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24.Anni di silenzi


Ryansi passò una mano tra i boccoli rossicci sovrappensiero, lo sguardo puntato su un'agendina sepolta in mezzo alle cianfrusaglie contenute nel cassetto della scrivania. Non la toccava da circa una settimana, da quando era finito in ospedale, e non aveva il coraggio di aprirla o anche solo di prenderla e buttarla nel cestino della spazzatura. Lì dentro c'erano tutte le annotazioni che aveva preso su diversi siti internet, c'erano consigli per perdere peso in maniere poco sane. Su quelle pagine a righe c'era il frutto di pochi ma intensi mesi di malessere, digiuni e restrizioni. Era enormemente sbagliato, Ryan ne era consapevole, tutti gliel'avevano ripetuto, eppure c'era ancora una parte di lui che lo riteneva necessario. Era d'obbligo tenere a mente le calorie di ogni pasto per evitare di sforare, e si sentiva male quando sapeva di stare ingerendo più cibo del dovuto, ma doveva costringersi a stringere i denti e mangiare.

Era strano, pensò, sapere di star facendo la cosa giusta, ma al contempo maledirsi perché un tempo lui stesso si sarebbe opposto con tutte le sue forze per non mangiare. Viveva in un continuo controsenso. Aprì con dita tremanti l'agenda, sfogliando le pagine occupate dalla sua scrittura ordinata ed elegante, da musicista. Lunedì, 300 calorie. Martedì, digiuno per 24 ore. Rabbrividì. Andando avanti, c'erano annotazioni simili a quelle precedenti, ancora consigli o link di video su YouTube, frasi motivazionali che Ryan neanche ricordava di aver mai scritto. Possibile che, in determinati momenti, avesse perso completamente il controllo di sé?

L'ultima annotazione risaliva al giorno in cui si era pesato per l'ultima volta, quando l'ago della bilancia si era fermato sui 61 chili.

Sempre più leggero ed insignificante, aveva scritto sotto al traguardo raggiunto. Se lo ricordava bene, quel momento: pochi minuti dopo era uscito di casa affaticato, ed era svenuto. Da lì in poi, era iniziato il suo processo di guarigione.

Lo stomaco gli si strinse in una morsa dolorosa e si affrettò a chiudere con uno scatto l'agenda, come se fosse quello il motivo del suo improvviso dolore.

Quei ricordi ancora così recenti e vividi nella sua mente rischiavano di farlo crollare nuovamente. Doveva eliminarli, crearne di nuovi che fossero più felici. Esitò un istante prima di aprire l'agendina, sfiorandone in dorso con le dita poi, con una determinazione innata, prese a strappare le pagine che simboleggiavano ogni sua singola caduta nel baratro, ogni metro sempre più in fondo. Ogni foglio accartocciato nel cestino significò un peso in meno sul suo petto e un passo in più verso una nuova consapevolezza di se stesso. Una volta terminato il lavoro, abbandonò le spalle sullo schienale della sedia e sospirò. Sollievo, che invase le sue vie respiratorie, propagandosi in tutto il corpo. Da quel momento in poi ,avrebbe riempito i fogli intonsi con bei ricordi, avrebbe scattato più fotografie ai momenti felici, ai suoi amici. Il grigiore della sua vita sarebbe diventato di un bel colore acceso, di un arancione brillante.

Ci sperava.



Taylor ed Abigail non stavano facendo altro che lamentarsi, lamentarsi e lamentarsi riguardo al loro perpetuo essere single, e Ryan onestamente non ne poteva più. Guardò annoiato il menù plastificato del locale in cui avevano deciso di cenare quel sabato sera. Probabilmente avrebbe optato per un'insalata di pollo, sebbene la nutrizionista gli avesse dato carta bianca per il weekend, non voleva esagerare e, a dirla tutta, temeva che il suo stomaco non sarebbe riuscito a sopportare uno degli enormi panini tipici di quel pub, ripieni di salse, carne grigliata e patatine fritte.

"Se volete vi presento un tipo che ho conosciuto l'altro giorno", la buttò lì, senza troppe pretese. Taylor guardò confusa la sua amica.

"Chi è? Quando l'hai conosciuto?", domandò la mora.

"Già!É carino?", aggiunse Taylor, muovendosi sul posto.

Il ragazzo respirò profondamente, sentendo già i suoi nervi cedere. Odiava quando le sue amiche diventavano così...giulive.

"Mi si è avvicinato mentre stavo in clinica, si chiama Nolan e boh, è carino, più o meno...sì, forse potrebbe piacere più ad Abby", rispose. Occhi azzurri, capelli biondi e corporatura slanciata, sì, era il classico tipo che Abigail adorava, dall'aspetto un po' scandinavo, con quella pelle chiara. Un po' come l'amico di Felipe, Tom, Thomas, qualcosa del genere. Ryan l'aveva visto solo una volta, ma non gli erano sfuggite le occhiatine della sua migliore amica.

Una cameriera si avvicinò con un vassoio colmo di bevande ed appoggiò due bottiglie d'acqua davanti a loro.

"E non potrebbe interessare a te?", insinuò Taylor, bevendo un sorso di birra dal suo boccale. Ryan si strinse nelle spalle, provando un improvviso imbarazzo. Non aveva mai avuto preferenze sessuali troppo marcate, non gli era mai interessato nessuno seriamente. Una delle cotte più recenti che si era preso era quella per Eric, ma non provava attrazione per Nolan, assolutamente.

"Non penso, non è il mio tipo", mormorò, guardandosi attorno nervoso. "Parla troppo ed è invadente, molto invadente", specificò. Abigail assottigliò gli occhi, sospettosa.

"Da quanto lo conosci?", gli chiese.

"L'ho conosciuto ieri, poi siamo andati in un bar e mi ha offerto un caffè, però non mi pia-", spiegò velocemente, ma venne interrotto da Taylor, che batté il palmo della mano sulla superficie liscia del tavolo, entusiasta.

"TI HA OFFERTO DA BERE!", esclamò ad alta voce. Un paio di clienti del locale seduti vicino a loro si voltarono e la guardarono male. Abigail le fece cenno di tranquillizzarsi sbarrando gli occhi. Non voleva mica che qualcuno li cacciasse da lì.

"Ryan ha trovato il fidanzatooo", fischiettò contenta. Ryan roteò gli occhi al cielo.

"Smettetela, non sono gay", le rimbeccò il ragazzo, puntandogli contro la forchetta pulita. "E neanche lui". Ovviamente, non era sicuro di nessuna delle due affermazioni, ma non poteva cedere così facilmente.

Abigail sollevò un sopracciglio. "Provare per cedere", decretò. Taylor annuì concorde.

"Non hai mai guardato Daniel e pensato 'ommiodio, lui sì che è un figo!' ?", domandò, puntando i gomiti sul tavolo ed avvicinandosi all'amico con fare minaccioso.

Ryan si affrettò a scuotere la testa. "Io e Daniel siamo tipo fratelli, non so, non ho mai provato attrazione per lui", affermò sinceramente, calcando un po' troppo la voce sulle ultime due parole. "É come se tu volessi baciare Abby, non sarebbe strano?", proseguì, cercando di portare le amiche su un'altra discussione.

Le due ragazze si guardarono negli occhi, poi annuirono.

"Allora se non per Daniel, hai mai trovato attrazione per qualcun altro?", ribatté Taylor, sorridendo genuinamente. Ryan rimase in silenzio per qualche istante di troppo, durante il quale percepì il proprio volto arrossarsi a dismisura.

"N-no,ma che dici...", disse a bassa voce, cercando di risultare convinto mentre il suo cervello urlava Eric a squarciagola.

Taylor ed Abigail notarono l'esitazione dell'amico, ma preferirono non indagare oltre, conoscendo bene il carattere di Ryan: se avessero continuato ad insistere, probabilmente si sarebbe innervosito a dismisura, chiudendosi definitivamente nella sua corazza che sfoderava ad ogni evenienza.

La serata proseguì tranquillamente tra risate e gossip riguardanti i loro compagni di scuola.

Ryan riuscì anche a finire il cibo nel suo piatto, cosa che non accadeva da mesi, e si sforzò di sentirsi fiero di se stesso. Sapeva che fosse giusto così, eppure c'era sempre quella vocina a tormentarlo, a pungere le sue corde emotive come se fosse uno spillo, a farlo sentire sbagliato, almeno in parte. Ricordò le parole dello psicologo, che gli aveva consigliato di ignorarla, di concentrarsi su ciò che lo circondava. Dunque, volse lo sguardo davanti a sé, oltre la spalla di Taylor, verso l'entrata del locale che si faceva sempre più affollato. Ormai rimanevano solo un paio di tavoli disponibili, i restanti erano occupati da giovani intenti a bere e a mangiare,parlando a gran voce. C'era un frastuono non indifferente, lì dentro, e l'aria era davvero calda. Fu proprio mentre il suo sguardo vagava tra i presenti del locale, che i suoi occhi ne incontrarono un paio conosciuti.

"Merda", sussurrò, afferrando il menù plastificato davanti a lui e nascondendoci il viso dietro.

Nolan, che sfiga nera, e che figuraccia, pensò, dato che quasi sicuramente l'aveva riconosciuto.

"Tutto bene? Chi hai visto?", gli chiese Abigail, che aveva interpretato bene l'improvvisa reazione dell'amico. Taylor si voltò, poi tornò con la schiena dritta.

"Probabilmente il tipo che ti sta guardando e che si è appena alzato dal tavolo per venire verso di noi", rispose parlando velocemente. Ryan sentì un principio d'ansia agitargli lo stomaco. Sbirciò dall'estremità del foglio. "Cooosa?", borbottò, ma ormai era troppo tardi per nascondersi, dato che Nolan era in piedi proprio davanti a lui, alle spalle di Abigail, e lo guardava sorridendo.

Indossava una camicia a quadri in flanella risvoltata sui gomiti e sbottonata fino al petto. S'intravedeva una scritta tatuata tra le clavicole, ma non riuscì a decifrarla. Il carattere era troppo piccolo e pieno di fronzoli.

"Oh, ciao! Anche tu qui?", domandò il ragazzo dai capelli rossi, fingendo indifferenza. Percepì la sua pelle diventare incandescente sotto al maglione, colpa dell'ansia, la stupida ansia che lo invadeva quando parlava con qualsiasi persona che non conosceva bene.

"Sì, sono appena arrivato con alcuni miei amici", spiegò, indicando un gruppetto di ragazzi in fondo alla stanza, seduti ad un tavolo vicino all'ingresso. Uno di loro aveva i capelli tinti di blu.

Nolan si presentò velocemente ad Abigail e a Taylor, che gli sorrisero gentilmente senza proferir parola, limitandosi a studiare la reazione di Ryan.

"Adesso è meglio che vada, altrimenti ordineranno senza di me", decretò, infilando le mani nelle tasche dei jeans strappati sulle ginocchia. Non sembrava a disagio, nonostante l'altro ragazzo non fosse di molte parole. "É stato un piacere conoscervi", si rivolse alle due ragazze. "Noi ci vediamo lunedì, giusto?".

"Si, certo", esalò timidamente Ryan, accennando un sorriso imbarazzato.

Nolan salutò ancora i tre ragazzi, poi girò i tacchi e tornò al suo tavolo con un'andatura dritta e composta. Ci furono svariati istanti di silenzio, durante i quali Ryan sentì gli occhi di Abigail e Taylor puntati addosso.

"Che c'è?", osò domandare, lievemente infastidito. Abbandonò nuovamente il menù sul tavolo. Non si era accorto di averlo stretto tra le dita per l'intera durata della breve conversazione.

"Sei proprio una frana, lasciatelo dire", commentò Taylor, portando dietro alle orecchie un paio di ciocche dei capelli castani.

Ryan non ribatté, limitandosi ad incenerire con lo sguardo sia lei, che Abigail, sapendo che, nonostante tutto, avessero perfettamente ragione.

Quella dannata timidezza, unita ad una buona dose di diffidenza, erano le cause principali delle sue scarse interazioni sociali.

Un'altro difetto, almeno secondo lui, che andava aggiunto all'infinita lista.




Daniel si svegliò nel cuore della notte con una strana sensazione a turbarlo. Sapeva di aver fatto un brutto sogno, ma non lo ricordava più, e quell'agitazione che ne era risultata lo costrinse a tirarsi a sedere per tranquillizzarsi un po'. L'aria nella stanza era calda, ma non avrebbe di certo aperto una finestra. Solo in quel momento si rese conto che il posto al suo fianco fosse vuoto. Sul cuscino non c'era neanche il segno della nuca del suo ragazzo, quindi si era alzato da un po' di tempo. Ricordava di essersi addormentato abbracciato al corpo di Felipe poche ore prima, dopo aver fatto l'amore. Era stato fantastico farlo dopo quattro giorni in cui non si erano nemmeno visti o sentiti per telefono.

Dal bagno non proveniva alcun rumore e la luce era spenta. Si alzò a malincuore dal materasso, ora curioso di scoprire dove si fosse cacciato il brasiliano. Camminando con i piedi scalzi sulla moquette, calpestò il paio di boxer che Felipe gli aveva sfilato la sera prima e li indossò, non per pudore, quanto perché la sera prima si erano dimenticati di sistemare la tenda davanti ad una delle enormi finestre che davano sulla strada degli Champs-Elyseés e, sebbene fosse presto, voleva evitare di mostrare la sua nudità al popolo parigino. La loro stanza era articolata in modo strano: vicino all'ingresso c'era subito la porta che conduceva al bagno, poi il letto matrimoniale. Un corridoio breve portava ad un armadio a muro che probabilmente Felipe e Daniel non avrebbero mai utilizzato e, proprio su questo corridoio, c'era una vetrata che affacciava su uno scorcio molto suggestivo.
Il diciottenne scorse Felipe proprio lì davanti, seduto sulla poltrona che era appoggiata al muro, ma che aveva spostato vicino alla finestra. Le luci della città illuminavano in modo fioco il suo corpo completamente nudo, fatta eccezione per un paio di pantaloncini della tuta. Lo sguardo era fisso all'esterno, il petto si alzava ed abbassata regolarmente. Era bellissimo, uno spettacolo della natura.

Si avvicinò con passo felpato, appoggiando un ginocchio sul bracciolo della poltrona. Il diciannovenne si voltò verso di lui ed accennò un sorriso, correndo con le mani a stringergli la coscia e a tirarlo verso di sé, per lasciargli un bacio sulle labbra, poi lo fece accomodare tra le sue gambe, che allargò appena in modo da rendergli la seduta più comoda.

La schiena del minore aderì al petto di Felipe, che gli cinse silenziosamente la vita con le braccia e gli lasciò un bacio sul collo. Daniel accolse quel tocco piegando la testa all'indietro, appoggiandola sulla spalla del suo ragazzo.


"Guarda che cielo", disse il brasiliano, invitandolo a guardare fuori dalla finestra proprio come stava facendo lui poco prima. Erano appena le cinque e mezza di mattina ed il sole stava sorgendo sfumando di arancione lo spazio attorno a sé.
"Come mai ti sei alzato così presto?".
Felipe si strinse nelle spalle, ispirando l'odore di shampoo emanato dai capelli del giovane calciatore.
"Mi capita spesso, poi non riesco ad addormentarmi, quindi mi alzo", spiegò a bassa voce, forse per non rovinare la tranquillità del momento.
"Potevi svegliarmi", commentò Daniel, senza staccare gli occhi dalla strada poco trafficata, dagli alberi posti perfettamente in fila e dai palazzi imponenti ed eleganti che caratterizzavano la città.
"Naaah, eri così carino mentre dormivi sbavando su tutto il cuscino", lo canzonò dondolando lentamente con il busto. Daniel si impettì e gli diede un pizzico sulla coscia, giusto per ribattere alla presa in giro, perché doveva avere sempre l'ultima parola su tutto. Allargò le dita ed appoggiò il palmo della mano sulla sua pelle calda e non la mosse da lì.
In quel momento era tutto perfetto, ogni cosa era al proprio posto ed anche lui si sentiva a casa tra le braccia di Felipe, sebbene si trovassero in una città mai visitata prima di allora.

Il diciannovenne riprese a percorrere lentamente tutto il suo collo con le labbra, mordendogli la pelle sensibile senza fretta, solo con tanta dolcezza. Daniel gli sfiorò una guancia con le dita, poi si alzò in piedi per sedersi a cavalcioni su di lui. Prima, però, si premurò di oscurare la finestra tirando la tenda, onde evitare spiacevoli spettatori di ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco su quella poltrona. Le mani di Felipe erano ovunque, prima sui suoi fianchi, poi sulle spalle, sul petto, dietro al collo, sulla schiena, nelle sue mutande.

Daniel ansimò in modo osceno ed appoggiò la sua fronte contro quella dell'altro ragazzo, guardandolo negli occhi. Si mosse sulle sue cosce, provocando un piacevole attrito che fece sussultare Felipe.

"Senti, muoviti", sbottò il minore, dato che Felipe ci stava mettendo davvero troppo tempo a stimolarlo. Si sollevò così da potergli sfilare i pantaloncini, che finirono di nuovo a terra, dov'erano stati per quasi tutta la notte. Il brasiliano lo baciò con urgenza, facendo intrecciare le loro lingue, mordendogli le labbra, mentre la sua mano destra corse a stringersi attorno al pene del minore.

"Cazzo, il preservativo". Daniel sbuffò, alzandosi in piedi a malincuore per l'ennesima volta e correndo a recuperarlo. In meno di dieci secondi, era di nuovo in braccio a Felipe, che si stava infilando la protezione. Si guardarono complici negli occhi, poi Daniel si calò sulla lunghezza del suo ragazzo. La stanza si riempì di ansiti, di parole sussurrate, di tacite dichiarazioni d'amore.

Dall'altra parte del mondo, qualcuno era sveglio ma non per il loro stesso motivo.


Entrò trafelato nella sua stanza buia, senza neanche accendere la luce dall'interruttore, sedendosi sulla poltrona girevole davanti alla scrivania.

Mentre aspettava che si accendesse il computer, controllò ancora il messaggio che gli aveva inviato Luísa. Ci aveva messo settimane per convincerla, ma alla fine ce l'aveva fatta ed eccolo lì, l'indirizzo e-mail a cui presto avrebbe inviato un testo che era pronto nella pagina di Word sul desktop da tre giorni.

L'aveva letto e riletto centinaia di volte, ormai ricordava ogni parola ed ogni virgola a memoria, ma non l'aveva modificato ulteriormente. Si era limitato a trascrivere fedelmente i pensieri così come erano stati prodotti dalla sua mente, senza filtri o parole sofisticate, solo tanta sincerità ed attesa. Sapeva che dal momento in cui avrebbe premuto il tasto d'invio, non ci sarebbe stato minuto, secondo, in cui non avrebbe controllato la sua casella e-mail in attesa di una risposta. Sussultò quando lo schermo s'illuminò emano a mano tutte le icone si caricarono davanti allo sfondo, che lo ritraeva sorridente assieme alla sua ragazza. Cliccò con insistenza sull'applicazione del motore di ricerca online, poi attese ancora che la pagina si carcasse. La connessione internet non era molto veloce, nel suo quartiere.

Successivamente, entrò nella sua casella di posta online e scelse l'opzione "scrivi nuova mail", poi copiò ed incollò il messaggio dalla pagina Word alla casella di testo. La rilesse per filo e per segno, sussurrando le parole tra le labbra, mentre il cuore gli batteva forte. Aggiunse come allegati due fotografie che aveva scannerizzato qualche anno prima, dopo averle ritrovate in un vecchio album fotografico risalente alla sua infanzia, poi scrisse in fondo alla mail anche il suo numero di cellulare. Prese un profondo respiro, avvicinando con lentezza il puntatore del mouse al tasto d'invio. Dipendeva tutto da lui, in quel momento. Anni ed anni di ricerche, di silenzi.

Espirò l'aria precedentemente inspirata, socchiuse gli occhi chiari, poi cliccò il tasto sinistro del mouse. La pagina si ricaricò, tornando alla home della casella postale. In basso, al centro dello schermo, una scritta.

La tua e-mail è stata inviata con successo a felipepalmer@yahoo.co.uk.



Ciao a tutti!

Capitolo che finisce con un nuovo mistero:chi si cela dietro all'identità segreta dell'ultimo paragrafo? Ehehe, dico solo questo. Ehehe. Lo scoprirete...

Nel frattempo, abbiamo un Ryan confuso, quasi infastidito dalla presenza di Nolan e dalle insinuazioni delle sue migliori amiche che, in quanto a sincerità, sono le migliori. Non vuole ammettere ad alta voce che ha una cotta per Eric, ma almeno è riuscito ad ammetterlo a se stesso, un passo avanti, no?

Detto ciò scappo, ci leggiamo come sempre alla prossima, vi ringrazio per la lettura,

Lavy.

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