Blu Lividi
Tema: il colore blu
Tremava.
Non riusciva a controllare quel fremito continuo che le correva lungo tutto il corpo, il derma sensibile trasmetteva quella sensazione a tutte le sue cellule nervose causando fremiti in tutte le membra ormai da diversi minuti.
Le dita pallide strinsero i bordi del lavandino, cercando di trovare la sicurezza e la calma che avevano sempre caratterizzato la sua mente.
Non un pensiero logico riusciva a costituirsi nella sua testa, affollata di pensieri, immagini e suoni che avrebbe voluto scacciare in qualsiasi modo e che le erano esplose dentro all'improvviso.
Strinse le palpebre, tentando per l'ennesima volta di scacciare quelle piccole perle salate che già le avevano bagnato tante volte le guance, di notte, quando nessuno avrebbe mai potuto vederle.
Odiava piangere, non l'aveva mai fatto. Lei era quel genere di ragazza dal viso illuminato perennemente da un lieve sorriso dolce, dalle mani sempre pronte a fornire affetto, dallo sguardo sereno capace di portare quiete laddove vi era una tempesta.
Ma ora che la tempesta era dentro di lei non sapeva come comportarsi e nessuno sembrava accorgersene. Forse era perché davanti agli altri era più facile mentire, fingere di stare bene quando invece avrebbe solo voluto sparire. Forse perché era sempre stata così testarda e sicura da non aver voluto rompere quel immagine perfetta che ormai i suoi amici e la sua famiglia avevano di lei.
Doveva trovare una soluzione.
Da sola, non poteva contare su nessuno.
Iniziò a trarre respiri profondi, piegando le ginocchia e appoggiando la fronte alla ceramica fredda del lavandino.
Doveva vagliare le scelte che avrebbe potuto compiere al fine di far tornare le cose come stavano, prima.
Si morse il labbro inferiore, come aveva fatto qualche sera fa, sintomo di nervosismo. Non era abituata a sentirsi in quel modo...
Dafne Sandrelli era convinta che ogni persona avesse un ruolo che le calzasse a pennello. C'era chi era capace di portare a termine a proprio favore una causa in tribunale, ma inappropriato a fare da genitore, come sua madre. Chi era nata solo per essere bella e sfilare sulle passerelle, come sua sorella. Chi viveva per le domeniche pomeriggio sul divano a tifare la propria squadra di calcio, come suo padre.
E poi c'era chi, come Sara Alfonsi, era capace di convincere chiunque a fare ciò che volesse lei. E quella sera Dafne aveva scoperto di non potersi considerare "l'eccezione che conferma la regola".
Si trovavano esattamente fuori dal locale più cool di New York, o almeno quello che per quella settimana lo sarebbe stato, e lo sguardo della sua migliore amica non prometteva nulla di buoni. Insieme a loro c'era James, l'amico "speciale" di Sara, e Lizzy, la loro altra migliore amica.
Sara e Dafne erano sempre state legate tra loro, non solo per il fatto che fossero entrambe nate a Little Italy e avessero entrambe i genitori italiani.
No, era perché si completavano.
Anche quella sera sarebbe dovuta essere così: Dafne sarebbe stata la spalla, la parte razionale che avrebbe difeso l'amica dalla sua impulsività, mentre Sara l'avrebbe sempre trascinata verso la vita, il caos e l'allegria.
Tuttavia quella sera sarebbe stato tutto diverso...
Era bastato un minuto.
Un secondo di troppo da sola in un bagno squallido ed era successo.
Dafne alzò di scatto lo sguardo, osservando il proprio riflesso nello specchio sopra il lavabo.
Aveva la pelle pallida di porcellana, e lievi lividi le percorrevano le spalle, il ventre, le cosce.
Segni blu ancora vividi nella sua mente, e ancora di più sulla sua pelle delicata.
Fin troppo visibili.
Aveva cercato di ripetersi che era stato solo un incubo, ma quei disegni orrendi, quelle mani parevano essere ancora lì, sulla sua pelle.
Ricordava come aveva cercato di opporsi, di lottare, ma una mano fredda e dalla presa marmorea si era stretta intorno al suo collo, mentre un'altra aveva cercato di tapparle la bocca. L'aveva sbattuta contro il muro freddo, cercando di bloccarla, di sottometterla.
Dafne aveva tentato il tutto per tutto, mordendo la mano del mostro, affondando i denti nella sua carne. Le pareva ancora di sentire il gusto nausente del sangue sulla punta della lingua.
Si chinò in fretta, alzando la tavoletta del water per potersi liberare, eppure dalle sue labbra uscì solo acqua, vomitando a vuoto. Erano due giorni che non riusciva a toccare cibo, le sembrava che tutto sapesse di quel linquido rosso disgustoso...
Non si sarebbe mai liberata da quel sapore, da quello che era successo. Si sentiva ancora intrappola, ancora stretta da quelle mani che da fredde ed estranee erano diventate bollenti, l'avevano bruciata, corrosa dentro.
L'avevano vìolata.
E poi le labbra di quel mostro avevano liberato un imprecazione, prima di morderla a sua volta. I denti di quel uomo le erano affondati nella spalla, l'aveva morsa più volte, mentre le aveva strappato la camicetta azzurra e abbassato i pantaloni.
Aveva pianto sommessamente.
Qualcuno aveva bussato alla porta, ma poi se n'era andato. Non aveva più voce, non aveva più forze per opporsi o chiedere aiuto.
Voleva solo scomparire.
Morire.
La sua mente era un disco rotto, continuava a domandare in un urlo muto attraverso i suoi occhi vitrei il perché... Perché fosse successo proprio a lei.
Lei che aveva solo diciassette anni.
Lei che non aveva mai avuto un ragazzo.
Lei che l'unico bacio che avesse mai ricevuto era stato sulla guancia in terza elementare.
Lei che non beveva, non fumava e non aveva mai fatto nulla per meritarselo.
Perché Dio, perché?
Ormai aveva gli occhi secchi, le lacrime avevano scavato solchi sulle sue guance morbide, avevano corroso la sua pelle come la saliva di quel mostro, che non poteva, non riusciva, definire uomo. Non poteva essere una persona umana, non potevano esistere uomini che facessero una cosa del genere.
Era solo una bestia.
Un animale.
Mostro!
Le aveva distrutto la vita.
Dafne si sforzò di alzarsi, le ginocchia le facevano male, avevano due grossi lividi per lo scontro che avevano avuto sul pavimento lurido di quel bagno, perché Lui l'aveva obbligata in ginocchio.
Si afferrò i capelli tra le dita tremanti e strinse fino a farsi male. Voleva strapparseli, magari facendolo sarebbe riuscita anche a strappare dalla sua testa quelle immagine, quei ricordi che non la facevano chiudere occhio di notte. Che non la facevano mangiare. Che non la fecavano più sorridere. Che non la facevano più vivere.
Che la facevano sentire sbagliata.
Era stata trattata come uno scarto.
Le avevano strappato la verginità. Le avevano strappato la sua identità .
Era bastata una notte.
Si tirò indietro i capelli chiari, mentre tornava dritta con la schina. Si voltò e osservò la vasca piena d'acqua e di schiuma. Quante volte si era lavata, cercando di ripulirsi da quel odore, da quella sensazione di sporcizia che si sentiva addosso?
Quante volte aveva grattato con la spugna sulla pelle, quasi a scorticarsela?
Voleva strapparsela via.
Avrebbe voluto poterlo fare.
Si immerse nell'acqua lentamente, stringendo i bordi di ceramica blu. Aveva le spalle rigide e stanche.
Dafne, a diciassette anni, era già stanca di vivere.
Fu per questo che immerse lentamente ogni singola parte di sé. Aveva studiato che l'acqua dava la vita, anche la Chiesa affermava che con l'immersione nell'acqua battesimale i bambini rinascevano puri, privi del peccato originale, pronti a godere la vita e a poter elogiare Dio.
Nella Scienza le prime creature si erano sviluppate in acqua, erano batteri e piccole esseri ancora in procinto di svilupparsi.
Dafne pensò che fosse assurdo, che vita si collegasse ad acqua. Lo pensò un istante prima di immergere la testa.
Pensò che per lei, ora e per sempre, avrebbe significato morte.
E libertà.
Quel pensiero rimase vivido nei suoi occhi blu, mentre la sua anima sbiadiva e abbandonava quelle membra stanche e fin troppo giovani.
Ora sarebbe stata un'eterna fanciulla, una delle tante vittime dei mostri peggiori che avessero mai messo piede sulla terra.
Gli uomini.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro