Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

12.Più di un segnale


Daniel aveva appena concluso gli allenamenti in vista del match fuori casa che si sarebbe disputato nel weekend ed era esausto. Si era fatto una doccia ed aveva indossato un paio di jeans ed un maglione sotto la giacca pesante, infilandosi anche un paio di guanti comprati chissà quando ed un cappello blu scuro. Faceva un freddo cane e nonostante la neve caduta pochi giorni prima si fosse sciolta, le previsioni meteo segnavano abbondanti nevicate nei giorni a seguire; la cosa, se da una parte lo allietava, dall'altra lo faceva sentire nostalgico dell'estate trascorsa sulle spiagge italiane della Sardegna, dov'era andato con Emma, sua madre ed una sua amica con annessi i figli. Salì sull'autobus non appena la vettura vecchia e malandata si fermò davanti a lui, aprendo la porta posteriore. Daniel timbrò il titolo di viaggio nell'apposita macchinetta poi si accomodò su uno dei tanti posti vuoti e vandalizzati dai pennarelli indelebili della solita banda di ragazzini che si divertiva ad imbrattare quei mezzi pubblici.

Parcheggiato in garage aveva un bel motorino lucido che poteva utilizzare ben poco: la mattina raggiungeva scuola a piedi (ancora per poco), a calcio veniva accompagnato e tornava con l'autobus e per le rare volte che usciva aveva a disposizione il suo amato veicolo, che possedeva da quasi tre anni. Non era stato semplice convincere sua madre a comprarglielo, ma alla fine ce l'aveva fatta.

Osservò sovrappensiero il paesaggio urbano fuori dal finestrino incrostato di sporco, distinguendo a stento le altre automobili che sfrecciavano accanto a lui scure e veloci. Sebbene l'autobus fosse mezzo vuoto e silenzioso, per strada di gente ce n'era in abbondanza. La vettura di fermò, aprì le porte e qualche persona salì a bordo, occupando silenziosamente i posti disponibili trascinandosi dietro buste e borse pesanti; quella era la fermata vicina al centro commerciale.

"Ciao, è occupato?".

Daniel rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva. Aveva riconosciuto immediatamente quella voce bassa e graffiante. Quando si voltò, Liam era lì in piedi vicino al posto occupato dal suo borsone e lo stava guardando in attesa. Daniel lo afferrò per la cinghia laterale, tirandoselo sotto i piedi, nel piccolo spazio che c'era tra la sua fila di sedili e quella davanti. Il suo ex ragazzo gli sorrise riconoscente e prese posto sul sedile adesso libero senza dire una parola, giocando distrattamente con il filo delle cuffiette che portava alle orecchie. Udiva la musica rock che il suo vicino di posto stava ascoltando.

Il diciassettenne non si sentiva a suo agio, per nulla; non provava più alcun sentimento per Liam, ma vederlo dopo un anno e mezzo gli aveva suscitato una reazione strana. Sentiva il cuore battere più forte del solito dall'agitazione, ma non parlò. Solo cinque minuti dopo suonò il campanello per prenotare la fermata e "devo scendere alla prossima", disse senza guardarlo negli occhi. Liam si alzò per lasciarlo passare poi tornò a sedersi.

"Ci vediamo a Capodanno", lo salutò con un sorriso. Aveva tolto solo una cuffietta. Daniel corrugò le sopracciglia. Cosa significava?

"Conosci Cody?", chiese. Dannato semaforo, l'autobus era rimasto bloccato al rosso.

Il suo ex ragazzo annuì. "Thomas è mio cugino", aggiunse suscitando lo sgomento del più piccolo che si affrettò a scendere dal mezzo quando il conducente aprì le porte con un sinistro cigolio. Salutò Liam con un cenno e non aggiunse nulla, camminando verso casa con la testa da un'altra parte.Quando l'autobus gli sfrecciò vicino non alzò la testa, ma avrebb epotuto scommettere qualsiasi cosa che Liam lo stesse guardando con quel cipiglio inconfondibile. Aveva davvero una faccia da schiaffi, l'aveva sempre avuta; quando erano stati assieme, però, l'aveva trovata attraente.

Improvvisamente l'idea di passare un Capodanno diversamente non l'allettava più, nonostante la presenza di Felipe; a preoccuparlo era Liam e la sua beffardaggine. Sperò solo che in quasi due anni fosse maturato ulteriormente: non voleva rovinarsi la serata per colpa sua, tutto qui.

Essere lasciato da Liam era stato devastante all'epoca, ma adesso non c'era più spazio per lui nel suo cuore. Adesso, finalmente, qualcuno l'aveva rimpiazzato.


Quando rincasò, rabbrividendo per il contrasto tra l'aria fredda esterna e quella calda, perfino afosa dentro casa, la prima cosa che fece fu accasciarsi sul divano. L'ultima settimana era stata tremenda, però mancava solo un giorno alla sua conclusione. La scuola gli occupava tutta la mattinata e metà pomeriggio, gli allenamenti facevano il resto. Doveva concludere il quadrimestre senza nemmeno un'insufficienza, per permettersi di presentare l'iscrizione alla scuola privata dove avrebbe terminato gli studi; anche per uno come lui, pigro in ben poche occasioni, quel ritmo di vita era diventato insostenibile.

"Si saluta almeno, maleducato!", lo rimproverò Grete comparendo dal bagno avvolta in una vestaglia azzurra.

"Sono esausto", bofonchiò il diciassettenne, non accennando a smuoversi dal divano.

"Mettiti a dormire, dai, però non fare rumore", disse abbassando il tono della voce: Emma riposava beatamente a qualche metro da loro, nel suo letto dalle coperte lilla.

Daniel si alzò con poca grazia, raggiungendo con lentezza la sua stanza. Grete lo seguì portando con sé il borsone, che abbandonò vicino alla porta. Il giorno seguente avrebbe lavato la divisa ed i calzini sporchi, ma in quel momento l'unica cosa di cui aveva bisogno era un po' di meritato riposo.

"Oh, si, quella l'ha portata oggi il tuo amico", disse. Daniel aveva appena notato la sua sciarpa nera, quella che non aveva più trovato dall'ultima volta che era uscito, appoggiata sul letto. "Ha detto che l'avevi dimenticata in macchina sua, è stato gentile", proseguì.

Daniel strinse tra le dita il tessuto morbido del capo, scorgendovi tra le pieghe un foglietto giallo piegato più volte. Il suo cuore fece una capriola.

"Uhm, si domani lo ringrazio", disse sbrigativamente prima di augurare la buonanotte a sua madre. Non appena la porta venne chiusa lentamente, il giovane si precipitò nuovamente sul bigliettino che aveva abbandonato assieme alla sciarpa sul letto. Lo aprì con dita tremanti e sorrise. La grafia era disordinata, come se Felipe avesse scritto di fretta o su una superficie scomoda. "L'ho tenuta in ostaggio credendo che te ne accorgessi, non è stato così. Te la rendo".

Avrebbe custodito quel biglietto nel portafoglio come si fa con le foto più care, oppure si sarebbe tatuato quelle due righe disordinate sulla pelle per il puro piacere di portare con sé una parte di Felipe. Portò la sciarpa sotto il naso, inspirando il profumo del ragazzo che aveva inevitabilmente pervaso quell'indumento.

Lo voleva, bramava poter percepire quell'odore mentre facevano l'amore abbracciati sul suo letto, oppure mentre guardavano un film abbracciati sul divano. Desiderava con tutto se stesso avere qualcosa in più da quell'amicizia che stava lentamente fiorendo, spontanea come un fiore selvatico all'interno di una radura.


A:[Felipe 💒]

Ho appena visto la sciarpa, grazie per avermela riportata, sono rimbambito...


Solo in quel momento si accorse dell'emoticon che accompagnava il nome dell'amico, e maledisse Abigail, ripromettendosi di cambiare password d'accesso al suo cellulare. Si affrettò a modificare la denominazione del contatto.


[Felipe]

Che ne dici di farci una partita alla play domani da me? Comunque sei perdonato Hahaha


Daniel si affrettò a rispondere perché, fanculo la dignità, ormai l'aveva persa da secoli, poi si infilò in pigiama e si coricò, pensando ingenuamente di riuscire ad addormentarsi. Si era illuso, perché quell'intenso seppur breve scambio di messaggi tra lui e Felipe lo aveva fatto riattivare, quindi gli ci volle un bel po' di tempo per assopirsi, e quando la sveglia suonò qualche ora dopo, gli sembrò di essersi appena addormentato.

Maledetta scuola, pensò mentre scendeva malvolentieri dal letto. Avrebbe dovuto andarci ancora per poco, dato che quel venerdì sarebbe stato il suo ultimo giorno.


Daniel camminava avanti e indietro per la sala da pranzo con le mani in tasca ed un'espressione furente sul volto. Non era potuto andare a casa di Felipe perché sua sorella non sarebbe potuta di certo rimanere a casa da sola, in assenza anche dei nonni che erano dal dottore a fare una visita di controllo. Loro padre lavorava, di zii, cugini o amiche di Grete neanche l'ombra, quindi Daniel era rimasta la cosiddetta ultima spiaggia. Aveva quindi deciso di invitare il bel brasiliano a casa sua senza tener conto della pericolosità di sua sorella che, in fatto di loquacità, era la peggiore. Aveva quindi appena finito di farle una ramanzina con i fiocchi, ordinandole di non fare battute compromettenti (Emma ancora non aveva capito cosa volesse dire, quella parola), e di rimanersene in camera sua a giocare con le bambole.

Emma aveva ascoltato tutto il discorso annuendo convinta, poi alla fine aveva detto "farò del mio meglio", e Daniel ne era rimasto intenerito, quasi si era sentito in colpa di averla trattata un po' bruscamente.

Tuttavia, non ebbe tempo di aggiungere altri consigli o ordini, perché qualcuno suonò il campanello, sicuramente Felipe. Ed infatti eccolo lì, bello e sorridente. Daniel rimase imbambolato per qualche secondo a fissarlo, poi si fece da parte per lasciarlo entrare.

"Ho portato del gelato", esordì il diciannovenne, mostrandogli la vaschetta e porgendogliela affinché la mettesse nel congelatore.

"Giusto, perché non fa abbastanza freddo", scherzò il diciassettenne.

Felipe scosse la testa sorridendo."Simpatico davvero, a me il gelato piace anche d'inverno".

E a me piaci tu, avrebbe voluto dire Daniel, ma si contenne. Non gli sembrava il caso esplicitare i propri sentimenti in quel modo, sebbene cominciasse a pensare di suscitare qualcosa in Felipe. Non sapeva esattamente cosa, ma sperava fosse più della simpatia.

In quel momento, Emma fece la sua teatrale comparsa in cucina; Daniel sollevò gli occhi al cielo quando si accorse che ai piedi aveva ancora quelle orrende pantofole a forma di hot-dog.

"Visto che Dan non vuole presentarmi lo faccio da sola", disse avvicinandosi a Felipe, che la guardò cercando di trattenere una risata "ha paura che dica qualcosa di compromettente", proseguì abbassando la voce, "comunque sono Emma!", esclamò con quella vocetta acuta, aprendosi in un sorriso sdentato. "Tu sei molto carino", si complimentò.

Felipe le strinse la piccola mano introducendosi a sua volta e "tuo fratello è antipatico, vero?", mormorò lanciando un'occhiata divertita al diretto interessato che, a pochi passi da loro, stava assistendo allo scambio di battute con uno stato d'animo che oscillava tra l'adorante ed il furioso.

Voleva dei bambini. Adesso. Con lui.

"Emma, non importunare il nostro ospite", la rimbeccò bonariamente. Tuttavia la bambina percepì dal tono della sua voce il segnale, che le consigliò di rifugiarsi in cameretta lasciando così Felipe e Daniel da soli. Senza la buffa presenza di sua sorella il diciassettenne si sentiva sicuramente più a suo agio: non c'era più nessuno a mettere a repentaglio la buona opinione che sperava il brasiliano avesse di lui.

"Tua sorella è adorabile", commentò accomodandosi sul divano mentre Daniel accendeva la console di gioco.

"Quando le fa più comodo", lo corresse, inserendo il cd di gioco ed andando a sedersi vicino al suo ospite, passandogli uno dei due controller perfettamente uguali. "Tu sei figlio unico?", domandò notando l'improvviso silenzio dell'amico.

Felipe emise un profondo sospiro, facendo intuire a Daniel di aver toccato il tasto sbagliato. "E' una situazione strana", ammise appoggiando la schiena contro la superficie morbida del divano e voltandosi a guardarlo negli occhi. Adorava parlare con il diciassettenne perché non distoglieva mai lo sguardo, era sempre attento a qualsiasi cosa stesse dicendo. "Penso che tu abbia capito che sono stato adottato". Daniel annuì.

"Ecco, ho un fratello dalla parte dei miei genitori di sangue, ma quelli adottivi hanno solo me", spiegò. Non sembrava a disagio, almeno non quanto lo era Daniel, solo rattristato.

"Tuo fratello vive-cioè, non lo vedi mai?", osò domandare sperando di non essersi spinto troppo oltre. Felipe scosse la testa con amarezza. "Non lo vedo da quattordici anni e me lo ricordo ben poco, non ho la minima idea di dove possa essere", confessò "siamo stati adottati da due famiglie diverse".

Daniel sentì il proprio stomaco contrarsi in una morsa di dispiacere, ma non pronunciò alcun convenevole, ritenendolo inopportuno. Invece, appoggiò la mano sul ginocchio del diciannovenne e sollevò un angolo delle labbra, stringendo appena la presa. Gli bastò che i loro sguardi si fondessero in un tripudio verde ed azzurro per fargli capire quanto tenesse a lui, nonostante si conoscessero da così poco, e per trovare nelle iridi color smeraldo una conferma data dal bagliore che emettevano.

"Giochiamo", disse rivolgendo l'attenzione al televisore. Fosse stato per lui, avrebbe continuato ad annegare negli occhi di Felipe per tutta la sua vita.


Non avrebbe saputo dire come, ma esattamente cinquanta minuti dopo erano seduti sugli sgabelli rosa comprati all'Ikea, in camera di Emma, in attesa di farsi leggere la mano dalla bambina che si era improvvisata maga. In quel momento stava analizzando il palmo del loro ospite che continuava a ridere sotto i baffi. Si stava divertendo un mondo, adorava Emma ma ancora di più suo fratello, visibilmente scocciato dall'interruzione della sorella.

"Mmmh, vediamo", borbottò sottovoce la bambina di sette anni, sfiorando con l'indice le pieghe della grande mano di Felipe, provocandogli un leggero solletico. "Avrai una vita moooolto lunga, morirai a centodieci anni!", annunciò con tono solenne, come aveva visto fare in un film. Felipe annuì con convinzione mascherando bene una risata per non offendere Emma, che sembrava essersi immedesimata completamente nel suo ruolo.

"Anche la linea dell'amore è lunga e pure quella della fortuna, avrai una bella vita", concluse sbrigativamente passando poi al palmo del fratello e guardandolo con l'aria di chi la sa lunga.

"Bene bene bene", mormorò con serietà. Daniel e Felipe si lanciarono un'occhiata complice. "Anche tu avrai una vita lunga, però guarda qui", sfiorò con l'indice un punto non identificato della sua mano "avrai poca fortuna, ma tanto amore". Il diciassettenne inarcò le sopracciglia folte.

"Significa che nei brutti momenti avrai un amico speciale vicino", aggiunse muovendo con finta casualità la testa in direzione di Felipe. Daniel sperò con tutto il suo cuore che il brasiliano non avesse colto lo spudorato riferimento, e lo guardò con la coda dell'occhio: stava continuando ad assistere alla scena con un sorriso divertito ad arricciargli le labbra che il giovane calciatore avrebbe tanto voluto baciare. Confidò che quel piccolo teatrino fosse finito, ma Emma scattò in piedi mimando loro di rimanere scomodamente seduti mentre lei spariva chissà in quale stanza della casa.

"E' matta", mormorò Daniel quando furono soli, per poi aggiungere ad alta voce "volevo solo giocare alla play". Felipe scosse la testa.

"Mi sto divertendo tantissimo, tranquillo", lo rassicurò sfiorandogli il ginocchio con una mano. Riusciva a percepire il suo dispiacere, ma davvero non aveva motivo di provare rincrescimento; lui si sentiva davvero a suo agio anche seduto in quella stanza rosa piena di giocattoli, e Daniel non doveva pensare che sua sorella avesse rovinato tutto, perché stava bene anche così. Non voleva che il diciassettenne sbuffasse o si sentisse in colpa per la situazione in cui si erano ritrovati, desiderava solo che si lasciasse andare senza la paura di fare una brutta impressione su di lui perché ormai si, l'aveva capito d'interessargli.

Daniel sembrò rincuorato da quell'affermazione, perché sorrise riconoscente (di cosa, poi?) e smise di farsi centinaia di paranoie. Felipe era lì, accovacciato sullo sgabello alla sua destra, non se n'era andato e continuava ad assecondare i giochi di sua sorella.

Proprio quest'ultima fece il suo ingresso in scena complimentandosi con i due ragazzi per essere rimasti ai loro posti.

"Dov'eri andata?", le chiese il fratello.

"A fare pipì, tutta quella magia mi aveva agitato", rivelò solenne la bambina, sistemandosi i lisci capelli biondi dietro le orecchie. "Comunque adesso possiamo giocare , non vi preoccupate".

Si alzò in piedi lisciandosi addosso il vestitino rosa e pomposo che aveva tirato fuori dalla scatola dei vestiti di carnevale.

"Lui", disse indicando minacciosamente Felipe "sarà il mio cavallo, mentre tu", stavolta puntò il dito in direzione del fratello, "farai il drago che verrà sconfitto da noi". Si avvicinò al più grande e gli strinse il braccio, tirandolo verso il basso per sussurrargli qualcosa all'orecchio. Pochi istanti dopo Felipe si era issato la bambina sulle spalle e guardava Daniel con aria di sfida.

"Combatti, avanti", lo invitò beffardo. Daniel non se lo fece ripetere due volte e si avventò sui due, sfruttando al meglio l'opportunità per toccare indisturbato il busto muscoloso di Felipe, ricordandosi di fare il solletico a sua sorella che, dall'alto, rideva a crepapelle. Se qualcuno li avesse visti, li avrebbe reputati folli.

"I fianchi! Soffre il solletico lì", consigliò Emma appigliandosi alle spalle del ragazzo che eseguì istantaneamente il comando precipitandosi sul più piccolo e costringendolo a sedersi in modo scomposto sul letto della sorella nel vano tentativo di scampare alle sue mani che, però, erano ovunque. Buttò indietro la testa e rise di cuore, stringendo i polsi del diciannovenne senza davvero impedirgli di torturarlo. Alla fine, con le lacrime agli occhi, si calmò ed appoggiò la nuca contro il muro guardando dal basso i suoi "aggressori".

"A-avete vinto, m-mi arrendo", esalò esausto. Gli faceva male la pancia dal troppo ridere, ma avrebbe ripetuto quel momento altre mille volte; gli occhi verdi di Felipe erano luminosi, così tanto che se avessero spento la luce la stanza sarebbe stata comunque illuminata. Era stupendo.

Emma scese dalle sue spalle ed atterrò dolcemente con i piedi a terra, battendo il cinque al compagno di squadra.

"Sei stata bravissima", si congratulò scompigliandole i capelli con una mano. La bambina non si lamentò perché andiamo, chi non aveva un debole per Felipe? "Rimani a cena con noi? Ti preeeego".

Daniel si drizzò con la schiena, più attento; come poteva una bambina di soli sette anni avere una dimestichezza maggiore della sua?

Felipe alternò lo sguardo tra i due fratelli Murray, bloccandosi poi sul più grande dei due.

"Vorrei ma devo andare in palestra, anzi sono in ritardo", rispose mordendosi l'interno della guancia. Era una cosa che faceva spesso.

Il giovane calciatore annuì come se la questione non fosse rilevante per lui, mentre per un momento ci aveva sperato, di mangiare assieme; non voleva risultare troppo coinvolto in quella faccenda, qualsiasi faccenda essa fosse.

Si sentiva un'anima nel Limbo dantesco, solo che a rendere inappagato il suo desiderio non era l'eterna attesa di vedere Dio, bensì l'incessante bisogno di ricevere l'ennesimo segnale da parte di Felipe che lo sbloccasse, permettendogli di esternare i suoi sentimenti.

Non era mai stato un ragazzo intraprendente, né un asso nei discorsi; finché si trattava di

uscire, provarci velatamente, per lui non era un problema ma quando veniva messo in gioco l'esplicitare i propri sentimenti aveva sempre avuto qualche freno.

Seguì il diciannovenne in sala da pranzo, dove indossò la giacca e tirò fuori dalla tasca interna le chiavi della macchina. Emma era rimasta sapientemente in camera sua, dopo aver salutato con uno sonoro bacio sulla guancia sbarbata l'amico speciale di suo fratello; quel pomeriggio aveva fatto fin troppo, per i suoi gusti.

Daniel attese che Felipe aprisse la porta di casa sua e si fermasse sulla soglia, alle spalle il piccolo cortile curato che separava l'ingresso dal cancello.

"Grazie per il pomeriggio", ringraziò il più grande esibendo uno dei suoi migliori sorrisi.

"Non c'è di che, il gelato era buono comunque".

Felipe non parlò, ma dalla sua espressione Daniel percepì un "te l'avevo detto" silenzioso. Si appoggiò con la spalla allo stipite della porta ancora aperta ed incrociò le braccia al petto, guardando sottecchi il brasiliano. Poi fu questione di un attimo; Felipe sentì l'impulso di baciarlo, e lo fece senza indugio. Si avvicinò velocemente al più giovane, gli prese il viso tra le mani e sfiorò quelle labbra di un colore roseo invitante con le sue. Quando si allontanò, facendogli l'occhiolino senza dire una parola, gli prudevano le mani e avrebbe voluto voltarsi per baciarlo ancora perché non aveva sbagliato, si sentiva bene e avrebbe voluto farglielo sapere. Tuttavia, entrò in macchina e partì dopo essersi allacciato la cintura di sicurezza, lasciando Daniel folgorato sulla porta.

Si erano davvero baciati, seppur per un breve momento.


Cavolo, quello era più di un segnale.


Ciao a tutti!

Non scherzavo, alla fine dello scorso capitolo, quando vi ho detto che questo vi sarebbe piaciuto!

Era già da qualche capitolo che Felipe iniziava ad avere le idee più chiare riguardo al proprio interesse nei confronti di Daniel ed adesso diciamo che quasi ogni dubbio è stato risolto, ha sganciato la bomba e si è defilato silenziosamente...secondo voi come reagirà Daniel?

Vorrei fare un ringraziamento anche alla piccola Emma, utile come sempre a complicare la vita al fratello e a metterlo in imbarazzo.

Scopriamo anche una cosa fondamentale nella vita di Felipe, ovvero che ha un fratello chissà dove nel mondo, ma per ora le nostre informazioni si fermano qui. Presto avrete le idee più chiare, anche perché la storia di Felipe mi sta molto a cuore, però non vi faccio spoiler, giuro.

Ryan tornerà nel prossimo capitolo, non temete, avevo bisogno di dedicare un intero capitolo ai #Danipe.

Vi ringrazio per le letture (700!!!!) e per i voti, grazie mille ♥ ♥ ♥

Alla prossima,

Lavy.


Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro