei paesi ospitanti e i cinque set. Da quest'anno è diventata una competizione come le altre, con una sua sede, e incontri a tre set.

«Lo batterò ugualmente. Oltranza o non oltranza. Lo batterò facendogli break prima del sei p-p-pari.»

«Dai per scontato che vada in cinque set?»

«Con Ivan le partite non sono mai facili.»

Sorride. «Posso farti una domanda su tuo padre? Solo una.»

Stringo le labbra e annuisco.

«Non ti ha fatto effetto vederlo, quel giorno, in ospedale?»

«Sì che me l'ha fatto» gli dico. 

«E non vuoi...»

«Non posso perdonarlo.»

Raffaele annuisce e non insiste. Apprezzo che non lo faccia. Mio padre è qui, lo so, allena Daniele, ormai. Da quando lo segue gli ha fatto vincere uno Slam in doppio (il Roland Garros). Continui ad allenarlo, e si tolga con lui le sue soddisfazioni.

Io non voglio più vederlo.

***

Vinco Halle, ma Grković vince il Queens, siamo sempre lì, separati da quel centinaio di punti. Avrei dovuto incontrare Ivan in finale, ad Halle, ma si è fatto eliminare proprio in semi, da un ottimo Straussler (che io poi ho battuto). 

E subito dopo Halle, volo a Wimbledon, per prepararmi al torneo la cui finale l'anno scorso mi è sfuggita per un soffio. La mia peggiore sconfitta. Quella che ancora fa più male.

Quanti ricordi, vecchi solo di un anno, ma che mi sembrano antichi di secoli: le fragole con la panna, le mie dita sulla bocca di Ivan. La sconfitta. La bruciante sconfitta che ha rovinato tutto.

Non voglio pensarci. Voglio godermi questa atmosfera, l'eleganza, i colori, sempre gli stessi: verde, bianco e viola. Ho chiesto a Ivan se anche quest'anno si sarebbe tinto i capelli di viola, per Wimbledon, perché l'anno scorso mi erano piaciuti tanto, e lui l'ha fatto. Non so se l'ha fatto perché gliel'ho detto io, o se l'avrebbe fatto comunque. Lui non è il tipo che fa le cose perché gliele dici. Lui fa sempre tutto di testa sua.

Al primo giorno di allenamento, quando ancora manca una settimana all'inizio del torneo, e molti tennisti di livello più basso sono ancora impegnati in Challenger o nei Duecinquanta che precedono lo Slam, ricevo una visita a sorpresa di Daria, la ragazza di Ivan. 

La sua futura moglie.

Non voglio pensare al matrimonio di Ivan. Ne abbiamo parlato solo una volta, dopo quel giorno. Ivan mi ha detto che gli sarebbe piaciuto sposarsi già quest'estate, in modo da essere sicuro che Raffaele potesse esserci, al matrimonio. «Non so se è vivo, a dicembre» mi ha detto, con la sua consueta dura schiettezza. «Però a luglio era poco tempo per organizzare.» Quindi si sposerà a inizio dicembre, quando il tour è in pausa. Ne sono segretamente felice. Più tardi avverrà, meglio è. Vorrei non avvenisse mai.

«Ciao Misha» mi fa Daria, sventolando una mano. «I come with a peace offering.» Vengo con un'offerta di pace.

Cosa vorrà da me? Glielo chiedo, cercando di essere gentile e non balbettare troppo.

«Giochiamo il doppio misto insieme?»

La richiesta mi lascia per qualche secondo senza parole. «Perché non lo giochi con Ivan? Lui adora il doppio.»

«Vanja me l'ha chiesto, ma io voglio giocarlo con te.» Mi sorride. «Non sto premeditando di ucciderti con un ace sulla schiena, non preoccuparti.»

«Se me lo tiri sulla schiena non è un ace, è un fault» la correggo.

Lei ride. «Non capisco come mai a Vanja piaccia tanto una persona così priva di senso dell'umorismo.»

E io non capisco perché avrei dovuto ridere a una battuta che partiva da premesse errate. Una pallina in mezzo alla schiena non è un ace. Ha usato la parola sbagliata.

Daria fa un sospiro. «Scusa, questa era una cattiveria...» Scuote la testa. «Non posso fare a meno di trovarti antipatico, a volte... ma... Vanja ti ama, e voglio imparare ad amarti anch'io.»

Odio l'inglese che usa love in maniera così indiscriminata. In italiano avrebbe detto: ti vuole bene.

«Sei l'amico più importante del mio futuro marito. Voglio essere tua amica. Secondo me possiamo divertirci insieme, giocando il doppio misto. Non è un grande impegno, sono pochi incontri, leggeri...»

«Ivan è d'accordo?»

«Non ho bisogno dell'approvazione di Ivan. È il mio fidanzato, non il mio capo» mi risponde piccata.

«Voglio solo sapere cosa ne pensa.»

Daria fa un mezzo sorriso. «Mi ha detto che gli piacerebbe molto, se diventassimo amici.»

Annuisco. «Ok, ci penso su.»

«In fretta, perché chiudono le iscrizioni!» Mi fa il segno della pistola e finge di sparare. «Ho già lasciato il mio numero ad Anna!»

Ne parlo anche con Ivan, ovviamente, la sera stessa, e lui è entusiasta. «La mia coppia di mixed doubles preferita! Dai dai! Se non vuoi mai giocare doppio con me, gioca con lei, è doppista molto brava.»

È un modo elegante per dire che è una singolarista fallita (come tutti i doppisti, del resto) e sta ripiegando su una discreta carriera di doppio insieme a un'altra sconosciuta bielorussa di cui non ricordo il nome (la centomillesima -ova del circuito WTA).

Alla fine accetto. L'ITF e l'All England Lawn Tennis Club ne sono molto felici: il doppio misto, agli Slam, è ormai vissuto da pubblico e partecipanti come una specie di esibizione (gli Slam sono gli unici tornei ufficiali in cui sopravvive), ma ormai si iscrivono al torneo quasi solo doppisti sconosciuti. Quando entra in tabellone qualche grande nome, come me, la cosa genera clamore, attenzione, soldi.

Metto in chiaro subito con Daria che non sarà la mia priorità, ma almeno un allenamento insieme dovremo farlo, una mezz'ora per discutere qualche tattica e non fare una figura da sprovveduti.

Il torneo, intanto, inizia. Batto in tre set Carlos Leonardo al primo turno, Stefano Trocchi al secondo, Lucas Poirier al terzo. Ivan, sull'altra metà del tabellone (il sorteggio è stato fortunato, se ci incontriamo ci incontriamo in finale) ha battuto anche lui i suoi avversari e solo il primo dei tre lo porta al quarto set. 

Arriva il giorno in cui mi devo allenare con Daria. Abbiamo prenotato un'ora di palleggio su un ground secondario, e la coppia che ci fa da sparring è Ivan con Haoyu Tsai, la ragazza cinese che gioca tutto a due mani come lui. Mi faranno impazzire!

Haoyu parla un po' male l'inglese. Ride molto. Ogni tanto fa battute che io non capisco, ma che sembrano divertire moltissimo Ivan. Ha un gioco completamente fuori di testa, persino peggio di quello di Ivan. A un certo punto enuncia una sua massima di vita: «Quando non sai cosa fare, gioca un dropshot!» e Ivan va in brodo di giuggiole. «Seguirò questo prezioso consiglio!» le dice. Anche Raffaele, che osserva l'allenamento da bordocampo, sembra approvare la strategia. «Anch'io da giovane giocavo sempre dropshot, quando non sapevo cosa fare.» I suoi bellissimi dropshot. Quanto mi piacerebbe vederne uno in un video di quand'era ragazzo. Sono belli adesso, quando era giovane dovevano essere qualcosa di spettacolare.

Daria è estremamente determinata a vincere la partitella da un set che abbiamo deciso di giocare. È davvero competitiva, mi stupisce che non sia riuscita mai a entrare in top cento in singolare: nel circuito femminile spesso basta poco, basta anche un po' di aggressività in più rispetto all'avversaria, per riuscire ad emergere.

Giocandoci accanto, però, vedo i suoi limiti. Corre molto, ha buoni movimenti. Un rovescio discreto, un dritto preciso e abbastanza potente. Ciò che è davvero pessimo è il servizio. È il suo colpo peggiore, tira davvero piano, e riesce persino a sbagliare il piazzamento, spesso e volentieri. Cosa davvero strana, considerando quanto è alta (pochi centimetri meno di Ivan).

Provo a darle qualche suggerimento: sbaglia completamente il lancio di pallina. Possibile che nessuno l'abbia mai corretta? 

«Lo so che lo sbaglio! Ma non riesco a sistemarlo!» piagnucola lei.

«Questo atteggiamento è sbagliato! Non devi arrenderti e giustificarti. Devi fare!» la ammonisco in inglese, balbettando parecchio.

«Ma mi si contrae il braccio mentre lancio e...»

«Niente ma! Devi rilassarlo. Punto.» Stavolta balbetto molto meno.

«Ma...»

«Il motivo per cui rimarrai sempre una tennista mediocre sono questi ma.»

Daria stringe le mascelle. Sembra mortalmente offesa dalle mie parole, ma sto solo dicendo la verità.

«Mostrami il movimento di nuovo» mi chiede dopo qualche secondo. Lo borbotta a occhi bassi, e le parole sembrano uscire a fatica dalla sua bocca.

«Non perderci tempo, è senza speranza» mi dice il suo coach, da fondocampo. Ma che razza di coach dice una cosa simile della sua allieva? Lo ignoro e mostro a Daria il movimento. «Anch'io facevo un errore simile da piccolo» le spiego. «Arrivato a questo punto perdevo il controllo e il lancio mi usciva un po' storto, poi compensavo spostando il mio corpo. Anche dopo aver migliorato il lancio di pallina mi sono portato dietro per anni un movimento di braccio mal bilanciato che alla lunga mi ha dato problemi alla schiena.»

«Mi ricordo che stavi male agli US Open, due anni fa. Poi sei tornato in Australia con un servizio completamente nuovo» commenta lei.

«Esatto. Tu ora non hai tempo di rivedere il tuo servizio da capo. Però puoi migliorare il lancio. Prendi la pallina e fai un lancio verticale stupido.»

«Stupido?»

«Sì, buttala in alto lasciando andare il braccio, senza guardare, senza pensare, pensa solo a lanciarla in alto in verticale. Non importa dove la butti. Poi non colpire.» 

Lei obbedisce, lancia e lascia cadere la pallina a terra.

«Bene. Vedi che non ti sei contratta?»

«Ma...»

«Niente ma! Devi cercare questa sensazione nel lancio. Ora prova a servire. Non importa se ne sbagli un paio, cerca semplicemente di colpirla.»

Daria lancia. Fa un lancio eccessivamente alto, sbaglia il tempo di impatto e la butta lunga di parecchio.

«Visto?» dice il coach«Ti avevo detto che...»

«Zitto!» scatta Daria. «L'ho sentito! Il servizio, l'ho sentito! Ci sono. Fammi riprovare.»

Lancia di nuovo, sbaglia di nuovo, ma meno di prima. E rilancia e riprova e rilancia finché non le entra un servizio migliore di qualsiasi altro abbia fatto nella precedente mezz'ora.

Haoyu applaude ridacchiando con la sua voce acuta.

«Wow» commenta Ivan. «Misha, voglio che diventi il mio coach!»

Mi accorgo solo adesso che tutti i presenti stavano osservando la scena in silenzio.

«No, caro» ribatte Daria. «È il mio coach e me lo tengo stretto! E tu» aggiunge, rivolta al suo vero coach, «sei licenziato.»

Il coach fa una risata, prima di rendersi conto che Daria è serissima. «What?» Dice. Poi aggiunge cose in russo. Daria ribatte, c'è un breve scambio di battute tra di loro, che Ivan e Raffaele osservano ridendo, e alla fine il coach se ne va borbottando e agitando il dito indice verso di lei.

«Vedi perché amo questa ragazza?» dice Ivan. «È così feroce! Orgogliosa! Combattiva!» La sta guardando, e nei suoi occhi c'è ammirazione. C'è amore. Mi fa male vederlo, distolgo lo sguardo.

«Sì, sono feroce» risponde Daria. «E adesso distruggiamoli, Misha!»

«Con piacere.»

***

Io e Daria abbiamo vinto la partitella da un set contro Ivan e Haoyu Tsai. Al torneo ufficiale abbiamo avuto la sfortuna di pescare i seed numero uno, John Monroe e Brittany Murphy-Stevens. Abbiamo perso, ma devo ammettere di essermi piuttosto divertito. È stato un buon allenamento alternativo, in vista degli ottavi, che giocherò di nuovo contro un italiano, Marco Balducci, un ragazzo un anno più vecchio di me che si sta facendo notare in questi mesi sul circuito, ma il cui rovescio lascia ancora parecchio a desiderare: credo proprio che lo batterò facilmente, come l'ho battuto nel nostro unico precedente.

Io e Daria non abbiamo giocato affatto male, nonostante la sconfitta. Abbiamo avuto una buona intesa e vinto anche un paio di punti molto belli e ben coordinati. I problemi al servizio di Daria andavano e venivano: sui punti importanti si è tesa e ha fatto i suoi soliti errori. Ma le sono anche riusciti diversi buoni servizi. È ancora in gara nel doppio femminile, e alla fine del match mi ringrazia: «Quei cinque minuti di consigli mi sono serviti più di due anni di allenamento con Daniil.» Daniil suppongo fosse il suo coach. 

«Devi trovare un nuovo allenatore» osservo. 

«Non è facile quando hai pochi soldi. La federazione russa mi aiutava quando ero una junior promettente, ma mi ha mollato appena si è accorta che sono una giocatrice mediocre.» 

«Perché non chiedi aiuto a Ivan?» le chiedo. 

«Voglio farcela da sola» risponde, alzando il mento. È davvero orgogliosa, come dice Ivan. Non mi stupisce che le piaccia. Piace anche a me, questo suo atteggiamento.

«In bocca al lupo col doppio» le auguro, sorridendole. Break a leg!

«Grazie. E grazie di aver accettato la mia proposta.» Mi porge la mano. «Amici?»

Esito un attimo. «Amici è una parola che non uso con facilità.»

Ride. «Ok. Allora... colleghi in rapporti cordiali?»

«Sì.» Le stringo la mano.

«Colleghi che si piacciono e non desiderano di uccidersi a vicenda?» scherza.

Sorrido. «Sì.»

È una brava ragazza. Devo essere felice per Ivan. 

Devo essere felice per loro.

——

Note note note

Continua l'amarezza, anche se ci sono stati bei momenti sereni in questo capitolo di grande stasi. Secondo voi Misha e Dasha riusciranno davvero a diventare amici? O è un rapporto guastato in partenza dall'ingombrante presenza di Ivan?

Piccola (ma importante) nota sul capitolo scorso: avete presente gli stupendi capelli "color unicorno" di Ivan? Ecco. Non sono una mia invenzione, ma una combinazione cromatica che ho scoperto grazie al lettore KaneMBroy che li ha sfoggiati in prima persona e me (ce) ne ha parlato sul gruppo telegram (a proposito, se volete iscrivervi fatemi un fischio). Me me sono talmente innamorata che gli ho promesso che li avrei inseriti da qualche parte nella storia, mi sembravano proprio dei capelli adatti a Ivan! Ovviamente siccome sono una capra ho dimenticato di creditarlo nello scorso capitolo. Rimedio oggi: grazie!

E ora, un momento Jeremy Clarkson: conoscete la macchina che Ivan regala a Raf? È un'automobile leggendaria per tutti gli appassionati di rally, una hatchback sportiva di fine anni '80 che ha fatto storia. Eccola!

Mi piace l'idea di un giovane Raffaele che rimorchia algide fanciulle facendo coattamente rombare il motore della sua Lancia, ahah! O che, molto più probabilmente, si fa mandare a quel paese dalle suddette. Con Nic in secondo piano che scuote la testa in segno di disapprovazione.

Lasciamoci così, con questa nota leggera. 

A lunedì!

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