Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

2.5 ● IL PROBLEMA E' TUO, NON MIO

Il bentornato di fangirl consistette in occhiatacce mute.

Non capivo il perché, visto che dei due chi aveva sofferto di nostalgia fino a suonare per notti intere non era certo lei, che si era fatta comprare una maglietta extra large degli 'Y●EL●L' da mia madre mentre io non c'ero.

Si era presentata a tavola coperta da quel capo in cotone bianco, il collo largo che lasciava trasparire il reggiseno a fiori e un paio di pantaloncini beige al ginocchio, così aderenti che mi fecero pregare ogni dio in cielo e in terra che non si piegasse. L'immagine di EL. Il suo corpo. L'immagine di EL sul suo corpo. L'inferno e il paradiso mescolati insieme.

«Fortuna che sei tornato. Devi accompagnarmi a scuola.» Esordì con voce stridula, trascinò la sedia fuori dal tavolo e ci si mise sopra senza grazia. Il seno diede un piccolo contraccolpo.

Mi sedetti di fronte a lei, fissai un pensile dietro i suoi capelli, non sapevo dove guardare. I suoi occhi mi avrebbero tolto qualsiasi parola di bocca, la piega del petto non mi avrebbe fatto ragionare. «Mi sembra che l'autobus vada più che bene. In più niente ti impedisce di prendere la patente, ora.»

Si spostò i capelli e raddrizzò le spalle. «Dana Harris, la piovra, mi vuole accompagnare a scuola e a casa. Non so più come dirgli di no.»

Trattenni uno scatto e mi morsi per un momento la lingua; non volevo permettermi di mostrare quanto ero infastidito da quel cretino.

Non ne ebbi bisogno: la testa di Sharon, alla mia sinistra scattò nella sua direzione. «Chi è questo?» strinse il tovagliolo.

«Uno che vorrei buttare giù dal... Da non so nemmeno io cosa.» Fangirl gesticolò indicando per aria.

La madre prese fiato e aprì di nuovo la bocca, il campanello di casa la interruppe, qualunque cosa volesse dire.

Mi fermai con la forchetta in mano, mentre i miei, alla mia destra, si guardarono.

«Stai aspettando qualcuno, Jennifer?» chiese Sharon sospetta.

Per una volta non potevo che darle ragione: la domanda rimase sospesa per aria, tra gli sguardi miei, di mio padre e di mia madre che si rimpallavano una domanda muta.

Il campanello si fece più insistente. Mi alzai dalla tavola. «Ho capito chi è. Vado io.»

Juno mi seguì e si fermò sull'uscio della cucina.

Aprii la porta di casa e davanti c'era lui, con i suoi capelli biondo ossigenato e il solito sorriso da schiaffi tempestato di lentiggini. «Salve, disturbo?» Nate fece dei gesti strani imitando il Genio della lampada di Alladdin. La maglietta del giorno diceva "puoi iniziare a pregare".

«Hai mangiato per strada o ti vuoi accomodare?»

Sorrise, la sua mano mi arrivò al centro del petto e mi spinse indietro. «Sì, grazie!»

«Nate!» Da dietro arrivò lo sgraziato battere dei talloni di Juno sul pavimento. Feci appena in tempo a spostarmi che lei gli saltò al collo, un salto niente male, si aggrappò con le gambe ai suoi fianchi, e iniziò a ridere.

Qualcosa mi si strinse nel petto: li osservai abbracciati. Quello che mi si mosse dentro non era la stessa cosa di quel Harris che la infastidiva.

Nate era sempre stato mio fratello, fangirl si era messa tra lui e me e si era presa una fetta di quell'esclusività che mai avrei immaginato che qualcuno potesse portarmi via.

Loro due in poco tempo avevano formato un legame molto simile a quello che avevamo io e lui: parlavano di cose dalle quali ero escluso e l'idea di non essere unico mi stava facendo male, nel profondo. Non ero solo io, era tutto me.

Strinsi le labbra fissando i suoi piccoli piedi agganciati ai fianchi del mio amico senza dire una parola. Nate mi si avvicinò, mi mise un braccio sulle spalle e mi tirò a sé. Mi baciò la testa e guardò il viso sorridente di Juno.

«Allora, come sta la mia coppia preferita?» la voce abbastanza alta da farsi sentire da noi due.

Alzai di scatto la testa, il mio viso si congelò e anche quello di Juno, che aveva le guance rosse. Ci guardammo nello stesso momento, il cuore si stava scagliando sulla gabbia toracica. Avrei voluto allontanarmi e potevo intuire la stessa cosa di lei, ma Nate ci teneva incollati a lui.

«Jennifer! Cosa ci fai attaccata a un uomo?» Sharon, affacciata alla porta della cucina, ci stava osservando.

Per una volta, benedissi le sue grida.

Nate ci mollò, si diresse a braccia aperte verso di lei, la strinse a sé e le schioccò un bacio sulla fronte. «Zia Sharon, come stai?»

La cullò in un abbraccio, per poi lasciarla davanti alla cucina, ammutolita e con la faccia sconvolta.

«Certo che Nate sa come far stare zitta la mamma» bisbigliò fangirl, ancora al mio fianco.
Una impercettibile parte di me sorrise: la reazione scaltra di Nate era la cosa più logica da aspettarsi.

Raggiungemmo gli altri, mia madre stava già aggiungendo un piatto. «Vieni Nate, accomodati!» Gli sorrise.

Mio padre gli porse la sedia accanto alla sua. «Qual buon vento?»

Lui rimase immobile in piedi le braccia lungo i fianchi, fissò il centro vuoto del tavolo per qualche secondo, rispose poi con tono automatico, senza alzare lo sguardo. «Mi sono preso qualche giorno.»

Alzò gli occhi su di me e la voce gutturale si fece di nuovo squillante «Stavo pensando di andare a cercare dei locali dove suonare quest'estate, magari con Chip e Cole.»

Mia madre lo fissò seria per qualche minuto e mi lanciò sguardi supplichevoli. Mio padre scosse la testa. Tutti e tre avevamo capito che c'era qualcosa di più. Non era il caso di parlarne di fronte a Sharon e Juno.

Mi sedetti di nuovo al mio posto. «Vedo che hai già fatto il programma. Grazie per avermi consultato, fratello. Comunque, mi dispiace ma sono tornato oggi da Jacksonville e ho delle canzoni in testa.»

Prese posto anche lui e si appoggiò allo schienale, il suo sguardo tornò brillante. «Stai componendo come un ossesso» lanciò un'occhiata verso fangirl, «Ti dovrò chiamare Erik!»

Lei alzò la testa. «Chi è Erik, adesso? Un altro amico?»

Mia madre mi guardò stranita, scosse la testa e aggrottò le sopracciglia come a domandare perché non le avessi mai presentato Erik. Le feci cenno col capo: non c'era nessun Erik.

Nate si girò verso fangirl. «Erik, il Fantasma dell'Opera.»

«Dici il film con quel tizio sfigurato dove cantano tutti?» fece lei con tono annoiato. Pose le mani sulla faccia, e si spostò il naso e un occhio con le dita, e imitò la deformità del personaggio.

Nate scosse la testa ridendo. «Scricciolo, se tu conoscessi la storia del libro, non parleresti così. È una fantastica storia d'amore.»

«E Erik è il cattivo» intervenni.
«È un mostro psicopatico» confermò Nate, «Perché Christine ha già una cotta per Raoul, lui impazzisce e gliela vuole portare via.» Alzò l'indice accanto al viso «Ma cosa sarebbe successo se Christine non avesse avuto un Raoul? E se Erik avesse già conquistato il cuore di Christine?»

Gli infersi un calcio sotto il tavolo, lui balzò. «Gh!»

«Erik è un mostro psicopatico che stalkera una povera ragazzina innocente.» Ribadii.

Juno sbuffò. «Vorrei poter dire lo stesso di Dana Harris, è un rompiscatole ma almeno non è un mostro brutto.»

Non era brutto. La reazione dei miei muscoli mi fece alzare di scatto. «Scusate, non mi sento bene.» Uscii dalla cucina e mi affrettai sulle scale, con le gambe accaldate e un fuoco nel petto che mi impediva di respirare normalmente.

«Hei fratello, che c'è?» Nate mi bloccò davanti alla mia camera.

Appoggiai la mano sul legno e spinsi. «Niente, sono... Non lo so.»

Entrai, lui con me, e chiusi la porta. Si appoggiò allo stipite e incrociò le braccia. «Ti scalda un bel po' sentirla parlare di quell'Harris.»

Sbuffai. «Cosa vuoi sentirti dire? Cosa immagini che stia pensando?» Mi portai il palmo della mano sulla fronte, notai che era leggermente umida. «Ti aspetti che dica che vorrei tagliargli le braccia così la pianta di fare il campione di pallanuoto e di giocare alla piovra con lei mentre ballano un lento e io sto lì a cantare?» Dovevo scaricare la tensione, presi a camminare a grandi passi veloci per la stanza. «Cosa ti salta in mente di dire? Davanti a fangirl? Io e lei? Christine e Erik? Stai vaneggiando! Lei è una bambina e non mi interessa. Non la guardo nemmeno» lo aggredii. Ero furioso, nel contempo mi sforzavo di dire cose che non sentivo, che non c'erano nella mia testa.

Lui continuò a seguire i miei movimenti lungo la stanza. Il solito sorriso storto gli apparve sul viso. «Gh! Dovevate vedere le vostre facce prima!» rise.

«Hai visto com'è conciata?» La domanda mi uscì spontanea.

«Meno male che hai appena detto che non la guardi.» Mi fece una delle sue risate sardoniche.

«Stai strippando di brutto, amico.»

«Lo sai cos'è successo una settimana fa? Eh? Lo vuoi sapere?» Le gambe non cessavano di muoversi dalla sedia multipower al letto.

Nathan si spostò dalla porta. «Tanto me lo racconteresti anche se ti dicessi che non lo voglio sapere.» Si accomodò a sedere sulla scrivania.

Gli raccontai di come avevo passato la serata in camera di fangirl sul divano, tentando di guardare il video di EL, ma soprattutto convinto di rendere una serata di rivincita qualcosa di insopportabile per Juno. Col risultato di essere scappato in camera eccitato.

Man mano che andavo avanti la sua bocca si spalancava, sventolò i pugni per aria, e i suoi gesti si trasformarono in movimenti di tifoseria da cheerleader, fino ad imitarne gli sculettamenti.

Lo fermai afferrandogli i polsi. «E quello che ho immaginato di fare, io...» sbuffai, mi passai una mano tra i capelli, il capogiro stava prendendo piede. «Sono un mostro. Due volte, no, anzi mille volte.» Gli lanciai un'occhiata, lui era impassibile col suo mezzo sorriso storto sulla faccia. «E tu ci chiami 'coppia'!» Passai ancora una volta le dita tra le ciocche umide e pesanti. Tolsi qualche capello dal palmo. «Se vado avanti così divento calvo.»

Incrociò le braccia sul petto, le sue sopracciglia si abbassarono fino a scurire le iridi ambrate. «Non puoi sempre comportarti da stronzo con lei. Non è la soluzione. Sei innamorato di lei, diglielo. Dille tutto.» Era terminato il momento del Nathan spassoso. «Prima o poi ci dovrai fare i conti. È una condizione difficile, ma dovrai prendere quello che viene.» Per un istante ebbi l'impressione che i suoi occhi si fossero fatti lucidi.

Non potevo. Non ero in grado di amare senza fare del male, o di riceverlo. Mia madre, mio padre e persino con lui, sempre sorridente e pronto a reagire a ogni difficoltà. Ogni volta che lo guardavo senza vestiti e osservavo ogni centimetro del suo corpo nudo, sentivo che c'era qualcosa di storto che lo aveva fatto soffrire e che avevo dimenticato.

Ero con l'acqua alla gola. Dovevo cambiare argomento o non ci sarei saltato fuori. «Dimmi la verità. Perché sei qui?»

Si staccò da me e, come in cucina, fissò il vuoto in basso di fronte a lui.

«Nate? Hai litigato di nuovo con tua madre?»

Scosse la testa. «Il locale ha chiuso. Il titolare dice che ha un parente malato. Vuole vendere. E io sono a spasso finché non trovo qualcuno che mi faccia lavorare.»

Soffiai aria dal naso. «Questa è casa tua. Puoi stare quanto vuoi. Non c'è bisogno che ometti la verità con me o con mamma e papà.»

Storse il naso e portò le mani ai gomiti per abbracciarsi. «Non voglio dipendere da voi, lo sai.»

«Sei il solito orgoglioso.»

Qualcuno bussò alla porta «Siete lì?»

Lui alzò la testa, alzò le sopracciglia e sorrise. Mi diede un pugno sulla spalla «Vai, è il tuo momento.»

Aprii e Juno era lì davanti. «Che c'è?» Ritenni il battente.

«Discorsi da uomini?» Si alzò in punta di piedi e allungò il collo e lo sguardo dietro di me.

«Hai bisogno? Ti conviene andare a letto, domani c'è scuola.»

Abbassò di poco il capo e mi osservò da sotto, sporse in fuori le labbra. Un piccolo solco si formò tra le sue sopracciglia, il mio cuore accelerò nel riconoscere che quell'espressione corrucciata le dava un'aria tenera. «Ecco io...» si stropicciò le dita.

Nate sbucò da dietro le mie spalle e spalancò la porta. «Al suo servizio, signorina!» La invitò allegro, come se il discorso di due minuti prima non fosse mai esistito.

Juno distolse lo sguardo da me e gli sorrise. «Il libro del fantasma. Tu lo hai letto?»

Lui fece di sì con la testa. «Vuoi leggerlo anche tu?»

Lei annuì.

«Okay. Mick ce l'ha.» La prese per il polso e la trascinò in camera, davanti alla libreria che occupava l'intera parete fino al soffitto, interrotta solo dalla porta finestra che dava sul balcone.

Juno rimase in piedi a guardarla. «Oh, wow. Sono tanti libri per una camera.»

«Se viene in camera mia e mette mano ai miei libri quando non ci sono è colpa tua!» Sbottai.

Lui mi ignorò. «Oh, sì, ma questi sono solo i libri che interessano a Mick.»

Lei si avvicinò a una sezione sulla sinistra della finestra, sopra alla scrivania, e inclinò la testa. «Tutti questi sono in greco?»

«Sì.» risposi atono.

«Sono diversi da quelli della biblioteca e non me lo dici.» Mugugnò e si mise in punta di piedi, appoggiò le mani sulla superficie di legno e stese le braccia. «Accidenti, non arrivo fin là in alto.»

Alzò la gamba e usò la sedia come gradino, mise l'altro piede sulla scrivania e vi si inginocchiò sopra. Continuò a passare l'indice su diverse coste, raddrizzò la schiena e allungò un braccio, poi si chinò facendo passare il dito sui tomi, annuendo come un'intenditrice. Trattenni il respiro. Ciò che avevo temuto avvenne: il movimento fece risalire il cotone bianco fino a scoprire i pantaloncini. Niente mi impediva di seguire con lo sguardo la riga dell'elastico che si tendeva sui suoi glutei e il rigonfiamento tra le gambe. Juno era in ginocchio, sulla mia scrivania e in una posizione che non aveva nulla di infantile. Diedi la colpa al fatto che non avevo finito di mangiare, se in quel momento la fame mi aveva assalito. Iniziai a sudare. «Sono... sono edizioni in francese, non le capiresti.» risposi a bocca mezza chiusa.

Nate da dietro mi mormorò nell'orecchio. «Ti vedo...» mi diede una leggera pacca sul sedere.

Mi irrigidii. «Cosa vedi?» mormorai tra i denti, «Non ce l'ho mai fatta entrare io, qui!»

Mi passò un dito sulla spina dorsale, creò un'onda di brividi che fecero infuocare la mia pelle. La camicia stava diventando rovente, io ero rovente, più di quello che già non fossi eccitato nel vedere quelle natiche tonde. Affondai le unghie sui palmi e trattenni la voglia di accarezzare, no, mordere la sua carne rosea.

«Ma quindi quel libro ce l'hai in francese. Io lo voglio in americano» piagnucolò lei.

Presi un profondo respiro per riavermi, mi avvicinai a un'altra parte della libreria. «Il massimo che posso fare è darti l'edizione inglese. In americano non l'hanno tradotto, spero che tu ci capisca lo stesso.» Presi una scaletta, volevo evitare che ci montasse sopra facendomi perdere altri neuroni, e andai a trovare un piccolo volumetto in un angolo della libreria numerato come F.

Lei mi seguì. «Oh, F. Ma non comincia con I?»

«F sta per Feuilletton. Romanzo d'appendice. In pratica è... lascia perdere.» Le porsi il libro, accompagnato da un dizionario.

Lei li guardò entrambi.

«Un dizionario? Ma ho già internet» piegò le labbra in giù e allungò le braccia reggendo il tomo per farmi capire che era pesante.

«Fidati, è meglio che tu sappia usare anche il dizionario.» La presi per le spalle e la spinsi verso l'uscio. «Buona lettura.»

Lei si girò, lanciò un'occhiata a me e poi sorrise a Nate. «Grazie.»

Chiusi la porta, mi ci appoggiai sopra con la schiena sudata e lo guardai col fiato sospeso.

Lui alzò le spalle. «Fratello, il problema è tuo, non mio.»

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro