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27.Devi dirglielo

Eric guidava in silenzio, concentrato sulla strada scarsamente illuminata davanti a sé. Sotto al giacchetto indossava la maglietta del pigiama, ma questo Ryan non poteva saperlo.

Il diciassettenne era seduto in modo composto sul sedile al suo fianco, con la cintura allacciata e gli occhi un po' stanchi. Ancora non aveva parlato da quando era salito sulla vettura, e il venticinquenne aveva un po' di timore a chiedergli cosa fosse successo. D'altro canto, il ragazzo dai capelli rossi non sembrava voler necessariamente parlare, ma la curiosità di Eric era tanta.

"Ti va di dirmi cosa ti è successo?", gli chiese gentilmente. Abbassò un po' il volume dello stereo tramite il regolatore vicino al volante.

Ryan trattenne il respiro. Non che non si aspettasse delle domande, comunque, ma raccontare di lui che aveva baciato un ragazzo non era una cosa che lo entusiasmava al massimo, considerando poi il fatto che Eric gli piacesse parecchio.

Si schiarì la gola, prendendosi un po' di tempo per pensare, come se cinque secondi potessero evitare di farlo parlare. Forse non avrebbe dovuto chiamarlo, dannazione. Avrebbe fatto meglio a mettersi nei guai chiedendo aiuto a sua madre. Ormai però non poteva tornare indietro, lo sapeva benissimo.

"Ehm-l'altro giorno ho conosciuto uno in clinica, cioè, lui ha iniziato a parlarmi contro la mia volontà, e nonostante non mi avesse fatto una buona impressione siamo andati a prendere qualcosa assieme al bar". "Il mio problema è che non so dire di no, quindi anche quando mi ha chiesto di uscire questo pomeriggio, ho accettato l'invito".

Eric ascoltò attentamente le parole del più piccolo mentre una stretta allo stomaco gli impediva di parlare. Non fu necessario che aprisse bocca, perché Ryan riprese a parlare con un po' di esitazione. Non riusciva a vederlo nella penombra dell'abitacolo, ma avrebbe potuto scommettere che fosse arrossito. Aveva imparato a conoscerlo, sapeva perfettamente che il tremolio della sua voce fosse dovuto all'imbarazzo.

"P-poi stasera, pochi minuti fa, mi ha baciato", esalò.

Eric percepì il bruciore nel suo stomaco intensificarsi. "Non ti è piaciuto?", chiese. Lo sperò.

Ryan scosse la testa. "No, p-per niente, anche perché poi...mi-mi ha toccato, e lì io non ci ho visto più e me ne sono andato", rispose, la voce colma di dispiacere."Mi ha fatto sentire sporco, io non volevo nemmeno baciarlo ma mi sono costretto a provarci, perché, che ne so, magari poi mi sarebbe piaciuto, ma ovviamente non è successo".

Eric strinse il volante ed abbandonò la schiena contro il sedile. "Certe volte per capire i nostri sbagli dobbiamo sbatterci addosso", commentò. Ryan lo sapeva bene, già l'aveva provato una volta, quando era finito in ospedale.

"Comunque, non devi sentirti in difetto, è lui ad aver sbagliato e non puoi rimproverarti solo per avergli dato una possibilità", si sforzò di rassicurarlo, sebbene il peso che aveva sul petto gli suggerisse di urlare, invertire il senso di marcia e correre a dare un pugno a chiunque avesse osato toccare Ryan senza il suo consenso. Non si sarebbe mai permesso di farlo perché dall'alto dei suoi venticinque anni aveva capito cosa fosse indispensabile evitare, ma gli piaceva viaggiare con la mente ed immaginare situazioni come quella.

"Ad ogni modo, un giorno troverai qualcuno il cui amore ricompenserà tutti gli sbagli compiuti fino a quel momento", aggiunse.

Ryan deglutì a vuoto, sentendosi un po' a disagio per l'atmosfera intima creatasi. Non gli piaceva toccare l'argomento amore.

"E se...se quel qualcuno non ricambiasse i miei sentimenti?", osò chiedere. Eric si voltò verso di lui, serio in volto. I suoi occhi grigi erano luminosi anche al buio, il diciassettenne riuscì a vedere il loro bagliore senza troppe difficoltà. Gli faceva male il cuore.

"Ne sei certo?", domandò a sua volta il maggiore, tornando a prestare attenzione alla strada. Non sentiva più la musica, udiva solo la voce di Ryan parlare con un po' di esitazione.

"N-no, non gliel'ho mai detto, però...". Lasciò la frase in sospeso, pentendosi immediatamente di aver intrapreso quel discorso. Sperò solo che Eric non capisse che stesse parlando di lui.

"Allora non dare nulla per scontato, non puoi sapere ciò che provano le altre persone", disse, "diglielo, poi agisci di conseguenza, ma non fare l'errore di rimanere in silenzio".

Sì, certo, come no. Mi piaci, sì, proprio tu. Haha. Divertente.

"Detto così sembra facile", commentò con amarezza il giovane. Guardò con la coda dell'occhio il profilo di Eric, i lineamenti delicati, le labbra socchiuse e il naso all'insù. Non sembrava avesse venticinque anni, senza barba.

"So che è difficile, ma penso che sia meglio togliersi il peso, piuttosto che vivere tenendosi tutto dentro, mh?",decretò. Quell'affermazione pose fine alla conversazione, anche perché Ryan non sapeva più dove arrampicarsi. Temeva di parlare troppo, di lasciarsi sfuggire qualche particolare.

Non sapeva se un giorno ci sarebbe riuscito ma, nella sua immaginazione, si figurò a baciare Eric sulle labbra, non come aveva fatto Nolan poco prima con lui, ma con dolcezza, passione, amore. Chissà se gliel'avrebbe mai detto.


"E poi l'ha passata a Kane, che ha tirato in porta e bam...goal!". Daniel batté il palmo della mano sull'altra chiusa a pugno, come a simulare l'impatto del pallone con la rete avversaria. Era la ventesima volta che riassumeva la partita, aggiungendo ogni volta particolari diversi del tipo, il suo scarpino ha eseguito una virata di novanta gradi, oppure, ha contratto i muscoli della coscia in questo modo.

Felipe adorava ascoltarlo parlare con quella luce di soddisfazione ad illuminargli il volto, ma quella sera era davvero esausto. La telefonata con Tiago lo aveva sconvolto, fisicamente e psicologicamente. Affondò la testa nel cuscino e socchiuse gli occhi.

"Parlo troppo?", chiese il diciottenne, sfiorandogli il petto con i polpastrelli. Felipe aprì un solo occhio ed annuì, sorridendo appena.

"Hai detto circa mille parole al minuto, penso sia un record", affermò. Daniel finse di offendersi.

"Almeno compenso te, oggi sei particolarmente silenzioso", gli fece notare. Si abbassò, lasciandogli un bacio sulla spalla. Si mosse sotto le coperte, provocando un piacevole attrito tra le sue gambe e quelle del suo ragazzo, che annuì mugolando.

Il giovane calciatore gli puntò l'indice contro il petto.

"Dì la verità: hai portato mia nonna in discoteca", lo prese in giro, cercando di strappargli una risata. Ci riuscì.

"Avresti dovuto esserci, ballava sul cubo in una maniera impressionante", gli diede corda il brasiliano. Daniel scoppiò a ridere, poi si bloccò e storse la bocca.

"Non avresti dovuto farmi immaginare mia nonna su un cubo, stronzo", lo rimbeccò dandogli uno schiaffetto sul collo.

"Povera Lillian", commentò Felipe. Si strofinò il dorso della mano sugli occhi chiusi.

Daniel si soffermò a guardarlo, sempre più innamorato del suo ragazzo, della sua bellezza, dei suoi sorrisi e del modo in cui lo guardava, con quegli occhi verdi brillanti. Gli sfiorò il volto con una mano.

"Ho capito, dormiamo", decretò dopo l'ennesimo sbadiglio da parte del maggiore. Allungò il busto per arrivare a spegnere la luce, poi si stese vicino al suo ragazzo, appoggiando la fronte sulla sua schiena ed incastrando le gambe dietro alle sue ginocchia. Felipe gli strinse la mano nella sua, ma quella notte non riuscì a dormire.

Troppe emozioni, troppa voglia di vedere suo fratello. Pochi sensi di colpa per non averlo ancora detto a Daniel.


Ryan si trascinò esausto fino alla sedia vicino alla quale aveva già preso posto Abigail, e buttò lo zaino a terra con poca grazia. Aveva passato l'intera notte a studiare per il test di matematica, che aveva eccellentemente svolto nell'ora precedente. Gran parte delle ore notturne le aveva passate, però, a pensare.

La sua mente aveva vagato per un tempo interminabile nei pensieri, aveva rivissuto scene della giornata che l'avevano turbato maggiormente ,ovvero il bacio, il suo primo bacio, dato a Nolan, e le parole che gli aveva rivolto Eric.

Per molti suoi coetanei, baciare era solo il primo passo verso qualcosa di più. Tra gli adolescenti c'era quella sorta di ansia, di trepidazione nel fare esperienze, nel bruciare talvolta prematuramente le tappe, nel crescere. Chi non aveva mai baciato qualcuno a quasi diciotto anni veniva considerato anormale, e Ryan avrebbe preferito essere etichettato come strano, piuttosto che provare rimorso per aver baciato per la prima volta una persona che non lo interessava minimamente, ma che lui si era cercato di far piacere, per quale motivo, poi?

Ancora non gli era molto chiaro.

Incrociò le braccia sul banco e vi appoggiò la fronte. Abigail smise di scarabocchiare l'angolo di una pagina del libro di inglese, e si voltò a guardarlo. Lo punzecchiò con il retro della penna sulla spalla, sul collo e sulla schiena, finché il ragazzo non emerse contorcendosi e buttando all'indietro la nuca, per allontanare dagli occhi i capelli rossi decisamente cresciuti.

"Hai finito? Sei fastidiosa come una zanzara", la rimbeccò, accennando un sorriso che Abigail ricambiò.

"E tu sembri un zombie, le tue occhiaie toccano terra", ribatté prontamente la ragazza, puntandogli la penna contro i petto. Ryan le afferrò delicatamente il polso e le abbassò la mano.

"Non ho dormito, ho passato tutta la notte a studiare", le spiegò. Si alzò in piedi non appena vide la professoressa entrare nell'aula, e le sorrise anche se quella non lo degnò di uno sguardo. Tornò a sedersi in modo composto, stavolta, per non fare una brutta impressione sulla sua insegnante.

Abigail gli rivolse uno sguardo indagatore. "Tu studi sempre il pomeriggio, non ti riduci mai all'ultimo, non me la racconti giusta", lo accusò. Sfogliò senza molta attenzione le pagine del libro di letteratura, giusto per fingersi attenta alla lezione.

"Erano molti argomenti da ripassare", si giustificò a bassa voce Ryan, cercando di concentrarsi sulla lezione. Scrisse una frase appena pronunciata dalla professoressa sul bordo intonso del libro.

"Si, come no, non ci credo".

Ryan sbuffò di nuovo, imponendosi di fissare la sua professoressa di inglese, sebbene percepisse lo sguardo perforante di Abigail attraversarlo da parte a parte. Resistette per esattamente per trentasette secondi.

"Okay, d'accordo, hai vinto tu", si arrese. Doveva dirglielo, era coscio che solo così sarebbe riuscito a farla smettere di riempirlo di domande e supposizioni. "Te lo dico, però non urlare, ti conosco...non devi urlare, intesi?", parlò come ci si rivolge ad un bambino piccolo e dispettoso, con un tono pacato, scandendo bene le parole. Abby sorrise trionfante ed annuì con vigore; i suoi capelli castani svolazzarono di qua e di là.

Ryansi morse l'interno della guancia, vagò con lo sguardo per la classe, poi si avvicinò all'amica incurvando la schiena. Le loro fronti quasi cozzarono in modo molto buffo, ma Abby evitò il crudo impatto bloccandosi appena in tempo.

"Ieri sera-beh, ti ricordi quel ragazzo che abbiamo incontrato in pizzeria?", attese che la ragazza annuisse per poi proseguire."Ecco, ieri sera lui...si, uhm, m-mi ha baciato", esalò.

Abigail spalancò la bocca, non potendo fare a meno di emettere un grido abbastanza forte, che fece sobbalzare tutti, professoressa inclusa.

"Che succede lì?", domandò severamente. L'intera classe si voltò a guardarli, Ryan era rosso in volto. Avrebbe dovuto aspettarselo da Abigail, nonostante i suoi moniti.

La diciassettenne boccheggiò, ancora incredula, poi puntò l'indice tremante contro una parte indefinita del banco.

"C-c'è un r-ragno", balbettò, rivolgendosi poi al compagno, "mi scusi", proseguì, fingendo di schiacciarlo con un fazzoletto. Se non altro aveva avuto la prontezza di inventare una scusa plausibile.

La professoressa le rivolse un'ultima occhiata fulminante, borbottando qualcosa contro i giovani ed il loro pessimo rapporto con il regno animale e vegetale, poi continuò la sua noiosa lezione.

Passarono tre minuti prima che la situazione tornasse alla normalità. Piano piano, tutti i loro compagni appoggiarono la testa contro la mano, annoiati. Solo allora Abigail tornò a guardare il suo migliore amico.

"Non ci posso credere", disse emozionata. "Sapevo che eri gay...lo sa-pe-vo!", canticchiò a bassa voce, eseguendo anche uno strano e contenuto balletto con le spalle.

"Taylor dice che te e Daniel stareste bene assieme, lo dice da, diamine, un'eternità...secondo me però non sareste una bella coppia, siete così diversi", sproloquiò, appoggiando il mento sulla mano, lo sguardo perso oltre le spalle del suo migliore amico. Scosse la testa e tornò a guardarlo.

"No, a te servirebbe un ragazzo più tranquillo di Daniel, magari...magari un musicista, ", si bloccò per un momento. Ryan aveva iniziato ad arrossire, la sua mente era corsa involontariamente ad Eric e al discorso che gli aveva fatto la sera prima. Non avrebbe mai avuto il coraggio di confessargli la sua cotta, mai nella vita.

Si morse il labbro."Ma è così evidente che sono gay?", domandò, ora assalito da un dubbio atroce. In effetti, Nolan lo aveva approcciato con una sicurezza propria di solo chi è sicuro dell'orientamento sessuale della persona interessata.

Abigail gli rivolse un'occhiata affettuosa. "Un pochiiino",ammise. Mimò il "pochino" unendo il pollice e l'indice.

Ryan spalancò gli occhi, sorpreso. "In che senso?".

La ragazza sospirò, guardando distrattamente la professoressa, poi tornò a prestare la sua attenzione al vicino di banco.

"Non so come spiegarlo, ma secondo me ti piace qualcuno...hai sempre lo sguardo perso, non ascolti mai quello che diciamo, sei costantemente in un mondo tutto tuo", elencò.

"Questa si chiama sindrome da deficit d'attenzione", scherzò Ryan, ricevendo una gomitata dall'amica. Non voleva ammettere di avere una cotta stratosferica per il suo insegnante di chitarra.

"Comunque, mi stavi dicendo del biondino...", insisté Abby, glissando la battuta del ragazzo dai capelli arancioni, che non sembrava molto propenso ad aprirsi del tutto a lei. Era sempre stato così, Ryan, taciturno, pronto ad ascoltare gli altri, poco disponibile a farsi ascoltare.

"Sì, ecco...sono stato un tale cretino a baciarlo, lui nemmeno mi piace!", aveva alzato un po' il tono della voce, e Abigail glielo fece notare con un cenno.

"Forse baciarlo ti è servito a capire chi ti piace davvero, non è così?", chiese, stavolta rimanendo seria.

Ryan annuì lentamente, toccando col polpastrello la punta della matita e spingendo un po' per placare l'agitazione. Qual era il suo problema? Perché non riusciva a fidarsi nemmeno della sua migliore amica? Perché non poteva, almeno per una volta, liberarsi dalle sue preoccupazioni?

La mano della ragazza sfiorò la sua. "Allora non colpevolizzarti troppo, non serve a niente...sei speciale, Ry, cerca di pensare più a te stesso e meno agli altri, mh? Almeno per una volta puoi permettertelo". Sorrise gentilmente, poi tornò a guardare davanti a sé. La conversazione era momentaneamente finita, ma Ryan non si sentiva soddisfatto e l'ansia che lo accompagnava da mesi, ormai, era una presenza incombente su di lui.

Ancora una volta, aveva avuto l'ennesima prova che il principale problema del suo malessere fosse se stesso, che non riusciva ad aprirsi con le persone più fidate, non riusciva a raggiungere i suoi obiettivi, era troppo insicuro e timido, era una completa frana.


Ciao a tutti!

Il titolo del capitolo è molto eloquente e rispecchia perfettamente le diverse situazioni dei nostri personaggi. "Devi dirglielo" è ciò che Eric consiglia di fare a Ryan, ma è anche ciò che quest'ultimo si convince a fare on Abigail. Il suo problema è la fiducia, non riesce ad aprirsi completamente neanche con i suoi amici, e un po' lo capisco perché sotto questo punto di vista sono proprio come lui. "Devi dirglielo" è anche un monito a Felipe, che però non parla non per una mancanza di fiducia, ma per un fattore personale: vuole essere sicuro che ciò che sta accadendo abbia un seguito, prima di allarmare tutti i suoi amici/familiari.

Cosa ne pensate della situazione? Chi dovrebbe dire cosa a chi?

Ci leggiamo alla prossima,

Lavy.

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