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33.Nient'altro che la verità

Sua madre stava piangendo stretta tra le sue braccia. Erano lacrime di gioia, di soddisfazione per l'obiettivo raggiunto dal figlio. Si allontanò di qualche centimetro per guardarlo negli occhi, era di poco più alto di lei.

"Sono così fiera d-di te...f-finalmente tutti i sacrifici sono stati ripagati", singhiozzò lasciandogli una carezza sul viso. Non appena la famiglia aveva ricevuto la notizia, si erano tutti precipitati a casa Murray per congratularsi con Daniel, che a Giugno sarebbe diventato il nuovo attaccante del Tottenham. L'incontro con David Pleat aveva messo in chiaro alcuni punti salienti del contratto che sarebbe andato a firmare nei mesi successivi, era ancora presto ma l'interesse della sua squadra del cuore per lui era evidente. A detta di David e Scott, il Tottenham non era l'unica squadra di Premier League ad aver puntato gli occhi sul giovane giocatore del Millwall, ma era ovvio che Daniel avrebbe scelto la sua squadra preferita.


Sentì che qualcuno stava tirando il suo braccio verso il basso, e quando abbassò lo sguardo vide Emma e suo cugino John intenti a fissarlo.

"Che succede, piccoletti?", chiese loro senza riuscire a togliersi il sorriso dalle labbra. Entrambi i bambini continuarono a guardarlo con i loro enormi occhi azzurri, ereditati dal nonno Albert.

Gli porsero simultaneamente due bloc-notes, poi il maschietto tirò fuori dalla tasca dei jeans una penna blu. Daniel aggrottò la fronte, perplesso.

"Cosa dovrei farci?", domandò ancora. Emma, con la sua solita aria da so-tutto-io, roteò gli occhi.

"Devi farci un autografo, adesso che sei famoso", spiegò come se fosse la cosa più scontata del mondo. Si fece pensierosa per un istante, poi spalancò la bocca. "Anzi, tre autografi: uno per me, uno per Lizzie e uno per il mio fidanzato Henry", aggiunse, poi si sporse verso di lui e mise una mano davanti alla bocca per evitare che gli altri lo sentissero. "A loro lo vendo per quattro sterline, ma non dirlo alla mamma", mormorò. Daniel non poté evitare di scoppiare a ridere, sua sorella era diventata una grande approfittatrice, ma non l'avrebbe assecondata.

"Ve lo farò solo quando segnerò il primo gol con la maglia del Tottenham, ma tu non potrai venderlo, piccola volpe", ammonì con uno sguardo la sorella. Albert comparve alle spalle dei due bambini, osservando curioso i due bloc-notes che i bambini protendevano ancora verso il diciottenne.

"Che succede qui?", chiese. Daniel sollevò lo sguardo su di lui, scrollando le spalle.

"Vogliono un mio autografo", sminuì, senza accennare all'attività illegale che sua sorella aveva in mente di attuare.

"Ti rendi conto che a Settembre sarà pure sulle figurine dell'album dei calciatori?!", esclamò entusiasta John, saltellando sul posto e attaccandosi alla mano del cugino.

"Giusto, non ci avevo pensato", constatò. Non gli interessava molto la fama, anzi, era forse uno degli aspetti del suo futuro ingaggio che lo preoccupava di meno. Ciò che gli importava era giocare, farsi conoscere grazie alla sua bravura, essere ammirato non per il taglio di capelli innovativo, ma per la passione che impiegava in campo.

"Felipe dov'è?", domandò suo nonno, distraendolo dai pensieri che gli affollavano la mente.

Daniel scosse la testa un po' dispiaciuto. "Dovrebbe essere rientrato da lavoro ma non risponde al telefono, infatti più tardi penso di andare direttamente a casa sua per dargli la notizia", spiegò. Incontrò lo sguardo di Ryan, seduto sul divano dall'altra parte della sala. Stava parlando con Abigail, Taylor e sua cugina Ketty che aveva la loro stessa età. Gli sorrise e il ragazzo dai capelli rossi ricambiò immediatamente. Anche i suoi migliori amici non aveva perso tempo a correre da lui non appena Daniel aveva inviato un messaggio scritto in maiuscolo sul loro gruppo Whatsapp che faceva più o meno così:" PORCAPUTTANA A GIUGNO GIOCO NEL TOTTENHAM É IL GIORNO MIGLIORE DELLA MIA ESISTENZA AJJGKWL".

L'unica persona che mancava all'appello era il suo ragazzo.

"Vai adesso da lui ed invitalo a cena qui, no? Ho sentito che tua madre sta ordinando la pizza per tutti, rimaniamo a mangiare assieme", propose l'anziano signore, appoggiando la mano sulla spalla del nipote. Daniel annuì, pensando che fosse una buona idea e decidendo di approfittare dell'occasione per tirare fuori il suo motorino dal garage. Ormai lo usava pochissimo, poi a breve si sarebbe iscritto al corso per prendere la patente e con lo stipendio che prospettava di ricevere si sarebbe potuto comprare una bella automobile, anche se effettivamente lui di motori ci capiva ben poco.

S'infilò il giacchetto preso dall'appendiabiti e richiamò l'attenzione dei numerosi presenti sventolando più volte le braccia davanti a sé.

"Vado a prendere Felipe, torno subito", disse semplicemente, ricevendo alcuni ammonimenti del tipo guida piano, stai attento alle buche, e robe analoghe.

Qualche secondo dopo era fuori casa, rovistando nella tasca della giacca alla ricerca delle chiavi del motorino, che ovviamente non trovò, quindi fu costretto a tornare a casa e sorbirsi le solite battute di suo zio, che gli urlò appena lo vide "wow, sei stato veloce! C'era traffico?". Daniel forzò una risata e prelevò le chiavi del mezzo dal mobile d'ingresso, poi uscì di nuovo.

Era come se qualche forza superiore gli stesse consigliando di rimanere a casa, ma ovviamente Daniel non la percepì, troppo smanioso di vedere la reazione di Felipe davanti alla sua rivelazione.

Dunque, salì sul motorino e mise in moto solo dopo essersi allacciato il casco, poi partì alla volta di casa Palmer, poco distante dalla sua. Vagò per le vie della città per almeno un quarto d'ora, rallentato dal traffico che affliggeva le strade la mattina, quando tutti andavano a scuola e a lavoro, e la sera, quando gli impiegati tornavano a casa e altri uscivano per fare baldoria.

Parcheggiò il motorino davanti al cancello dell'abitazione del suo ragazzo e prima di suonare il campanello si accertò che l'automobile di Felipe fosse parcheggiata vicino a quella che Carl utilizzava per recarsi a lavoro, poi pigiò il pollice sul bottoncino vicino alla porta, e attese che qualcuno andasse ad aprire. Sorrise a trentadue denti quando si ritrovò davanti proprio il suo ragazzo, che però non condivideva la sua stessa espressione contenta. Ci aveva messo un po'ad aprire, forse aveva controllato chi fosse dallo spioncino.


"Ciao! Posso entrare? Devo raccontarti una cosa e non sto più nella pelle", esordì dopo avergli scoccato un bacio veloce sulle labbra carnose. Il brasiliano sembrò titubante, infatti ondeggiò con le gambe verso destra, come se volesse coprire con il busto la stanza dietro di sé. Daniel non comprese il suo comportamento un po' distaccato.

"Oh-ehm, è meglio che anche io ti racconti una cosa", disse monocorde. Non aveva una bella cera. Esitò ancora un istante, poi si fece da parte per lasciarlo entrare. Dall'ingresso Daniel riuscì a scorgere quattro persone accomodate sul divano del soggiorno. Una era Line, affiancata da tre ragazzi dalla pelle ambrata, capelli scuri e lineamenti armoniosi. Uno di loro era un ragazzo, le altre due erano due femmine molto simili tra di loro. Chi erano quelle persone?

Felipe si schiarì la voce e appoggiò una mano sulla spalla del suo ragazzo, invitandolo a procedere dentro la stanza. Daniel aveva un brutto presentimento.

 Si ritrovarono davanti al divano, alla loro destra c'era Carl accomodato sulla sua solita poltrona, un po' teso. Anche Line sembrava agitata, glielo suggerì il sorriso che gli rivolse. I tre ragazzi, invece, esibirono un sorriso sincero. Il maschio si alzò in piedi e gli porse la mano. Daniel la strinse per educazione, senza capire chi fosse; lo guardò meglio, aveva dei tratti che gli ricordavano qualcuno. Occhi verdi, quegli occhi. Gli ricordava Felipe.

Poi il suo ragazzo parlò. "Dan, lui è mio fratello, Tiago", disse, alternando lo sguardo tra i due.

"Ele é Daniel, o meu namorado", disse in portoghese rivolgendosi al fratello.

Daniel rimase immobile, attonito. Com'era possibile che così all'improvviso, dopo anni ed anni, fosse spuntato dal nulla? Possibile che Felipe fosse stato all'oscuro di tutto fino a quel momento? Gli risultava difficile interpretare l'intera vicenda.

"Non capisco, davvero".

Felipe abbassò lo sguardo, Tiago tornò a sedersi. Nella stanza calò un silenzio imbarazzato.

"Già, hai ragione, forse è meglio che ti spiego tutto", affermò il diciannovenne. Abbassò la mano dalla spalla del diciottenne e lo invitò a seguirlo. "Andiamo fuori", disse soltanto, aprendo la porta e lasciando che Daniel uscisse prima di lui, poi lo raggiunse sui gradini del porticato, sedendoglisi vicino.

"Ho l'impressione che non sia una cosa improvvisa, vero?", insinuò Daniel, il tono della voce era piatto. Voleva solo capire bene cosa fosse successo, perché fosse rimasto all'oscuro di tutto fino a quel momento.

Felipe scosse la testa ed appoggiò i gomiti sulle ginocchia, curvando il collo per guardarlo negli occhi.

"Ci siamo messi in contatto più o meno un mese fa, mi ha inviato lui una mail", rispose. Daniel sentì un nodo stringergli la gola, non voleva chiedere più nulla, adesso. Se da una parte era felice perché il suo ragazzo aveva ritrovato il fratello dopo anni di sofferenza, dall'altra non voleva conoscere il motivo per il quale l'avesse tenuto all'oscuro da tutto.

"Quando eravamo a Parigi?", chiese. Durante quei giorni gli era sembrato normale, niente di particolare da ravvisare nei suoi comportamenti. Com'era possibile che non si fosse accorto di nulla? Ogni tanto aveva notato che fosse un po' assente con lo sguardo, immerso nei suoi pensieri, ma come avrebbe potuto sospettare una cosa tanto improbabile? Felipe stesso gli aveva raccontato che non vedeva suo fratello da quasi quindici anni, non avrebbe mai potuto sospettare che i due si fossero messi in comunicazione di nuovo.

Il brasiliano annuì. "La sera in cui tu sei andato allo stadio, io stavo sul letto a cazzeggiare col telefono e mi sono ritrovato una sua mail", spiegò. Aveva bisogno di una sigaretta, sentiva il nervosismo salire, ma sfortunatamente il pacchetto appena acquistatosi trovava sul comodino della sua camera. Ne aveva fumata una assieme a Tiago appena mezz'ora prima, giusto per fargli compagnia.

Daniel si accigliò. "Quella sera abbiamo fatto l'amore...non mi eri sembrato strano", disse più a se stesso che a Felipe. Stava cercando di ricordare se avesse notato comportamenti strani nel suo ragazzo, ma nulla da fare. All'improvviso, si voltò verso di lui. Gli occhi azzurri che avevano versato tante lacrime di gioia precedentemente erano ancora un po' arrossati, ma adesso l'ingaggio del Tottenham era lontano un miglio dalla situazione che si era andata a creare. 

"Perché non me l'hai detto?", chiese, e quella era la domanda che Felipe aveva tanto temuto, quella alla quale non aveva ancora trovato una risposta. Si prese la testa tra le mani.

"Non lo so, non lo so davvero", rispose. Nella sua voce c'era la disperazione per aver creato tutto quel casino senza un motivo apparente. "Mi dispiace così tanto averti tenuto all'oscuro di tutto, all'inizio l'ho fatto perché non ero sicuro che sarebbe accaduto, che ci saremmo visti, quindi non l'ho detto nemmeno ai miei... poi-poi però", sospirò, strofinandosi gli occhi con le dita. Era stanco.


"Non ti fidi di me", esalò il diciottenne. Non era una domanda, era un'affermazione. Felipe drizzò la schiena e si alzò in piedi per guardarlo meglio negli occhi.

"No! Non è vero, io mi fido di te, ti amo", si affrettò a ribattere, come se quelle parole lo avessero profondamente offeso. Daniel abbassò lo sguardo sulla punta delle sue scarpe da ginnastica e lo lasciò lì per qualche secondo, poi tornò a guardarlo.


"Lipe, io non riesco a capire", deglutì, "sono felice per te, so cosa significhi per te aver rincontrato tuo fratello, ma allo stesso tempo mi sento...non tradito, ma è come se per tutto questo tempo mi avessi mentito in un modo o nell'altro. Offeso, ecco, mi sento offeso, perché se ti fidassi di me come hai detto anche adesso, me l'avresti detto". Sentì gli occhi farsi lucidi, ma non voleva piangere. Non voleva fare la figura del ragazzino, ma la delusione era tanta.

Felipe rimase in silenzio per qualche minuto, poi tornò a sedersi al fianco del suo ragazzo.

"Hai ragione, e non lo dico per sperare che tu mi perdoni per la cazzata, ma lo penso davvero. Più passavano i giorni, più il segreto mi metteva ansia...come avrei dovuto dirtelo? Non volevo ammettere di averti detto una bugia, ma era inevitabile che lo fosse. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo momento e tutto quello che posso dire è che sono stato un cretino", abbassò un po' il tono della voce, non voleva che tutti il vicinato li sentisse discutere.

"Sai quanto significa per me aver rivisto mio fratello, e all'inizio non riuscivo a crederci, ecco perché non te l'ho detto. Volevo tenere questa notizia ancora un po' per me, almeno finché non sarei stato certo che l'incontro con Tiago sarebbe avvenuto, poi ho continuato a rimanere in silenzio perché altrimenti avrei dovuto spiegarti che ti avevo già mentito...in pratica, non ho fatto altro che rimandare il momento di parlarti finché-".

"Finché non me lo sono ritrovato seduto sul divano di casa tua", completò la frase il più giovane. Il suo cuore stava per spezzarsi in due metà esattamente uguali. "Pensavo che ti fosse chiaro il concetto di relazione, io ti amo, hai il mio cuore nelle tue mani, ma non ti sei fidato abbastanza e questa cosa m-mi ha distrutto", la sua voce vacillò appena, e non poté evitare che due lacrime scendessero dai suoi occhi, ma le asciugò in fretta. Non era il momento di piangere, non voleva farsi vedere debole.

Felipe non aveva mai visto il suo ragazzo piangere, e sapere che lo stesse facendo per colpa sua gli provocò una stretta allo stomaco. Si sentiva una merda, e aveva voglia di piangere anche lui. Poi il diciottenne si alzò, rivolgendogli uno sguardo di sfuggita.

"Adesso devo tornare a casa, ne parliamo domani...ora sento che non potrei fare altro che piangere", ammise. Prese il casco appoggiato sugli scalini e se lo allacciò sotto il mento. Anche Felipe si alzò e gli sfiorò il braccio coperto dalla giacca. Daniel non si ritrasse.

"Aspetta, possiamo chiarire ora? Non ce la faccio a vederti così", insisté il diciannovenne.

Daniel scosse il capo. "P-per favore, fammi andare a casa". Si scrollò la sua mano di dosso.

"Ti accompagno", dichiarò.

"No,meglio di no...ci vediamo domani". Poi gli voltò le spalle. Solo quando salì sul motorino, Felipe si ricordò che si fosse recato lì per dirgli qualcosa. Mosse un paio di passi verso di lui.

"Ehy, aspetta! Che mi dovevi dire?", domandò ad alta voce, ma non ricevette alcuna risposta. Daniel era sfrecciato via, e la risposta alla sua domanda l'avrebbe potuta leggere il mattino dopo sul quotidiano locale che suo padre comprava ogni giorno, ma non lo fece.


La prima cosa che Ryan fece dopo essere tornato a casa fu sfilarsi le sneakers e lanciarle in un punto indefinito della sua camera. La seconda cosa che fece fu aprire il fodero della sua chitarra e cercare lo spartito sopra il quale Eric aveva scritto il titolo della canzone che, lo sapeva, sarebbe diventata la sua preferita solo perché il venticinquenne l'aveva cantata guardandolo intensamente negli occhi, anche se con tutte le probabilità era stata solo un'impressione, che quel giorno il suo insegnante di chitarra fosse stato più distratto e strano del solito.

"Ha-ha,eccoti!", esclamò vittorioso, sollevando in aria il foglio manco fosse la Coppa dei Mondiali.

Accese il suo computer portatile che possedeva da ere preistoriche e la cui lentezza non l'aveva mai infastidito tanto come in quel momento. Quando finalmente il dispositivo iniziò a dare segni di vita, aprì la pagina Google di Youtube e digitò il titolo della canzone. Il primo risultato che gli capitò sotto l'occhio era una canzone che contava milioni di visualizzazioni. Cliccò sull'anteprima e lasciò che il video si caricasse, poi alzò un po' il volume del computer ed ascoltò la canzone.

Eric l'aveva suonata con la chitarra, mentre la versione originale vedeva principalmente l'utilizzo dei violini, ma in entrambe le maniere era fantastica. Ryan non capì una parola, ma la canzone gli fece venire i brividi. Mentre l'ascoltava ripensava a pochi minuti prima, quando il venticinquenne gliel'aveva praticamente dedicata, guardandolo intensamente. O forse era stata una sua impressione?

Vagò nei commenti alla ricerca di qualche anima pia che avesse tradotto il testo della canzone. Non aveva intenzione di tradurla con Google, in quanto riteneva che il metodo non fosse infallibile, ma dopo qualche minuto di ricerca la trovò.

Un utente inglese aveva commentato in modo positivo la canzone, richiedendo, se possibile, una traduzione del testo. Sotto il suo commento trovò la risposta al suo desiderio, e ringraziò mentalmente un certo signore italiano di nome Fabio che aveva tradotto lui stesso la canzone.

Cinque minuti dopo, stava piangendo a dirotto con la testa appoggiata sul braccio e i singhiozzi che smuovevano il suo corpo. Era la canzone più bella che avesse mai avuto il piacere di ascoltare, e sapere  che Eric l'avesse cantata guardandolo negli occhi gli fece venire i brividi. Il testo era pura poesia, era la dichiarazione più bella che qualcuno potesse fare: dichiarare di stare vicino ad una persona qualunque cosa accadesse, di proteggerla da ogni male, cose che nessuno aveva mai detto a Ryan.

Passò il resto del pomeriggio e gran parte della sera ad ascoltare quella canzone, poi, come illuminato da ispirazione divina, tirò fuori il suo violino. Aveva così tanta dimestichezza con lo strumento che per carpire le note da suonare gli bastava ascoltare attentamente la base della canzone, e fu ciò che fece per tutta la notte, cercando di fare il meno rumore possibile per non svegliare Graham e sua madre che, tuttavia, rimasero ore ed ore svegli ad ascoltare il diciassettenne suonare senza sosta, consci del fatto che qualcosa stesse bollendo in pentola.

Ryan non aveva tirato fuori il suo violino dalla fodera per mesi e adesso sentiva il bisogno di farlo, di dare una risposta ad Eric, di confessargli i suoi sentimenti tramite una canzone, perché a voce non ce l'avrebbe mai fatta. Il pezzo doveva essere pronto per la lezione successiva, aveva due giorni di tempo per rendere la sua dichiarazione la più bella di tutti i tempi e non vedeva l'ora di togliersi quel peso dallo stomaco, era troppo tempo che se lo teneva dentro, ma quella canzone riuscì a sciogliere il nodo che lo teneva legato alla paura di fallire. Gli occhi grigi di Eric non gli avevano mentito, quel pomeriggio.

Ti salverò da ogni malinconia.

Perché sei un essere speciale, ed io

avrò cura di te.


Ciao a tutti!

Manca sempre meno e sento l'ansia crescere perché la mia prima storia pubblicata su questo sito sta per volgere al termine. Questi capitoli però sono molto importanti per l'esito finale della storia. Cosa succederà tra Daniel e Felipe? E tra Eric e Ryan? Il prossimo capitolo sarà abbastanza esplosivo, ve lo dico, e spero che sarà di vostro gradimento. Ho adorato scriverlo, ahaha...

Adesso corro a studiare, vi ringrazio come al solito per l'attenzione,

Lavy.

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