1. Rivalità
Come comincia una rivalità? Una di quelle leggendarie, che fanno sognare una generazione. Borg e McEnroe. Agassi e Sampras. Straussler e Molina. Come è cominciata tra loro?
Di certo non così. Non con il ghigno strafottente di un ragazzino russo che, mentre ci stringiamo la mano sopra la rete a fine match, mi sussurra all'orecchio: «Ti voglio fottere.»
Ha i capelli verdi e un dente storto.
L'ho notato poco fa, il dente, mentre si avvicinava. Ero concentrato su quello, prima che mi insultasse.
E quando mi ha insultato mi ha colto di sorpresa, forse proprio perché gli stavo fissando la bocca, il dente. O perché ha parlato in italiano. Mi ha colto talmente di sorpresa che non sono riuscito a trattenermi, la voce mi è salita spontaneamente alle labbra, e lì, come sempre, si è inceppata, quando gli ho chiesto di ripetere cosa avesse detto.
Ed è in quel momento che il ragazzino ha definitivamente affossato qualsiasi pretesa di rivalità nei miei confronti. Ha sorriso, si è avvicinato di nuovo al mio orecchio e ha sussurrato: «F-f-f-fo-fottere.»
Ivan Reshetnikov mi ha appena battuto. Mi ha battuto nonostante il suo stile orrendo, il suo inguardabile e inspiegabile dritto a due mani, e i suoi capelli verdi.
Ma quel che è peggio, mi ha insultato e umiliato con una presa in giro da prima elementare.
Ha diciassette anni ed è venuto fuori dal nulla, numero 291 nel ranking singolare.
Non lo conoscevo, prima di sapere che sarebbe stato il mio avversario iniziale qui al Roland Garros. Non l'avevo mai sentito nominare, neanche nei circuiti junior. Quando ho letto il suo nome accanto al mio, dopo il sorteggio dei tabelloni, e visto il suo ranking e la sua età, ho pensato fosse un giovane in rampa di lancio, in procinto di scalare la classifica. Ma è stato un errore di giudizio: sì è qualificato per miracolo, è evidente. E dopo questa vittoria fortunata non andrà da nessuna parte.
Sì, lo penso davvero. Lo penso anche se mi ha battuto. Sulla sua strada, nelle qualifiche, si sarà ritirato qualcuno. Non mi spiego come possa vincere tre incontri di fila, a questo livello, uno che maneggia la racchetta come fosse un badile.
Salirà improvvisamente alla ribalta, dopo questa vittoria, con le sue braccia secche e dinoccolate, quei quattro peli di barba sulla faccetta da adolescente, e i capelli da ragazzino esibizionista che vuole far colpo in modo facile.
E il dente storto. L'incisivo frontale, un po' ruotato, non di molto, ma io le noto queste cose. Come se qualcuno l'avesse preso con una pinza e gli avesse fatto fare un decimo di giro in senso antiorario.
Mentre ripongo la racchetta in borsa, mi trattengo a stento dall'impulso di rompere qualcosa, la racchetta stessa, magari, sbattendola a terra. Ma non è dignitoso, so controllare i miei istinti, lo faccio sempre, lo faccio anche ora. Trovo un piccolo sfogo al mio nervosismo nel lanciare i miei polsini al pubblico, e dopo i polsini l'asciugamano. Di solito li consegno personalmente ai bambini che si assiepano in prima fila, per evitare queste scenate che non riesco a guardare. Mi mettono a disagio, mi causano una pena quasi fisica alla bocca dello stomaco: gente che litiga per avere un pezzetto di stoffa schifosamente lurido di sudore e terra rossa, come se fosse una questione di vita o di morte.
Esco a testa alta dal campo, il Suzanne Lenglen, il secondo per importanza. Saluto, mi fermo a firmare qualche pallina, lo faccio ogni volta, che vinca o che perda, perché la mia immagine è quella del tennista corretto e sempre disponibile a interagire coi fan. Non a parlare, non ci riuscirei mai. A interagire, questo sì.
Mentre sorrido, stringo mani e firmo autografi, sento, mio malgrado, l'inizio dell'intervista a bordo campo. Il russo parla di rivalità. «Rivalry» dice all'intervistatrice, un'ex tennista francese. «Rivalry» ripete lei con le sue erre mosce. Ma no, non è così che comincia una rivalità. Una rivalità presuppone rispetto e talento. Gli mancano entrambi.
Sorrido, stringo mani, firmo autografi. Il pubblico mi ama per questo. La rabbia mi corrode il cuore, mi sembra che un buco si stia aprendo nel mio petto, ma continuo a sorridere e firmare, e la guardia del corpo, a pochi metri da me, tiene d'occhio la folla che si accalca per avere una firma di Michele Bressan, la giovane stella del tennis, numero cinque del mondo a soli diciannove anni.
Numero cinque ancora per poco.
C'è il solito gruppo di ragazzi sordi. Con la lingua dei segni americana dico qualche frase preconfezionata. Loro sono francesi, chissà se lo capiscono. È l'unico modo in cui mi esprimo davanti alle telecamere, ed è per questo che sono diventato un idolo della comunità. L'ATP mi adora, ho aperto un nuovo mercato: nell'ultimo anno c'è stato un boom di iscrizioni di ragazzi sordi ai circoli di tennis di tutto il mondo, anche se io non lo sono. Ma è merito degli interpreti che hanno assunto. Li hanno assunti per me, ne hanno approfittato per usarli in tutte le conferenze. I ragazzi mi sorridono, mi dicono qualcosa, non guardo le loro mani né i loro visi, ma annuisco, sorrido per l'ultima volta.
E finalmente me ne vado. A ripensare alla sconfitta, a farmi la doccia, per lavare via la rabbia e l'umiliazione.
Rivolgo un'ultima occhiata a Reshetnikov, al ragazzino inesperto che mi ha battuto, insultato e umiliato. E m'incammino lungo il corridoio.
Le telecamere ancora mi inquadrano, devo mantenere il contegno. È solo quando mi chiudo alle spalle la porta del corridoio che va agli spogliatoi che mi sento un po' più libero, nessuno mi vede, digrigno i denti, stringo i pugni.
Ero uno dei favoriti alla vittoria. L'anno scorso sono arrivato in semifinale, qui al Roland Garros. La mia prima semi in un torneo Slam a soli diciotto anni. Uscendo al primo turno ho appena perso 710 punti. Settecentodieci. Sono un'enormità, scenderò almeno una posizione in classifica, forse due, se Jukiro Takahashi (ora numero sette) arriverà in semifinale.
Sono uscito al primo turno, come un numero cento qualunque.
Eliminato da uno che è diventato professionista meno di un anno fa e che gioca come un dilettante da circolo. Da uno che nemmeno ha un coach, per lo meno non un coach ufficiale. Papà si è informato, e non sembra averne uno: non c'è nessun nome sulla sua scheda ATP, e oggi non c'era nessuno nel suo angolo.
Eliminato da uno che non ha nemmeno uno sponsor degno di tal nome! Indossava una maglietta nera smanicata (le maniche sembravano strappate), con su scritto a lettere cubitali: AC/DC. Una marca che non ho mai sentito nominare.
Sarebbe dovuto essere un match facile, un match di riscaldamento. E sono stato eliminato.
Eliminato da uno che a fine match mi insulta, mi manda a farmi fottere, mi prende in giro per qualcosa di cui non ho colpa.
Entro finalmente in spogliatoio, chiudo la porta sbattendola con violenza, lascio cadere il borsone a terra e lo prendo a calci, un grido trattenuto mi raschia la gola, gli occhi mi bruciano, i muscoli mi fanno male.
Non dovrei farlo, so che non dovrei farlo, so che non serve a niente.
Papà è già qui, e mi guarda. È uno dei miei allenatori, ha accesso alle aree giocatori.
È alto, quasi quanto me (io sono uno e novantatré) e ha il fisico asciutto di un ex atleta che non ha mai smesso di tenersi in forma. Viso quadrato, capelli folti e brizzolati, che porta sempre tagliati molto corti. I suoi occhi scuri sono socchiusi, in questo momento, e la sua bocca sottile è stretta in una linea che la rende quasi invisibile. È fermo in piedi nella sua tipica posa marziale con le braccia ritte lungo i fianchi.
Tiro un ultimo calcio alla borsa e mi inginocchio a terra, sfinito.
«E adesso stai meglio?» mi dice lui, incrociando le braccia davanti al petto.
Scuoto la testa.
In sala docce c'è qualcuno che si lava, si sente l'acqua che scroscia. Me ne accorgo solo adesso.
«Quindi» dice papà con la sua voce bassa e calma, «è servito a qualcosa, questo sfogo?»
Scuoto la testa di nuovo.
Gli spiego cos'è successo. Che Reshetnikov mi ha insultato, che mi ha preso in giro per la balbuzie.
«Ho notato che gli hai risposto» osserva papà. «Gli hai parlato. Gli hai detto qualcosa all'orecchio.»
Annuisco.
«E poi lui ti ha preso in giro perché hai balbettato.»
Annuisco di nuovo.
«Perché gli hai parlato? Lo sai che è meglio se non parli. A meno che non sia strettamente necessario. Lo sai che quando parli scopri il fianco agli insulti della gente meschina.»
Annuisco per la terza volta. Papà ha ragione, ha sempre ragione. Cerco di spiegarmi, gli dico che mi ha colto di sorpresa col primo insulto, che me l'ha detto in italiano, e non ho potuto fare a meno di chiedergli spiegazioni. Ci impiego trenta secondi, anche più, a pronunciare tutte le parole. La lingua mi si annoda a ogni sillaba.
«Basta così. Vai a farti la doccia» ordina papà, in tono fermo. «E mantra. Ora. Subito. Sei nervosissimo, balbetti molto più del solito. Devi rilassarti.»
Doccia. E Mantra.
Voglio fare in fretta a lavarmi, tra poco arriverà anche lui, non voglio incrociarlo.
Mi alzo in piedi, mi svesto rapidamente, prendo ciò che mi serve per lavarmi. Muovo lentamente le braccia a cerchio, mentre vado verso le docce, per defaticare i muscoli. Vorrei fare un po' di stretching, ma non c'è tempo, devo andare alla conferenza.
In sala docce ci sono Nicolas Matthieu e Georgi Stoyanov che finiscono di lavarsi; un match che deve essere finito poco prima del mio.
Ha perso Stoyanov, il bulgaro.
Mi basta guardarli in faccia, per saperlo. Proprio come loro sanno che io ho perso guardando in faccia me.
È sempre così, negli spogliatoi di un torneo, si capisce subito chi ha vinto e chi ha perso. Dalle espressioni del viso, anche solo dal modo di incedere, di incurvare le spalle.
Mi fanno entrambi un cenno silenzioso di saluto, a cui rispondo con un altro cenno. Nessuno mi parla mai: nessuno ha voglia di perdere tempo.
Sotto la doccia chiudo gli occhi, mi lascio scivolare l'acqua addosso, prendo un respiro. «Nnnnnnn» comincio a cantilenare. Non mi importa che Matthieu e Stoyanov mi sentano.
«U-no, du-e, tre-e...»
È una tecnica di rilassamento e meditazione che mi ha insegnato la mamma quando ero bambino, e che papà ha rielaborato per i post match. Devo pronunciare i numeri, da uno a dieci, in quattro tempi: tre per i numeri uno per il respiro, e sempre sulla stessa cantilena vocale, concentrando tutti i miei pensieri su questo compito, come se fosse il più difficile e importante del mondo, fino a quando i muscoli non sono completamente decontratti e la mente si è svuotata dai pensieri negativi.
«Die-ci, u-no, du-e...» ma faccio fatica. Perché c'è poco tempo, so che c'è poco tempo. E sono troppo nervoso. E mentre conto mi sto lavando. E ripenso alla partita, ai momenti chiave. E c'è la conferenza stampa, zia Elena, la mia manager, mi deve dare qualche dritta, prima della conferenza. E non riesco a concentrarmi sui numeri, non posso fare a meno di pensare alla faccia strafottente del ragazzino russo, ai suoi capelli verdi che gli finivano spesso negli occhi, quegli occhi chiari, chiarissimi, troppo chiari, come lo sguardo di un demone, e la fascetta in fronte che si aggiustava in continuazione, i lineamenti spigolosi, il naso affilato. Il dente storto.
Giocava ridendo, il ragazzino, come fosse un passatempo, come se si divertisse. Giocava come se non gli importasse di vincere, e ha vinto. Faceva il buffone: rovesci saltati, colpi sotto le gambe, il dritto a due mani, persino le palle corte le giocava sistematicamente a due mani, e ogni tanto sparava qualche piattone inaspettato con un'orrenda impugnatura continental. Brutta. Vecchia. Chi usa più quell'impugnatura per il dritto? Sono trent'anni almeno che nessuno la usa più. Chi gliel'ha insegnata?
Faceva il buffone persino quando perdeva i punti, rideva, mostrava la lingua al pubblico. Completamente estraneo alla competizione e irrispettoso dei miei sforzi.
E ha vinto. Ha vinto lui.
«Se-i, set-te...»
«Non ti stai concentrando» mi interrompe papà, in piedi davanti a me. Quando è entrato? Indossa le scarpe in sala docce. Non dovrebbe. Matthieu e Stoyanov non ci sono più. La sala è vuota: strano, per un primo giorno di uno Slam. Entro pochi minuti arriverà qualcuno. Di sicuro arriverà Reshetnikov, che ormai avrà finito con le sue interviste.
«Non stai contando i battiti, avresti dovuto prendere il respiro dopo il sei e non l'hai preso.»
Mi stringo nelle spalle. Annuisco. Mi azzardo a fargli notare che c'è troppo poco tempo, che mi ci vorrebbe mezz'ora per farmi passare il nervosismo che mi ha messo addosso quel ragazzino. Ma papà non mi lascia nemmeno finire la frase.
«È una doppia sconfitta. La rabbia per aver perso è naturale e giusta, ma la tua rabbia deriva dalle sue provocazioni, non dalla sconfitta e dalla consapevolezza di aver giocato male.»
Papà tira fuori il suo tablet e sospira. «Devi imparare a controllarti meglio, Michele.»
Non mi dice altro.
E non c'è altro da dire.
Papà ha ragione: facendomi trascinare dalle emozioni negative ho perso una seconda volta. La consapevolezza di non essere stato capace di controllarmi mi fa tremare le mani dalla rabbia. È un circolo vizioso.
Papà ha di nuovo gli occhi sul tablet. «Ti do qualche indicazione per la conferenza stampa, la zia me le sta passando. E poi facciamo insieme l'analisi dei momenti chiave. Continua a lavarti.»
Annuisco di nuovo, mi concentro su quello che sta per dirmi.
Ma so benissimo perché ho perso, non serve che mi spieghi i momenti chiave.
Ho perso perché il ragazzino è riuscito a innervosirmi.
Ho perso l'incontro perché ho perso la testa.
***
Le prime note, benvenuti!
Ciao e benvenuti sulla mia nuova storia! Piaciuto il primo capitolo? Se la risposta è sì, siccome le note sono lunghe, vi chiedo subito lasciarmi una stellina! Grazie!
Molti di voi penso abbiano già letto una versione embrionale di questo primo capitolo nella raccolta "scegliete la nuova storia". Per chi non l'avesse letto... che ne pensate? Conosciamo Michele Bressan, giovane promessa del tennis, e il suo rivale e futuro... chissà... Ivan Reshetnikov. Il luogo è Parigi, il torneo il Roland Garros del 2017.
In questa storia ci saranno tanto tennis, tanti problemi mentali, capelli multicolore, spero tante risate e (vi avviso) qualche lacrima...
I capitoli sono su per giù 130 e pubblicherò per ora due volte a settimana, ma... siccome i primi due capitoli erano già online (anche se in una versione grezza), farò un'eccezione per i primi tre e pubblicherò il secondo domani e il terzo INEDITO dopodomani!
*Nota sui nomi dei tennisti*
Forse alcuni di voi si staranno chiedendo: chi caspita sono Molina e Straussler? Ecco. Inizialmente avevo inserito Michele e Ivan nella nostra realtà tennistica, quindi usando i nomi dei veri tennisti e delle vere tenniste dei circuiti ATP e WTA. È una soluzione che non mi ha mai convinto del tutto, però, anche perché più avanti nella storia li farò interagire coi miei personaggi, impantanandomi di fatto in una specie di fanfiction. Dopo aver ricevuto un feedback in tal senso anche da parte dei beta, ho deciso di cambiare tutti i nomi. Gli unici nomi reali che ho lasciato sono quelli delle vecchie glorie non più in attività (i vari Agassi, McEnroe, Rod Laver, ecc). Lascio ai pochi appassionati di tennis il divertimento di capire chi è chi... be', direi che Molina e Straussler sono facili da indovinare (anche perché c'erano i loro nomi veri nella versione primordiale del capitolo che ho già pubblicato, ahah).
*Miniglossario tennistico del capitolo*
Siccome so che il tennis è uno sport poco seguito, in ogni capitolo inserirò delle note in cui spiego alcuni punti che potrebbero essere poco chiari, per aiutarvi a immergervi nel contesto. Cercherò di spiegare il più possibile tra le righe, attraverso la voce di Michele, ma è impossibile riuscire a dire tutto (diventerebbe anche noioso e pesante). Se siete già esperti, o se semplicemente non ve ne può fregare di meno... saltate pure questa parte, giuro che non mi offendo :D
"...mentre ci stringiamo la mano sopra la rete a fine match...": Usanza imprescindibile e molto signorile del tennis, quasi una regola non scritta: alla fine di ogni incontro, i due avversari si stringono la mano a rete, e poi vanno a stringerla al giudice di sedia (arbitro). Dalla freddezza o calore con cui due tennisti si stringono la mano a rete si capisce molto del rapporto che c'è tra loro...
"Ho perso 710 punti": la classifica mondiale del tennis maschile (ATP) e femminile (WTA) si basa sui punti ottenuti dal tennista nel corso di un anno (52 settimane) e viene aggiornata il lunedì dopo la fine di ogni settimana o doppia settimana di torneo (quando ci sono tornei che durano 2 settimane). Ogni turno passato in un torneo dà al tennista dei punti, coi tornei di livello più alto che danno ovviamente diritto a più punti a parità di turno. I punti accumulati nel periodo precedente alle 52 settimane vengono tolti, quindi un tennista per non perdere punti deve fare sempre un risultato pari o migliore a quello dell'anno prima. Nel caso di uno Slam, che è il livello più alto di tutti, partecipare a un primo turno (perdendolo) dà diritto a 10 punti, la vittoria del torneo dà 2000 punti. Nel 2016 Michele aveva raggiunto la semifinale, che gli aveva fatto guadagnare 720 punti. Siccome nel 2017 ha perso al primo turno, ha guadagnato 10 punti, ma perso i 720 dell'anno prima, perciò: -720+10=-710.
"Slam": sì, ma, vi starete chiedendo, cosa diavolo è un torneo dello Slam? Gli Slam sono i quattro tornei più importanti dell'anno, gli unici in cui il singolare maschile si gioca al meglio dei cinque set (bisogna vincere almeno TRE set per vincere l'incontro, anziché DUE come in tutti gli altri tornei). Durano due settimane (anziché una come quasi tutti gli altri tornei), hanno il tabellone più ampio di tutti (128 giocatori) e anche il montepremi più ricco. In ordine di calendario sono: Australian Open a Melbourne, su sintetico duro, a gennaio (quest'anno, causa covid, si giocherà a febbraio... inizia tra poco!); Roland Garros (anche detto French Open) a Parigi, su terra rossa, a maggio (il torneo in cui inizia questa storia); i Championships di Wimbledon, a Londra, su erba, a fine giugno; e gli US Open, a New York, su cemento, tra fine agosto e inizio settembre.
"Orrenda impugnatura Continental": detta anche impugnatura a martello. La prima a sinistra nella foto sotto (le altre, nell'ordine: Eastern, Semi-western, Western o Full-western). Si usava molto negli anni '60/'70 ma oggi nessuno la usa più per il dritto, perché rende praticamente impossibile dare rotazione alla pallina (se colpite la palla così, col dritto, esce dalla racchetta potente ma estremamente piatta). Oggi si usa solo per il servizio, per gli smash e per il gioco di volo a rete. Oggigiorno, a livello professionistico, le impugnature più usate per il dritto sono le ultime due a destra (Semi-western e Western). La seconda (Eastern) è quella da scuola tennis, la prima che ti insegnano per colpire di dritto, perché è facile, pulita e consente colpi potenti. Nel tour ATP la usano solo Federer (una versione modificata che tende leggermente verso la semi-western) e Del Potro (che infatti è famoso per il suo dritto potentissimo).
"Voglio fare in fretta a lavarmi, tra poco arriverà anche lui": Ma gli spogliatoi sono in comune?! Ebbene sì, quasi ovunque (maschi e femmine divisi, ovviamente). Però più è grande e ricco un torneo, più sono grandi gli spogliatoi, con diverse file di panchine e armadi, e i tennisti che si sono appena affrontati cercano sempre di evitarsi, per non sfruculiare i malumori... ma con quello sfrontato di Ivan non si sa mai :P
*Ringraziamenti ai beta!*
Questa storia è stata revisionata con l'aiuto di ben TRE beta, che ringrazio di cuore per l'aiuto e i consigli: andreafailla94 e Floricienta94Eil sono i miei due beta diciamo "normali", che mi fanno notare errori, brutture, incoerenze, mi aiutano a migliorare le mie orribili descrizioni (vero Andrea?) e mi esortano ad eliminare l'eccesso di avverbi in -mente (quanti "ovviamente" mi hai fatto eliminare, Elena?)
Non se ne avranno a male i due beta "normali" se dedico un capoverso speciale a Juiceissweet che mi ha fatto non solo da beta, ma anche da consulente di cultura russa, riempendomi di consigli e osservazioni e rispondendo a mie estenuanti domande sugli argomenti più disparati. Grazie a lei sento di aver tratteggiato un Vanja più vero, profondo e tridimensionale.
*Ringraziamenti per la copertina*
Siccome ho eliminato il capitolo di presentazione (lo metterò nella storia "Extra" che pubblicherò a breve), ripeto di seguito i ringraziamenti che avevo scritto lì! :-)
La copertina è stata fatta da due ragazze del gruppo Telegram (a proposito, volete iscrivervi? passatemi il vostro nick!): gigiandolando e shadyxgirl
Hanno partecipato attivamente alla realizzazione della copertina, con consigli, suggerimenti, indicazioni stilistiche e vere e proprie prove di copertina anche: shadyevans, lagrangerweasley, Laurapia30, Stefan_Bri, Hope_dreams_sky, Mara99905 e andreafailla94.
Ringrazio le stesse persone anche per i suggerimenti che mi hanno dato per migliorare la sinossi.
Infine, un ringraziamento speciale e delle scuse a VekaAxel, a cui avevo chiesto inizialmente la copertina e che mi aveva anche mandato delle bellissime prove, ma la versione finale che è stata realizzata - lo ammetto inaspettatamente per me - con la collaborazione del gruppo Telegram era talmente bella e azzeccata nel sottolineare il doppio significato (musicale e tennistico) che non ho potuto non scegliere questa.
A domani!
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