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100. Nessun altro

L'incontro tra me è Ivan è stato davvero bellissimo. Sento di non esagerare, se dico che è stato uno dei più bei tre set che abbia mai giocato in carriera.

Io ho vinto facilmente i tre incontri che mi hanno portato in finale, battendo Farini, Glushakov e Willan. Ivan ha vinto facilmente i suoi, battendo Dzeko, Moryakov e Serrano Martin. 

Il palazzo dello sport era pieno, per la finale, e devo ammettere che ero molto emozionato, prima di entrare in campo, nonostante le ballerine, che si dimenavano nel corridoio buio con quelle orribili racchette di neon, facessero di tutto per togliere magia e importanza al bel momento.

Io e Ivan non ci siamo visti né parlati per tutta la giornata precedente, per scelta di entrambi. Volevamo concentrarci al massimo, preparare il match, non diluire la tensione agonistica con amicizia, convivialità, discussioni. Ho dormito in hotel, da solo. Non è stata una bella notte, senza quel gatto rompiscatole a tenermi compagnia (sì, ha dormito sul mio letto tutta la settimana), ma nonostante tutto sono riuscito a prender sonno in fretta e mi sono svegliato ben riposato.

È stata una settimana bellissima. È cominciata con un Ivan un po' cupo e diffidente nei miei confronti, ma si è ammorbidito in fretta, e abbiamo trascorso delle splendide giornate piene di allenamento, passeggiate in città, pranzi e cene in compagnia. Niente più vodka, per fortuna, ma qualche dolcetto di troppo, quello sì. 

Ivan mi ha mostrato tutti i posti più belli di San Pietroburgo, tutti quelli che lui ama frequentare. Mi ha presentato anche qualche suo amico d'infanzia, ragazzi e ragazze che venivano spesso a trovarlo a casa o al club e qualche volta facevano qualche tiro a tennis con lui. Ha tanti amici, Ivan, a differenza mia. Non sono diventato a mia volta loro amico, e ogni tanto mi dava fastidio dover passare parte del mio tempo anche insieme a loro, ma tutto sommato sono stati incontri piacevoli.

Il match è durato quasi tre ore. Il primo set è stato lottatissimo ed è andato a me, al tie break, 9-7. Nel secondo, Ivan è riuscito a farmi break proprio alla fine e l'ha vinto lui 7-5. 

Il terzo è stato il più lungo e più bello. Mi ha fatto break in apertura, io gli ho fatto contro-break al game successivo. Siamo arrivati al tie-break, dove ero sicuro di vincere, considerato il record negativo di Ivan nei tie-break decisivi. Abbiamo giocato dei punti splendidi, i migliori dell'incontro, il pubblico si è spellato le mani per gli applausi, e siamo arrivati al quattordici pari, salvando ciascuno quattro match point, e lì Ivan è riuscito a farmi un minibreak, prendendo una volée impossibile, un riflesso inumano, spiazzante, finito sulla riga di fondo, uno di quei colpi cinquanta per cento fortuna, ma fortuna meritata, perché propiziata da un gesto atletico straordinario.

E al quinto match point c'è riuscito. Sedici quattordici, Ivan ha vinto il suo secondo torneo ATP. 

La sconfitta mi ha fatto male, come tutte le sconfitte, e mi fa male ancora ripensare ai punti che avrei dovuto giocare meglio. Ma ho provato uno strano piacere nel vedere la sua esultanza. Ha lanciato la racchetta in aria e gridato, con rabbia, si è battuto il petto, si è chinato a terra e ha pianto. 

Ho scavalcato la rete e l'ho raggiunto, gli ho teso la mano, si è alzato, ci siamo abbracciati. «È il mio torneo» ha detto tra i denti e tra le lacrime, «il mio torneo!»

«È stato un incontro bellissimo» gli ho detto io, «complimenti per la vittoria.»

Il suo discorso di premiazione è stato breve, e l'ha fatto quasi tutto in russo, ma ho capito dal suo tono di voce quanto fosse emozionato. Ha avuto gli occhi lucidi per tutta la premiazione. Ha detto in inglese solo la porzione dedicata a me, in cui mi ha ringraziato per non avergli regalato nemmeno un punto.

Io ho fatto il mio discorso con la lingua dei segni, e ho cercato di non dire le solite banalità. Ho detto che gli abitanti di San Pietroburgo devono essere orgogliosi di avere un concittadino come Vanja, che è un tennista unico e una persona eccezionale. Sì, ho fatto lo spelling di Vanja, non di Ivan, sperando che l'interprete non si prendesse la libertà di cambiarlo. Per fortuna non l'ha fatto. Ho usato il suo nomignolo che con lui non uso mai, perché volevo rendere chiaro a tutti che Ivan è mio amico. Mi sono rimaste sullo stomaco la richiesta di nascondere il fatto che alloggio da lui e il mancato invito al meet and greet.

Ivan sta festeggiando, in questo momento. Io e Anna non abbiamo partecipato ai festeggiamenti. Non me la sentivo, sono lo sconfitto, non avrei portato felicità alla compagnia. Anna è rimasta con me in quanto mia manager e amica, per rispetto nei miei confronti, ma penso avrebbe preferito stare con Andrej. Abbiamo cenato in hotel con Vincent e lo staff e poi siamo tornati a casa di Ivan. Ivan ci teneva che passassi l'ultima notte qui e facessimo colazione insieme, domattina. Sarà stanchissimo, immagino festeggerà fino a tardi.

«Mi mancherà Andrej» mi fa Anna. Siamo in quella che è stata la mia camera per questi dieci giorni (ma completamente vestiti e non stesi sul letto).

«Lo vedrai spesso.» Le faccio notare che parteciperà a tutti gli Slam e i Master Mille a cui parteciperò anch'io, che sono undici tornei. In più, qualche volta, quando non ha tornei, Andrej segue il fratello in tour.

La sua risposta è un sospiro. «Non ti ho ancora ringraziato per quello che hai fatto per me domenica.»

Mi stringo nelle spalle.

«No, dico davvero» insiste lei. «Ivan mi ha raccontato che hai preso un taxi da solo e hai cercato di farti capire da un tassista che parlava solo russo! Hai fatto da solo una cosa che non eri capace di fare, e l'hai fatto per me.»

«In realtà non so se c-ci sarei riuscito senza l'aiuto della m-madre...»

«Non importa chi ti ha aiutato» mi interrompe. «L'importante è che tu l'abbia fatto. Non è una cosa da te. Non è una cosa che avresti fatto per chiunque.»

«Non l'avrei fatto p-per nessuno» dico. «Solo per te o per Ivan.»

Mi abbraccia. Ci abbracciamo.

«Mi spiace che non mi ricordo quasi niente di quel giorno» aggiunge.

«Q-quasi niente? C-com'è possibile?»

«Succede quando sei troppo ubriaco... La cosa che mi dispiace di più è non ricordarmi di cosa ha fatto Andrej quando è venuto da me.»

«È venuto d-di corsa c-con la sedia a rotelle e...»

«Sì, quello me l'avete raccontato, e ti ricordo che l'ho anche vissuto sulla mia pelle!» Ride, e rido anch'io. Dopo aver saputo che Andrej si era fatto la discesina del tennis club a tutta birra per andare da lei, un pomeriggio, all'ennesimo racconto di Ivan di quella scena a suo dire buffissima, Anna ha commentato: «Dev'essere molto divertente!». Al che Andrej le ha proposto di provare, e si sono fatti mezz'ora di discese gridando come due bambini, lei in braccio a lui, e risalite, con lei che lo spingeva per alleggerirgli lo sforzo. Alla fine hanno smesso perché una coppia di tennisti che palleggiava in un campo adiacente alla stradina si è lamentata del chiasso.

«Mi piacerebbe sapere cosa ha fatto quando siamo rimasti in cucina da soli... non so niente! So che è venuto mentre io stavo lì moribonda con sua madre, so che è rimasto con me, ma non ho la minima idea di cosa mi abbia detto o abbia fatto. Se è semplicemente rimasto lì in silenzio a farmi compagnia, o se mi ha accudita, o mi ha fatto dei disegni a pennarello sulla faccia...»

«Se t-ti avesse fatto dei d-disegni...»

«Stavo scherzando» mi interrompe sorridendo.

«Ah, ok.» Era ovvio che stesse scherzando. Perché non l'ho capito subito?

Bussano alla porta. Che ore sono? Sono già tornati?

È Andrej. Anna gli va incontro e lo abbraccia. Gli dà un bacio sulla guancia. Lui, come sempre, fa il duro, si limita a fare un sorrisetto e stringerla per un attimo in un abbraccio. Non è un tipo incline a mostrarsi affettuoso in pubblico. Mi aspettavo che avrebbero passato tutti i momenti insieme a baciarsi e fare i "piccioncini", ma non l'hanno fatto. Passano gran parte del tempo a prendersi in giro a vicenda, e solo ogni tanto Anna gli dà qualche piccolo bacio, oppure lui le prende la mano e gliela lascia dopo pochi secondi. Ma lei mi ha detto che quando sono soli è molto più tenero.

«Siete già tornati?» gli chiede Anna.

«Siamo tornati io e i miei genitori. Ivan è rimasto a fare festa coi suoi amici.» 

«Perché non sei rimasto con loro?»

«Se restavo lì mi ubriacavo, e non volevo ubriacarmi.»

«Scommetto che sei già alticcio» lo prende in giro lei, in tono scherzoso.

«No, ho fatto solo un brindisi all'inizio della cena» ribatte lui serio. Si schiarisce la voce e si gratta la testa. «Ti va di vederci qualcosa insieme? Ti faccio un tè?»

«Non un film russo, per favore.»

«I film russi sono bellissimi!» ribatte lui facendo un'espressione offesa.

Anna ride, gli prende la mano. «Dai, andiamo!» Si volta verso di me, mi parla in inglese. «Domattina alle otto fatti trovare già pronto, altrimenti perdiamo l'aereo.»

«Ok, b-boss» le rispondo.

«È davvero una boss nata» commenta Andrej, mentre escono dalla stanza.

E così sono solo. Passerò da solo l'ultima notte qui. Come quelle precedenti, del resto.

Be', non completamente solo. Socchiudo la porta: il corridoio è buio. «Mursik...» chiamo. Dopo pochi secondi mi risponde un miagolio. Quel gatto è sempre nei paraggi. È felice di entrare, si struscia sulla mia gamba, gli do una grattatina sulla testa, alla base della nuca. 

Purtroppo in questi dieci giorni non sono riuscito a fare amicizia con Muchtar, l'husky, è rimasto sempre sulle sue, ma Mursik ha sopperito degnamente alla mancata conoscenza.

Mi sono già lavato i denti, dopo cena. Infilo una maglietta pulita e sono pronto per andare a dormire.

Mi mancherà, questo posto. Sono stato bene qui, nonostante l'orribile episodio della seconda notte, e la minaccia costante di veder apparire Nicolò sugli spalti del torneo. Per fortuna non l'ha fatto. Raffaele ha cercato di parlarmene di nuovo, giovedì, ma Ivan era presente, e l'ha zittito con una frase in russo. Sono felice che lo abbia fatto. Non voglio avere più niente a che fare con Nicolò. Niente.

Mi stendo a letto. Ma fatico a prender sonno e quel poco che dormo lo dormo male.

A un certo punto, delle voci al piano di sotto mi svegliano dal mio sonno leggero. Non parlano a volume alto, ma le sento. 

Ivan è tornato. 

Prendo il cellulare per vedere che ore sono e vedo che è mezzanotte e mezza. Pensavo avrebbe fatto persino più tardi.

Lo sento muoversi all'interno della casa. Lo sento aprire la porta della sua stanza, che è proprio accanto alla mia. Sento rumori in bagno. Si starà lavando i denti? Bravo.

La porta della sua stanza si apre e si richiude.

E dopo pochi secondi sento un leggero toc toc sulla mia porta.

«Vieni» gli dico. Accendo la luce sul comodino.

«Ti ho svegliato?» bisbiglia entrando. È in maglietta della salute e pantaloncini.

«Ero già sveglio.»

«Oh, guarda lì» Ivan indica il gatto. «Ecco dove stava! Ha dormito qui tutte le notti?»

«Sì, con me.»

«Pensavo che non ti piaceva i gatti.»

«Infatti non mi piacciono. Q-q-questo però mi sta simpatico. Mi ha tenuto compagnia.» Gli do l'ennesima grattatina sulla testa.

«Posso tenere compagnia io, stanotte?»

La domanda mi lascia per qualche secondo spiazzato. Resto immobile con la mano sulla testolina del gatto e gli occhi a mezz'aria tra il pavimento e Ivan. Poi li sollevo.

«Posso dormire con te?» mi chiede. Poi alza le mani. «Non ho bevuto.»

«P-perché dovrebbe interessarmi se hai b-bevuto?»

«Perché quella sera in discoteca avevo bevuto un pochino, e ho fatto cose che non so se avevo il coraggio di fare se non avevo bevuto. Voglio fare le cose perché ho il coraggio di fare anche quando non ho bevuto.» Sbuffa. «Credo che ho detto un po' male.»

«Ho c-c-capito lo stesso» gli dico.

«Non voglio fare niente, voglio soltanto dormire. Come all'inizio, ti ricordi? Quando dormivi insieme, e non facevamo niente, come due bambini.» La sua espressione è triste. 

Come posso dirgli di no? Lo voglio anch'io. Ovvio che lo voglio. «Va bene. Però voglio dormire in camera tua.»

«Perché? Vuoi sentire le palline domani mattina?»

«La tua camera mi p-piace di più. Tutto qui.»

«Ok» dice. Mi fa cenno di seguirlo.

Ci infiliamo sotto le coperte del suo letto. Non è grandissimo, una piazza e mezza, staremo un po' stretti. All'inizio ci stendiamo a pancia in su. Gli chiedo come è andata la festa, se si è divertito. Mi dice di sì, mi racconta qualcosa. Mi piace sentirlo parlare, anche se mi parla semplicemente dei fatti suoi.

«Eri c-così emozionato, stasera, quando hai realizzato il championship point» gli dico.

«Oh, sì. È stato bellissimo. La più bella vittoria della mia carriera. Però...»

«Però?»

«Però... dopo tutto quello che mi hanno fatto, dopo che mi volevano nascondere, fare finta che non esisto e che non sono russo... sai cosa mi piaceva... mi sarebbe piaciuto fare?»

«Cosa?»

«Volevo finire che venivo a rete, ti prendevo e ti baciavo davanti a tutti.» Ride. «Sì, sì, lo so che non ti piacciono i baci. Ma era il mio bellissimo sogno di rebellione.»

«Se mi piacessero i baci l'avrei fatto volentieri.»

«Davvero?»

«Davvero.»

Restiamo in silenzio per un po'. Io mi sento irrequieto. Mi giro su un fianco, dandogli le spalle, e lui mi mette una mano sul gomito, in una specie di abbraccio a metà.

«Pensavo che non ti p-piacesse stare steso a letto con me» gli dico. «Mi avevi detto che non ce la fai a stare...»

Col cazzo duro tutta notte, aveva detto. Non riuscirei mai a ripetere una frase simile.

«Stupido Vanja» dice. «Io sono felice di stare così con te. Come due bambini.»

C'è qualche secondo di silenzio. «E se fossi io quello che non è più capace di stare così, come due b-b-bambini?»

Lo sento respirare intensamente. «Cosa vuoi dire?»

«Che non sono un bambino, e voglio fare quello che stavamo p-p-per fare sabato sera.»

Il suo respiro sembra sempre più affaticato, strozzato. 

«Io no» risponde duramente. «Non voglio che succede di nuovo quello che è successo sabato.»

Le sue parole mi feriscono. Ma lo capisco.

«E non voglio essere il tuo ragazzo» aggiunge.

«Quella parola n-n-non ha mai avuto senso, p-per me.»

«Io voglio dire che... che non voglio stare con te. Non voglio avere relazione sentimentale. Tu fai sempre qualcosa che poi mi fa stare male. Io voglio innamorarmi di un'altra persona.»

«Ma resterai mio amico?»

«Per sempre. Ma solo amico. Solo amici.» Resta in silenzio per qualche istante. «E amici e basta, no friends with benefits. Perché tu capisci... Io voglio, sai, vorrei tanto! Ma poi, penso che io sono lì, e faccio cose perché sono eccitato, e forse faccio qualcosa che penso tutto ok e tu, invece... Come posso sapere se di improvviso ti prende problema nella testa e fai come sabato? Come posso sapere se mi fai male di nuovo? Ho paura, capisci?»

Ivan resta immobile, con la mano sul mio gomito, e il suo respiro pesante. Non ho il coraggio di muovermi.

Restiamo così, in silenzio, immobili, per un po'. Lui non dorme, lo capisco dal ritmo del suo respiro. Io rifletto sulle sue parole. E dopo qualche minuto di riflessione gli faccio una domanda. «T-t-tu hai fatto sesso con molte p-persone, vero?»

«Perché fai questa domanda?» mi ribatte subito. Ha ancora la mano sul mio gomito.

«Volevo sapere se... cioè, di t-t-tutte le volte, tutte le persone con cui hai avuto rapporti... non t-ti è mai successo che qualcosa andasse storto? Che facessi qualcosa che magari all'altra p-persona non p-piaceva?»

Ivan sospira. «Sì, è successo. Tante volte. È successo anche a me, che non mi piaceva qualcosa. Ma nessuno ha mai fatto come tu sabato. Tu dici: no, questo non mi piace, ok, allora facciamo altro. E io ho capito che tu hai avuto reazione shock e non fai apposta, ho capito... Ma anche tu devi capire che non è facile stare con una persona che ha reazione così. È una cosa che ti... che ti rompe tutte le emozioni nella testa.»

«Capisco» dico. «Capisco davvero. E c-come ti dicevo, non voglio che stai male per colpa mia.»

«Ma?» dice.

«Ma cosa?» ribatto.

«So che c'è ma, dopo quello che hai detto. Non voglio che stai male per colpa mia, ma...»

«T-tipo... cioè... Anna l'altra sera mi ha spiegato perché hai fatto quella cosa col dito... ho capito, ok... però se ci p-penso mi fa schifo uguale, voglio dire... come fa a non fare schifo anche a te? È il t-t-tuo dito! Con le mani poi ti ci tocchi la faccia, la bocca, e tocchi anche me! E... quindi pensavo, perché non usi dei guanti di lattice? C-cioè, ok, ho capito che non succederà, ma s-se d-d-dovesse mai succedere, cioè, p-prendila c-come un'ipotesi, ok? Se tu usassi dei guanti di lattice e poi li togliessi non mi farebbe schifo.» Sospiro. 

E mentre sospiro lo sento ridacchiare. «Cos'è guanti di lattice?»

Ah, già. «Guanti è gloves, lattice non so come si dice in inglese... sono quei guanti bianchi che usano i dottori, tipo plastic gloves, p-presente?»

Ivan ride. «Tu vuoi giocare a dottore con me? Non sapevo che avevi queste fantasie, Misha!» Ride ancora e mi dà dei colpetti al gomito, con la mano.

«Cosa significa giocare a dottore?»

Ivan non risponde e ride ancora più forte.

Io sbuffo. «Ok, ho c-capito, mi stai prendendo in giro perché ho detto una c-cosa strana, ma io stavo s-solo c-cercando un modo per fare sesso con te.»

La risata di Ivan si blocca all'improvviso, e io mi rendo conto di aver detto in maniera troppo esplicita qualcosa che avrei fatto meglio a non dire.

«Scusa, cioè, t-tu non vuoi, fai finta che non abbia detto niente» aggiungo.

«Io voglio, Misha. Voglio! Questo è il problema.» Mi stringe il gomito con forza. «Ma tu cosa vuoi? Tu mi dicevi sempre che non sai cosa vuoi davvero, adesso mi dici che vuoi fare sesso, ma sei sicuro? Dimmi cosa vuoi! Dimmi exactamente cosa vuoi!»

È un ordine, il suo! Ma all'improvviso mi vergogno, e glielo dico: mi vergogno troppo, e dicendolo balbetto come non mai.

Lui mi stringe di nuovo il gomito con forza. «Misha, non avere paura di me e non avere paura di cosa vuoi.» La sua stretta si allenta, la sua mano scivola lungo il mio bicipite, e sento il suo corpo, dietro di me, avvicinarsi appena. Chiudo gli occhi, il sangue scorre rapido nelle mie vene. La sua voce è quasi un sussurro. «Parla e dimmi cosa vuoi, tutto quello che vuoi.»

E al buio, a occhi chiusi, parlo. «Voglio toccarti. Voglio sentire la tua b-bocca sulla mia pelle. Voglio toccare la tua bocca con le dita, il tuo dente, oh, il tuo dente storto, voglio che mi mordi il dito col tuo dente storto, la tua bocca, voglio... voglio la tua bocca sul mio pene, le tue mani, la tua b-bocca, io... io... e poi io... voglio che mi tocchi, e voglio c-che... c-c-c-che...» Mi manca l'aria, non riesco a finire la frase, e mentre cerco di respirare, la sua mano dal suo bicipite si sposta sul mio petto, e il suo corpo si stringe al mio, e la sento, la sua erezione, che spinge contro la mia natica, e la voglio, apro la bocca, prendo un respiro gigantesco e lo dico: «Voglio la tua erezione dentro di me.»

Dio, che frase imbarazzante ho appena detto! Come ho fatto a dirla? Lui fa un piccolo gemito, strofina il naso contro la mia maglietta, mi morde per un attimo la spalla. 

«Misha, io non posso fare sesso con te. È la tua prima volta. Prima volta bisogna fare con qualcuno che sei innamorato.»

«Cosa significa q-quella parola? Innamorato: c-cosa significa?»

«Se non sai, non sei.»

Sbuffo. «Puoi accendere la luce? V-vorrei parlare g-guardandoti in faccia.» 

Lo sento muoversi, e dopo pochi istanti accende la luce della piccola lampada da tavolo che sta sul suo comodino, accanto al letto. Mi giro a pancia in su per guardarlo, lui mi fissa rimanendo col busto alzato, appoggiato su un gomito, e i suoi capelli spettinati un po' in controluce formano una specie di aureola rosa intorno alla sua testa. «Cosa vuoi dirmi?» Il suo sguardo è serio.

«Il mio ragazzo, la mia ragazza, t-t-ti amo, sono innamorato, amore... sono p-parole che non hanno senso, non... c-c-cioè... io sono felice di stare con te, sto bene con te, mi p-p-piace sentirti p-parlare, anche se a volte non ti sopporto, e quando mi porti in giro per San Pietroburgo penso che vorrei essere l'unica persona al mondo a cui mostri quei posti. Però se penso a quelle parole, non so... non lo so, mi fanno paura, perché mi sembra che le persone diano a quelle parole un significato gigantesco, che a me sembra di non c-c-c-capire.»

Ivan non parla. Mi guarda nella stessa posizione di prima. Allunga la sua mano libera verso il mio viso e mi accarezza una guancia con le dita.

«Io voglio fare sesso con te.» Non so come ho fatto a dirlo senza balbettare. «E che sia la prima volta c-c-che lo faccio in q-questo modo non mi interessa. Non voglio farlo con nessun altro, e non credo che proverò mai nei confronti di nessun altro una pulsione del genere. Non l'ho mai provata in vita mia.»

«Oh, Misha...» sussurra lui. «Tu capisce che io non posso resistere a una dichiarazione così?»

«Non resistere.» Lo prendo e lo tiro giù. Mi frana addosso.

Rovescio la testa all'indietro e mi faccio baciare, mi faccio spogliare.

Io non lo bacio, non riesco a farlo, ma lo tocco anch'io. Mentre mi guarda a pochi centimetri di distanza, gli tocco le labbra, i denti, scorro il pollice sul taglio degli incisivi e sento lo scalino del suo dente storto. 

Poi lo abbraccio, tiro il suo viso sul mio collo, mi piace quando mi bacia sul collo. Chiudo gli occhi e mi concentro sulle sensazioni tattili, sul suo corpo nudo e un po' sudato che si strofina contro il mio, poi ogni tanto li riapro, e mi concentro su quelle visive. 

«Ho pensato soluzione a problema del guanto di latte» mi dice nell'orecchio.

A me viene da ridere. «Lattice» lo correggo.

Ride anche lui, apre il cassetto del comodino e ne estrae una confezione di preservativi. Oh, finalmente!

Prende anche un'altra cosa, una specie di tubetto rigido. «Questo è lube, vedi come sono organizzato bene? E con questo adesso faccio così...» Apre un preservativo e se lo infila sull'indice. Poi ride. «Questa è cosa sexuale più strana che ho fatto!» Mi guarda e affonda il suo dente storto nel labbro, poi mette il "lube", il lubrificante, sul dito inguainato nel preservativo, e me lo sventola davanti. «Posso? Così è ok? Poi butto via.»

Agito la testa con vigore. Sono impaziente!

E quindi Ivan inserisce il suo dito inguainato nel mio ano, ed è una sensazione strana, sentirlo scivolare, muoversi, un po' piacevole, un po' fastidiosa, e a dire il vero mi rende ancora più impaziente, perché non mi soddisfa. Vorrei che mi prendesse e mi penetrasse. Subito.

Ma non lo fa ancora. «Forse questo fa un po' male» dice. «Se fa male, dici.» Fa scivolare un secondo dito nel preservativo e mi penetra con due dita, e sì, accidenti, fa male! Emetto un piccolo grugnito. 

«Scusa, ho fatto troppo veloce» dice lui, «ma so come faccio che ti dimentichi.» E vedo la sua testa abbassarsi verso il mio pube.

«No!» esclamo.

Lui alza il viso di scatto, serio. «Prima hai detto: voglio la tua bocca sul mio cazzo!» protesta, in tono accusatorio.

«V-veramente ho detto pene, e... sì!» Chiudo gli occhi. «Oh sì, vorrei tanto, ma, m-m-ma se adesso mi fai un pompino ho paura di eiaculare in due secondi.»

Non so come ho fatto a dire pompino anziché fellatio, e a non balbettarlo. Ivan intanto ride. «E allora? Se eiaculi facciamo pausa dieci minuti e poi ricominciamo.»

Scuoto la testa. Innanzitutto non mi è mai successo di provare il desiderio di ricominciare dopo aver avuto un orgasmo. E poi, anche se fosse, non voglio interrompermi, voglio che adesso lui mi penetri, adesso! Non so come sia possibile che lo voglio ancora, considerando che mi fanno già male due dita, ma lo voglio. 

Non dico nulla di tutto questo, ma lui mi legge nel pensiero. «Ok, allora faccio piano, così, ok?» Mette dell'altro lubrificante sul preservativo e mi penetra di nuovo con le dita, più lentamente. «E tu relax, ok, devi solo relax, se stai relaxato fa meno male.» E continua con una tale dolcezza che riesco davvero a rilassarmi, la tensione passa, il dolore anche, e sono sempre più eccitato, e sempre più desideroso di sentirlo dentro di me.

Non so perché mi eccita tanto questa idea, è una fantasia che non ho mai avuto in vita mia, ma mi eccita l'idea di Ivan che controlla in questo modo le mie sensazioni fisiche, il mio piacere.

Non resisto più, lo aggancio con una gamba, tiro il suo pube verso di me, e quando i nostri bacini si scontrano esplodono le emozioni nella mia testa e le sensazioni nel mio corpo.

Ivan getta a terra il preservativo usato e mi fa girare su un fianco. «Così è più facile» dice. Lo sento ansimare, mentre mi ruota appena le natiche, mentre si mette un nuovo preservativo sul pene, e dell'altro lubrificante, mi sento già tutto viscido, non ne starà usando troppo? Ma se lo fa, lo fa per me, lo so, quindi non dico nulla, resto in attesa, col desiderio che aumenta ogni secondo che passa.

Ed eccolo. Mi abbraccia da dietro e lo sento entrare, lo sento spingere un po', piano, e come fa male! Come sembra grosso! Non sembrava così grosso, a vederlo. Ripete l'affondo diverse volte, e ogni volta entra un po' di più, e ogni volta fa un po' più male, ma resisto, perché nonostante il dolore lo desidero ancora, voglio che continui.

È grosso, è ingombrante, mi riempie in modo strano, ma lui sta godendo così tanto, lo sento da come geme, da come la sua mano libera mi stringe e mi accarezza. Non lo vedo, ma non mi serve vederlo, so che è lui, riconosco il ritmo del suo respiro, il tono di voce nei suoi ansiti, il suo afrore, il suo modo di muoversi. Nella mia testa è chiarissima la sua immagine, coi capelli rosa e il dente storto.

«Ti fa ancora male?» sussurra. 

«Un po', ma continua» gli rispondo. Lui infila le sue dita sotto la mia guancia e gira la mia testa verso di lui. Si è sollevato un po' col busto per guardarmi.

E continua. Ondeggia, avanti e indietro, mi accarezza il viso, mi tocca, mi stringe. Io porto un braccio all'indietro e accompagno i suoi movimenti, lo spingo ad aumentare il ritmo per aumentare il mio piacere, anche se non smette mai del tutto di farmi un po' male. Lui obbedisce ai miei comandi gestuali, e io intanto ammiro la sua espressione sempre più estatica. 

Mi guarda, mi guarda sempre, non smette un attimo di guardarmi, è una gara a chi sbatte prima le palpebre.  

E lui, però, è arrivato al culmine. Vedo l'orgasmo sul suo viso ed è così bello che vorrei fotografare questo istante nella memoria, in modo da poterlo rivivere all'infinito, e la consapevolezza che invece questa sarà la prima e l'ultima volta porta dolore e nostalgia in un momento che dovrebbe essere solo felice. È già finito, è già passato.

Quasi non mi interessa il fatto che io non abbia ancora avuto il mio, di orgasmo, ma a Ivan evidentemente sì, perché mi spinge a girarmi a pancia in su, mi sorride malizioso e dice: «Adesso non importa se vieni in due secondi...»

E prima ancora che io capisca cosa sta per fare, lo fa. Ridendo un po', prende il mio pene nella sua bocca. 

Oh!

Questa potrebbe essere la singola cosa più eccitante che mi sia mai capitata. La bocca di Ivan, la sua bocca! La bocca che ho sognato migliaia di volte, su cui mi sono ossessionato, che eccita e disturba i miei pensieri. La bocca di Ivan. Ivan. 

Sto cercando di trattenere i gemiti, fatico a riuscirci, non voglio che si sentano rumori, ma presto il piacere che provo è tanto che non controllo più cosa faccio, non controllo più cosa sento. Esiste solo Ivan, nel mondo, in questo momento. Nient'altro che lui.

Alla fine del rapporto siamo un po' sporchi e molto sudati. Mi prende per mano, e mi porta in bagno. Ci laviamo. Sono stanco. Mi fa male il sedere. Mi tremano i muscoli delle gambe. Il mio cuore ancora batte troppo veloce. Mi sciacquo anche il viso e la bocca, bevo qualche sorso d'acqua, respirando a labbra aperte si è un po' seccata.

Non abbiamo ancora detto una parola. Non penso che serva dire qualcosa. Lui ha finito, mi sta guardando, mentre mi asciugo il viso. È serio, un po' malinconico. Lo guardo anch'io, senza capire come mai questo ragazzo con la faccia strana e il dente storto riesca a eccitarmi così tanto.

Alla fine gli tendo la mano, lui me la prende, gliela stringo.

«Io non sono il tuo ragazzo, hai capito?» mi dice, fissandomi negli occhi con un'espressione un po' triste e dura.

Io annuisco.

«E non sono neanche il tuo friend with benefits.»

Annuisco di nuovo.

«Questa è la prima e l'ultima volta, Misha» le frasi sono sempre più dure e risolute, ma il suo tono di voce si fa via via più dolce a ogni frase che pronuncia.

«Sei il mio friend e basta. Mi va bene» gli dico.

Mi sorride. Ci stiamo ancora tenendo la mano.

Alla fine ci decidiamo, nello stesso momento, di tornare in camera. Senza dire altro ci rivestiamo. 

Ci mettiamo a letto.

Sotto le coperte, io e Ivan ci abbracciamo, stavolta è lui a essere di spalle, e io lo avvolgo.

Non mi piace dormire da solo. Mi piace la compagnia di un animale. Mi piace il calore del corpo di Anna. Mi accontento persino di una carota di peluche, se non ho altro a disposizione. Ma non c'è niente al mondo che mi piaccia più di Ivan, quando si tratta di scegliere un compagno di letto.

E dormire con lui qui, nella sua stanza ivanizzata, nella sua meravigliosa città, mi sembra ancora più bello, e al pensiero che questa esperienza non si ripeterà mai più, mi si stringe lo stomaco e la lingua si annoda nella gola, che si fa sempre più stretta.

Mai più. Non tornerò a San Pietroburgo, è un torneo troppo piccolo per me. E anche se ci tornassi, tra chissà quanti anni, quando sarò alla fine della mia carriera, Ivan presto si innamorerà di qualcuno, come ha promesso che farà, e dormirà con quel qualcuno, lo porterà in giro in questa città bellissima mostrando a lei o lui tutti i posti che ha mostrato a me.

Questo abbraccio, in questa stanza, in questa città, non ci sarà mai più, come non c'è più Sara, come non c'è più la mamma. 

«Cosa pensi?» mi chiede.

«Che San Pietroburgo è davvero la città p-p-più bella del mondo.»

Ha un sussulto. «Davvero tu pensi questo?»

«Sì. Ma è anche l'unica città che abbia mai davvero visto in vita mia, quindi non ho molti metri di p-p-p-paragone.»

«Ok, allora sai cosa facciamo? Ti porto a vedere tutte città più belle del mondo. Roma, Paris, Prague, Instanbul, Tokyo, E poi decidi. Mh?»

«Mi sembra una buona idea.» Sorrido nel buio.

«Tanto sono sicuro che scegli San Pietroburgo.»

Non so perché, ma ne sono sicuro anch'io.

Note note note

La (vera) prima volta di Michele è stata dolceamara: lo volevano entrambi, ma nessuno dei due vuole una relazione. Vi è piaciuta, nonostante la malinconia? E come immaginate si evolverà adesso il loro rapporto?

Mentre scrivevo questo capitolo, e immaginavo Michele e Ivan stesi a letto, alla fine, a guardare il soffitto azzurro di Ivan, mi è venuta in mente quella vecchia* canzone italiana di Gino Paoli, "Il cielo in una stanza": Quando tu sei vicino a me, questo soffitto viola no, non esiste più, io vedo il cielo sopra noi. E sapete cosa si vede in cielo, di notte? Esatto: tante bellissime stelline, come quelle che mi piacerebbe voi accendeste sui miei capitoli :)

*e anche bella, direi.

Segnalo al volo a chi non li avesse letti, che ci sono due nuovi capitoli sugli extra della storia: un compendio di usanze mangerecce russe, e un post più serio dedicato alla triste e inquietante vicenda della tennista cinese Peng Shuai.

La prossima settimana i capitoli saranno di nuovo due, e ci rileggiamo lunedì.


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