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2.15 ● QUANDO ARRIVAI A CASA

Nota autore: Siccome Wattpad non collabora, vi informo che mercoledì ho pubblicato un altro capitolo, prima di leggere questo, se non lo avete visto, andate a recuperarlo


For good times and bad times
I'll be on your side forever more
That's what friends are for

«Ti pareva che io mi perdevo un picnic con scricciolo?» Nate, il ristorante umano, precedeva il gruppo in mezzo all'aranceto. Era arrivato alle dieci con quello che lui aveva chiamato "il minimo indispensabile", cioè un baule. Indossava una maglietta che diceva "Adesso ti servo io!", che suonava come una minaccia.

Di fianco a lui Michael sorrideva e parlava con Chip e Cole, lasciandomi lo spazio per stare con i miei amici. Io, Janine, Juliet e Sean facevamo fatica a stargli dietro, con i suoi passi lunghi, mentre Michael, Chip e Cole sembravano non avere problemi.

Mi guardai intorno: era il luogo dove Michael mi portava a studiare sull'albero, anche se di giorno faceva meno paura.

Chiacchieravamo e scherzavamo, facendo forse un po' troppo rumore: gli uccellini scappavano al volo al nostro passaggio, muovendo i rami e facendo cadere qualche foglia verde intenso. Ricordai gennaio, quando avevo scambiato l'aranceto per un bosco qualsiasi. Ero arrabbiata per aver lasciato Seattle, convinta di avere una vita abbastanza normale, un padre che lavorava duro per la famiglia e la nonna peggiore di sempre. Rita era la mia grande amica, che mi aiutava a nascondere le cose di EL, insieme a Beth. Mi aveva fatto male dappertutto aprire gli occhi e rendermene conto.

In soli quattro mesi la mia intera vita si era capovolta.

Passai sotto una macchia di sole che mi scaldò la faccia e trovai l'energia per correre dietro a quelle zampe lunghe del gigante rosso.

Nell'aria c'era un profumo dolce «Che buon profumo" parlai a Janine, «Cos'è?»

Lei indicò i rami, che oltre al verde avevano anche tante macchie di bianco. «Sono i fiori d'arancio, iniziano ora a sbocciare così a settembre ci saranno i frutti. Sono belli, vero? Dicono che siano simbolo delle nozze e della purezza della sposa. »

Tornai a guardare in alto con un peso sul cuore. Avrei mai potuto essere bianca come quei fiori? Avevo gettato via una parte di me cercando di capire qual era stata la mia realtà. Quello non me lo ero ancora perdonato.

Qualcuno mi diede una gomitata. «Ehi, Jun, lo hai chiesto tu questo picnic e ora ci diventi triste?» Juliet era vicina a me. Lei non sapeva cos'avevo fatto. Cosa avrebbe detto? L'unico a saperlo era Nathan. Sorrisi. «Scusa, mi sono ricordata di una cosa.»

Sean mi circondò le spalle con il braccio. «Oggi ti faremo scordare tutto. Promesso.»

Nate si fermò in un punto preciso dove gli alberi si aprivano proprio verso il laghetto, quello che avevo visto illuminato dalla luna più di una volta. Appoggiò sull'erba il bagaglio a mano che lui si ostinava a chiamare cestino da picnic, tirò fuori una tovaglia a quadri rossi e bianchi della misura di un copriletto matrimoniale e la stese a terra. «Signori, ecco il nostro tavolo. Adesso sedetevi che vi servo io.» mostrò la maglietta con la scritta.

Chip lo indicò. «E io che pensavo fosse una delle tue magliette minaccia.»

Nate alzò lo sguardo mentre tirava fuori i piatti. «Certo che lo è! Nessuno si salverà in questo pranzo.»

Ci guardammo tra di noi in silenzio, un po' sospettosi, mentre toglievamo le scarpe per sederci.

In pochi minuti, dispose più di dieci contenitori colorati pieni di panini, snack e verdure in mezzo alla tovaglia. Forse un po' meno.

«E chi la finisce tutta questa roba?» protestò Michael.

Il suo amico gli diede una spallata. «L'appetito viene mangiando, non lo sai?» Mi fece l'occhiolino e io abbassai gli occhi, sentendomi prudere le guance. Potevo immaginare che Michael gli avesse detto che non avevo toccato cibo negli ultimi giorni e quello lo aveva fatto per me.

Tante mani invasero lo spazio della tovaglia, scambiandosi le scatole semitrasparenti e chiacchiere. Afferrai un tramezzino con maionese, tonno e capperi. Profumava di pane fresco, come Nathan e di cibo fatto in casa. Ne misi un pezzo in bocca e si sciolse sulla lingua, morbido. Il sapore acido mescolato col salato mi fece venire l'acquolina. Masticai e mandai giù con una facilità che non ricordavo da giorni. Nathan aveva ragione, quel boccone mi aveva aperto lo stomaco. Ne cercai altri, insieme a mini hamburger con verdura fresca, panini con fette di arrosto e tacos.

I ragazzi parlavano tra di loro e ridevano. Chip si era sdraiato e appoggiava la testa sulle gambe di Cole, Sean si confessava con Nate sul suo ex, e Nathan gli spiegava un paio di cose sul football. Juliet e Cole erano stati entrambi rappresentanti di classe nei loro rispettivi anni e parlavano di scuola, ma in tutto quello, lei non stava facendo gli occhi dolci a secchione, che era ottimo. Janine e Chip erano come due pettegole del gossip, parlavano degli ultimi eventi e mode di Hollywood, facevano urletti strani poi sussurravano. Io ero troppo concentrata a gustarmi gli spuntini per parlare, come se non avessi mai mangiato nella mia vita, e Michael non staccava gli occhi dalle mie mani.

«Era quello che volevo» mormorai.

Janine, di fianco a me, si voltò. «Come?»

Fissai il panino, senza il coraggio di guardarli e annuii. «Sì, era quello che volevo. Passare una giornata con le persone che contano.» I contorni del panino si annebbiarono, alcune lacrime scesero fino a terra. «Voi siete quello che ho di più importante.» Tirai su col naso e tutti rimasero in silenzio, solo un uccellino fece sentire il suo verso.

«Ehi» fece la voce di Nathan, subito dopo mi lanciò un pezzo di pane di fianco. Lo seguii con lo sguardo: dietro, a pochi centimetri da me, c'era un uccellino piccolo, marrone con la pancia gialla e gli occhi circondati da piume bianche come un ombretto. Mi esaminò prima con un occhio, poi con l'altro poi si piegò sul pezzettino di pane. Con uno scatto lo prese nel becco volò via.

«Quello è uno scricciolo.» Nate sorrise.

Lo cercai tra i rami. La sua vita era semplice, aveva avuto un nido e i suoi genitori gli avevano insegnato tutto. Quando era stato pronto, lo avevano lasciato libero di volare.

Le ali del mio cuore erano troppo piccole. Io non ero capace di volare tra i rami e raggiungere il sole.

«E ora, è il momento del dolce.» La voce di Nathan mi fece saltare. Le facce degli altri erano serie, forse ero stata troppo triste e avevo tirato giù anche loro.

«Cosa? Anche il dolce?» Sbottò quel guastafeste di secchione.

Sbuffai, seccata. «Sei il solito musone, il dolce ci vuole, per chiudere un pranzo, no?»

Non appena finita la frase, mi trovai sulle gambe una ciotola rosa fluo che doveva pesare dieci chili. Forse qualcosa di meno. La aprii e dentro c'era della panna montata dello stesso colore della ciotola. «E che cavolo, però. Dobbiamo mangiarci tutto questo?» Forse Michael non aveva tutti i torti.

Ognuno di noi aveva una ciotola come la mia, solo, di un colore diverso. Rosso, blu, giallo, verde, bianco...

«Rotoleremo via diabetici.» Commentò Sean.

Nate si rimise a sedere con la sua tra le gambe. «No, non ti preoccupare. Torneremo a casa smerdati.»

I nostri occhi puntarono tutti su di lui che stava aprendo il suo contenitore, bianco, con una calma irritante. Tirò fuori un piccolo cucchiaino di metallo. «L'altra sera stavo guardando quel film su Peter Pan e mi sono chiesto, perché no?» Prese un po' di panna con la posata, la mise in verticale, la tirò indietro con un dito e poi sparò, dritto verso Michael, a pochi posti da lui.

Secchione non fece in tempo a spostarsi e si beccò la guancia sporca. «Ehi» Si passò la mano e tolse la macchia con una smorfia.

«Tranquillo Mick, è tutto edibile. Gh!» Fece una delle sue solite risate.

Guardai Juliet. «Che vuol dire edibile?»

Lei "caricò" il suo cucchiaino, con un'espressione diabolica, gli occhi neri che brillavano come quando minacciava Bradley e la lingua tra i denti e si preparò a sparare. «Significa che se ti arriva in bocca, lo puoi mangiare.»

Anche Nathan ricaricò la sua piccola catapulta. «O lo puoi leccare via dalla faccia di qualcuno.»

Chip fece un salto indietro. «Io non imbratto la mia Ralph Lauren con questa roba.» Indicò il simbolo dell'uomo sul cavallo ricamato sulla polo, che subito si colorò di verde fluo.

«Verde fluo su nero!» esclamò Cole soddisfatto.

«Via!» esclamò con un grido Juliet, sparando a caso.

Si scatenò una lotta tutti contro tutti, le risate facevano fuggire gli uccellini, potevo giurare di aver visto qualche animale con la coda lunga e pelosa schivare le nostre bombe colorate. Centrare i miei amici con la panna colorata mentre scappavano tra gli alberi era molto più divertente che sporcare la maglia di Bradley.

Mi nascosi dietro a un albero, Nathan mi trovò e feci un salto, ma ridevo così tanto che non riuscivo a muovermi e mi sporcò i capelli e le gambe, mentre senza nemmeno il cucchiaio, gli lanciavo manate di panna.

Quando fu il turno di sparare a Juliet, scoprimmo che era molto brava ad arrampicarsi sugli alberi.

Era una caccia all'uomo che mi risvegliò: i muscoli gridavano dal male, non ero abituata a camminare e correre così tanto, il sapore di ferro saliva dalla gola col fiatone, ma non volevo fermarmi. Ogni passo era una sfida, non avrei accettato di lasciarmi mettere in disparte e avevo un chilo di panna montata rosa fluo con me ed ero pericolosissima.

Fu un peccato che finì troppo presto. Chip fu il più imbrattato, con anche la ciotola di Nathan sulla testa.

Asciugai le lacrime delle risate dagli occhi e ripresi fiato, la pelle era appiccicosa e avevo i crampi alla pancia dal ridere.

Crollammo sulla tovaglia, sporca in maniera indecente.

Nathan si buttò a terra e trascinò Michael addosso a lui.

Rimasi ferma a guardarli: se fosse stato Michael a buttarsi a terra e prendermi con sé? Il suo cuore batteva come il mio? Era felice anche lui? In quel momento, osservando il suo viso, ebbi l'impressione che lui lo fosse di più con Nathan.

Un momento, non me lo sono mai chiesto ma magari lui è innamorato di Nathan. Per questo non è geloso di me? Cosa sono per te, Michael?

Un ticchettio gli fece fare una smorfia, si tirò su di scatto guardando Cole.

Lui aveva afferrato due cucchiai di legno e li stava sbattendo tra di loro, come due bacchette da batteria. Davanti a sé aveva disposto cinque contenitori vuoti di dimensioni diverse e iniziò a picchiarci sopra. Il ritmo era quello inconfondibile di "Sounds good" degli Y●EL●L. Spalancai gli occhi quando Chip tirò fuori dal suo borsello un'armonica a bocca e intonò la stessa canzone.

Janine e Sean stavano battendo le mani a tempo.

Nathan tornò al baule del picnic e ne tirò fuori una chitarra. «Ora mi spiego perché è così grande, quel cesto del pic nic.»

Michael, a occhi spalancati lo guardò avvicinarsi, si alzò in piedi e si allontanò da noi. Il suo petto si alzava e abbassava velocemente, le mani si aprivano e chiudevano e gli occhi erano spalancati.

Nate allungò un braccio e lo tirò giù, di nuovo sulla tovaglia mentre i miei amici, Chip e Cole avevano già iniziato a cantare.

La faccia di secchione si storse in una smorfia mentre il suo migliore amico gli mormorava all'orecchio e gli passava la mano all'interno della coscia.

Avrei voluto farlo io quel gesto, sarei risalita dal ginocchio fino su e poi... Di nuovo il formicolio raggiunse le mie guance.

Nate cominciò a suonare, gli occhi di Michael trovarono i miei e ci affondarono dentro. Le pupille erano strette, era immobile, tanto che ebbi l'impressione che stesse svenendo, anzi no, precipitando, e io fossi la sua unica salvezza, ma anche io mi sentii cadere; almeno fino a che si rilassò e iniziò a cantare.

Cole picchiò ancora più forte sui contenitori, stile assolo.

Michael schioccava le dita, continuava a guardarmi negli occhi e il suo canto si alzava nell'aria. Mi sembrava dover raggiungere le nuvole, il cielo e le stelle. E io volavo con lui, immaginando di essere lo scricciolo che volava. Le canzoni, non solo di EL, ma tante altre, scivolarono via, una dopo l'altra, col sole che calava e le nostre risate stonate, fino a che tutti e quattro fecero un ultimo coro insieme.

Mi girò la testa: era un suono familiare. Il sorriso di Michael e il naso arricciato, di profilo e... di nuovo una fitta alla pancia e il caldo. Tremai, mentre ancora una volta mi teneva legata ai suoi occhi.

Scossi la testa. Non poteva essere, erano troppo bravi come cover band, ma non era possibile che loro fossero gli Y●EL●L. Erano in tre, Michael, Chip, Cole e Nate erano in quattro.

***

Nathan ci faceva luce con una torcia enorme, il sole doveva ancora tramontare del tutto, ma nell'aranceto i rami facevano il sentiero più scuro. Michael camminava accanto a lui, sembrava stessero parlando di qualche stramberia che avevano fatto da ragazzini, forse in una giungla paludosa della Florida. Quei due dovevano averne fatte davvero passare tante a David.

«Nathan, come mai sapevi che quello era uno scricciolo?" Parlai ad alta voce.

Cole si avvicinò. «A Nathan piacciono le cose piccole. Forse è per compensare il fatto che ha tutto grande.»

Eh già...

Al pensiero di lui che si alzava gli slip una vampata di caldo mi bloccò. E lo avevo anche confrontato con Johnny.

Nate rispose qualcosa, ma ero troppo occupata a farmi passare il caldo.

Rallentai il passo e mi misi accanto a Cole. «Senti, posso chiederti una cosa?» Gli parlai a bassa voce. «Come facevi a sapere che il tuo colore era verde fluo?» Mi ero ricordata del suo daltonismo.

Rise. «Nate mi ha messo un biglietto sul coperchio della ciotola.» Tirò fuori dalla tasca sporca dei pantaloni un foglio piegato più volte. Quando lo distese, era più grande della ciotola stessa, non potei trattenermi nemmeno io. Gli altri si voltarono. «Ehi, fate ridere anche noi?» Gridò Chip.

«Stavo spiegando a Juno qui come ho fatto a indovinare il colore della mia panna.»

L'ombra alta alzò la mano. «Sei sempre il benvenuto!»

Continuai a camminare con lui. «Comunque lo sai che avete uno stile molto simile agli Y●EL●L?» L'ultimo coro di chiusura non mi lasciava stare. Mi spostai una ciocca di capelli dietro le orecchie, era secca e rigida.

Si voltò e chinò un po' la testa con i ricci induriti. «Perché abbiamo studiato.» La frase fu secca e breve. «Io, Chip e Mick abbiamo frequentato la stessa scuola di musica a Jacksonville. Io e Chip cantavamo. Siamo diventati amici e Michael ha iniziato a compore canzoni per noi.»

Annuii seria, come se Cole mi avesse fatto una lezione importante. «Quindi, se ha studiato, perché a Michael non piace suonare e cantare?»

Si girò.

Parlai veloce e a voce bassa. «Perché Michael non vuole mai cantare? Lo sai?» rimase in silenzio, nell'oscurità facevo fatica a vedere la sua espressione.

Mi fece cenno di seguirlo. «Mick ama la musica ma la nostra insegnante era una stronza e non lo ha mai fatto sentire a suo agio a esibirsi davanti a un pubblico.»

«Ma come? E allora, tutti i vostri concerti nei bar, il mio compleanno...»

«Ha trovato, chiamiamola, una soluzione.» Nell'ombra alzò le spalle e si mise le mani in tasca. «Anzi, diciamo che la sua mente l'ha trovata per lui. A lui non piace cantare davanti a un pubblico ma non gli piace nemmeno la soluzione.»

Guardai davanti a noi, Nathan accendeva la luce a intermittenza, andava avanti al buio e poi si nascondeva tra gli alberi, suscitando le proteste degli altri. «Posso sapere che soluzione è, se non gli piace? E perché lo fa?»

Cole mi lasciò in sospeso nella domanda quel tanto che bastò per farmi venire dei dubbi, forse mi ero spinta troppo in là con la mia curiosità?

«Quello te lo devi far spiegare da lui. E per farlo, lo fa perché siamo amici. Ha sempre detto che la merda di uno è la merda di tutti» concluse, con lo stesso tono di quando mi aveva detto che erano bravi. Non c'era altro da aggiungere, Cole forse aveva anche parlato troppo.

Lo presi sottobraccio. «E cosa mi dici di Nathan e Michael?»

Si voltò di nuovo e quasi gli apparve un punto interrogativo sulla faccia. «Eh?»

«Sì, voglio dire, a Nathan piacciono le donne, e da quello che ho capito anche più grandi di lui, come la nostra cameriera, Scarlett. Ma Michael? Mi sembra che stia così bene con lui.» L'ultima frase si spense nel buio e come risposta ebbi una risata di naso di Cole e i suoi riccioli che si scuotevano. «Cosa? No, a Mick le ragazze piacciono. Almeno, so che non gli piacciono i ragazzi.»

Tirai un sospiro di sollievo e lui soffocò una risata. «L'ho visto cotto una volta sola, aveva quindici anni. Era una ragazza che andava in biblioteca con lui, ma lei lo vedeva solo come un amico. Poveraccio, forse è per questo che non vuole più innamorarsi.»

Abbassai la testa e lasciai il braccio a Cole, la villa era apparsa davanti a noi. «Capisco.» anche se non lo sapevo davvero se avevo capito o meno.

Nathan si offrì di accompagnare i miei amici a casa, mentre Chip e Cole presero la loro, per tornare a Jacksonville ci avrebbero messo ore e avevano fatto tutto per me.

Note Autore

Chi non vorrebbe un picnic con paintball organizzato da Nathan? 🙋🏻‍♀️

Lo ammetto, per quanto riguarda i quantitativi di cibo, assomiglia a mia suocera: sai quando ti siedi ma non sai quando ti alzi e quanto mangerai. 💀

E di Juno, pensate che le abbia fatto bene questa piccola parentesi? Forse non si libererà mai del tutto dalle ombre di Seattle, ma ora sa che ha qualcuno che tiene alla sua felicità.

Per ora è ancora molto fragile, basta un piede in fallo per farla scivolare di nuovo.

Forse uno di questi scivoloni sarà il prossimo capitolo? Speriamo di no 😭
Mi raccomando, esce mercoledì. Volevo farlo uscire per il 14, ma dopo due capitoli sarebbero stati troppo vicini!

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